Lievito

Il lievito è fondamentale per la birra più che per altre bevande fermentate, poiché le conferisce anche gusto e aroma.  Ovviamente se ne sapete di biologia siete facilitati, ma siccome anch’io ne capisco poco ne parleremo, come al solito, “alla buona”, tranne per quella necessaria parte scientifica che è stata prelevata a due mani dai miei testi di riferimento e che troverete in bibliografia.

Partiamo dall’assunto che senza lievito non c’è birra. Come abbiamo visto nella piccola storia sulla birra, all’inizio la fermentazione era un “mistero” spesso divino; tant’è che la schiuma della birra veniva chiamata “godisgood” (“Dio è buono”) e non la si beveva ma la si metteva da parte per utilizzarla successivamente e avviare un’altra fermentazione. I birrai riutilizzavano il lievito dopo ogni produzione creando una sorta di addomesticamento del lievito come, del resto, si faceva lo stesso con il “lievito madre” per il pane. Nel mio paese, e in tanti paesi del sud Italia, prima di preparare l’impasto per il pane, si girava per le case del vicinato per farsi “prestare” il lievito (che da noi si chiamava “crisci” – cresci/crescere) e dopo aver fatto l’impasto si metteva da parte (in un contenitore chiuso) un pezzo di pasta cresciuta che doveva essere “restituito” alla comunità.

quando si impastava I birrai e i consumatori volevano che la birra avesse un sapore migliore e che durasse più a lungo: i primi cominciarono così a riutilizzare il lievito di cotte di successo e a buttare i lieviti di cotte scadenti, selezionando inconsapevolmente i lieviti.
Prima che i microscopi ci permettessero di vedere il lievito, nessuno sapeva esattamente cosa avvenisse durante la fermentazione. Quando i bavaresi emanarono nel 1516 l’editto di purezza della birra, il Reinheitsgebot, rendendo illegale la produzione di birra che contenesse altri ingredienti oltre ad acqua, malto d’orzo e luppoli, esclusero il lievito dalla lista perché non erano a conoscenza della sua esistenza.
Nel 1680, più di un secolo dopo l’entrata in vigore dell’editto sulla purezza, Anton van Leeuwenhoek fu il primo a osservare al microscopio che il lievito era composto da piccoli elementi interconnessi ma, curiosamente, non si rese conto che era vivo. A quel tempo, la più popolare teoria sulla fermentazione sosteneva che essa fosse un processo spontaneo, una reazione chimica promossa dal contatto con l’aria, e che il lievito fosse un sottoprodotto chimico.
Un secolo dopo, nel 1789, Antoine-Laurent Lavoisier descrisse la natura della fermentazione come parti di zucchero che si trasformano in anidride carbonica e alcol. Tuttavia, gli scienziati non collegarono il lievito alla conversione di zucchero in etanolo; solo verso la metà dell’Ottocento Louis Pasteur stabilì che il lievito era un microrganismo vivente. Questo aprì le porte allo studio della conversione dello zucchero in alcol e portò anche alla creazione di un campo di studi separato chiamato biochimica. Come risultati diretti o indiretti delle ricerche sulla birra, questi progressi hanno portato all’attuale conoscenza del funzionamento cellulare e hanno posto le basi per molte altre scoperte nel campo della ricerca scientifica.
Non è esagerato sostenere che Pasteur sia l’artefice dei progressi maggiori nella storia della birra, e che queste e altre scoperte abbiano portato a importanti novità per l’intera civiltà. I suoi studi sulla fermentazione della birra e del vino hanno spianato la strada ai suoi successivi lavori su antrace, rabbia, colera e altre malattie, che hanno portato allo sviluppo dei primi vaccini.
Quando Pasteur cominciò a lavorare alla fermentazione della birra negli anni Sessanta dell’Ottocento, la maggior parte delle persone non credeva che il lievito fosse l’agente che causava la fermentazione. La birra è una “zuppa” complessa di vari materiali, contenente proteine, acidi nucleici, batteri, lievito e molto altro; gli scienziati sapevano che il lievito era parte di questo mix, ma lo consideravano un sottoprodotto della fermentazione. Essi credevano che fosse una generazione spontanea catalizzata dall’aria a dare il via alla fermentazione, e che lievito e batteri fossero creati durante il processo. A quel tempo, la teoria secondo la quale cellule viventi potessero eseguire la fermentazione era considerata troppo “biologica”. La teoria della generazione spontanea persisteva perché gli scienziati non avevano ancora perfezionato le tecniche di sterilizzazione; dopotutto, se uno studioso avesse assistito alla moltiplicazione di cellule all’interno di uno strumento che credeva di aver sterilizzato, avrebbe naturalmente pensato che la causa fosse la generazione spontanea.
Pasteur invece non ne era convinto. Basandosi sul suo studio sul vino, riteneva che non ci fosse abbastanza aria per spiegare la crescita della popolazione di lievito durante la fermentazione. Ideò un semplice esperimento che avrebbe posto fine alla teoria della generazione spontanea.
Oggi conosciamo il suo esperimento con il nome di “fermentazione a collo di cigno”. Pasteur riempì un recipiente con il collo ricurvo (come il collo di un cigno, appunto) con un liquido inorganico sterilizzato, che fortunatamente aveva un pH abbastanza acido da rimanere sterile durante l’esperimento (alcuni dei recipienti che preparò sono tuttora sterili).
L’aria poteva entrare, ma il collo di cigno tratteneva qualsiasi particella di polvere che trasportava lievito e batteri. Siccome la polvere non poteva raggiungere il liquido, non poteva esserci fermentazione. Se l’aria fosse stata l’unico elemento necessario per la fermentazione, questa si sarebbe verificata comunque, ma così non avvenne. Solo una volta inclinato il recipiente, il liquido poteva entrare nel collo, inglobando batteri e lievito e avviando la fermentazione.
