La birra fatta in casa (o dell’homebrewing)

Incontro ancora persone (ma sempre più raramente) che alla frase “mi faccio la  birra in casa”, increduli, sgranano gli occhi.  Non perchè non mi credono ma per la stranezza  che ancora riveste questa pratica casalinga. In effetti conta il fatto di non essere abituati a pensare che la birra possa essere realizzata anche con un processo casalingo. Se dicessi loro che faccio il vino risulterebbe un’attività più comune e quindi “normale”. Quindi tutto sommato il problema è sostanzialmente culturale.

Per fortuna da qualche anno la cultura birricola si è notevolmente diffusa ed è molto più facile incontrare amatori, intenditori o comunque bevitori informati. Un contributo fondamentale, almeno in Italia, è stato impresso dal crescente sviluppo di birrifici e microbirrifici artigianali che hanno ben compreso come la loro sopravvivenza dipenda, fondamentalmente, da una maggiore informazione e, soprattutto, da un innalzamento della cultura intorno a questa bevanda. Ma le approssimazioni sono dure a morire e spesso la confusione e una certa sottocultura generano cattive informazioni, al punto che anche in determinati locali, soprattutto pizzerie e pub, si ricevono informazioni sbagliate.

Homebrewing è la pratica di farsi la birra in casa e deve la sua diffusione a un hobby tutto americano che ne ha dato il nome (in italiano letteralmente dovrebbe chiamasi “domozimurgia“) grazie anche a un periodo di enorme diffusione di kit.

Come si arriva a farsi la birra in casa?

Penso che il primo approccio non possa che partire dal piacere di bere birra e poi dall’avere uno piccolo spirito hacker: quello che ti porta a volersi misurare con le cose mettendoci le mani. E’ quell’energia che ti spinge a farti le cose da te, fino ad approfondire teorie e pratiche.  All’inizio non è neanche economico (e rispetto alle birre commerciali non sarà mai più econonomico) e oltre alle spese iniziali per l’attrezzatura c’è anche un notevole impegno mentale e fisico.  La soddisfazione arriverà con tempo e pazienza, dopo prove ed esperienze a 360 gradi.

Una cosa però è certa: se non avete voglia di approfondire un po’ di teoria e di impegnarvi nelle cose pratiche, l’homebrewing non è per voi!

Un’alternativa è quella di partire dal kit, dove l’impegno potrebbe essere leggermente inferiore. Stiamo parlando soltanto di bollire dell’acqua con dei malti pronti all’uso, anche già luppolati.  E’ una tecnica con la quale non potete personalizzare le vostra birre e neanche ottenere risultati eccellenti; ma potreste fare una discreta esperienza con la fermentazione e l’imbottigliamento.  Poi ci sono kit e kit e se proprio volete iniziare da lì vi consiglio vivamente quello della Punk Ipa .

La birra “doppio malto”

Birra “doppio malto” è una dicitura che fa incazzare tutti gli intenditori ma con cui bisogna farci i conti.
“Doppio malto“ è soltanto una definizione “legale” (utilizzata solo in Italia dopo l’introduzione della legge n.1354 del 1962  – “Disciplina igienica della produzione e del commercio della birra”) con la quale si classificano le birre in funzione dei “Gradi Plato“, ovvero del contenuto di zucchero nel mosto (se in un litro di mosto di birra ci sono 12 gradi Plato, vuol dire che la densità degli zuccheri disciolti è uguale a quella di un litro (1 Kg) di acqua contenente il 12% di saccarosio (in questo caso 120 gr. di zuccheri disciolti).
La legge individua 5 categorie:
–  birra analcolica (gradi plato compresi tra 3 e 8);
–  birra leggera, o light (gradi plato compresi tra 5 e 10,5);
–  birra (gradi plato superiore a 10,5%);
–  birra speciale (gradi plato non inferiore a 12,5);
–  birra doppio malto (gradi plato maggiore di 14,5).
E’ vero che è il malto a creare i zuccheri fermentescibili ma non è il loro numero che determina questo, quanto la qualità del malto (come vedremo) e quindi non è affatto necessario utilizzare il doppio del malto per far salire i gradi plato; in realtà se ne potrebbero infilare anche dieci e stare al di sotto dei 5 gradi. Il perché di questa leggerezza, oltre che confusione, dipende dal fatto che cinquant’anni fa la cultura birraia era quasi inesistente e lo Stato italiano ha voluto fare due cose: creare delle regole per poter tassare questa bevanda e contemporaneamente proteggere i vinificatori, più numerosi e politicamente più influenti.
Insomma è una legge vecchia che andrebbe rivista radicalmente dal momento che si è notevolmente diffuso, anche culturalmente, il concetto  di  “birra artigianale”; ma a noi ci basti sapere che quando sentiamo dire “doppio malto” non ci stanno dicendo niente delle caratteristiche della birra, ma al massimo il suo contenuto alcoolico. Se lo trovate sulle etichette (non tutte in verità) è soltanto per un formale adempimento legislativo.

Quindi non basatevi sul numero dei malti per definire una birra e soprattutto non confondete, per esempio, una  belga “tripel” con una qualsiasi “triplo malto“ che oltre a non rientrare nella classificazione legale, crea solo una gran confusione.

Un po’ di storia
In Iran sono state ritrovate delle brocche di argilla di settemila anni fa, con all’interno delle tracce di bevande a base di frumento fermentato.

Sul Monumento Blau  (una tavoletta sumera di 4000 anni)  è raffigurata la birra tra i doni propiziatori offerti alla dea Nin-Harra (La bière, art et tradition di F. Eyer ed E. Urion, Librairie Istra, 1968).

Sempre i sumeri, in alcuni scritti del XVIII secolo a.C.,  descrivono così le modalità di produzione di questa bevanda: una massa fatta di orzo e farro, macinati e impastati con acqua, poi cotta in forno per formarne dei panetti. Una volta essiccati questi pani, vengono sbriciolati in acqua bollente e lasciati a fermentare. Dopo la fermentazione, il mosto ottenuto viene filtrato ed era già pronto per esser bevuto.

Si chiamava “se-bar-bi-sa” (letteralmente “l’acqua che fa vedere chiaro”, dal che si può dedurre che fosse già alcolica) alla quale, spesso, si aggiungeva del miele e altre spezie per produrne di diversi tipi che, a seconda del colore (derivante dalla maggiore o minore cottura dei panettti), della speziatura e della gradazione alcolica, prendeva altri nomi: come la Niud, per esempio, che era una birra addolcita con zucchero di datteri.

Che l’attività di birrificazione fosse già abbastanza diffusa lo testimoniano sia il codice di Hammurabi, dove erano state previste delle regole sulla vendita e sulla produzione della birra, e il Papiro Ebers (del VII secolo a.C), nel quale erano indicate una serie di prescrizioni mediche a base di birra, o, ancora, nell’editto sui prezzi di Diocleziano (del IV secolo) nel quale la birra, considerata bevanda plebea, costava la metà di qualsiasi tipo di vino.

Anche Archiloco  parla di una bevanda, in uso tra i Frigi e i Traci, prodotta con pane di orzo e frutta, e Senofonte racconta di come gli Armeni bevessero una bevanda inebriante, aiutandosi con delle lunghe canne per evitare che le fecce presenti all’interno arrivassero in bocca.

Strabone, che era un geografo e aveva girato mezzo mondo, descrive in una sua relazione, di come le popolazioni iberiche preferissero di gran lunga bere una bevanda prodotta con orzo e avena e non il vino dei legionari romani che, invece, nella provincia romana della Gallia, avevano iniziato ad apprezzare questa bevanda nelle sue cinque grandi famiglie: l’alica, la celia, il bryton, la cerevisia e il camum.

I Celti e gli Etruschi erano dediti alla birra fin dall’età del ferro e Ateneo racconta che i Liguri, i Frigi e i Traci bevevano la Bryton, una birra di farro di cui aveva parlato anche Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia, dove si preoccupa di precisare che la birra a Roma era conosciuta ma poco consumata, mentre era molto apprezzata e largamente diffusa nelle province dell’impero.

Eschilo, nelle Supplici, aveva ironizzato sugli egizi chiamandoli bevitori di “un vino fatto con l’orzo” ed è forse da qui che parte, e arriva fino ai giorni nostri, l’idea che la birra avesse un valore inferiore al vino.

L’imperatore Valente, invece, fu un grande bevitore di birra, la sabaium, proveniente dalla attuale Austria, tanto da conquistarsi l’appellativo di Sabaiarius (Manuale della birra, A.V., Edizioni Gribaudo).

Per avere un’idea di quanto fosse diffuso l’uso della birra nell’antico Egitto si consideri che una grande mole di offerte agli dei era costituitae proprio da birra; anche i soldati, gli artigiani e altre categorie di lavoratori, ricevevano una parte del proprio salario in dosi di birra. Per esempio la Bi-Du, una birra senza aromi particolari, serviva proprio come base di calcolo del salario degli operai (circa 3 litri al giorno).

Qualche anno fa, in una tomba della necropoli di Bau,  è stato ritrovato, in discrete condizioni microambientali, un bicchiere contenente dei resti di una birra scura ad alta gradazione ottenuta per fermentazione di cereali con aggiunta di luppolo. Tale ritrovamento è stato importante per due motivi: per una prima datazione sulla produzione di birre europee (a partire dal VI secolo a.C.) e per storicizzare l’utilizzo del luppolo, come aromatizzante e, probabilmente, come conservante, molto prima degli inglesi (e della loro India Pale Ale) e ancor prima che i Galli invadessero l’Europa (Filippo Gambari, “Del vino d’orzo. La storia della birra e del gusto sulla tavola a Pombia“, atti dei Convegni “Cervisia. La birra nell’archeologia e nella storia del territorio”, Comune di Pombia, Soprintendenza per i beni archeologici del Piemonte e del Museo antichità egizie, 2005).

Intanto possiamo fissare un punto certo nella cronistoria ed è che  «la storia della birra va di pari passo con quella del pane, non a caso veniva anche definita anche “pane liquido”» (Gino Sparth, “Birra & Birra”, Demetra, 1999).

Con la diffusione dei monasteri (dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente), la produzione della birra vivrà un nuovo impulso e inizierà una commercializzazione più decisa grazie a una tecnica di realizzazione più precisa.

Fra le abazie che producevano birra c’era quella di Montecassino, di Bobbio, di San Gallo, ma sicuramente quella di Weihenstephan, in Germania, è la più attiva ed è anche quella che per prima farà uso del luppolo. Inoltre l’abazia di Weihenstephan con il Reinheitsgebot divenne un punto di riferimento qualitativo per tutta la birra bavarese, diventando, dopo la secolarizzazione, la “Birreria Reale della Baviera” (oggi l’abazia è sede del centro di tecnologia birraia tedesca).

Il Reinheitsgebot

Il Ducato di Baviera, nato dalla volontà di Alberto IV  “il Saggio” di riunire l’Alta e la Bassa Baviera (due regioni separate dal Danubio), si estendeva dalle Alpi alla Franconia per circa 40 Km quadrati, ed era governato dai due fratelli Ludovico X e Guglielmo IV.
Proprio Guglielmo IV nel 1485 emanò, nella città di Monaco, il Reinheitsgebot (editto della purezza) che negli anni successivi verrà esteso a tutta la Baviera. L’editto imponeva a tutti i birrifici di utilizzare, per la produzione di birra, soltanto malto d’orzo, luppolo e acqua  (il lievito non era ancora conosciuto poiché il suo ruolo nella fermentazione verrà scoperto da Pasteur 350 anni più  tardi).  L’ordinanza diceva, anche, che nel Ducato di Baviera dal 29 settembre (giorno di San Michele) al 23 aprile (giorno di San Giorgio), il prezzo di un boccale di birra (di circa un litro) non doveva superare un Pfenning (una moneta d’argento) e che dopo il giorno di San Giorgio e fino al successivo giorno di San Michele, il prezzo del boccale non doveva superare i due Pfenning.

Le violazioni non venivano tollerate, anzi punite con la confisca dei barili di birra in vendita.

I locandieri, che acquistavano la birra dalle birreria, potevano rivenderla a un Heller (mezzo Pfenning) in più al litro.

Con il Reinheitsgebot, per la prima volta nella storia, ci si occupa di regolamentare, economicamente e biologicamente, la produzione della birra. Tali regole, che in qualche modo certificavano i produttori bavaresi, pian piano si estesero anche alla Germania al punto da divenire un forte centro di discordia nel periodo dell’unificazione del 1871  tra i tedeschi e i bavaresi che pretesero l’applicazione dell’ordinanza a tutto l’impero.

Bisogna, però, aggiungere che proprio a causa dal Reinheitsgebot, si diffuse massicciamente la produzione della pilsener a discapito di alcune produzioni regionali che utilizzavano spezie non contemplate nel regolamento e che, proprio per questo, sparirono definitivamente.

La birra industriale

Dopo una serie di scoperte importanti come il termometro, l’idrometro, il densimetro, la macchina a vapore, la macchina del ghiaccio, la macchina che tostava il malto e, sostanzialmente, l’avvento della rivoluzione industriale anche la birra si avvia, piano piano, a mutare forma e sostanza.  Ma soprattutto dopo le scoperte di Hansen e Pasteur sulla fermentazione (l’azione del lievito) e la pastorizzazione, che eliminò il problema dell’ inacidimento del mosto, la birra diventa anche un prodotto industriale.

