A che punto è la questione Musk vs Twitter?

Per caso vi state chiedendo com’è finita la vicenda Musk/Twitter?
Eravamo rimasti all’acquisto per 44 miliardi di dollari, poi al dietrofront di Musk per una controversia sul numero di bot presenti (che, secondo Musk, sarebbero ben oltre il 5% dichiarato da Twitter) e infine alla citazione in giudizio di Musk, da parte di Twitter, per violazione contrattuale e danni all’immagine.
Poi c’è l’affaire Zatko (o Mudge com’è noto negli ambienti hacker), noto esperto di sicurezza informatica assunto nel 2020 alla guida il team della sicurezza di Twitter e licenziato a gennaio 2022.  Zatko (lo pubblica ad agosto il Washington Post e la CNN), dopo il licenziamento, denuncia Twitter all’autorità sulla vigilanza del mercato finanziario, al Dipartimento di Giustizia e alla Federal Trade Commission, per i grossi problemi di sicurezza esistenti all’interno dell’azienda, tali da creare un serio rischio per tutti gli utenti.
Se volete leggere la denuncia di Zatko è qui.
Zatko sostiene che Twitter avrebbe un altissimo numero di incidenti di sicurezza, circa uno alla settimana (il 70 per cento dei quali legati a problemi di access control) e che il governo americano avrebbe informato l’azienda sulla presenza di più dipendenti assoldati da un’agenzia di intelligence straniera.
Nella denuncia si parla anche della questione dei bot (intitolata proprio “Lying about Bots to Elon Musk”) e Zatko dice che Twitter ha una metrica sugli “utenti attivi giornalieri monetizzabili”,  che definisce l’importo dei premi economici dei dirigenti, i quali sono poco portati a individuare bot per escluderli da tale metrica.
Ovviamente Musk ha chiamato a testimoniare Zatko contro Twitter e sempre ovviamente il suo CEO ha dichiarato che la denuncia sarebbe priva di fondamento, piena di falsità e contraddizioni, e che Zatko sarebbe stato licenziato per “scarso rendimento”.
Ora più di come possa finire una diatriba legale e tra miliardari, potrebbero interessarci alcune cose.
Tipo che la sicurezza degli utenti in Twitter è una banderuola poiché vista come un impedimento al business dell’azienda e che i dati degli utenti vengono utilizzati per chissà quante cose “strane” e che ci sono intelligence di vari paesi infiltrati nell’azienda (ma già nel 2019 due dipendenti furono accusati di aver spiato determinati utenti passando poi le informazioni all’Arabia Saudita).

Cosa dire?  Che se non sei ancora fuori da Twitter sei sempre in tempo a farlo.

Meerkat on Android

Screenshot_2015-05-23-13-15-14Meerkat è il nome con il quale gli africani chiamavano il Suricata. Venne introdotto nella lingua inglese attraverso un errore di comprensione dall’olandese che invece con quel nome identificavano un Cercopithecus.
C’è chi sostiene che la derivazione sia sanscrita, ma questa è un’altra storia. Sicuramente a molti il suricata, farà venire in mente “Hakuna Matata” cantata da Timon e Pumbaa nel Re Leone; ma noi ci occuperemo qui, più semplicemente,  di un’app per lo streaming video.

E Periscope?
Perché parlane ora dal momento che l’app c’è già da un po’ di tempo? Anzi sono già forti le polemiche e la concorrenza con Periscope? Semplicemente perché da poco è stata rilasciata sullo store di Google ed è fuori dalla beta anche per i dispositivi Android.
Diciamo subito, così ci togliamo il dente, che le differenze più vistose con Periscope sono la completa integrazione-complicità con Twitter (ma prima che Twitter comprasse Periscope c’era anche per Meerkat) e le possibilità sia di far rivedere lo streaming in replay che di crearne uno privato che Meerkat non fa.  Però mentre Periscope  è presente soltanto su Apple Store, Meerkat lo trovate anche sul Play di Google e questo basta e avanza.

