Dove vanno i blog?

Ma dove vanno i marinai
con le loro giubbe bianche
sempre in cerca di una rissa o di un bazar…

In un commento a un post precedente l’amico Antonio mi diceva che Facebook oramai sta affossando i blog. In verità è un’opinione abbastanza diffusa e molti amici hanno la stessa impressione (anche la mia cara prof. aveva gli stessi dubbi).

Io continuo a ripetere che Facebook, in quanto social network, svolge un ruolo diverso e migliore dei blog e se ne assottiglia un po’ lo fa soltanto nella direzione di quelli tenuti in piedi da “curatori estemporanei”.

Probabilmente il blog non è mai diventata una vera e propria moda e questo, credo, sia stata la sua vera fortuna.

Sicuramente il futuro prossimo ci vedrà impegnati in strumenti e sistemi diversi, probabilemnte transcomunicanti  ma angoli del tutto autonomi di gestione credo che difficilmente spariranno. Dunque il terreno del blog può rimanere fertile caratterizzandosi, come del resto stanno già facendo la maggior parte, più per l’approfondimento e la lunga meditazione che per l’aggiornamento pressante di questi ultimi anni.

Se prima bisognava scrivere uno o due pezzi al giorno per mantenere, se non accrescere, la fidelizzazione al proprio blog, oggi questo non è più necessario. Già con gli RSS, con i vari socialnetwork, i microblogging e  iltumblr i compiti e gli spazi del blog si erano via via sistematizzati. Da ambiente di scrittura “generico” a trecentosessanta gradi (con slanci a volte portalistici)  era divenuto, abbastanza velocemente, un luogo di interessi sempre più specifici. Adesso, a maggior ragione, tutta l’euforia da incipit, da chiacchiericcio e da rimbalzo (e tutta la passione per la condivisione) può essere incanalata in Facebook che questo lo fa veramente veramente molto bene.

L’esempio di questa tendenza, all’approfondire, ci viene dai carcerati per i quali curare un blog sta diventando il nuovo modo di comunicare con l’esterno, almeno stando a quel che dice Sam Stanfield.

Insomma, il blog ha lentamente spento il motore e naviga a vela: è più silenzioso, ha meno “nodi”  a disposizione,  fa meno miglia, ma in compenso ci vogliono buone braccia e tanta fatica per farlo andare avanti.

Perdonate la metafora ma mi serviva per ricollegarmi alle parole della canzone di Dalla citata all’inizio e anche per rilanciare la palla ad amici più esperti di me dei quali sarei felice (ma più curioso) di conoscere la loro opinione.

:)