In Italia, agli inizi del 900, c’erano già diversi birrifici industriali (Boringhieri, Dreher, Wuhrer, Peroni, Moretti, Wunster, Pedavena, Menabrea, Zimmermann) che aumentarono notevolmente la loro produzione fino a superare i produttori di vino. Durante il periodo fascista alcuni porteranno le proprie industrie anche fuori della nazione come la Birreria OEA a Tripoli, la Cirene a Bengasi, la Korca in Albania. Lo scontro con i produttori di vino si fece sempre più aspro al punto che nel 1927 venne varata una legge (legge Marescalchi) con la quale si imponeva ai birrai di utilizzare un 15% di riso nelle loro produzioni, si stabiliva un’imposta straordinaria di 40 lire per hl di birra e, inoltre, chi vendeva bevande a “bassa gradazione” doveva essere in possesso di un’apposita licenza, cosa che, ovviamente, limitava lo smercio al dettaglio esclusivamente ai bar, alle trattorie e alle birrerie (le categorie “vini e oli”, per esempio, non potevano farlo). Nel resto del mondo, tra alti e bassi, il consumo di birra era in continua crescita, fino ad approdare alla super-industria, con prodotti standard e anonimi che si allontanavano sempre di più da quelle prodotte pochi anni prima.

Solo a partire dagli anni ’70, grazie anche alla “Campaign for Real Ale” inglese, si riavvia un percorso di recupero dell’artigianato birraio e delle sue birre particolari, storiche e ricche di personalità. Tale recupero interesserà non soltanto le ricette o i modi e le tecniche di produzione ma anche quello degli ingredienti, dai grani, ai luppoli e alle varie spezie.

L’homebrewing

Come abbiamo accennato prima, in Italia quelli che si fanno la birra in casa dovrebbero chiamarsi “domozimurghi” (dal latino “domo”, casa e “zimurgia”, scienza dei processi di fermentazione), ma un po’ perché l’inglese è più immediato e facilmente declinabile e anche perché gli americani sono stati i primi a iniziare ad armeggiare con kit e tecniche varie, che con “homebrewing” si intende la birra-fatta-in-casa in tutto il mondo.

Come dicevo all’inizio, non si può praticare l’homebrewing se non si ha almeno un po’ di passione per la birra e una buona dose di pazienza; perché di tempo se ne perde sia per accrescere le competenze che per i vari tentativi necessari a raggiungere un risultato dignitoso. Se poi si è fortunati nel partecipare a qualche corso teorico/pratico che solitamente molti birrifici organizzano in giro, allora si parte con una marcia in più. Vale come esperienza teorica anche frequentare una birreria dove poter gustare diversi stili, magari discutendo con il gestore o un intenditore

Insomma da qualche parte bisogna iniziare e se dovessi sintetizzare la mia esperienza direi che la base è stata la passione per le birre (anche quando mi divincolavo soltanto tra quelle industriali perché non era ancora esplosa la moda delle artigianali) che mi ha conferito una giusta spinta a voler provare a fare qualcosa. Non ho mai frequentato un corso (perché non ne ho avuto l’opportunità) ma ho iniziato, come tanti, dal manualetto di Bertinotti e poi studiato qualsiasi cosa che avesse a che fare con il procedimento.

Anch’io sono partito la prima volta con un kit per lager che mi è servito per fare una prima esperienza con la fermentazione. Il passo successivo è stato direttamente una “All Grain”, anche perché solo così avrei iniziato a praticare la birrificazione nel vero senso della parola.

Cosa si impara dalle prime esperienze con il Kit? Innanzitutto la pericolosità dei batteri, e dei lieviti vari presenti nell’ambiente, e quindi l’importanza della sanificazione dell’attrezzatura, delle bottiglie e di tutto ciò che entra in contatto con il mosto.  Poi si comprende che è necessario studiare sempre di più e approfondire quanti più argomenti possibili per cercare di divincolarsi meglio nella tecnica e darsi anche qualche risposta in relazione agli eventi biochimici in ballo. Se, poi, si ha uno spirito hacker (come dicevo all’inizio) allora si è completamente immersi nel proprio brodo. Fare la birra in casa è una di quelle classiche cose in cui “ci si mettono le mani”; non solo nel maneggiare gli ingredienti ma anche nell’autocostruzione, o modifica, di attrezzature varie.

Tutti gli homebrewer sono hacher: tutti hanno modificato almeno una pentola per il proprio “mash tun” (pentola per la bollitura); sicuramente si saranno costruiti un  filtro bazooka, una serpentina di raffreddamento in rame e un circuito fatto di raccordi vari (oltre a un motorino) per lo “sparging”. Sono hacker perchè le cose via via diventano più complicate e ci si attrezza oltre che nella sperimentazione, soprattutto, nello studio e approfondimento di argomenti che attraversano la chimica, la fisica, la meccanica e la filosofia, quella zen che ti porta al perfezionamento e alla “mautenzione del tuo piccolo impianto”.

Con il crescere della passione, e dell’esperienza, si continua parallelamente nella sperimentazione e/o personalizzazione di ricette e nell’autocostruzione: E’ facile incontrare persone che si son realizzati un circuito di controflusso (o un piccolo scambiatore di calore a piastre), un mulinello elettrico per la macinatura dei grani o, addirittura, un piccolo sistema semiautomatico a tre pentole….  Poi sistemi di controllo automatico della temperatura, ecc….

Gli ingredienti

L’acqua

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Il malto

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Il luppolo

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Il lievito

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Come partire?

I metodi sono principalmente tre:

Con estratti (Kit), che ho descritto prima: si utilizzano dei kit già pronti contenenti una lattina di estratto di malto già luppolato e una bustina di lievito secco. Basta poi soltanto una pentola nella quale bollire l’estratto. Tutto il processo successivo (raffreddamento, inoculazione del lievito, fermentazione e imbottigliamento) è uguale per tutti gli altri procedimenti.

Estratto e Grani (E+G): si utilizza l’estratto di malto non luppolato, il luppolo, il lievito e piccole quantità di grani (che non servono per la fermentazione ma soltanto per il sapore e il colore). A differenza del kit, si possono semi-personalizzare le birre ottenendo una qualità leggermente superiore.

All Grain (AG): è tecnica che riproduce in tutto il lavoro di un micro-birrificio. Non ci sono estratti ma solo malto in grani. A questa tecnica è necessario avvicinarsi dopo aver acquisito almeno una piccola competenza teorica, oltre a una migliore e più adeguata attrezzatura e tempo, lavoro e pazienza.

Una piccola semplificazione del metodo All Grain è il BIAB, acronimo di “brew in a bag”, cioè fare birra in un sacco, e consiste nel birrificare più velocemente e con attrezzatura minore. Se hai poco spazio, poco tempo e pochi soldi ma vuoi comunque fare una birra “all grain”, questo è sicuramente il metodo più pratico: rispetto all’attrezzatura per AG ti basta una sola pentola e un sacco filtrante (per una guida precisa e dettagliata vi consiglio questo post di Rovid Beer).

La parte pratica

attrezzatura minima

  • fermentatori – secondo me almeno 2 (in plastica per alimenti) da 25/30 litri per la fermentazione (oppure, con una spesa superiore, in acciaio inox), compresi di:
    • tappi a chiusura ermetica con foro per gorgogliatore,
    • 1 o 2 gorgogliatori con apposita guarnizione,
    • 2 rubinetti di scarico (con i fermentatori in plastica anche i rubinetti lo sono) comprese le guarnizioni interne ed esterne,
    • 2 termometri digitali adesivi da applicare ai fermentatori di plastica,
  • densimetro per misurare la densità del mosto che solitamente viene venduto insieme a un cilindro in plastica che funziona da contenitore di immersione (oppure un rifrattometro con una piccola spesa in più ma di gran lunga più pratico perchè è possibile usarlo a qualsiasi temperatura, ovviamente bisognerà procurarsi un po’ di acqua distillata per la calibrazione dello strumento);
  • pala o grande cucchiaio di plastica o di acciaio, con un manico lungo, per mescolare il mosto;
  • tubo in plastica (tipo “cristallo – TC”) per effettuare i travasi, almeno 2 0 3 metri in modo da tagliarlo alle dimensioni più utili;
  • tappatrice per tappi a corona da 26mm con adattatore per 29 mm;
  • confezione di tappi (da 26mm o 29 mm a seconda delle bottiglie da usare);
  • bottiglie (preferibilmente quelle con il vetro spesso e scuro), se decidete di raccogliere/acquistare le bottiglie con tappo meccanico, non vi servirà più la tappatrice ma soltanto un po’ di guarnizioni di ricambio;
  • avvinatore (per la sanificazione delle bottiglie);
  • scolabottiglie (di solito in plastica, è economico e molto utile);
  • travasatore per poter riempire le bottiglie;
  • per lavaggio e sanificazione di tutta l’attrezzatura potete usare la normale Candeggina (non profumata) e Chemipro Oxi;
  • per testare il pH o vi armate delle striscette da comprare in farmacia oppure di un Tester pH (e le soluzioni per la calibrazione del tester) se volete un po’ di precisione nelle letture;
  • per il raffreddamento del mosto ci sono diversi sistemi, il più economico resta la serpentina in rame che poterete costruirvi facilmente;
  • di pentole ve ne servono almeno 2 e le migliori, ovviamente, sono quelle in acciaio inox perché più resistenti, si puliscono meglio e sono completamente atossiche ma se volete risparmiare potreste optare per quelle in alluminio, sappiate però che sono meno resistenti e ricordatevi di lavarle bene e asciugarle molto bene;
  • per il filtraggio del mosto (dalle trebbie) ci sono diversi metodi e sono tutti più o meno pratici; a parte il sistema BIAB che è autofiltrante, ci sono sistemi realizzati con un fondo filtrante (una sorta di doppio fondo bucherellato per pentole, oppure sovrapponendo due recipienti della stessa dimensione di cui il primo bucherellato – sistema “zap-zap”) oppure, quello più usato, il filtro “bazooka“, molto economico e abbastanza efficiente.
  • un mulino per macinare grossolanamente i grani.

C’è da fare un discorso a parte sul lievito e pertanto rimando alla sezione specifica però si tenga presente che nel caso si decidesse di utilizzare uno starter in rete si possono trovare innumerevoli consigli tecnici per potersi creare un’attrezzatura dedicata.

STARTER

Potreste optare per una procedura semplice ma efficace prima di inoculare direttamente la bustina di lievito nel mosto e che consiste nel preparate un mini mosto con 40 gr di estratto di malto in polvere in mezzo litro di acqua bollente. Fatelo bollire per 15 minuti e poi raffreddatelo fino a circa 20° C. e mettetelo in un contenitore di vetro sterilizzato. Prima di aprire la busta di lievito, pulite accuratamente la zona che verrà aperta/strappata con dell’alcol e poi versate il lievito nel contenitore con il mosto.  Agitate bene e lasciate in incubazione per 15-18 ore. Quando vedrete della schiuma in superficie vuol dire che il lievito è al massimo della sua attività (“è partito”, come si dice) ed è pronto per essere versato nel fermentatore con il mosto.

PREPARAZIONE

In linea generale si mette una pentola con l’acqua (mediamente la proporzione malto/acqua è di 2,5 l per 1 kg ma si può arrivare fino a 4 l/kg, poi in definitiva dipende dalla vostra ricetta) portata alla temperatura che stabilisce la ricetta (con circa 5/7 gradi in più per effetto dell’abbassamento che avverrà dopo l’unione dei malti)  raffreddamendo che chlla temperatura di circa 52°,  si unisce il malto e si tiene questa temperatura per 15 minuti mescolando sempre. Si sale poi a 60° circa e si tiene la temperatura per 30/45 minuti (ma anche secondo le ricette), sempre mescolando si porta la temperatura a 72° circa e la si tiene fino a che il test “tintura di iodio” non sia negativo.

Prima di filtrare l’estratto e’ bene portare il tutto a 75°, cosi’ l’estratto sara’ meno viscoso e si otterra’ un rendimento piu’ alto. L’estratto che si sarà raccolto a questo punto sara’ molto denso e in quantita’ insufficiente. Per diluirlo e per recuperare gli zuccheri ancora presenti nel malto, si versa con delicatezza sopra il letto di trebbie, acqua a 78° (comunque meno di 80°) che si sara’ scaldata in precedenza.

Si continua quindi a drenare l’estratto dal rubinetto di scarico, o a raccoglierlo nel caso di sacco filtro, fino ad ottenere la quantita’ (e possibilmentela gravita’) desiderata. Appare evidente che per l’acqua necessaria a sciacquare le trebbie avremo bisogno o di una seconda pentola o di un contenitore temporaneo isolato. Ora l’estratto e’ pronto per la bollitura e
per l’aggiunta del luppolo, come nel caso della birrificazione da estratto.

Ulteriori spiegazioni pratiche sulla tecnica di produzione all-grain sono presenti nel capitolo delle ricette per birre all-grain, al paragrafo “procedimento”.