Ma andiamo alla parte pratica.
Per avviare l’app avrete bisogno di un account Twitter (a breve sarà possibile accedere anche con un account Facebook, cosa già possibile con la versione 1.3.1  per iOs) e dell’uso della fotocamera del device (fronte, retro o flash lo sceglierete in avvio di streaming).
Partita l’app vedrete in alto a sinistra, in un quadratino, il vostro account twitter e il vostro “score” (se ci fate tap col dito vedrete following, followers e il tasto del log-out ); al centro la faccina del suricata con il profilo a destra (in questo caso vedrete in basso soltanto 3 live streaming), se ci tappate su, si gira a sinistra e vi mostra tutto il live di quel momento.
A destra trovate una lente d’ingrandimento per cercare i follower e una medaglia (Leaderboard) che vi mostrerà la classifica degli utenti più seguiti (Nora Segura, Madonna, ecc…), quindi se volete iniziare a seguire qualcuno potete iniziare anche da qui.
Più sotto una piccola barra vi invita a scrivere qualcosa (write what’s happening) che sarà il titolo del vostro streaming, mentre più sotto vedrete scorrere le finestre del live streaming . Se qualcosa vi incuriosisce basterà tapparci sopra per guardare, commentare, metterci un like o condividere su Twitter.
Per lanciare il vostro streaming premete sul rettangolino con su scritto “Stream”; parte subito, quindi tenetevi pronti già con la prima inquadratura. In alto vedrete gli utenti che  guardano il vostro video  in quel momento (now watching) mentre dal basso scorreranno gli eventuali commenti.
Per terminare premete “Stop” e Meerkat vi mostrerà il totale delle persone che l’avranno visto.

Chef – il socialnetwork imperfetto

Ho visto il film  Chef – La ricetta perfetta  e mi verrebbe da dire, di primo acchito, lasciate perdere perché paghereste per intero il biglietto per un film che regge solo il primo quarto d’ora.

E’ la classica  “commedia americana” (con tutto quello che si può indicare negativamente con questo concetto) completamente scontata dall’inizio alla fine e intrisa di tanta banalità  che neanche i fratelli Vanzina sarebbero riusciti a mettere insieme.

L’unica cosa che mi ha fatto rimanere seduto è stato lo show, ovviamente banalizzato, di social network.  Non ho capito bene se Jon Favreau (regista e attore principale) volesse parlare di cucina o invece di Twitter, Vine,  YouTube, Facebook e iPhone….  il risultato è stato comunque un polpettone (o una ciambotta se volete)  i cui ingredienti, se dosati meglio come fa un vero chef, avrebbero reso la storia migliore e più appetitosa.

The best and worst times

fb-vitoDice Samantha Murphy  che, secondo i dati raccolti da bit.ly, per postare qualcosa che possa raggiungere il maggior numero di persone sui social network, bisogna rispettare i seguenti orari: tra le 13 e le 15 per Twitter e tra le 13 e le 16 per Facebook.
In ogni caso “mai postare prima delle 8 e dopo le 20“.

Esattamente l’opposto di quello che faccio normalmente io che pur ritenendomi un “vecchio” e “navigato” blogger, rimbalzo le selezioni dei feed reader rigorosamente prima delle 8 di mattina.

Voi che siete “giovani” tenetelo a mente, mentre io cercherò di adeguarmi… ma soprattutto: concentratevi sui contenuti!