Questa fu una scoperta controversa, e Pasteur passò i quindici anni successivi a condurre esperimenti per provarne alcuni aspetti. Lavorò anche con zuccheri diversi, come quelli della frutta. Nel 1879, quando la sua teoria era ormai collaudata, Pasteur scrisse, a proposito della fermentazione alcolica e del lievito: “… non dobbiamo più dire ‘pensiamo’, ma, invece, ‘affermiamo’ che è corretto”.
La scoperta di Pasteur fu importante per molte ragioni, oltre al valore accademico. Una volta che si conosce la causa di un processo, è possibile controllarlo al meglio: la produzione di birra si trasformò, passando dall’essere qualcosa di magico, sul quale il birraio aveva poco controllo, a qualcosa che si poteva controllare semplicemente conoscendo il lievito.
Pasteur comprese subito l’azione del lievito, e teorizzò anche che i batteri e altri lieviti fossero la causa dei retrogusti sgradevoli. Dopotutto, l’obiettivo del suo lavoro originale era scoprire come evitare la “malattia della birra”.
Alcuni produttori adottarono le sue idee e cominciarono a pulire le loro colture di lieviti e i loro birrifici. Uno di questi fu Carlsberg, in Danimarca. I laboratori della Carlsberg, sotto la direzione di Elim Christian Hansen, isolarono il primo ceppo di lievito lager e lo misero a disposizione del mondo brassicolo il 12 novembre 1883. Il nome scientifico era Saccharomyces.
carlsbergensis o Saccharomyces uvarum (ora chiamato S. pastorianus), ma la maggior parte dei birrai lo chiamava “lievito lager.” Hansen fu anche il primo a sviluppare tecniche di coltura pura, che utilizziamo ancora oggi nei laboratori di microbiologia. Furono queste tecniche a permettere ai laboratori Carlsberg di isolare la coltura pura di lievito lager. Hansen non solo fu in grado di far crescere questo nuovo lievito lager nella sua forma pura, ma riuscì anche a conservarlo per lunghi periodi in una combinazione di mosto e gelatina naturale (agar). L’isolamento di colture pure, insieme alla lunga conservazione, permise ai birrai di trasportare il lievito lager in tutto il mondo e, poco dopo, la produzione di birra lager sorpassò ovunque quella di birra ale.
Perché la birra lager divenne così famosa? Al tempo in cui Hansen isolò il lievito lager, la maggior parte delle fermentazioni di ale conteneva ancora lieviti selvaggi e batteri. La birra che ne risultava, anche se in un primo momento era accettabile, si conservava per poco tempo prima di scadere. Per molte persone, a meno che non lavorassero in un birrificio, la prima birra con un sapore pulito fu probabilmente una lager. La birra lager era inoltre fermentata al freddo, che reprimeva la crescita di lievito selvaggio e batteri. Per questo la birra lager durava più a lungo, il che portò a un’area di distribuzione più ampia e vendite maggiori. È possibile che molti birrifici siano passati alla produzione di lager perché la vedevano come un’opportunità per aumentare le vendite. Oggi, con le tecniche moderne di colture pure e le buone pratiche di igiene, la birra ale è anch’essa priva di contaminazioni, ma il mercato di massa della birra lager continua a prosperare. Sarà dovuto a una strategia di marketing oppure il suo sapore è più gradevole per i palati moderni?
PERCHÉ LA FERMENTAZIONE È COSÌ IMPORTANTE
È possibile pensare al processo di birrificazione come diviso in due fasi: calda e fredda. La fase calda comprende il procedimento di cottura, che avviene nella sala di cottura del birrificio; essa comincia dal momento in cui si progetta la ricetta, si macinano i grani, si fa ammostare e bollire il mosto e i luppoli. Il prodotto della fase calda, il mosto luppolato, fornisce il cibo per il lievito nella seconda parte, la fase fredda.
La fase fredda inizia nel momento in cui il birraio raffredda il mosto, aggiunge il lievito e avvia la fermentazione. In base alla ricetta, il lievito metabolizzerà circa il 50-80% dell’estratto di mosto, mentre il resto sarà composto da proteine, destrine e altre sostanze non metabolizzate. Il lavoro di Karl Balling ha mostrato che il lievito converte il 46,3% dell’estratto in anidride carbonica, il 48,4% in etanolo e il 5,3% in nuovo lievito (De Clerck, 1957). Anche se la somma di queste cifre dà il 100%, viene ignorato un aspetto molto importante della fermentazione: durante la metabolizzazione dell’estratto, le cellule di lievito producono anche centinaia di altri composti che, nonostante siano presenti in quantità molto piccole (la loro somma totale ammonta a meno dell’1% della massa dell’estratto metabolizzato), contribuiscono enormemente al gusto e all’essenza della birra. I tipi e le quantità di tali composti di sapore non sono per nulla costanti e possono variare enormemente a seconda della salute del lievito, del suo tasso di crescita, della sanitizzazione e di altri fattori.
I birrai possono facilmente evitare o correggere molti dei problemi che sorgono durante la fase fredda del processo producendo mosto in modo igienico e creando un ambiente ottimale per il lievito. Con la padronanza della fase fredda, abbiamo maggiore controllo sui sapori, gli aromi, l’aspetto e le consistenze della nostra birra. Il fulcro di questo libro è proprio la fase fredda, e come il birraio la può controllare.
MIGLIORARE LA QUALITÀ DELLA FERMENTAZIONE
Quindi, se la fermentazione è così importante, cosa possiamo fare per migliorarla? Il primo passo consiste nel rendersi conto di quando c’è un problema con il lievito. Un gatto può urlare quando è affamato o ferito, mentre il lievito non può; eppure, possiamo identificare molte delle sue grida d’aiuto usando la vista, l’udito, il gusto, l’olfatto, il sentimento: già, bisogna conoscerlo in tutti i modi possibili. Diventate uomini che sussurrano al lievito, se potete. Cominciate imparando come esso si comporta quando la birra ha un ottimo sapore, prendete nota sullo svolgimento della fermentazione e misurate quante più variabili potete, prelevate del lievito dal fermentatore in momenti diversi e ispezionatelo; una volta che saprete come si comporta, state attenti a qualsiasi variazione di attenuazione, ai retrogusti sgradevoli, a una fermentazione fiacca e ai cambiamenti nella flocculazione. Dedicate una zona del birrificio o di casa al vostro laboratorio. Con pochi e semplici strumenti, potrete imparare molto di più con test di fermentazione forzata e piastre di mutazione.