 

Il Multi Step

Il Multi Step, è la tecnica più antica, relativa al metodo All Grain. Come recita un famoso detto: chi cambia il vecchio per il nuovo, sa ciò che lascia, ma non sa ciò che trova. Prendendo alla lettera queste parole, i più radicati birrai casalinghi, sostengono, che fare delle soste, per un determinato tempo ad una determinata temperatura, proprio come si faceva tempo fa, porti delle caratteristiche visive e organolettiche, che fanno dell’all grain, la regina di tutte le tecniche brassicole. Ma in cosa consiste il multi step?

Il multi step, consiste in queste fasi:

Mash in: 45 °C (10/15 min). È la prima fase dell’ammostamento, in cui verranno inseriti tutti i malti nella pentola.
Acid rest: 35-49 °C. (20/40 min). Viene effettuato per la produzione di acido fitico, che serve per abbassare il ph del mash;
Beta-glucan rest: 40-45 °C. (10/15 min). Ha il compito di disgregare una certa quantità di enzimi beta-glucani, che in quantità troppo alta, rendono il mosto colloso, alterando l’efficacia dello sparge.
Ferulic rest: 43-45 °C. (30 min). Serve a sciogliere l’acido ferulico presente nel malto, per la produzione in fase di fermentazione, di 4-vinil-guaiacolo, che aiuta la produzione di fenoli.
Protein rest: 40-52 °C. (10/15 min). È lo step in cui avviene l’attivazione di due enzimi: protease e peptidase, che lavorano rispettivamente, nei range di temperatura più bassa e più alta dello step. Questi due enzimi hanno il compito di scindere il legame degli aminoacidi (protease), e di ridurre la complessità delle catene proteiche, senza scindere gli aminoacidi (peptidase). Generalmente si tende a lavorare più sulla parte peptidase, in quanto le proteine di media/lunga grandezza, sono benefiche per la tenuta della schiuma.
Beta amilase: 60-65 °C. (30/60 min). Questo step, serve per rendere il mosto più fermentabile e quindi più secco e alcolico.
Alpha amilase: 68-72 °C (20/30min). Questo step, serve per produrre nel mosto più destrine, quindi aumentando il sapore e la corposità.

È il rapporto tra beta e alpha amilase, che regola la buona riuscita di una birra. Se non sapientemente curato, potrebbe generare birre sbilanciate.

Mash out: 77-78 °C (10 min). È il processo, con cui si interrompe tutta l’amilasi, e di conseguenza la conversione di altri fermentabili.

Come si evince da questo resoconto, il multi step, è un processo abbastanza elaborato e complesso, che cerca di curare ogni minimo aspetto della conversione dei fermentabili. Questo processo, comporta molto tempo, in quanto, ogni singola fase, richiede dai 10 ai 60 min, in base alle caratteristiche, che il birraio vuole estrapolare dalla sua birra.

Il single step

In contrapposizione al multi step, il single step, taglia la maggior parte dei passaggi. Esso si basa esclusivamente sul mash in, sul rapporto tra beta/alpha amilase e sul mash out.

I sostenitori del single step, si avvalgono dell’attenuante, per cui oggi, la quasi totalità dei malti, sia “modificato”, ovvero già controllato adeguatamente, al momento della germinazione del grano stesso.

Ma perché non fare le fasi previste dal multi step?

Nella cotta in single step, il birraio, esegue:

Acid rest: nel single step, è una fase che non viene eseguita, in quanto, uno dei motivi per cui viene fatto lo step, è quello di agire sulla regolazione del ph. Per ovviare a tutto questo, nel single step, vengono utilizzati gli acidi alimentari, che vanno ad interagire sul ph.
Beta-glucan rest: è lo step, in cui, si ha la riduzione dei beta-glucani, che se presente in grande quantità, sono responsabili di un mosto troppo stuccoso, che va a discapito dello sparge. Per ovviare a questo, si potrebbe utilizzare la lolla di riso, per un migliore filtraggio delle trebbie.
Ferulic rest: l’obiettivo dello step, è la produzione di fenoli, attraverso l’acido ferulico, che in fase di fermentazione, si trasforma in 4-vinil-guaiacolo. Questa produzione di fenoli, essenziale nella produzione, ad esempio di weizen, può essere ovviata con l’aggiunta di un adeguato lievito.
Protein rest: è uno step, che in molti ritengono utile, ma non indispensabile. Questo step, ha il compito di migliorare la tenuta della schiuma. E si sa, che ogni buon birraio, venderebbe una parte di se, per una buona schuima. Nonostante non sia ancora ben chiaro, quale sia la proteina responsabile, della buona tenuta della schiuma, con il grado di modifica dei malti, è uno step, che in molti evitano. Dall’altra parte, ci sta chi sostiene, che potrebbe esserci qualche partita di malto difettata, e non sufficientemente modificata. Fare questo step, non farebbe male, anche se si potrebbero degradare buona parte delle proteine, responsabili della schiuma. Per cui si preferisce effettuare lo step, nel range più alto della temperatura.
Beta e Alpha amilase: è una fase molto delicata, in cui, avviene la conversione di enzimi, che andranno a regolare la fermentabilità e il corpo della birra finita. Nel single step, questa fase, viene eseguita come un’unica pausa, in quanto, si sostiene che in ambito casalingo, risulta particolarmente difficile azzeccare il giusto tempo e la giusta temperatura, per trovare il giusto equilibrio. Per questo motivo, si tende a fare un unico step, ad una determinata temperatura, compresa tra 62 e 69 gradi per circa 60 min, e comunque fino alla conversione di tutti gli amidi. La conversione, si può verificare con la tintura di iodio (DA USARE LONTANO DALLA COTTA, IN QUANTO VELENOSA).
Mash out: fase che viene eseguita anche nel single step, come finalizzazione della conversione di tutti gli amidi.

Il Multi Step e il Single Step, sono le due correnti di pensiero brassicolo, quando si tratta di all grain. Essi detengono rispettivamente, i propri fedeli sostenitori, che dichiarano di ricavare con le relative metodologie, risultati apprezzabili. Di sicuro l’esperienza del birraio, fa tanto, a prescindere dal metodo usato.

 

 

IL TEST DELLA TINTURA DI IODIO

Il mosto si ottiene facendo trasformare l’amido presente nel malto in zucchero. Di conseguenza la cottura dell’impasto sara’ terminata quando tutto l’amido si sara’ trasformato in zuccheri.
Poiche’ la tintura di iodio a contatto con l’amido acquista una colorazione nerastra (cosa che non avviene con gli zuccheri), mettendo una goccia di mosto su un piattino bianco, e mescolandola ad una goccia di tintura di iodio, potremo verificare se tutto l’amido si e’ trasformato o no.

Quindi, se il colore rimarra’ rossastro, la cottura sara’ finita, mentre se diventera’ nerastra, bisognera’ continuare ancora un po’.

AUMENTARE LA TEMPERATURA

Esistono piu’ sistemi per fare la cottura del malto e controllare la temperatura.

1. Si riscalda l’impasto in un mashtun (tino di impasto) riscaldato (ad esempio il pentolone sul fuoco) e poi lo si passa nel lautertun (tino filtro) non riscaldato che ha l’unico scopo di filtrare l’estratto.
2. Si scalda l’impasto in un mashtun/lautertun, cioe’ un pentolone dotato di doppio fondo bucherellato e rubinetto, posto sul fuoco. Una volta finita l’infusione si apre il rubinetto e via. Sara’ necessaria un’altra pentola, o un collettore temporaneo, per tenere l’acqua di risciacquo alla giusta temperatura.
3. Si usa il sistema a decozione: l’impasto rimane sempre nel lautertun. Per alzare la temperatura si toglie una parte, la si mette in una pentola e la si fa bollire dopo averla tenuta 15 min a 65 °. Poi la si rimette nel lautertun ottenendo un innalzamento della temperatura complessiva dell’impasto. Calcolando la porzione che viene bollita, si riesce ad ottenere l’incremento di temp. voluto. Questo sistema che e’ quello tradizionale delle birre Pils, da’ risultati molto buoni, ma e’ piuttosto laborioso.
4. Si usa il sistema inglese: il malto “ale” non ha bisogno di un infusione con incrementi di temperature e quindi, calcolando la giusta temp. dell’acqua, si fa un impasto a 65° nel lauter tun. Questo pero’deve essere molto ben isolato per non perdere temperatura. Successivi piccoli aggiustamenti potrenno essere fatti con acqua bollente o fredda. Si tiene tutto a quella temp. per 90 min, e poi si
comincia con l’estrazione e risciacquo.

IMPLEMENTAZIONI E AUTOCOSTRUZIONE

MASH TUN

Come abbiamo visto, a seconda del sistema di cottura usato, queste attrezzature avranno caratteristiche differenti. Nel primo caso, il mash tun consiste in una grossa pentola che viene riscaldata, o sulla cucina domestica, o su un piu’ potente fornellone a gas collegato ad una bombola (cosi’ si potra’ lavorare in garage, o in balcone) o su una piastra elettrica.

Anche se non e’ necessario, sara’ comodo applicare un rubinetto metallico per scaricare il mosto dopo la bollitura. In caso contrario si potra’ usare un sifone. Il materiale ideale e’ l’acciaio inox, che pero’ e’ un po’ costoso. L’acciaio smaltato va bene, ma bisogna prestare attenzione a non scheggiarlo. L’alluminio va bene anch’esso, anche se in passato sono stati sollevati dubbi (mai dimostrati) circa la sua pericolosita’ per la salute.

LAUTER TUN

Il lauter tun, o tino filtro, non dovra’ essere riscaldato, e quindi potra’ essere in materiale plastico per alimenti. Dovra’ essere pero’ bene isolato, per evitare che l’impasto si raffreddi durante il filtraggio e dovra’ avere un rubinetto di scarico ed ovviamente un sistema di filtraggio per trattenere le trebbie.

Un modo di costruire un lauter tun consiste nell’utilizzare una ghiacciaia da campeggio, che e’ gia’ isolata, applicare un rubinetto e costruire un falso fondo bucherellato (buchi di circa
1 mm), oppure collegare al rubinetto, all’interno della ghiaggiaia, e adagiato sul fondo, un tubo in rame piegato a spirale con dei taglietti rivolti verso il basso. Il tubo
rimarra’ sotto le trebbie, e permettera’ l’uscita del solo estratto. Un altro lauter tun consiste di due due secchi uguali.
Ad uno si applica il rubinetto, e all’altro si praticano i forellini sul fondo. Si mette poi quello con i fori dentro all’altro. Bisogna poi, in qualche modo, isolare il tutto termicamente.

Nel caso si voglia utilizzare il secondo sistema, quello del mash tun che e’ anche lauter tun, e che viene riscaldato, bisogna applicare un sistema di filtraggio alla pentola. In questo caso sara’ o un falso fondo bucherellato abbinato ad un rubinetto di scarico, o una spirale in tubo con i taglietti collegato, vuoi ad un rubinetto, vuoi ad un sifone. Bisogna anche tenere conto che l’impasto verra’ mescolato, e quindi ogni sistema di filtraggio dovra’ essere ben saldo.

ULTERIORI IMPLEMENTAZIONI

Per gli appassionati che abbiano voglia di rendere i loro sistemi piu’ simili a quelli professionali vi sono queste possibilita’:

Automatizzare la cottura dell’impasto mediante un sistema di riscaldamento (a gas, a resistenza elettrica o a liquido dentro un’intercapedine) comandato da termostato. Questo sistema va pero’ abbinato ad un sistema di agitatori elettrici, perche’ e’ necessario che l’impasto sia mescolato continuamente.
Uso di pompe per trasferire l’estratto da un contenitore all’altro.
Costruzione di un sistema di un fermentatore refrigerato per fare birre a bassa fermentazione e per lavorare anche nei mesi piu’ caldi.

IL RIMS

Il Recirculating Infusion Mashing System (RIMS) e’ un’evoluzione dei sistemi hobbistici abbastanza diffuso negli Stati Uniti. Il concetto consiste nel fare circolare continuamente l’estratto attraverso al letto di trebbie, e riversarglielo sopra dolcemente, controllandone la temperatura.  Si tratta di abbinare ad un normale lauter tun una pompa ed un elemento riscaldatore controllato da un termostato. La pompa dovra’ lavorare alle temperature del mashing (fino ad 80°).

Il riscaldatore potra’ essere elettrico un tubo con dentro una resistenza da scaldabagno) o a gas, ma e’ importante che scaldi con delicatezza per non bruciare l’estratto. La temperatura dell’estratto che arriva al riscaldatore viene misurata dalla sonda, e in conseguenza, automaticamente, viene applicato il calore necessario.

E’ poi importante che l’estratto venga riversato sopra le trebbie senza disturbarle per non intorbidire il tutto, quindi sara’ necessario un qualche sistema a doccia. Con questo sistema e’ molto comodo effettuare i vari incrementi di temperatura del mashing. Basta regolare il termostato che puo’ anche essere abbinato ad un timer.