 

Cassanate e altri discorsi

Le “risposte infelici” di Cassano hanno, come al solito, sobillato la rete, ma c’era da aspettarselo. Sono stato tra i primi a mettere l’#Cassano su Twitter dopo essere sobbalzato dalla sedia ieri pomeriggio.  Non si tratta di una “cassanata”, quella sorta di ambito giustificatorio dove possono rientrare quei calciatori che si lasciano sfuggire dalle mani il proprio sentimento privato (come sono “balotellate” quando si menano i giornalisti, “tottate” quando si sputa sull’avversario, ecc….) , ma del pensiero di un uomo che di mestiere fa il calciatore a cui viene semplicemente fatta una domanda. Il calciatore avrebbe potuto non rispondere dicendo di non saperne nulla ma invece dice di non volerne parlare e poi ne parla.

Non è il pensiero di Cassano che mi stupisce, anzi un po’ me l’aspettavo pure; qualsiasi uomo sa che l’omosessualità è il tema principale degli scherzi “tra uomini” (il motto “amici amici ma a tre palmi dal culo” è sempre molto in voga), mi preoccupa di più l’armamentario di elaborazione con il quale sul web si è cercato di chiudere il cerchio della notizia.

Ecco i suoi passi:

1) un giornalista chiede al calciatore se è vera la notizia, riferita da Cecchi Paone, che in nazionale ci siano dei gay. La domanda sembra “impertinente” ma fa parte della libertà del giornalista di porre domande a piacere e non a piacimento (del resto è stato chiamato per fare questo). Anche se il giornalista avesse domandato a Cassano del massacro dei randagi in Ucraina sarebbe stato impertinente.

2) Cassano, che conosce bene il suo ruolo, ci scherza su (l’aveva già fatto prima anche su Balotelli, tra l’altro usando la stessa battuta che aveva usato Gattuso quando ricevette dal Milan il compito di fare da tutor a Cassano) e dice di non voler rispondere ma poi invece dice che se non froci son fatti loro e che spera che non ci siano in squadra. A domanda impertinente risposta impertinente.

3) Tutti i giornalisti sportivi abituati e consapevoli di avere a che fare con il “calcio-pensiero”, seppure indignati, cercano di tenere ben distinti i ruoli e i compiti cercando di continuare a parlare di calcio (e credo che diversamente non si possa fare).

4) La rete invece no, com’è nella sua natura, si scatena (l’hashtag  #Cassano vola su twitter) masticando vorticosamente concetti senza troppa elaborazione (perché se a 140 caratteri di testo non corrispondono altrettanti caratteri di valutazioni e contro-deduzioni mentali le cose si complicano) e tra questi ce ne sono numerosi che sostengono l’ipotesi di un subdolo tranello ordito ai danni dell’ingenuo Cassano.

Ci sono momenti, soprattutto su Twitter, nei quali un buon numero di persone lanciano commenti da “supertecnici” della comunicazione come di chi sta al di sopra delle notizie e di mestiere fa il giudice o il prete. Sono quelli che non riportano alcuna notizia, la danno per scontata e ammiccano a retroscena, a trabocchetti o a orditure appartenenti a grandi o piccoli scenari (che, altrimenti, i piccoli lettori non saprebbero come immaginare).

Insomma su Twitter serpeggia la logica che “la domanda sia stata fatta apposta per scatenare il putiferio mediatico” e la sostengono non pochi, anche qualche amico che seguo e che stimo.

A me, lettore ingenuo, colpisce soltanto il contenuto delle risposte di Cassano che è lì sotto i miei occhi e non posso farci niente. Cosa può importarmi se un giornalista ha posto una domanda di cui conosceva già la risposta? Può mai cambiare il mio giudizio sulle parole di Cassano?

Le persone sono e devono essere responsabili delle parole che proferiscono anche se queste derivano da domande “impertinenti”.  Pensate al classico studente che dopo l’esame accusa il professore per avergli ordito un tranello con domande in-pertineti o a trabocchetto.

5) In serata Cassano fa dietrofront scusandosi per le parole pronunciate.

Massì è una cassanata.