Dovrete abituarvi a contare le cellule o, perlomeno, a misurare il volume o il peso del lievito che usate ogni volta che producete birra. Misurate anche regolarmente la carica vitale delle cellule: utilizzare ogni volta lo stesso numero di cellule con la stessa carica vitale è importante per produrre sempre la stessa birra.
Anche il ceppo di lievito utilizzato è fondamentale per tutto ciò che è relativo alla fermentazione. Come le persone, ogni ceppo ha una personalità distinta: infatti, le generazioni successive di una stessa famiglia di lievito avranno le loro caratteristiche uniche, che siano correlate alla temperatura di fermentazione, alla necessità di ossigeno o al livello di attenuazione. In fin dei conti, forse il fattore più importante per una buona fermentazione è evitare che una contaminazione entri in competizione con il lievito.
Tutto ciò non può avvenire nella fase calda, se non durante la bollitura: una possibile contaminazione può avvenire solo nella fase fredda. Pertanto, se riuscite a controllare tale momento con tassi di inoculo costanti, se comprendete il comportamento del vostro lievito, e se tenete il tutto pulito, allora sarà probabile che la fase fredda abbia successo e che ne risulti una birra fantastica.
LE BASI DI UNA BUONA FERMENTAZIONE
Ma cosa succede esattamente durante la fermentazione? Quando il lievito fermenta una soluzione, avviene una trasformazione da una sostanza zuccherina a una sostanza alcolica, con il beneficio aggiunto di un pH più basso e di composti di sapore vitali per la birra. Un pH basso dà ai prodotti fermentati una ulteriore protezione da batteri dannosi, e i composti di sapore (esteri, alcoli ad alto peso molecolare, composti sulfurei e molti altri) conferiscono alla birra le sue particolari caratteristiche di gusto. Se aggiungeste semplicemente etanolo puro al mosto o al succo d’uva, questo non saprebbe di birra o vino, perché mancherebbero quei sottoprodotti fondamentali della fermentazione.
Che cosa è necessario perché avvenga la fermentazione? Molti libri descrivono nel dettaglio la biochimica della cellula di lievito, ma questo non è un libro di biologia sul lievito. Per un birraio, una buona fermentazione riguarda più quello che bisogna fare e quale attrezzatura bisogna avere piuttosto che sapere cosa accade all’interno della cellula. Perché la fermentazione avvenga, non ci vuole molto oltre al lievito e a un liquido zuccherino. Tuttavia, perché la fermentazione lavori bene e raggiunga i sapori, gli aromi e le sensazioni boccali che vogliamo, è necessario avere zuccheri giusti, lievito sano, sostanze nutritive, temperature controllate e strumenti per monitorare il progresso della fermentazione; in breve, abbiamo bisogno di una fermentazione controllata.
LIEVITO
La parte più importante della fermentazione è il lievito. Il lievito converte lo zucchero in alcol, anidride carbonica e altri componenti che influenzano il gusto di cibi e bevande fermentati. D’altronde, lo scopo del lievito è di creare energia e avere materiale per la riproduzione, non certo aiutarvi a produrre ottima birra.
Di che tipo di lievito abbiamo bisogno? Be’, questa è la parte interessante. Molti lieviti possono convertire lo zucchero in alcol, ma dovrete utilizzare un ceppo che crei il sapore migliore per la vostra birra. A volte è la storia a selezionare i lieviti. Potrebbe trattarsi di un ceppo di lievito utilizzato per produrre birra da cent’anni, oppure potrebbe essere un ceppo specificato in una ricetta per accuratezza stilistica. Se siete abbastanza flessibili e autonomi per scegliere, potreste fare le vostre ricerche sul ceppo migliore da utilizzare o farvi consigliare da un fornitore o da un collega birraio.
Indipendentemente dal ceppo che selezionate, questo dovrà essere in buona salute e inoculato in quantità corretta per una fermentazione ottimale. Se acquistate il lievito da un laboratorio, di solito è garantito un certo livello di purezza ed è possibile prenderne la quantità necessaria da inoculare direttamente nel mosto. Se ne acquistate una quantità minore o se state facendo crescere il vostro lievito personale in provetta o su una piastra di Petri, fate attenzione alla carica vitale e alla purezza della coltura di lievito lungo tutto il processo.
ZUCCHERO
Il lievito si nutre degli zuccheri per creare alcol, ma le differenti fonti di zucchero e la loro complessità avranno come risultato condizioni diverse di fermentazione. La maggior parte dei birrai sa che il tipo di zuccheri creati nel mash, presenti nell’estratto di malto o aggiunti al fermentatore influisce sulla fermentabilità del mosto. In generale, gli zuccheri semplici sono più fermentabili degli zuccheri complessi, formati da lunghe catene. Una cosa che pochi sanno è che il tipo di zuccheri presenti può influenzare anche i sapori durante la fermentazione. Per esempio, la fermentazione di mosto con alto livello di glucosio produce birre con concentrazioni di esteri superiori al normale (in particolare etile acetato, che sa di adesivo o solvente, e acetato di isoamile, che sa di banana). Al contrario, un mosto con alti livelli di maltosio dà come risultato una concentrazione minore di tali esteri. Maggiore è la densità iniziale, più pronunciato risulta questo effetto.
Anche la fonte degli zuccheri può influenzare la fermentazione, attraverso i diversi nutrienti e precursori aromatici tipici di ogni fonte: nonostante la più comune, per quanto riguarda la birra, sia l’orzo maltato, i birrai di tutto il mondo utilizzano molti amidi diversi. Per esempio, il sorgo è molto popolare in Africa, e sta prendendo piede in Nord America come ingrediente alternativo per i consumatori con allergie al frumento. I birrai utilizzano inoltre frumento, mais, riso, e zuccheri e sciroppi pretrattati.