CORPOSITA’ DELLA BIRRA

La % di fermentabilita’ varia a seconda del procedimento di mashing adottato; qui voglio solo far notare che alcuni grani “speciali” o da “steeping” (ovvero quelli che non necessitano di mashing) hanno secondo alcuni autori una fermentabilita’ piuttosto ridotta e quindi contribuiscono positivamente al corpo della birra. Cio’ e’ vero sicuramente per il Carapils (detto “malto destrinico”) ma e’ dibattuto per Crystal e similari.

ZUCCHERI

Per i vari tipi di zucchero non vi sono molte considerazioni da fare. La prima cosa da notare e’ che essendo fermentabili in genere al 100% gli zuccheri non portano alcun contributo alla dolcezza della birra, anzi: birre con alte percentuali di zucchero (ad es. bianco, da tavola) sono MENO dolci e soprattutto meno corpose e gustose di birre “tutto malto”.

Lo zucchero va quindi usato con parsimonia accertandosi che sia stilisticamente coerente con il tipo di birra che si prepara – ad esempio, alcuni tipi di ales belghe lo prevedono.

Alcune Old Ale comprendono nella ricetta zuccheri scuri, non raffinati tipo Demerara o anche melassa, che ha una aroma particolare e avvertibile. Ales belghe impiegano lo zucchero “candito” (Candy Sugar) in grossi cristalli. Quello chiaro non da’ risultati molto differenti dallo zucchero bianco, ma lo scuro ha un aroma piu’ interessante e contribuisce anche al colore.

In questa categoria ricordiamo anche il MIELE. Anche questo ingrediente e’ composto da zuccheri fermentabili al 100% o quasi (quindi in genere non contribuira’ a dolcezza e corpo) ma ha un suo aroma e gusto che puo’ essere interessante in certe birre. Va aggiunto verso la fine della bollitura se si vuole esaltarne l’aroma, in caso contrario all’inizio.

LA GRADAZIONE

Cominciamo dalla “teoria”: quando usiamo il densimetro misuriamo in realta’ la *densita’* del mosto, ma questo e’ un modo per misurarne indirettamente la gradazione, ossia la percentuale di zuccheri nel nostro mosto. Questo perche’ lo zucchero disciolto in acqua ha una densita’ maggiore di 1 (circa 1.6) per cui la densita’ della miscela risulta aumentata.
Si puo’ dimostrare facilmente che la DIFFERENZA tra la densita’ misurata e quella dell’acqua (=1) e’ direttamente proporzionale alla gradazione saccarometrica in VOLUME.
Per esempio, 100 grammi di zucchero purissimo disciolto in un litro di soluzione (che per definizione e’ 10 gradi saccarometrici in volume) dara’ una densita’ di 1,038. 50 gr per litro = 5 sacc vol ==> densita’ 1,019 e cosi’ via.
Si noti che i gradi sacc. vol. sembrano una scala un po’ anomala (peso in volume) ma corrispondono al modo in cui noi formuliamo le nostre ricette!
Gli anglosassoni usano direttamente la densita’ (OG) come misura di gradazione, di solito moltiplicata per 1000 (es di cui sopra 1038). Piu’ precisamente, bisogna tenere d’occhio le ultime due cifre (es. di cui sopra 38) che a volte vengono chiamati punti, “points”. Ricapitolando, dividendole per circa 3.8 (+esattamente 3.83) torniamo ad avere i gradi sacc.vol (es. 38/3.8=10 sacc vol).

E veniamo alla parte pratica… molto semplice: si puo’ lavorare in gradi sacc. o in “punti” di OG, a seconda dell’abitudine. Ogni ingrediente zuccherino, da’ un suo contributo alla gradazione, dipendente dalla sua quantita’ e dalla % di zuccheri che posso estrarre. Per ogni ingrediente, quindi, devo conoscere, i “punti” che mi puo’ dare fissata una quantita’. Io lavoro in KG OGNI 10 LITRI.

FILTRAGGIO

Nell’industria si usano sistemi di filtraggio che non sono attuabili su scala domestica, e d’altra parte, il filtraggio della birra e’ una cosa piuttosto recente.

La birra industriale viene fermentata (non sempre), maturata, filtrata, imbottigliata sotto pressione, senza quindi alcuna perdita di CO2. Comunque esistono due tipi di torbidita’ che possono caratterizzare la birra fatta in casa. La torbidita’ propria della birra e quella dovuta al lievito responsabile della rifermentazione in bottiglia. La prima dipende da un imperfetta procedura, mentre la seconda e’ in una certa misura, inevitabile.
Il primo tipo di torbidita’ puo’ essere dovuto a diversi motivi.

I piu’ comuni sono infezioni e proteine. Nel caso di infezioni, che si possono evitare con una buona pulizia e “sanitazione” degli strumenti, potremo avere una birra perennemente torbida.
Nel caso delle proteine (e dei polifenoli), avremo il cosiddetto “chill haze”, cioe’ una birra che a temperatura ambiente risulta limpida, diventa torbida una volta raffreddata.
Questo avviene perche’ le proteine che a temperatura ambiente sono disciolte nella birra, col raffreddamento coagulano. Le proteine, che sono presenti nell’orzo, cominciano a scomporsi gia’ durante la maltazione. Nei malti meno modificati, questa scomposizione sara’ minore, mentre in quelli piu’ modificati, sara’ maggiore.
I malti moderni, soprattutto quelli di alta qualita’ disponibili per l’homebrewing, sono molto modificati. Quelli inglesi, poi, lo sono tradizionalmente in misura ancora maggiore.

Alcuni dei prodotti della scomposizione delle proteine, gli aminoacidi, sono un importante nutrimento per il lievito, e devono essere ottenuti, o durante la maltazione (malti inglesi), o durante il mashing tramite il cosiddetto “protein rest”, una sosta di circa 15 minuti ad una temperatura di 50 gradi.
Tuttavia, un’eccessiva degradazione delle proteine causa nella birra una scarsa ritenzione della schiuma ed un corpo “debole”.
Quindi, con malti molto modificati, non e’ bene che il protein rest duri piu’ di 15 min.

Le proteine (o i loro sottoprodotti) di maggiore dimensione, sono invece responsabili del chill haze, e vanno quindi rimosse attraverso i seguenti metodi:
Un bollore vigoroso del mosto che le fara’ coagulare, cosi’ come un rapido raffreddamento. Con il raffreddamento, queste precipiteranno insieme al luppolo.
Questa precipitazione e la conseguente rimozione possono essere facilitate dall’uso dell'”irish moss”, un alga che aggiunta al mosto negli ultimi 15 minuti di bollore (meglio se diluita in
acqua tiepida il giorno prima) si “aggrappa” a queste proteine coagulate creando dei “fiocchi” di maggiore dimensione ed un sedimento piu’ compatto.

Per rimuovere il sedimento si potra’ poi: Travasare il mosto limpido pescandolo dalla superficie. Creare un effetto “whirlpool” (mulinello) in modo che il sedimento si raggruppi al
centro della pentola e pescare il mosto limpido dal lato del tino. Usare un filtro (sacco filtro o altro tipo).

Nel caso si usi luppolo in fiori, si puo’ travasare il mosto, facendolo filtrare attraverso il letto di luppolo (e’ pero’ necessario avere qualche dispositivo filtrante sul fondo della
pentola). Quello che non saremo riusciti a rimuovere durante il
travaso, verra’ comunque, almeno in parte, trascinato sul fondo
del fermentatore dal primo lievito che si depositera’.
Una particolare tecnica di fermentazione, utilizza infatti un
travaso del mosto in un secondo fermentatore dopo le prime 36/48
ore di fermentazione proprio per separarlo da questo sedimento.

Alla fine della fermentazione si puo’ inoltre effettuare quella
che viene comunemente indicata come fermentazione secondaria, che
consiste nel travasare la birra in un ulteriore fermentatore
(spesso una damigiana provvisata di gorgogliatore) e lasciarla
riposare una settimana prima di imbottigliare. Ancora una volta
si depositera’ del lievito sul fondo assieme ad altro materiale
coagulato, lasciando la birra limpida.

Sia nel fermentatore primario che in quello secondario, si puo’
poi aggiungere della colla di pesce, disciolta in acqua tiepida e
poi diluita in birra. Questa, nell’arco di 24/48 ore si
depositera’ chiarificando il contenuto del fermentatore. Tutte
queste tecniche (non e’ necessario usarle tutte insieme)
permettono di eliminare il rischio di chill haze, e di ridurre
notevolmente il lievito presente nelle bottiglie. Il secondo tipo
di torbidita’, cioe’ quello dovuto al lievito, non puo’ essere
eliminato completamente, per il semplice motivo che abbiamo
bisogno di un po’ di lievito per fare rifermentare la birra nella
bottiglia e ottenere la giusta carbonazione.

Quello che possiamo fare pero’ e’ lasciare che questo lievito
rimanga sul fondo della bottiglia e non intorbidisca la birra.
Queste sono le raccomandazioni: Scegliere un lievito che si
compatti bene sul fondo (esemplare tra quelli secchi il Safale),
stando pero’ attenti che un lievito troppo flocculante puo’ dare
altri problemi.

Non agitare la bottiglia prima di versare, e versare con
movimento dolce. Vuotare la bottiglia con poche versate (cioe’
usare bicchieri grandi). In genere due versate rimangono limpide,
ma alla terza comincia ad arrivare il lievito. In caso contrario,
scaraffare la birra con movimento dolce (anche per non sgasarla).
Dalla caraffa, potra’ poi essere versata anche a piccole rate.

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LE FORMULE

a cura di Max: rosamax@split.it

GRADAZIONE

Esistono diverse scale per misurare la “forza” di una birra
Bisogna distinguere tra gradazione saccarometrica e contenuto
alcolico, infatti le due grandezze non sono correlate in modo
proporzionale

La gradazione saccarometrica misura la quantita’ di zuccheri
prima della fermentazione. Ecco le principale scale:
Plato (o gradi saccarometrici in peso) sono % in peso, nel senso
di peso di zuccheri nel *peso* di mosto
1 Plato= 10 gr di zuccheri in 1 Kg di mosto
In Italia si usano piu’ spesso i saccarometrici in *volume* (nel
seguito, Svol)
1 gradi sacc. vol.= 10 gr di zuccheri in 1 *litro* di mosto

Poiche’ lo zucchero disciolto in acqua ha un peso specifico
maggiore di uno (circa 1.6) ne consegue che misurando la densita’
del mosto di birra si puo’ risalire al suo contenuto zuccherino.
In alcuni paesi si usa direttamente la densita’ (D) come scala di
gradaz. sacc., anzi per convenzione si usa la densita’
moltiplicata per mille, detta OG (Original Gravity)
OG=D*1000

Si puo’ facilmente dimostrare che in realta’ e’ la *differenza*
di densita’ del mosto rispetto a 1 (densita’ dell’acqua) ad
essere in relazione con il contenuto zuccherino. Piu’
precisamente, questa differenza e’ proporzionale alla gradazione
sacc. in *volume* [1]. Se ragioniamo in termini di OG, allora
quello che interessa e’ OG-1000, che indicheremo con “Punti di
OG” o OGp
La relazione e’:
Svol=OGp/3.83

La relazione di Svol e Plato e’ evidente, se si tiene conto che
un litro di mosto pesa esattamente D*1Kg, quindi:
Plato=Svol/D

Per passare direttamente da OG a Plato metto insieme le due
formule

[D-1] 1 OG-1000
Plato = Svol/D = ——-*— = ——-*261
0.00383 D OG

(Personalmente trovo piu’ semplice applicare le due formule una
per volta)

Riassunto

Plato= Svol/D
Svol= Plato*D

Svol= OGp/3.83 (=[OG-1000]/3.83 = [D-1]/0.00383)

OGp= 3.83*Svol OG= 3.83*Svol + 1000

OG-1000
Plato = ——-*261
OG

261
OG= ——— *1000
261-Plato

Approssimazione: Plato=OGp/4
(imprecisa per valori alti)

ESEMPIO

Dato: OG=1050 (D=1.050 OGp=50)

50/3.83=13.05 (sacc in volume)

13.05/D= 13.05/1.050=12.4 (sacc in peso ovvero Plato)

(facendo direttamente 50/4=12.5 si ha una discreta
approssimazione)

ALCOOL

Prima di tutto introduciamo la grandezza FG, che a similitudine
della OG e’ la densita’ finale della birra moltiplicata per mille

FG=Df*1000

Anche l’alcool si puo’ misurare in % sul peso e sul volume, ma in
questo caso si intende peso o volume di alcool rispettivamente in
un KG o un litro di birra
Bisogna tenere conto della densita’ dell’alcool (circa 0.8)

alcvol=alcpeso/0.8=alcpeso*1.25
alcpeso=alcvol*0.8

per essere piu’ precisi, bisogna tenere conto anche della
densita’ finale

alcvol=alcpeso*1.25*Df
alcpeso=alcvol*0.8/Df

per ricavare la gradazione alcoolica di una birra a partire da OG
e FG

OG-FG
alcvol=——-
7.5

le altre formule che si trovano speso sono variazioni
riconducibili a questa formula (il fattore 7.5 e’ talvolta 7.45 o
7.6)

Abbiamo visto come alcool e grdaz. sacc. non sono in relazione
univoca, perche’ entra in gioco il fattore FG. Infatti, la
fermentazione della birra e’ caratterizzata dal fatto che solo
una percentuale degli zuccheri viene trasformata in alcool e
questa % non e’ fissa.
La “percentuale di discesa” dalla OG alla FG da un’idea di quanto
una birra e’ “attenuata” ovvero quanta % di zuccheri e’ stata
fermentata
AA=Attenuazione Apparente

FGp
AA(%)= 1 – ——-(*100)
OGp

es OG=1080 FG=1020

AA=(80-20)/80 =0.75 =75%

La attenuazione reale e’ diversa, (infatti bisogna tenere conto
del fatto che l’alcool ha densita’ minore di uno). Si ha:

RA (attenuazione reale) = AA/1.23
nell’esempio di cui sopra, RA=75%/1.23=61%

N.B l’attenuazione apparente puo’ anche superare il 100%, in
quanto in birre molto attenuate la FG puo’ scendere sotto 1000.
La RA ovviamente e’ al massimo il 100%!