Ancora Twitter…

Se scrivete su Google le parole “guida+twitter” vi vengono fuori qualcosa come 26 milioni di risultati che, sicuramente, raccontano una storia lunghissima nel web (circa 6 anni) con un interesse ancora in crescendo.
Io che non sono un grande esperto e neanche un grande utilizzatore di Twitter vi segnalo soltanto qualche link qua e là (ma forse solo a mia memoria).
Se consideriamo l’anno di nascita di Twitter allora con molta probabilità l’origine dei vari consigli sullo strumento non può che essere quello di Brogan e di York.
La Repubblica sta sul pezzo e se ne accorge nel 2009.
C’è poi quello spiegato alle mamme  e la sua utile traduzione di Markingegno.
Quello for dummies è un punto fermo, ma anche chi insegna ad usarlo e chi ne ha fatto un blog dedicato.
Catepol, da navigata utilizzatrice, può sempre dirne qualcosa mentre  Luca Conti ce  lo spiega sulla carta stampata.
Da buon accademico Giovanni Boccia Artieri da qualche indicazione tecnico e, ovviamente, il punto di vista di GG è sempre una lettura interessante che non può mancarci.

#copiaincrozza ovvero il delirio del copyright di Twitter

crozza a ballaròCos’è successo in questi giorni? Semplice, Crozza ha pronunciato alcune battute nella trasmissione “Ballarò” che, secondo alcuni, erano state prese pari pari da Twitter.

Tutto qui? Esatto, tutto qui ma solo per persone strane come me, certamente non per i twitteraniduriepuri a cui non va giù che alcune battute su Alemanno o su Ratzinger non siano farina del sacco del comico. La colpa: non aver “citato la fonte”! E di quale fonte parliamo? Stiamo parlando di un social network che per sua natura condivide e replica informazioni ma non credo che si preoccupi di certificarne le fonti.

Se scrivo una breve battuta su un social qualsiasi che poi replico “automaticamente” su mio blog, su Twitter, su Facebook, su Google+, ecc… c’è qualcuno che verrà a controllare le mie fonti? Magari ho sentito la battuta sul treno e lo twittata, sono io l’autore? Posso indignarmi e creare un hashtag contro chiunque replichi quella battuta? E tutti quelli che la replicano retwittandola (RT) hanno verificato le mie fonti? Se no, sono complici di reato?

Insomma un social network che fa della ridondanza il suo lavoro principale e, soprattutto, la sua fortuna con che diritto può indignarsi? Soltanto perché Crozza non ha anteposto un RT? Ma i signori del #copiaeincrozza hanno verificato le fonti di quelle battute così vecchie che io avevo già letto in rete e certo non in Twitter.

Come diceva Totò…   ma mi facciano il piacere.

Il social verticale (da Fiorello alla Canalis)

Già da un po’ di tempo era stata avvistata la presenza di star (in genere televisive) all’interno del Twitter nostrano e probabilmente la prima grande star  a lanciare i suoi primi tweet  è stata Simona Ventura. Poi pian piano tutti a seguire fino al caso eclatante di Fiorello che, in pochi mesi (o forse giorni), ha portato il fenomeno alla ribalta: se oggi al bar e negli uffici si parla anche della tweettata tra @mehcadbrooks e la @canalis (e si conosce perfino il significato di hashtag ) è sicuramente merito suo.

Il fenomeno è stato analizzato in modo serio da Giovanni Boccia Artieri al quale, ovviamente, rimando per approfondimenti vari e mi fermo, com’è il mio solito, sottolineando interrogativamente alcune questioni: 1) perché le star si infilano sui social network ?  2) Cosa ne viene ai social?

Sulla prima questione sono convinto che la “colpa” (non in senso negativo) stia tutta stipata nelle tecniche di questa nuova leva di esperti in comunicazione i quali consigliano, nelle loro strategie, di stare dentro i fenomeni sociali e di battere il ferro finché è caldo.  Si tratta di una “nuova” cultura (un nuovo vangelo che sulla scia delle vecchie sperimentazioni condotte negli USA, pone in cima alla check list la parola “marketing”) tutta incentrata sulla comunicazione pubblicitaria che, semplicemente, vede il “prodotto” come una volpe che deve abitare il pollaio (“il cliente”) e che, quindi, quando piomba nel social network deve poterne tirare fuori soltanto il succo interessante.