Dall’aggiunta al mash di un amido diverso, come riso o mais, derivano gli stessi tipi di zuccheri (per la maggior parte maltosio), poiché gli stessi enzimi del malto che convertono l’orzo maltato convertiranno anche gli amidi aggiunti. Il problema nell’utilizzare grandi quantità di malto non d’orzo è che l’amido aggiunto spesso non contiene le stesse sostanze nutritive e gli stessi precursori aromatici, influenzando così la fermentazione e il sapore della birra.
OSSIGENO
L’ossigeno è un fattore fondamentale per la crescita del lievito, ed è spesso il fattore limitante. I lieviti utilizzano l’ossigeno per la sintesi dello sterolo, usato per mantenere flessibili le pareti cellulari, importanti per la crescita e, in generale, per la salute della cellula. Prima della fermentazione è necessario ossigenare il mosto raffreddato per promuovere la crescita del lievito. Consideriamo 8-10 ppm di ossigeno come il livello minimo, ma la quantità di ossigeno necessaria varia a seconda dei diversi ceppi di lievito e di altri fattori, come la densità specifica. Le birre con più richiesta di lievito, come le lager e le birre ad alta densità, tendono ad avere bisogno di più ossigeno.
Contrariamente a quello che credono molti birrai, è possibile sovraossigenare il mosto utilizzando ossigeno puro, ma bisogna prestare attenzione: con troppo ossigeno potrebbe verificarsi una crescita fuori misura che causerebbe una sovrabbondanza di sottoprodotti della fermentazione, il cui risultato è un carattere di fermentazione tutt’altro che ideale.
SOSTANZE NUTRITIVE
Le cellule di lievito hanno bisogno di tutte le vitamine e i minerali essenziali possibili per poter arrivare ben nutrite alla fine della fermentazione e per essere pronte poi a lavorare di nuovo, più o meno allo stesso modo degli umani.
Un mosto di solo malto è una fonte eccellente di azoto, minerali e vitamine: fornisce la maggior parte delle vitamine di cui il lievito ha bisogno per una buona fermentazione, come riboflavina, inositolo e biotina. Inoltre, il lievito necessita anche di alcuni minerali fondamentali, come fosforo, zolfo, rame, ferro, zinco, potassio, calcio e sodio. Man mano che le cellule di lievito assorbono minerali e vitamine dal mosto, esse cominciano a produrre gli enzimi necessari alla crescita e alla fermentazione. È possibile migliorare facilmente la salute e l’efficienza del lievito assicurandosi che abbia il giusto livello di sostanze nutritive. Questo è importante per la salute costante del lievito, specialmente se volete riutilizzarlo. In commercio esistono diversi integratori nutrizionali che permettono di assicurarsi che il mosto contenga i giusti minerali e le giuste vitamine per la salute del lievito.
SISTEMI DI FERMENTAZIONE
Sistemi di fermentazione diversi danno risultati ampiamente differenti. Tradizionalmente i birrai utilizzavano grandi tini di fermentazione aperti che presentavano diversi vantaggi: per esempio, i birrai avevano la possibilità di far crescere moltissime generazioni di lievito semplicemente rimuovendolo con un mestolo dalla superficie. Questi contenitori sono tuttora molto popolari in Inghilterra. Molti anni fa i birrai erano soliti fermentare le birre con una combinazione di lievito nativo e lievito per birrificazione, riutilizzato di cotta in cotta; è possibile ritrovare ancora oggi questi tipi di birra, sebbene la maggior parte delle birre moderne sia prodotta con ceppi singoli.
Tuttavia, questi grandi tini di fermentazione aperti presentano anche una serie di problemi: la pulizia è difficoltosa e non sono così igienici come i moderni fermentatori chiusi. Oggi la maggior parte dei birrai utilizza tini di fermentazione con fondo conico, che presentano vantaggi e svantaggi: sono facili da pulire senza dover essere smontati e permettono di avere un eccellente controllo della temperatura, ma, se sono molto alti, possono stressare ulteriormente il lievito, aumentando la pressione dei gas nella soluzione e influenzando l’attività del lievito e il gusto della birra. Gli homebrewer hanno il vantaggio della libertà temporale ed economica, e quindi possono utilizzare qualsiasi cosa, dai fermentatori aperti a piccole versioni dei fermentatori cilindro-conici disponibili in commercio.
CONTROLLO DELLA TEMPERATURA
Il controllo della temperatura è essenziale per produrre birra di alta qualità dal sapore costante; questo è molto più importante della differenza tra fermentatori conici in acciaio inox e secchi di plastica. Uno dei concetti fondamentali che dovreste ricordare leggendo questo libro è l’importanza della temperatura di fermentazione per la qualità della birra: quando c’è un problema, e non si tratta di contaminazione, la prima cosa da controllare è la temperatura della birra durante tutte le fasi della fermentazione, a partire dall’inoculo del lievito fino all’ultima maturazione (rifermentazione). Temperature troppo alte o basse all’inizio della fermentazione causano la produzione di molti precursori aromatici sgradevoli. La temperatura influenza inoltre la capacità del lievito di ridurre molti composti di sapore sgradevoli alla fine della fermentazione. Sbalzi di temperatura ampi e non controllati danno scarsi risultati, specialmente se i lotti di produzione sono piccoli. Tanto più piccola è la cotta, quanto più rapidamente subirà le conseguenze dei cambiamenti di temperatura dell’ambiente.
MONITORAGGIO DELLA FERMENTAZIONE
Gli attrezzi e i metodi di monitoraggio della fermentazione possono variare molto in termini di costi e complessità. Un birraio può ottenere un ottimo risultato con il semplice potere dell’osservazione, un termometro e qualche test manuale di base. I birrifici commerciali più grandi, al contrario, investono spesso in sofisticati sistemi per esami computerizzati.