Dalle formule di cui sopra si ottiene
FGp=OGp*(1-1.23*RA) [in qs caso RA non e’ %, ad es. RA=0.61]

cio’ puo’ essere utile per precedere la FG di una birra a partire
dalla ricetta, se siconosce la fermentabilita’ (=RA) di ogni
singolo ingrediente. Basta calcolare separatamente i contributi
alla FGp di ogni singolo elemento (considerando le loro
quantita’) e poi sommare il tutto.

Dalle formule precedenti possiamo anche ricavare l’estratto
residuo, cioe’ la quantita’ di zuccheri rimasti (anche qui nella
scala di “punti di gravita”)
REp=OGp(1-RA)

es. di cui sopra
REp=80*(1-0.61)=31.2
e si puo’ convertire questo dato in gradi sacc per volume o peso
secondo le formule gia’ descritte (ma in qs. caso riferire agli
zuccheri residui!)

FORMULE ESATTE (gradazione ecc..)

Le seguenti formule sono considerate piu’ accurate (anche se le
precedenti sono ottime approssimazioni) e sono dovute a G.Fix

Le grandezze sono espresse in gradi Plato invece che in gravita’

OE = Original Extract, gradazione sacc. originale espressa in
Plato.
AE = Apparent Extract, equivale alla FG ma espressa in Plato
RE = Real Extract, anche qui’ e’ uguale alla grandezza di cui si
e’ parlato in precedenza solamente espressa in Plato

AA = 1 – AE / OE Apparent Attenuation; il valore calcolato sui
Plato differisce solo leggermente dalla definizione data in
precedenza
RA = 1 – RE / OE idem

RE = 0.1808*OE + 0.8192*AE

Alcpeso = (OE-RE)/(2.0665-0.010665*OE)

Calorie in un litro di birra:

Cal = (6.9*A + 4.0*(RE – 0.1))*10*FG .

UNITA’ DI AMARO

Formula generale:

(grammi luppolo) x AA% x UTIL%
IBU= ——————————
10 x (litri mosto)

UTIL% viene calcolata in base a due termini, U(t) in funzione del
tempo e Fcorr dipendente pricipalmente dalla densita’ *alla
bollitura*

UTIL%= U(t)/Fcorr

le formule variano a seconda degli autori
n.b. t e’ in minuti

RAGER

t-31.32
U(t)= 18.11 + 13.86*tanh(———)
18.27

dens-1.050
Fcorr=1 + ———-
0.2

per densita’ >1.050 altrimenti=1

GARETZ

t-24
U(t)= 8.5 + 12*tanh(——-)
18.27

Fcorr: come Rager, con l’aggiunta di altri fattori dipendenti da
diversi altri parametri (temperatura, IBU stesse ecc. ecc.)

TINSETH

1-exp(-0.004*t)
U(t)=—————–
0.0415

OG-1
Fcorr=1.65*exp(- ——-)
0.111

ALTRE FORMULE

Correzione dei valori del densimetro in funzione di Temperatura
Per un densimetro tarato a 20C

T correzione
4-10 -2
11-17-1
18-22 0
23-26+1
27-29+2
30-32+3
33-35+4
36-38+5
39-41+6

(da:Wheeler)

Una formula piu’ esatta e’ la seguente:

-3 2 -5 3
– 1.635388 – 0.09563998*t + 7.987041*10 * t + 3.9*10 *t
corr(t)=———————————————————–
1 + 0.01687985 * t

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PRIMING: CARBONAZIONE NATURALE

a cura di Carlo:carma@inrete.it

TEORIA

La carbonazione (naturale) viene ottenuta aggiungendo degli
zuccheri fermentabili al momento di imbottigliare.
In alternativa (carbonazione forzata) si puo’aggiungere CO2 ad
una birra contenuta in un contenitore stagno (Keg).
L’ammontare di C02 (il gas che viene generato dal lievito nella
“digestione” degli zuccheri fermentabili) si misura in volumi.
Per capirci: un litro di birra contiene x litri di anitride
carbonica.
La quantita’ di gas capace di “sciogliersi” nel liquido dipende :
dalla pressione del contenitore (piu’alta e’la pressione piu’gas,
col tempo, riuscira’ad essere “assorbito”dal liquido) e dalla
temperatura ( piu’bassa e’la temperatura piu’gas sara’solubile).
La “regola generale” suggerisce una quantita’di 6/7 grammi litro,
ma come ogni tipo di birra richiede il proprio luppolo e la
propria miscela di malti, cosi’ i diversi tipi di birra nascono
in origine con livelli diversi di carbonazione.

PRATICA

La seguente tabella indica i livelli di carbonazione tipici di
alcuni stili di birra:

Stile di birra Volumi di CO2
British Ales 1.5 – 2.0
Porter, Stout1.7 – 2.3
Belgian Ales 1.9 – 2.4
Lagers 2.2 – 2.7
Wheat Beer 3.3 – 4.5

Per raggiungere il giusto livello di carbonazione dovremo
conoscere quanta CO2 e’gia’disciolta nella nostra birra prima
dell’imbottigliamento.

Poiche’la pressione, nel notro caso di fermentazioni a pressione
atmosferica, NON incide, l’unica variabile e’quella della
temperatura cui e’avvenuta la fermentazione.

SOLUBILITA’ CO2

Gradi °C Volumi di
CO2
01.7
21.6
41.5
61.4
81.3
10 1.2
12 1.12
14 1.05
16 0.99
18 0.93
20 0.88
22 0.83

L’aggiunta del giusto quantativo di zucchero dipende dal fatto
che 4 gr litro di zuccheri fermentabili ( canna o barbabietola)
producono esattamente 1 volume di CO2.

ESEMPIO

23 litri di birra fermentati a 20 C. Voglio ottenere una
carbonazione di 2.5 volumi.

Formula (2.5-0.88) x 4 x 23 = 149 gr
2.5 e’la carbonazione desiderata

0.88 e’la carbonazione gia’ presente
per una birra fermentata
Dove
4 sono i grammi litro per ogni
volume di CO2
23 sono i litri che devo carbonare.

Per complicare le cose, nelle birre ad alta’densita’e da
invecchiamento (Barley Wines, birre belghe etc.) il lievito
impiega mesi nella demolizione delle molecole complesse
(destrine) e loro successiva fermentazione: questo processo
puo’aumentare la carbonazione finale anche di un volume.

TIPI DI ZUCCHERI UTILIZZABILI

I calcoli precedenti sono corretti per l’utilizzo di zuccheri
TOTALMENTE fermentabili (che ripeto sono i nostri zuccheri
granulati da cucina: di canna o di barbabietola)
Per le Ales inglesi alcuni preferiscono usare il miele. Il miele
pur essendo ottimamente fermentabile contiene una buona
percentuale d’acqua (come del resto lo zucchero liquido EDME,
reperibile in Italia – catalogo Mr. Malt): in questo caso la
quantita’ da utilizzare va incrementata di un 40%.
Nell’uso di estratto di malto la quantita’va incrementata
mediamente del 30% (estratto in polvere) o del 40% (estratto
liquido) dipendendo dalla percentuale di liquido presente.

 

Negli ultimi tempi ho sentito molto parlare della tecnica di imbottigliamento senza travaso con priming in bottiglia. In genere è una tecnica utilizzata dai principianti con birre da kit: lo zucchero per la carbonazione viene inserito bottiglia per bottiglia facendo uso dell’apposito misurino fornito con il kit.

Come mai questo approccio è tornato in auge anche tra gli homebrewers navigati? La ragione principale – ma non l’unica – è la paura dell’ossidazione (link): grazie al priming in bottiglia si evita il travaso in fase di imbottigliamento limitando così la diffusione di ossigeno nella birra. Ragione più che comprensibile, direi, anche se nelle birre iper luppolate con forti dosi di dry hopping subentra il problema della pulizia dai pellet che si depositano sul fondo del fermentatore. Se si elimina il travaso in fase di imbottigliamento, serve molta attenzione per non farli finire in bottiglia.

Ma la ragione che più mi ha spinto a provare questa tecnica è la praticità. L’eliminazione di un ulteriore travaso fa risparmiare un sacco di tempo: si evita di sanitizzare (e successivamente pulire) un fermentatore aggiuntivo e si elimina l’attesa del travaso da un fermentatore all’altro. Di fatto, per le birre che si imbottigliano entro cinque/sei settimane dall’avvio della fermentazione, si possono eliminare completamente i travasi.

Per ottenere il meglio da questo approccio è bene dotarsi di autosifone per pescare la birra dall’alto (link). Il classico passaggio dal rubinetto posizionato vicino al fondo del fermentatore porterebbe in bottiglia una eccessiva quantità di residui.

Nel mio caso ho praticato questo approccio un paio di volte, trovandolo perfetto per i miei piccoli batch sperimentali con brett e batteri: visti i volumi ridotti (in genere sono piccole prove con 5 litri di mosto che finiscono in una decina di bottiglie), il travaso in fase di imbottigliamento era veramente una rottura. Inoltre, utilizzando attrezzatura dedicata per via dei brett e dei batteri, dovevo riservare un ulteriore fermentatore all’attività di travaso. Il priming in bottiglia ha velocizzato e semplificato notevolmente il tutto.

Se poi si utilizza una pistola graduata per inoculare la soluzione di priming, come fa Giovanni di Sgabuzen nel video, le operazioni si semplificano ulteriormente.

.

La pistola che usa Giovanni viene chiamata “vaccinapolli” ed è diffusa in ambito veterinario per somministrare dosi di medicinali in serie ai polli da allevamento. La pistola è utile in ambito hb perché permette di impostare meccanicamente la dose di soluzione di priming da iniettare in ciascuna bottiglia: si collega il tubicino al contenitore della soluzione, si imposta il dosaggio e si spara il priming in ciascuna bottiglia senza soluzione di continuità.

Ovviamente la stessa operazione si può fare con qualsiasi altra siringa graduata, anche se non automatica, andando a succhiare manualmente la soluzione e facendo attenzione a iniettare la giusta dose nelle bottiglie. In questo modo è più facile commettere errori nella dose, ma con un po’ di attenzione si riesce senza grandi problemi. Consiglio di preparare una soluzione più diluita per diminuire il range di errore: così facendo si deve iniettare più soluzione perché meno concentrata, ma un errore di qualche decimo di millilitro pesa meno perché c’è meno zucchero disciolto per unità di volume.

La siringa vaccinapolli da 10ml si può acquistare su ebay a questo link (segnalatomi dal mio amico e hb Antonio De Feo). Mi dicono che ci mette un po’ ad arrivare, solitamente più di un mese, quindi armatevi di santa pazienza.

Per i miei primi esperimenti con questa tecnica ho seguito un’altra strada: prima utilizzando una banale siringa da 5 ml senza ago con cui ho imbottigliato la Brett Cuppocoffee (ormai più di cinque mesi fa); poi, nell’ultimo imbottigliamento, sono passato a una più comoda siringa da 50 ml, acquistata su Amazon (link).

siringa graduata

Nel frattempo ho ordinato, sempre su eBay, una siringa vaccinapolli da 2ml leggermente diversa da quella che usa Giovanni nel video (link). Ovviamente arriva sempre dalla Cina.

SOLUZIONE DI PRIMING

Prima di tutto occorre preparare la soluzione di priming e calcolare la quantità da inoculare in ciascuna bottiglia. Come supporto ai calcoli, Giovanni ha creato un file che potete scaricare dalla sezione download del sui blog (link).

Da malato di excel e calcoli quale sono, non potevo rinunciare a costruirmi un file su misura, quindi ho creato una mia versione con una impostazione leggermente diversa da quella di Giovanni. Ovviamente, i due file producono gli stessi risultati.

Nella mia versione ho aggiunto anche un ulteriore sheet per il calcolo della soluzione di lievito per il reinoculo, utile quando si imbottiglia una birra che ha passato diversi mesi nel fermentatore (magari perché brettata o molto alcolica) e necessita di una ulteriore dose di lievito per aiutare la rifermentazione in bottiglia.