Sulla seconda questione, invece, credo che ai social ne vengano fuori due cose a prima vista antitetiche ma che in definitiva sono strettamente collegate tra loro. La prima è resa benissimo nel finale del post di Giovanni («la forza dirompente della Rete sta nell’aver reso i rapporti orizzontali [e che] pensare a nuove verticalità sarebbe un triste passo indietro»),  ovvero: il social sembra subire una corruzione di natura spaziale, l’orizzontalità che tende alla verticalità. La seconda è che proprio questa tendenza alla verticalità rende più popolari i social rafforzandoli proprio nella loro natura sociale proprio quando da elitari (o semi elitari) divengono popolari. Credo che il caso di Facebook spieghi meglio di mille parole quello che cerco di dire.  Il social ne vien fuori bene e meglio da queste iniezioni di “verticalità” poiché cedendo piccolissime  quote orizzontali ne riguadagna tantissime altre e con una forza propagatrice pari a quella delle onde sonore.

Dove vanno i blog?

Ma dove vanno i marinai
con le loro giubbe bianche
sempre in cerca di una rissa o di un bazar…

In un commento a un post precedente l’amico Antonio mi diceva che Facebook oramai sta affossando i blog. In verità è un’opinione abbastanza diffusa e molti amici hanno la stessa impressione (anche la mia cara prof. aveva gli stessi dubbi).

Io continuo a ripetere che Facebook, in quanto social network, svolge un ruolo diverso e migliore dei blog e se ne assottiglia un po’ lo fa soltanto nella direzione di quelli tenuti in piedi da “curatori estemporanei”.

Probabilmente il blog non è mai diventata una vera e propria moda e questo, credo, sia stata la sua vera fortuna.

Sicuramente il futuro prossimo ci vedrà impegnati in strumenti e sistemi diversi, probabilemnte transcomunicanti  ma angoli del tutto autonomi di gestione credo che difficilmente spariranno. Dunque il terreno del blog può rimanere fertile caratterizzandosi, come del resto stanno già facendo la maggior parte, più per l’approfondimento e la lunga meditazione che per l’aggiornamento pressante di questi ultimi anni.

Se prima bisognava scrivere uno o due pezzi al giorno per mantenere, se non accrescere, la fidelizzazione al proprio blog, oggi questo non è più necessario. Già con gli RSS, con i vari socialnetwork, i microblogging e  iltumblr i compiti e gli spazi del blog si erano via via sistematizzati. Da ambiente di scrittura “generico” a trecentosessanta gradi (con slanci a volte portalistici)  era divenuto, abbastanza velocemente, un luogo di interessi sempre più specifici. Adesso, a maggior ragione, tutta l’euforia da incipit, da chiacchiericcio e da rimbalzo (e tutta la passione per la condivisione) può essere incanalata in Facebook che questo lo fa veramente veramente molto bene.

L’esempio di questa tendenza, all’approfondire, ci viene dai carcerati per i quali curare un blog sta diventando il nuovo modo di comunicare con l’esterno, almeno stando a quel che dice Sam Stanfield.

Insomma, il blog ha lentamente spento il motore e naviga a vela: è più silenzioso, ha meno “nodi”  a disposizione,  fa meno miglia, ma in compenso ci vogliono buone braccia e tanta fatica per farlo andare avanti.

Perdonate la metafora ma mi serviva per ricollegarmi alle parole della canzone di Dalla citata all’inizio e anche per rilanciare la palla ad amici più esperti di me dei quali sarei felice (ma più curioso) di conoscere la loro opinione.

:)