Le misurazioni più importanti durante la fermentazione (in ordine di importanza) sono temperatura, densità specifica, pH, ossigeno e anidride carbonica. È importante sottolineare la necessità di misurazioni regolari e del controllo del progresso della fermentazione. Dovreste tenere dei registri, e una parte di ogni registro dovrebbe includere note dettagliate su quanto lievito è stato inoculato, la sua fonte, la sua carica vitale, la densità e il pH della birra, il volume della birra, le temperature e i progressi giornalieri. È solo attraverso la rigorosa attenzione alla fermentazione che individuerete i problemi nella fase iniziale, forse risparmiandovi delle perdite considerevoli di prodotto.
BIOLOGIA DEL LIEVITO
Abbiamo detto che questo non è un libro di biologia, ma è anche vero che è necessario studiare un po’ la materia per lavorare al meglio con questo piccolo organismo. I tassonomisti hanno classificato il lievito come facente parte del regno dei funghi. Gli altri regni comprendono batteri, animali e piante. La maggior parte degli organismi nel regno dei funghi, come le muffe e i funghi, è multicellulare, ma il lievito è un organismo unicellulare. Questo significa che il lievito non possiede quelle forme di protezione tipiche degli organismi multicellulari, come per esempio la pelle. Nonostante ciò, questi piccoli organismi unicellulari sono sorprendentemente resistenti e compensano la carenza di protezione con le numerose popolazioni e la rapida riproduzione. Una singola cellula di lievito ha una dimensione di circa 5-10 micron e una forma rotonda o ovoidale. Una cellula di lievito è dieci volte più grande di un batterio, ma è comunque troppo piccola per essere vista a occhio nudo. Una piccola colonia visibile su una piastra di Petri contiene almeno 1 milione di cellule.
Esistono più di 500 specie di lievito, e all’interno di ogni specie ci sono migliaia di ceppi di lievito differenti. Lo si trova ovunque: nel suolo, sugli insetti e i crostacei, sugli animali e sulle piante. All’inizio, i tassonomisti lo avevano classificato sotto il regno vegetale. Pensate a qualsiasi frutto maturo vi venga in mente: potete star certi che il lievito è su tutta la sua superficie. Il lievito può viaggiare nella polvere, trasportato dalle correnti d’aria, per poi posarsi su quasi ogni superficie, alla ricerca di zuccheri da fermentare per moltiplicarsi. Guardate la luce del sole che filtra dalle finestre del birrificio. Vedete le particelle di polvere? Ci sono buone possibilità che trasportino lievito nativo e batteri che non vedono l’ora di atterrare nella vostra birra. La maggior parte dei birrai non vuole lievito nativo nella birra, e lo chiama lievito selvaggio. Ma cosa succede se un altro ceppo di lievito finisce accidentalmente nella birra? Consideriamo lievito selvaggio qualsiasi lievito che non sia sotto il controllo del birraio, e utilizzeremo tale definizione da qui in avanti. Tuttavia, in generale, quando si parla di lievito selvaggio ci si riferisce a ceppi che non appartengono ai lieviti per birra.
I birrai, i viticoltori e i distillatori utilizzano alcune specie molto specifiche di lievito per i loro prodotti. Il genere del lievito per la produzione di birra è Saccharomyces, una parola derivata dal greco latinizzato che significa “fungo dello zucchero”. Esistono due specie principali di lievito per birra: S. cerevisiae (lievito ale) e S. pastorianus (lievito lager). I tassonomisti sono incerti sul fatto che S. pastorianus sia un membro della specie S. cerevisiae o se sia una specie a parte. Al momento li considerano come specie separate, in accordo con quanto sostiene il mondo brassicolo. Il lievito lager ha avuto altri nomi in passato, per esempio S. uvarum e S. carlsbergensis. I viticoltori usano per lo più S. cerevisiae o S. bayanus, ed è interessante notare come il lievito lager sembri essersi evoluto grazie alla rara ibridazione di queste due specie (Casey, 1990).
GENETICA DI S. CEREVISIAE
Il compito di un gene è di codificare una proteina, e il lievito ha circa 6.000 geni. Lo sappiamo perché il lievito è stato il primo organismo eucariote di cui è stato sequenziato l’intero genoma da parte di una comunità scientifica internazionale, nel 1996. I geni sono parti dei cromosomi, e il lievito possiede sedici cromosomi diversi. Per darvi un’idea, i batteri hanno un solo cromosoma, mentre le cellule degli esseri umani ne hanno ventitré. Generalmente, le cellule del lievito e quelle degli esseri umani sono diploidi, il che significa che contengono due copie di ogni cromosoma; al contrario, le cellule aploidi contengono solo una copia singola di ogni cromosoma.
In natura il lievito è solitamente diploide e contiene trentadue cromosomi, due copie per ognuno dei sedici diversi cromosomi. Il lievito forma delle spore, che sono una parte fondamentale del suo ciclo di accoppiamento. L’accoppiamento tra cellule di lievito selvaggio porta a cambiamenti evolutivi ed è ottimo per la salute e la diversità del lievito. Tuttavia, come birrai, dal lievito vogliamo costanza, non diversità o rapidi cambiamenti genetici. Fortunatamente per noi, i birrai del passato hanno lavorato diligentemente, selezionando e riutilizzando il lievito fino al punto in cui il lievito per birra ha perso la capacità di formare spore e, di conseguenza, la capacità di accoppiarsi. Questo ha seriamente limitato qualsiasi cambiamento evolutivo, e oggi i birrai possono contare sul fatto che il lievito sia costante di cotta in cotta. Inoltre, il lievito per birra ha sviluppato più di due copie di ogni gene, un evento conosciuto come poliploidia. Sebbene le copie di un cromosoma non siano necessariamente isogeniche (identiche), la bellezza della poliploidia sta nel fatto che la mutazione di un gene non inabilita la cellula; il lievito ha copie multiple del gene ed è quindi in grado di produrre la proteina necessaria. La poliploidia del lievito per birra è forse il risultato della pressione evolutiva applicata dai birrai selezionando per la riutilizzazione esclusivamente il lievito che si fosse comportato come la cotta precedente.