IconCalcolatore per priming in bottiglia 37.68 KB
Download
Il file dovrebbe essere autoesplicativo, ma in estrema sintesi si utilizza in questo modo:

con un qualsiasi calcolatore online calcoliamo la quantità di zucchero necessaria per arrivare ai volumi desiderati, impostando la massima temperatura di fermentazione e scegliendo destrosio (corn sugar) o semplice zucchero da tavola. Io solitamente utilizzo il calcolatore di Brewer’s Friend che ho linkato anche nel file (link)
inseriamo a questo punto i grammi/litro nell’apposita cella dell’excel e impostiamo il volume della soluzione di priming. Possiamo scegliere le proporzioni tra zucchero e acqua a piacimento, con la consapevolezza che una maggiore diluizione (più acqua) porterà a un volume maggiore di inoculo per bottiglia. Questo non è un grande problema in se’ dato che anche un inoculo di 5 ml di soluzione su 330 ml di birra nelle bottiglie piccole costituisce appena un 1.5% sul contenuto totale della bottiglia. È utile sapere che con una diluizione 50-50 si produce una soluzione batteriostatica, ovvero la percentuale di zucchero è tale da non permettere a batteri e lieviti di proliferare (come nelle marmellate). Questa soluzione potete quindi tranquillamente tenerla in frigo e usarla in seguito (link). Attenzione: la soluzione è batteriostatica se prodotta a partire dal destrosio, con lo zucchero da tavola servono concentrazioni maggiori (che eviterei perché inizia a cristallizzare).
A questo punto il foglio excel calcola in automatico la quantità di soluzione da inoculare in ciascuna bottiglia a seconda del formato.
REINOCULO LIEVITO DA RIFERMENTAZIONE

Il secondo sheet del file excel aiuta nei calcoli per il reinoculo di lievito da rifermentazione. Solitamente si utilizzano lieviti appositi, altamente flocculanti e neutri, come l’F2 della Fermentis o il CBC della Lallemand. Tuttavia, è possibile anche utilizzare lo stesso lievito con cui si è fermentata la birra.

Teoricamente il lievito secco andrebbe reidratato in un volume di acqua pari a 10 volte il suo peso, ma dati i volumi in gioco (parliamo di un reinoculo di 0.04 grammi per litro di birra imbottigliata) sarebbe poi impossibile da dosare con la siringa.

Nella pratica quindi lo idrato nel minimo volume di acqua gestibile per inocularlo in tutte le bottiglie, utilizzando il secondo sheet del file excel per calcolare correttamente il volume di soluzione lievito/acqua da produrre.

PROCEDIMENTO PASSO PASSO

Primo passaggio: sanitizzazione accurata dell’attrezzatura per imbottigliare. Trattandosi di birra brettata, faccio molta attenzione a tenere separati i componenti che entreranno in contatto con la birra brettata (sifone, contenitore, asta per imbottigliare) da quelli che non entreranno in contatto con la birra e che utilizzerò anche per birre non brettate (forbici e siringa). Lavorando nello stesso ambiente sia con le birre brettate che con quelle standard, cerco di prestare massima attenzione a questi piccoli dettagli, pur sapendo che l’ammollo in candeggina diluita (4ml/L per 20 minuti) garantisce l’eliminazione totale anche di Brett e batteri.

sanitizzazione
sanitizzazione
Le bottiglie, come sempre, le sanitizzo in lavastoviglie impostando un lavaggio a 75°C. Le bottiglie, perfettamente pulite prima della sanitizzazione, sono state conservate tappate (dopo averle fatte ben asciugare) con dei tappi di gomma o semplice pellicola trasparente.

sanitizzazione bottiglie in lavastoviglie

Per pesare il lievito procedo in questo modo: pesco la giusta dose di acqua bollita e raffreddata a 30°C con la siringa graduata, la verso nella beuta sanitizzata e posiziono il tutto sul bilancino di precisione. Imposto la tara in modo che la bilancia segni zero e peso il lievito versandolo piano piano sull’acqua.

lievito da rifermentazione

Attendo una decina di minuti che il lievito si reidrati, mescolo e pesco con la siringa graduata. Dopodiché inoculo la giusta quantità di soluzione in ciascuna bottiglia. Con il lievito non c’è bisogno di un alto livello di precisione dato che consumerà la stessa quantità di zucchero a prescindere dal volume di inoculo.

siringa graduata per inoculo lievito

Il lievito residuo lo conservo in frigo mettendolo sottovuoto. Non mi metto a sanitizzare la busta del sottovuoto, dando per scontato che al suo interno non ci siano le condizioni ideali per la proliferazione di lieviti e batteri (link per acquistare la macchina per il sottovuoto).

lievito sottovuoto

Per il travaso dalla damigiana alle bottiglie utilizzo solo la parte interna del sifone poiché il tubo esterno non entra nel collo della damigiana. Per far partire il succhio lascio la soluzione sanitizzante (Starsan) nel tubo che svuoto in un piccolo contenitore di vetro fino a quando non inizia a uscire birra.

travaso da damigiana a bottiglia

Travaso quindi la birra nelle bottiglie dove ho già inoculato il lievito reidratato.

inoculo in bottiglia

Come ultimo step preparo la soluzione di priming con acqua e destrosio e la inoculo in ciascuna bottiglia seguendo le dosi indicate dal file excel.

soluzione priming

E infine, dopo aver misurato un campione di birra, mi godo un piccolo assaggio!

 

 

ALTRI METODI DI CARBONAZIONE

Aggiunta al mosto da imbottigliare del giusto quantitativo dello
STESSO mosto prelevato prima dell’aggiunta del lievito e
conservato (quindi NON fermentato).

KRAUSENING

aggiunta, alla birra da imbottigliare, di mosto (10%)
nella sua fase piu’vivace di fermentazione

SPUNDING

imbottigliare la birra a fermentazione NON conclusa (
indicativamente quando restano da 5% al 10% di zuccheri
NON fermentati – ovvero quando la densita’e’ancora 2/4
punti piu’alta del livello finale previsto).

Per completezza di informazione, alcuni testi sottolineano come
questi ultimi metodi stimolino la riproduzione del lievito e
producano, quindi, maggiori livelli di sedimenti nelle bottiglie.

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LIBRI

 

Birra & Birra – edizioni Mistral (gruppo demetra)

Come fare la birra – Giorgio Bernardini editore Milano

Birra Piacere e salute – edizioni Mistral (gruppo demetra)

“La birra fatta in casa” – Nicola Fiotti

Papazian The complete joy of Homebrewing
Dave Miller Homebrewing Guide
(Manuali CAMRA) “Home Brewing” Wheeler
(Manuali CAMRA) Brew Classic European Beer at Home Wheeler, Protz
(Manuali CAMRA) Brew Your own British Real Ale Beer at Home Wheeler, Protz
Belgian ale Classic Beer Style Series
Designing Great Beers Ray Daniels
Small Scale Brewing. Finlandese Ikka Sysila
Principals of brewing science George Fix
Dello stesso autore: Analysis of brewing technique

Technology Brewing and Malting Kunze

Homebrewing Vol.I” – Al Korzonas
The Beer Companion M. Jackson

****

 

 

BREVI NOTE SULL’ATTREZZATURA

Elenco i vari marchingegni in ordine temporale di utilizzo:

Mulino:
quello economico di Mr. Malt. Dopo un anno mi son deciso a…motorizzarlo. Componenti per la motorizzazione: un vecchio trapano B&D, un bullone da 13(?) che si avvita al posto del fermo della manovella ed una chiave a brugola da fissare sul trapano.
Funziona benissimo ed il tempo di macinatura dei soliti 5/6 Kg di grani e’passato da 35 minuti a circa 5. Per evitare “proiezioni” di sfridi e farina conviene foderare tutto il mulino con una sacchetto grande (e pulito) da super e svuotarlo ad ogni tramoggia.

Pentola per il mash:
Pentola in alluminio diametro 32 cm altezza 28 cui applico intorno (non sul fondo ne’sul coperchio) un “cappottino”in lana di vetro tenuto fermo da un elasticone da bagagliera. Uso la stessa pentola come contenitore per l’acqua dello sparging; per spillarla un semplice tubo in plastica che fa da sifone, fissato al bordo della pentola con una molletta da bucato e regolazione del flusso con un rubinettino in PVC…..

Secchio per lo sparging:
Un secchio da 20 litri in plastica alimentare cui e’stato applicato (il buco non l’ho fatto io!) un rubinetto (ricambio del fermentatore di Mr. Malt).
Nella parte interna del secchio ho collegato all’ingresso del rubinetto un tubo di plastica rigida (sifone per damigiana tagliato della giusta lunghezza) tappato all’altra estremita’ e sforacchiato con una pinza da cinture….  Nell’uso il secchio viene rivestito all’interno con il grain bag di Mr. Malt. Accessorio non indispensabile ma comodissimo: impedisce al tubo di sfilarsi dal rubinetto e facilita di molto le operazioni finali di pulizia.
Anche la soluzione dei due secchi uno dentro l’altro, con quello interno “sforacchiato” e quello esterno dotato di rubinetto (il tutto conosciuto come “zapap”), ha i suoi estimatori….io me la son cavata con meno.

Pentola per la bollitura:
Alluminio diametro 41 altezza 35

Fornello da “conserve” con bombola GPL.

Serpentina in rame per il raffreddamento:
diametro del tubo in rame 12 mm in dieci spire (indispensabile, la mia e’un gentile omaggio di un amico birrafondaio….non so come avrei fatto senza di lui!) E’ comunque disponibile dal solito Mr. Malt.

PROCEDIMENTO e digressione filosofica…

Dopo un’ubriacatura di letture tecniche mi sono convinto che la
birra e’poesia e la affronto da…poeta. Un paio di gradi
centigradi in piu’o meno non mi angustiano, pesature, tempi di
infusione, durata della bollitura: tutto da vivere in scioltezza.
Il grado o il minuto di differenza certamente non hanno un grande
impatto sul risultato finale! Se invece siete dei perfezionisti,
in vena di spese, amate l’accessoristica specifica ed i gadget
costosi avete trovato, con l’all-grain, un campo smisurato con
cui…giocare: termometri digitali, piaccametri, densitometri
additivi per l’acqua, pompe, raffreddatori….l’unico limite e’la
vostra fantasia e il vostro….budget 🙂
Finita la digressione passiamo al mio (rozzo ma funzionale)
procedimento:

Normalmente “birrifico” la Domenica mattina (presto) mentre il
resto della famiglia dorme. Con questi tempi inizio lo starter
del lievito il Venerdi’sera e macino i grani il Sabato sera
facendoli riposare durante la notte a 21/22 C. (Sono “stoccati”al
freddo).
Io amo le birre corpose quindi le mie infusioni privilegiano
sempre step a temperature altine: uso due processi a seconda se
la base e’malto Pale o Pilsen.
Col Pale vado subito a 68C col Pilsen indulgo su un primo step a
52C per 10/15 minuti.
Per definire le temperature uso sempre Promash tenendo “fisso” il
primo quantitativo d’acqua di 6 litri. La scaldo sul gas fino
alla temperatura prevista ed aggiungo i grani.

ACQUA : per evitarmi grattacapi uso l’acqua oligominerale “da
discount” per le birre a bassa e per le tedesche o le belghe ad
alta mentre uso l’acqua del rubinetto per tutte le birre inglesi;
aggiungo sempre, e magari e’inutile, una punta di cucchiaino di
“Gypsum” nel mash.
Se uso il Pilsen, sempre Promash, suggerisce la giusta
quantita’di acqua bollente da aggiungere per saltare alla
temperatura prevista.
Se Suds7 mi ha sempre guidato nella birrificazione da estratti
trovo Promash un aiuto indispensabile nell’all-grain, consiglio a
tutti di avere pazienza nelle dovute tarature e
personalizzazioni. Una volta definiti correttamente i propri
parametri e’una “macchina da guerra” e fornisce indicazioni molto
precise su tutte le variabili quantitative in gioco.

Terminate le infusioni, dopo un duplice controllo con la tintura
di jodio, procedo al lavaggio trebbie.
Come anticipato fodero il secchio col “grain bag” tenuto in
posizione da una corona di…mollette da bucato. Con una caraffa
da 2 litri sposto, abbastanza lentamente, il materiale dalla
pentola al secchio e lo lascio poi riposare una decina di minuti.

Durante questo tempo recupero la pentola, la lavo e riempitala
con 15 litri d’acqua e 15 gocce di acido lattico, porto il tutto
a 80C.
Mentre l’acqua di lavaggio si scalda spillo lentamente il liquore
e lo riverso, sempre lentamente, nel secchio; finche’l’uscita non
e’sufficientemente limpida.
A questo punto inizio lo sparging. Pentola sul tavolo, secchio su
una sedia, recipiente di raccolta sul pavimento: ecco la mia
“piramide” di lavoro. Regolo la velocita’di sparging a circa un
litro ogni minuto e mezzo agendo sui due rubinetti
(sifone-pentola e uscita secchio).
Per “i sacri testi” vado un’po’troppo veloce (suggerito: un litro
ogni due/tre minuti)….ma normalmente a questo stadio del
processo….reclamano lo sgombero della cucina 🙂

Ovviamente i 15 litri di acqua della partenza NON bastano,
quindi, con una normale pentola da spaghetti, aggiungo, quando
necessario, altri 10/15 litri di acqua (acidulata) a 80C.
Quando nel pentolone di bollitura raggiungo i 20 litri di mosto
accendo il gas…..tanto per guadagnare qualche minuto.