La genetica del lievito determina se una data cellula è di lievito ale o lager. La genetica inoltre determina qualsiasi altra caratteristica della cellula. Nonostante conosciamo la sequenza del DNA (acido desossiribonucleico) di S. cerevisiae, non sappiamo ancora quale sia la funzione di ogni singolo gene. Il fenotipo del lievito è determinato da piccole differenze nell’espressione del genotipo e nell’ambiente. Con fenotipo si indica l’insieme delle caratteristiche della cellula: quali zuccheri mangia, cosa produce, qual è il suo fabbisogno in termini di ossigeno e sostanze nutritive. Gli scienziati stanno cercando di scoprire quali geni siano attivi in un dato momento ma, finora, le scoperte sono state di scarso aiuto per i birrai. Oggi essi si affidano ancora alle stesse tecniche dei produttori del passato: osservando come si comporta il lievito durante la fermentazione (fenotipo), ne determinano l’identità, la condizione, l’efficienza e la purezza.
STRUTTURA CELLULARE DEL LIEVITO
Parete cellulare. La parete cellulare è una barriera spessa, composta per lo più da carboidrati, che circonda la cellula. La parete cellulare del lievito è paragonabile a un cesto di vimini che protegge il suo contenuto: polisaccaridi, proteine e lipidi costituiscono fino al 30% del peso secco della cellula. Circa il 10% delle proteine è nella parete cellulare. Questa è formata da tre strati: quello interno è uno strato di chitina, composto principalmente da glucani, lo strato esterno è per lo più fatto di mannoproteine, mentre lo strato intermedio è un misto degli altri due (Smart, 2000).
Quando una cellula di lievito si clona e produce una nuova cellula figlia, crea una cicatrice permanente nella parete cellulare, chiamata cicatrice della gemma, composta principalmente da chitina, lo stesso materiale trovato negli esoscheletri degli insetti (Boulton e Quain, 2001). A volte le cicatrici delle gemme sono visibili al microscopio ottico. Durante un singolo ciclo di fermentazione, il lievito per birra si moltiplica solo qualche volta, ma in laboratorio può arrivare a cinquanta volte. Generalmente, una cellula media di lievito ale non si riproduce più di trenta volte nel corso della sua vita (in cicli di fermentazione multipli), mentre il lievito lager si riproduce solo venti volte prima di non esserne più in grado.

Membrana plasmatica. La membrana plasmatica, o membrana cellulare, è un doppio strato tra la parete cellulare e l’interno della cellula. Questa membrana semipermeabile determina cosa entra e cosa esce dalla cellula, fornendo un’ulteriore protezione dall’ambiente. Lipidi, steroli e proteine costituiscono la membrana e le conferiscono fluidità, flessibilità e la capacità di riprodursi per formare una nuova cellula figlia.
Il lievito necessita di ossigeno molecolare per formare doppi legami negli acidi grassi e per controllare il loro livello di saturazione, il quale determina la facilità e la misura in cui il legame a idrogeno si verifica tra gli acidi grassi e determina il loro punto di fusione. Nei lipidi, il livello di saturazione controlla la misura in cui il legame a idrogeno può verificarsi tra le code idrofobe dei lipidi.
È necessario che la membrana sia fluida per assicurarne la giusta funzionalità. I doppi strati lipidici sono per loro natura fluidi: tale fluidità è determinata dalla misura in cui i lipidi si legano l’uno all’altro. Controllando il livello di saturazione nelle loro membrane lipidiche, i lieviti sono in grado di mantenere la giusta fluidità nella membrana a temperature diverse, come la temperatura di fermentazione voluta dal birraio. Senza la giusta aerazione, il lievito non riesce a controllare la fluidità della membrana fino alla fine della fermentazione, il che porta a fermentazioni bloccate e ad aromi sgradevoli.

Citoplasma. Accadono tante cose nel citoplasma, termine con cui si definisce tutto quello che si trova all’interno della membrana plasmatica a eccezione del nucleo. Il fluido intracellulare, conosciuto come citosol, è un complesso insieme di sostanze dissolte in acqua. Inoltre, il citosol contiene gli enzimi coinvolti nella fermentazione anaerobica, che permettono alla cellula di convertire il glucosio in energia non appena esso entra nella cellula. Alcuni organuli specializzati, come i vacuoli, contengono proteasi, enzimi che rompono lunghe catene di proteine in piccoli frammenti e, in alcuni casi, scindono aminoacidi necessari. Nel citoplasma il lievito conserva inoltre il glicogeno, un carboidrato che funziona come riserva di energia. Con l’aiuto di un microscopio ottico e del metodo di colorazione con iodio, un birraio può vedere il glicogeno immagazzinato (Quain e Tubb, 1983).
Mitocondri. La respirazione aerobica ha luogo nei mitocondri. Questi organuli hanno una doppia membrana, nella quale si verifica la conversione del piruvato (un composto del metabolismo) in anidride carbonica e acqua (respirazione aerobica). I mitocondri sono presenti nel lievito per birra anche se, durante la fermentazione, esso non effettua praticamente alcuna respirazione aerobica. Inoltre, i mitocondri sono importanti per la salute cellulare: contengono una piccola quantità di DNA con i codici per la produzione di alcune proteine. La cellula vi produce alcuni steroli, e inoltre nei mitocondri si verifica la formazione e l’utilizzo dell’acetil-CoA, un composto intermedio di molte vie metaboliche. I mutanti petite, cellule prive di mitocondri, spesso creano aromi sgradevoli come fenoli e diacetile (vedi pagg. 203-205).
Vacuolo. Il vacuolo è una struttura delimitata da una membrana che immagazzina le sostanze nutritive. Qui, inoltre, la cellula scinde le proteine. Il lievito per birra ha vacuoli grandi a sufficienza da essere visibili al microscopio ottico. Tuttavia, vacuoli insolitamente grandi sono segno di stress.
Nucleo. Il nucleo contiene il DNA della cellula ed è circondato da una membrana lipidica, simile alla membrana plasmatica. Le cellule eucariote, come quelle del lievito e degli esseri umani, utilizzano questo organulo come “centro nervoso”. Il DNA nel nucleo contiene le informazioni per la cellula, trasferite tramite l’mRNA nel citoplasma per essere utilizzate durante la sintesi delle proteine.
Reticolo endoplasmatico. Il reticolo endoplasmatico è una rete di membrane sulla quale generalmente la cellula fabbrica proteine, lipidi e carboidrati. Nelle cellule del lievito per birra il reticolo endoplasmatico è molto piccolo.
METABOLISMO
Le singole cellule di lievito non crescono molto durante la loro vita. Tuttavia, diventano un po’ più grandi man mano che invecchiano. In genere, quando parliamo di crescita del lievito, ci riferiamo al processo di nascita di nuove cellule. Quando diciamo che il lievito sta crescendo, intendiamo dire che la popolazione di lievito sta aumentando il suo numero. Il lievito può ottenere energia e sostanze nutritive per la crescita in modi diversi, anche se alcuni sono più semplici e danno più benefici rispetto ad altri.
Al momento dell’inoculo nel mosto, per prima cosa le cellule utilizzano le loro riserve di glicogeno e tutto l’ossigeno disponibile per rivitalizzare le loro membrane cellulari affinché offrano la migliore permeabilità e il passaggio ottimale di sostanze nutritive e zuccheri. Le cellule assorbono rapidamente ossigeno e poi iniziano ad assimilare zucchero e sostanze nutritive dal mosto. Alcuni di questi composti si propagano facilmente attraverso la membrana cellulare, mentre altri necessitano di meccanismi di trasporto. Poiché il lievito utilizza più facilmente alcuni zuccheri rispetto ad altri, esso assimila lo zucchero in un ordine specifico, partendo dagli zuccheri più semplici: glucosio, fruttosio, saccarosio, maltosio e poi maltotriosio. La maggior parte dello zucchero in un tipico mosto di solo malto è il maltosio, con quantità minori di glucosio e maltotriosio. Il lievito fa entrare il glucosio nella cellula per diffusione facilitata, senza consumare alcuna energia metabolica. È talmente semplice per il lievito utilizzare glucosio che la presenza di questo zucchero sopprime la capacità del lievito di utilizzare maltosio e maltotriosio. Tutti i lieviti per birra possono utilizzare il maltosio, ma non tutti possono utilizzare il maltotriosio nella stessa misura. La capacità di usare zuccheri diversi, le proporzioni relative di zuccheri nel mosto e le sostanze nutritive presenti nel mosto determinano gran parte del metabolismo del lievito, che a sua volta determina la velocità di fermentazione e il grado di attuazione.
L’assorbimento di ossigeno avviene rapidamente, poiché il lievito in genere esaurisce i livelli di ossigeno del mosto entro 30 minuti dall’inoculo. In natura, il lievito su un mucchio di frutta che sta marcendo ha molto ossigeno da utilizzare per consumare lo zucchero. Questa è chiamata crescita aerobica, ed è il modo più efficace in cui un organismo ottiene la maggior quantità di energia da una singola molecola. Tuttavia, a volte, in ambienti particolari l’ossigeno è limitato: il consumo di zucchero in un ambiente privo di ossigeno porta alla cosiddetta crescita anaerobica. Louis Pasteur ha coniato il termine “fermentazione anaerobica” negli anni Sessanta dell’Ottocento per descrivere la capacità del lievito di crescere anche in mancanza di ossigeno.
ALCOL
Una delle cose più importanti che il lievito fa per le bevande fermentate è produrre alcol. Che birrifici e viticoltori lo ammettano o no, senza alcol e i suoi effetti sugli esseri umani, la birra e il vino sarebbero solo bevande legate alla cultura regionale, come la malta, una bevanda analcolica a base di malto consumata nella zona dei Caraibi. In tutto il mondo, le persone consumano bevande alcoliche in grandi quantità proprio perché contengono alcol. L’equazione generale che descrive la conversione di zucchero in etanolo operata dal lievito è la seguente:
Glucosio + 2 ADP + 2 fosfato → 2 etanolo + 2 CO2 + 2 ATP
L’equazione è composta da numerosi passaggi, ma è possibile dividerla in due parti principali: da glucosio a piruvato e da piruvato a etanolo. La prima parte consiste nella scissione di una molecola di glucosio in due molecole di piruvato, con la seguente reazione:
Glucosio + 2 ADP + 2 NAD+ + 2 PI → 2 Piruvato + 2 ATP + 2 NADH + 2 H+
Questo accade all’interno della cellula, nel fluido intracellulare chiamato citosol. Gli enzimi al suo interno catalizzano questa reazione e le altre reazioni metaboliche che seguono. Non tutto il piruvato diventa etanolo; esistono due possibili direzioni: entra in un mitocondrio e viene scisso in CO2 e acqua (respirazione aerobica), oppure resta nel citosol, dove la cellula lo converte prima in acetaldeide e successivamente in etanolo.
Quale direzione preferireste, acqua o etanolo? Be’, il lievito non vorrebbe produrre etanolo, lo fa solo in condizioni speciali, come alti livelli di zuccheri o livelli molto bassi di ossigeno. Il lievito ottiene più energia dalla conversione del piruvato in acqua e CO2 in presenza di ossigeno; per far sì che il lievito produca alcol, abbiamo bisogno della fermentazione anaerobica. La ragione principale per la quale le cellule di lievito preferiscono la respirazione aerobica è che essa permette loro di ottenere il massimo dell’energia da una molecola di glucosio. Durante la fermentazione anaerobica, quando produce etanolo, il lievito ottiene solo l’8% di tale energia da ogni molecola di glucosio. Ecco perché una coltura di lievito è in grado di produrre più cellule figlie in presenza di ossigeno. Ma allora, perché il lievito produce etanolo, se è così poco efficiente? Perché la capacità di produrre etanolo fornisce un metodo di sopravvivenza in un ulteriore ambiente, quello anaerobico.