Per esperienza, col mio sistema, devo partire con 30/32 litri di
mosto per arrivare ai 23 litri canonici (raffreddati e con la
minor quantita’ possibile di scorie e proteine) dopo 60 minuti di
bollitura.

Il luppolo e’sempre aggiunto negli appositi sacchetti in garza.
Raffreddamento con la serpentina e travaso finale con un sifone
(plastica per alimenti) rozza filtratura con un colino a maglia
metallica (colino e sifone sanitizzati come il fermentatore
etc…)
Il resto e’senza storia! Con quest’ accrocchio di pentole, tubi,
mollette da bucato e con l’occupazione di ogni spazio della
cucina riesco ad ottenere con una incredibile costanza una
percentuale di estrazione del 73%.
Per salvaguardare la pace familiare state attenti ai tempi! Io,
dalla prima accensione del fornello alla tappatura del
fermentatore, impiego non meno di 5 ore….sempre che gli enzimi
facciano il loro dovere 🙂

E veniamo alle ricette, direttamente dal data base di Promash.
La sezione e’molto meno ricca di quella delle birre da estratto,
con l’all-grain mi sono “specializzato” in due o tre stili, li ho
affinati ed i risultati sono, a mio parere, eccellenti.

La India Pale Ale (gia’ mio cavallo di battaglia con l’estratto)
e’di molto atipica per gli ingredienti usati, ma se l’importate
e’il risultato……

INDIA PALE ALE

Recipe Specifics
Batch Size (LTR): 24.00
Wort Size (LTR):24.00
Total Grain (Kg): 6.00
Anticipated OG: 1.059

Plato:14.34
Anticipated SRM:10.7
Anticipated IBU:52.8
System Efficiency: 75.00
Wort Boil Time
(minutes): 90

Grain / Extract / Sugar
Amount Name Origin Gravity Color

0.25 kg. Dark Wheat Malt Germany 1.0398
0.50 kg. Crystal 55L Great Britain 1.034 63
5.00 kg. Pale Malt(2-row) England 1.0383
0.25 kg. Flaked Barley America 1.0322

Hops
Amount Name Form Alpha IBU Boil Time

25.00 g. Wye Target Whole 10.40 34.1 90 min.
25.00 g. Cascade Whole 6.40 17.1 45 min.
10.00 g. Fuggle Whole 4.80 1.5 15 min.

Yeast
WYeast 1098 British Ale Yeast
Note
La bollitura di 90 minuti puo’essere ridotta a 60
ritarando le quantita di luppolo.
Il Dunkel Weizen e’l’ingrediente “irrituale” ma
garantisce gusto, colore e soprattutto persistenza di
schiuma….

LAGER- PILSENER

Recipe Specifics
Batch Size (LTR): 23.00
Wort Size (LTR): 23.00
Total Grain (Kg): 5.50

Anticipated OG:1.051
Plato: 12.61
Anticipated SRM: 5.0

Anticipated IBU:39.2
System Efficiency: 70.00
Wort Boil Time
(minutes): 60

Grain / Extract / Sugar
Amount Name Origin Gravity Color

5.00 kg. PilsenerBelgium 1.0372
0.50 kg. Cara-Pils 1.033 15

Hops
Amount Name Form Alpha IBU Boil Time

90.00 g. Saaz Whole3.30 38.4 60 min.
10.00 g. Saaz Whole3.30 0.9 10 min.

Yeast
WYeast 2124 Bohemian Lager

LAGER HELLES

Recipe Specifics
Batch Size (LTR): 23.50
Wort Size (LTR): 23.50
Total Grain (Kg): 5.50

Anticipated OG:1.052
Plato: 12.92
Anticipated SRM: 7.4

Anticipated IBU:26.8
System Efficiency: 73.00
Wort Boil Time
(minutes): 90

Grain / Extract / Sugar
Amount Name Origin Gravity Color

1.80 kg. Munich Malt Germany 1.0379
0.50 kg. Cara-Pils Germany 1.033 15
2.70 kg. Pilsener DURST Germany 1.0372
0.50 kg. Wheat Malt Germany 1.0392

Hops
Amount Name Form Alpha IBU Boil Time

42.00 g. TettnangWhole 4.90 25.9 60 min.
8.00 g. TettnangWhole 4.90 1.0 10 min.

Yeast
WYeast 2308 Munich Lager

WIT

Recipe Specifics
Batch Size (LTR): 23.00
Wort Size (LTR): 23.00
Total Grain (Kg): 5.15

Anticipated OG:1.054
Plato: 13.21
Anticipated SRM: 4.0

Anticipated IBU:19.1
System Efficiency: 75.00
Wort Boil Time
(minutes): 60

Grain / Extract / Sugar
Amount Name Origin Gravity Color

0.15 kg. Flaked Oats America 1.0332
2.50 kg. PilsenerBelgium 1.0372
2.50 kg. White Wheat Belgium 1.0403

Hops
Amount Name Form Alpha IBU Boil Time

35.00 g. Hallertau Hers. Whole 4.10 18.3 60 min.
10.00 g. Saaz Whole 3.00 0.8 10 min.

Yeast
WYeast 3944 Belgian White Beer

Note
Il “White Wheath” non e’ altro che frumento non
maltato, lo trovate nei negozi di sementi o di alimenti
naturali.
Col secondo luppolo aggiungo 15 g. di Coriandolo
macinato e 10 g. di bucce amare d’arancia, dopo
innumerevoli tentativi mi pare che queste siano le dosi
piu’ bilanciate.

RAUCHBIER

Recipe Specifics
Batch Size (LTR): 21.00
Wort Size (LTR): 21.00
Total Grain (Kg): 5.09

Anticipated OG:1.050
Plato: 12.35
Anticipated SRM:17.1

Anticipated IBU:28.7
System Efficiency: 67.00
Wort Boil Time
(minutes): 90

Grain / Extract / Sugar
Amount Name Origin Gravity Color

5.00 kg. Smoked(Bamberg) Germany 1.0379
0.09 kg. Chocolate Malt Great Britain 1.034 475

Hops
Amount Name Form Alpha IBU Boil Time

42 g. Hallertau Hers. Whole 4.75 28.7 60 min.

Yeast
WYeast 1098 British Ale Yeast

DAB

Recipe Specifics
Batch Size (LTR): 23.00
Wort Size (LTR): 23.00
Total Grain (Kg): 4.90

Anticipated OG:1.042
Plato: 10.52
Anticipated SRM: 5.2

Anticipated IBU:27.5
System Efficiency: 67.00
Wort Boil Time
(minutes): 90

Grain / Extract / Sugar
Amount Name Origin Gravity Color

3.55 kg. Pilsener(2-Row) Europe 1.0352
1.35 kg. Munich Malt Germany 1.0379

Hops

Amount Name Form Alpha IBU Boil Time

18.00 g. Northern Brewer Whole 10.70 27.5 90 min.

Yeast
WYeast 2308 Munich Lager

WEIZEN

Recipe Specifics
Batch Size (LTR): 25.00
Wort Size (LTR): 25.00
Total Grain (Kg): 5.50

Anticipated OG:1.052
Plato: 12.78
Anticipated SRM: 5.5

Anticipated IBU:12.1
System Efficiency: 75.00
Wort Boil Time
(minutes): 60

Grain / Extract / Sugar
Amount Name Origin Gravity Color

2.00 kg. Pilsener DURST Germany 1.0372
2.50 kg. Wheat Malt Germany 1.0392
0.30 kg. Cara-Pils Germany 1.033 15
0.70 kg. Munich Mal t Germany 1.0379

Hops

Amount Name Form Alpha IBU Boil Time

25.00 g. Hallertau Hers. Whole 4.10 12.1 60 min.

Yeast
WYeast 3068 Weihenstephan Weizen

A coronamento di questa mia “fatica” scrivetemi almeno come sono
stati i vostri risultati!

****

SOFTWARE
a cura di Alessandro Sandrucci”Barboteur”: ssand@libero.it

INTRODUZIONE

Avendo un computer a disposizione, vi sarete certamente chiesti
se esistono programmi in grado di assistervi nella formulazione
delle ricette, nella gestione delle scorte e in generale in tutti
quei calcoli utili (se non indispensabili) alla birrificazione
casalinga.
Le risposte (anche troppe) le potrete trovare nella sezione
software del famoso The Brewery.
http://brewery.org/brewery/Software.htm
Confusi? Immagino di si.
Vediamo di semplificare: per gli homebrewer Macintosh (c’è
qualcuno oltre al sottoscritto?) la situazione non e’ rosea. I
programmi esistenti impallidiscono al confronto di quelli
disponibili per Win9x. La soluzione più semplice è dotarsi di un
emulatore PC (Windowers, eat your heart out…).

In ambiente Windows la scelta è più ampia, ma si finisce per
utilizzare i 2 più gettonati:
SUDS ’97 http://oldlib.com/suds/
Promash http://www.promash.com/
Entrambi sono validi, ben documentati, hanno un costo molto
simile, e comunque richiedono un minimo di preparazione e di
conoscenza dei processi di birrificazione.
Non credo sia questa la sede più adatta per imbarcarsi in una
dettagliata discussione delle funzioni e dei settaggi. Piuttosto,
vorrei fornirvi alcuni elementi per valutare quale dei 2 sia il
più adatto alle vostre esigenze.

SUDS ’97

Copyright (c) 1998 The Old Library Shop. All rights reserved.
Versione attuale: 1.1
Ultimo aggiornamento: 31/01/1998
Prezzo: $20, si riceve via e-mail la chiave per disabilitare il
timer iniziale inviando assegno o bonifico internazionale a:
Michael Taylor
1626 Main Street
Bethlehem, PA 18018-1905
La versione completa può essere scaricata da:
http://oldlib.com/suds/download.htm
E’ un programma abbastanza completo, semplice da usare, senza
troppi fronzoli. Permette di formulare ricette con estratti, mash
parziale e all grain. Gli all-grainer troveranno un po’ limitate
le funzioni di calcolo delle infusioni. Unità di misura metriche
o US.
Per il calcolo delle IBU permette di selezionare le formule
utilizzate (Rager, Garetz o Tinseth).
I parametri di stile sono basati sulle categorie AHA, e possono
essere editati manualmente.
A quanto pare lo sviluppo è fermo alla versione 1.1 dall’inizio
del ’98.

PROMASH

ProMash is a trademark of Sausalito Brewing Co., Jeffrey Donovan.
Versione attuale: 1.3b
Ultimo aggiornamento: 26/12/1999
Prezzo: $24.95 acquistabile online con carta di credito.
Requisiti minimi di sistema: Windows 9x, Windows NT o Windows
2000. Scheda video a 256 colori, 8 Megabyte RAM, 3.5 Megabyte
spazio su disco.
Sul sito è disponibile una Evaluation version
http://www.promash.com/evaldownload.html, con una serie di
limitazioni (creazione e/o modifica di 3 ricette, salvataggio di
9 sessioni di birrificazione, stampa disabilitata)

Lo confesso, è il mio preferito.
Molto completo, direi quasi “professionale” (è adottato da molte
micro-breweries USA), con una quantità di settaggi per adattarlo
alle proprie preferenze e attrezzature e pertanto richiede una
buona conoscenza tecnica. Permette di formulare ricette con
estratti e mash parziale, pur essendo decisamente orientato verso
l’all-grain.
Comprende moduli di calcolo per la carbonazione, il trattamento
dell’acqua, lo sparge, la correzione del densimetro, le
diluizioni, le perdite di AA% dei luppoli e chi più ne ha più ne
metta.
Può essere predisposto per l’uso di unità metriche o US. I
database degli stili (BJCP o AHA) e degli ingredienti sono
modificabili, esportabili ed importabili. Ricette e sessioni sono
registrabili separatamente anche come file ASCII. Si possono
selezionare le formule per il calcolo delle IBU e del colore SRM.
La progettazione dei profili di mash è molto valida, anche se non
permette di pianificare agevolmente delle decozioni.
Anche se la versione attuale (1.3b) è piuttosto stabile, sono
ancora presenti alcuni difetti legati all’uso delle unità
metriche (questi anglosassoni proprio non vogliono imparare…
🙂
Tuttavia l’autore Jeffrey Donovan è molto disponibile, e lo
sviluppo procede con frequenti bug fix e miglioramenti.

NOTE SULL’UTILIZZO DI PROMASH

Il sistema di Help di ProMash è ben fatto, e copre in modo chiaro
e abbondante tutte le funzioni del programma e comprende anche un
Tutorial, quindi vale il solito consiglio: LEGGETE I MANUALI (o
trovate qualcuno che ve li traduca…)!

L’interfaccia di ProMash è relativamente semplice: una serie di
pulsanti che richiamano i vari moduli di calcolo e i database.
Il primo passo è quello di impostare i settaggi generali, dal
menu Options – System Settings.
Qui potrete configurare il software in base alle vostre
condizioni di lavoro e alle vostre preferenze personali, quindi
mi limiterò a fornirvi alcuni consigli.
Scegliete BJCP come database di default degli stili. Impostate
tutte le misure su Metric e il System Mode su Homebrewer.
Impostate l’efficienza del sistema inizialmente a 0.75 (75%, in
seguito potrete aggiustare il valore). Contrariamente a quanto
indicato, a causa di un “bug” il numero che dovete introdurre nel
campo “Grain absorption rate” deve essere in litri/libbre. Nel
mio caso ho inserito un valore 0,77 (corrispondente a circa 1,7
litri/Kg). Per il calcolo del colore SRM, personalmente ho
selezionato le formule di Morey. Per l’evaporazione, impostate
10% (potrete calibrarlo meglio dopo qualche misurazione). Per le
IBU, anche se concettualmente mi piacciono di più le formule di
Tinseth, uso quelle di Rager perché sembrano rispecchiare
maggiormente le mie condizioni reali. Potete lasciare le altre
impostazioni ai valori di default. Per rendere le modifiche
permanenti, premete il bottone “Save As Default”. Se invece
premete il bottone OK, le impostazioni modificate resteranno
valide solo per la sessione in corso.

Ora che avete predisposto il sistema, passate ad esplorare i
database, premendo i bottoni al fondo dello schermo. Qui potrete
modificare i dati degli ingredienti, cancellarli o registrarne di
nuovi, aggiornare l’inventario delle scorte, stampare.

Le 2 file di bottoni al centro dello schermo servono invece ad
invocare i diversi moduli di calcolo. Normalmente questi moduli
vengono utilizzati all’interno della formulazione delle ricette e
delle sessioni, ma in questo modo è possibile richiamarli
autonomamente:

Units – utilissimo convertitore di unità di misura.

Hop Time – per valutare la perdita di AA% di un luppolo nel
tempo.

Hop IBUs – per calcolare l’utilizzo dei luppoli.

Water Profiler – per calcolare le quantità di sali da aggiungere
all’acqua per ottenere un certo profilo.

Water Needed – per calcolare la quantità di liquore per il mash e
lo sparge, le perdite nel sistema, l’evaporazione, ecc.

Boil Off – permette di calcolare l’aumento di densità del mosto
in funzione del tempo di ebollizione.

Strike Temp – per calcolare la temperatura e quantità di acqua
richieste per una infusione.

Mash Designer – per progettare un profilo di mash.

CO2 – per calcolare la carbonazione (priming o forzata).

Hydro Adjust – per le correzioni alla lettura del densimetro in
funzione della temperatura.

% Alc – per calcolare il grado alcolico approssimativo (% peso e
volume) data l’attenuazione.

Dilution – per calcolare la diluizione del mosto o gli effetti
della miscelazione di 2 mosti diversi.

ProMash gestisce in modo distinto le ricette e le sessioni di
birrificazione. Le prime vengono salvate come file .REC, le
seconde come file .BRW
Con il pulsante New Recipe compare il modulo di progettazione.
Qui scegliete per esempio lo stile, la dimensione della cotta, il
tempo di ebollizione, l’efficienza del sistema… Poi procedete
aggiungendo gli ingredienti e variandone le quantità. Con il
pulsante Yeast And Water scegliete dai database il tipo di
lievito che intendete impiegare e le caratteristiche dell’acqua.
Con il pulsante Extras & Notes potete aggiungere altri
ingredienti (spezie, chiarificanti, ecc.) e specificare commenti
e annotazioni utili.
Con il pulsante Mash Schedule potrete progettare il profilo di
mash desiderato.
ProMash può utilizzare un modello semplificato (in cui
specificate solo temperature e tempi), oppure uno complesso (in
cui inserite un numero illimitato di step e calcolate le
infusioni necessarie). In entrambi i casi è possibile salvare il
profilo in modo da poterlo riutilizzare in altre ricette.
Quando siete soddisfatti della ricetta che avete impostato, con
il pulsante Save salvatela in un file .REC
Potrete sempre richiamarla premendo il pulsante Load Recipe e
modificarla a piacimento.

Le sessioni di birrificazione si creano invece premendo il
pulsante New Session.
Qui sceglierete la ricetta che intendete realizzare e andrete ad
impostare i dettagli relativi a questa particolare sessione.
Per esempio, una volta scelta la ricetta, con il pulsante Edit
Ingredients potete variare la formulazione della ricetta (magari
all’ultimo momento decidete di cambiare lievito o luppolatura) e
con il pulsante Mash Program Specifics anche il profilo di mash.
Uno dei punti di forza di ProMash è proprio la possibilità di
modificare anche radicalmente la ricetta e il profilo di mash
sessione per sessione, lasciando inalterata la ricetta originale:
tutti i dati necessari vengono registrati nel file .BRW di quella
particolare sessione. Questo permette tra l’altro lo scambio di
ricette e sessioni con i vostri amici.
Con il bottone Water Profile potete calcolare le quantità di sali
da aggiungere per ottenere il profilo del liquore desiderato.
In questo modulo compaiono alcune imperfezioni “cosmetiche”: le
concentrazioni di sali portano l’indicazione “ppm per gallon”
(mentre ovviamente si tratta di ppm), e le aggiunte “grams per
gallon” (mentre il numero visualizzato rappresenta i
grammi/litro). Jeffrey mi ha promesso di rimediare al più
presto…
Con il pulsante Water Needed potete calcolare tra l’altro la
quantità di liquore per lo sparge e prevedere il volume del mosto
alla fine della bollitura, tenendo conto delle varie perdite e
assorbimenti. Con il pulsante Analyze Inventory potete verificare
di avere a disposizione gli ingredienti richiesti in quantità
sufficiente.
Con il pulsante Finalize Inventory, verranno aggiornati i
database degli ingredienti, sottraendo le quantità di ingredienti
utilizzati in questa sessione.
Il pulsante Fermentation Specifics vi servirà in seguito per
annotare utili informazioni sulla fermentazione (tempi e modi,
densità effettive, ecc.).
Il pulsante Bottling /Kegging vi permetterà di calcolare e
registrare i dati per il priming o la carbonazione forzata.
Infine il pulsante Notes vi permetterà di registrare commenti e
annotazioni sulle varie fasi della produzione, utili per
apportare eventuali correzioni nei futuri batch.
Naturalmente il pulsante Save registrerà la sessione in un file
.BRW, che potrete richiamare e aggiornare in seguito con il
bottone Load Session.

GTKBREW SUITE

Versione attuale: 0.1b (in italiano)
Autore: Fabio Cavaliere fabio@urania.fisica.unige.it
Note: programma in ambiente LINUX
distribuito freeware sotto licenza GPL
Ultimo aggiornamento: 02/12/1999
La versione completa può essere scaricata da:
http://www.roybeer.com/files/GtkBrew_suite/main.html
GtkBrew suite è un insieme di programmi per l’homebrewer che
permette di archiviare le proprie ricette, di calcolare parametri
utili quali la gradazione alcoolica e le IBU, di accedere ad un
database di ingredienti (modificabile dall’utente) e di stampare
una scheda riassuntiva che comprende tutti i parametri e gli
ingredienti del proprio capolavoro. E’ scritto interamente in C e
richiede le librerie Gtk+ versione = 1.2, che di fatto sono
installate da tutte le distribuzioni più recenti, almeno se si
utilizza Gnome o Gimp. La sua interfaccia utente risulta
abbastanza omogenea rispetto al “parco” di applicazioni Gtk
sebbene non abbia fatto uso di “componenti standard” Gnome e in
generale dovrebbe fornire un approccio intuitivo al programma. I
programmi che compongono la suite sono 5 :

1.GtkBrew : permette l’editing e l’archiviazione delle ricette
(Estratto e
All-Grain, sebbene quest’ultima sezione sia ancora carente…) ,
inoltre calcola i parametri rilevanti della birra.

2.Gbe : editor per il database dei componenti. Permette di
personalizzare gli archivi di Malti, Luppoli, Aggiunte, Lieviti e
Stili.

3.Gbm : editor per i preset del mashing.

4.Gbp : converte le ricette archiviate con GtkBrew in file
Postscript pronti per essere stampati. Può a scelta produrre file
Dvi o Latex. Per la creazione di file Postscript e Dvi è
necessario avere installato il pacchetto di Latex. Per la preview
del programma è necessario avere installato il programma Gv. Per
informazioni consultate la documentazione relativa alla vostra
distribuzione.

5.Gsp : è un panel che permette di lanciare i 4 programmi sopra
descritti.

Brewing in a bag (BIAB)

Oggi vi spiegheremo come fare la birra con il metodo BIAB, acronimo di Brew In A Bag, letteralmente “fare la birra dentro un sacco”. Si tratta di una tecnica assai diffusa in Australia e spesso consigliata a chi intende avvicinarsi per la prima volta all’all grain.

In realtà, il BIAB è preferito anche da tutti quegli homebrewer costretti a confrontarsi con problemi di spazio e sono sempre più quelli che scelgono di produrre con questa tecnica. Il grande vantaggio è infatti quello di utilizzare un’unica pentola sia per l’ammostamento che per la bollitura. Andiamo quindi a descriverne il funzionamento.

Cos’è

Il BIAB può considerarsi un all grain semplificato. Si produce sempre a partire dai grani di malto che devono subire un processo di ammostamento ma si salta completamente la fase di sparging. I grani vengono introdotti nella pentola all’interno di una sacca filtro (da qui il nome), che al termine dello sparging si estrae per rimuovere le trebbie e procedere dunque alla fase di bollitura.

Non essendoci sparging, il rapporto acqua / grani utilizzata nel mashing dev’essere più alto, solitamente attorno a 5 litri / Kg di malto. Per un calcolo corretto, ricordatevi comunque che ogni Kg di grano assorbe all’incirca 1,1 litri di acqua. A questi dovete aggiungere i litri persi a causa dell’evaporazione più una piccola parte che si perde nel fondo della pentola. Sommando queste quantità ai litri di birra finita che volete ottenere avrete il quantitativo totale di acqua da utilizzare.

Proprio in quanto il mosto è molto più diluito rispetto all’all grain classico, dovrete prestare molta attenzione al pH. Sarà necessario correggerlo con acido lattico o citrico per portarlo all’interno di un range di valori compreso tra 5,2 e 5,6. E’ molto importante, in quanto un pH sbagliato inibisce l’attività enzimatica, rendendo pressocchè inefficace l’ammostamento. Aiutatevi con un phmetro o con delle cartine tornasole.

Attrezzatura

L’attrezzatura necessaria per fare la birra con metodo BIAB è quasi identica a quella per all grain eccezion fatta per alcune differenze. Occorre una sola pentola anzichè tre (non sono necessarie quelle per bollitura e sparge), una sacca filtro per contenere i grani, un sistema di leve o carrucole per l’estrazione della sacca. Immaginatevi infatti di sollevare 6 / 7 kg di malto più altrettanti kg di acqua da essi assorbita. Molti homebrewer si servono di un gancio / carrucola fissato al soffitto o di un braccio metallico sopra al quale fanno scorrere una corda legata all’estremità del sacco.

Alcuni sostengono anche sia necessario utilizzare un falso fondo per impedire alla sacca di entrare in contatto con il fondo della pentola, in quanto potrebbe rovinarla. Premesso che non tutti sono d’accordo su questa affermazione, un buon metodo economico è utilizzare uno scolapasta metallico rovesciato.

La sacca

Rappresenta la parte più importante dell’attrezzatura BIAB. Assicuratevi che sia abbastanza resistente per poter sopportare un peso di 15 KG circa senza lacerarsi. Il tessuto più usato è il voile svizzero, una fibra in poliestere solitamente utilizzata per le tende che potete trovare con relativa facilità in merceria. Lavorate poi di ago e filo per realizzare la vostra sacca. In generale, potete scatenare la vostra fantasia per trovare soluzioni alternative. Noi vi segnaliamo la guida del buon MarleyBeer. I più pigri (o con meno tempo a disposizione) possono comprarlo sui siti internet di settore.

Per la nostra abbiamo invece utilizzato il tulle, un tessuto utilizzato per le tende e che potete trovare in abbondanza da Ikea. Non essendo molto resistente è preferibile piegarlo in due di modo da avere il sostegno di due strati. Vi consigliamo di cucire i due strati con un rapido e ampio giro di filo (fate i punti molto larghi) di modo che al momento di lavarlo potrete spezzarlo facilmente e non impiccarvi a rimuovere i residui intrappolati tra i due strati. Con un po’ di praticità, in 5 minuti avrete assemblato la vostra sacca.
Procedimento

Macinate i grani, quindi foderate internamente la vostra pentola con la sacca filtro inserendo prima, se lo avete, il falso fondo. Aggiungete l’acqua e portate a temperatura di mash-in. Quindi, all’interno della sacca, aggiungete i grani macinati.

Misurate il pH e correggete se necessario.

Eseguite il mash come da ricetta, quindi dopo il test della tintura di iodio, portate a 78° per 10-15 minuti per bloccare qualsiasi ulteriore attività enzimatica.

Sollevate la sacca e strizzatela bene per recuperare l’acqua intrappolata nei grani. Continuate con la bollitura e seguite le stesse fasi dell’all grain.

Note finali

Il BIAB è stato a lungo considerato una tecnica inferiore. In realtà non ci sono evidenze al riguardo ed anzi è sempre più preferita da un maggior numero di homebrewer.