Il lievito si affida al coenzima nicotinammide adenina dinucleotide (NAD+ e NADH) per le reazioni di ossidoriduzione (dove il nicotinammide adenina dinucleotide prende o cede elettroni) e come substrato enzimatico. Il lievito utilizza NAD+ nella scissione iniziale del glucosio. In presenza di ossigeno, a questo punto, il piruvato va nei mitocondri, dove entra nel ciclo di Krebs, che produce un composto ricco di energia chiamato adenosintrifosfato (ATP). L’ATP è importante per la cellula, poiché le fornisce l’energia necessaria alla sintesi proteica e alla replicazione del DNA, che è fondamentale per la crescita della popolazione. Se la cellula non ha ossigeno, il piruvato non entra nel ciclo di Krebs, accumulandosi senza produrre energia (sotto forma di ATP) e senza NAD+. Per la verità, tale sequenza è formata da molte fasi, ma la conclusione è che senza NAD+ non è possibile creare piruvato e ATP. Il lievito deve “riprendersi il NAD+” quando non c’è ossigeno, e lo fa nel modo seguente.

Figura 2.5: Enzima piruvato decarbossilasi.

Figura 2.6: Enzima alcol deidrogenasi.

Una reazione in due fasi di piruvato in etanolo genera il NAD+ necessario.
Anche se il lievito non è proprio contento di produrre etanolo, ci riesce, seppur lentamente. Man mano che il lievito produce etanolo, questo si diffonde fuori dalla cellula, probabilmente per un meccanismo di difesa. Infatti l’etanolo è tossico per molti organismi e, man mano che il livello alcolico si alza, esso diventa tossico anche per il lievito stesso. Migliore è la salute del lievito, più quest’ultimo è in grado di tollerare l’alcol e terminare la fermentazione.

Figura 2.7: La scissione del piruvato in acido lattico.

Questo cambiamento nella direzione di conversione del glucosio in condizioni che limitano l’ossigeno è molto simile a ciò che succede alle cellule degli esseri umani in mancanza d’ossigeno: durante un esercizio fisico pesante, l’ossigeno limita l’attività delle cellule muscolari, che hanno bisogno di energia per restare vive e necessitano di rigenerare il NAD+. Quindi, in condizioni di scarsità di ossigeno, esse scindono il piruvato in acido lattico in una fase sola. Catalizzate dall’enzima lattato deidrogenasi, le cellule sono in grado di generare il NAD+ di cui hanno bisogno. L’unica ragione per la quale i nostri muscoli non producono etanolo è che alle nostre cellule manca l’enzima piruvato deidrogenasi.
Esiste un altro metodo per il quale il lievito fermenta in ambiente anaerobico e produce etanolo: l’effetto Crabtree, che è molto importante per la birrificazione. Se c’è una concentrazione abbastanza alta di glucosio, anche in presenza di ossigeno, il lievito produrrà etanolo (fermentazione anaerobica). Il mosto della birra contiene sempre più glucosio rispetto allo 0,4% richiesto per l’effetto Crabtree, quindi la fermentazione produce sempre alcol, anche in presenza di ossigeno. Il fatto è che la concentrazione di enzimi glicolitici è così alta che durante la fermentazione del mosto il lievito produce ATP molto più velocemente con la sola glicolisi che con la fosforilazione ossidativa. Il problema dell’ossigenazione durante la fermentazione non è la perdita di etanolo, ma piuttosto l’attivazione di vie metaboliche che producono sapori sgradevoli. Per esempio, le birre fermentate esposte all’ossigeno hanno concentrazioni maggiori di acetaldeide, dovuta all’ossidazione dell’etanolo in aldeide acetica.
FLOCCULAZIONE
La flocculazione è l’abilità quasi magica del lievito di agglomerarsi. Si tratta di una caratteristica importante e gradita, unica del lievito per birra, che gli permette di risalire nella parte superiore del fermentatore o di depositarsi sul fondo. Verso la fine della fermentazione, le cellule singole si aggregano in coaguli di migliaia di cellule. Ceppi di lievito diversi hanno caratteristiche di flocculazione differenti: alcuni flocculano prima e tendono a non attenuare molto, mentre altri non flocculano così velocemente ma tendono ad attenuare di più. Una flocculazione troppo precoce tende a dare come risultato una birra poco attenuata e dolce; al contrario, quando il lievito non riesce a flocculare interamente, produrrà una birra torbida e con un sapore di lievito.
La maggior parte dei ceppi di lievito non floccula bene e rimane in sospensione per lunghi periodi. In natura, la maggior parte delle cellule non vuole abbandonare la sospensione, dove ha a disposizione sostanze nutritive e zucchero. Tutto il lievito alla fine precipita, con l’aiuto della gravità, ma può impiegare mesi, che di solito i birrai non hanno. In effetti, è stata proprio la secolare pressione selettiva da parte dei birrai che ha migliorato la flocculazione del lievito per birra. Raccogliendo il lievito dal fondo o dalla cima del fermentatore per il reinoculo, i birrai hanno scartato le cellule che non flocculavano bene. Il lievito rimasto nella birra non ha avuto la possibilità di essere utilizzato nella cotta successiva, ed è stato rimosso dalla coltura. I ceppi di lievito che utilizziamo oggi discendono da quel processo di pressione selettiva.
Gli scienziati hanno studiato la biochimica della flocculazione per molti anni, e anche oggi si dibatte sull’esattezza del meccanismo. La composizione della parete cellulare è un fattore chiave nella capacità di cellule adiacenti di attaccarsi le une alle atre. Il lievito ha una spessa parete cellulare composta da proteine e polisaccaridi con una carica superficiale negativa, dovuta ai fosfati presenti nella parete cellulare. L’intensità della carica negativa dipende dal ceppo di lievito, dalla fase di crescita, dalla disponibilità di ossigeno, dalla mancanza di risorse, dal numero della generazione, dalla disidratazione e dall’età delle cellule (Smart, 2000). Inoltre, le cellule di lievito sono idrofobe, a causa dell’esposizione dei peptidi idrofobi (Hazen e Hazen, 1993). Il grado di idrofobia dipende dal ceppo di lievito, dalla fase di crescita, dalla capacità di formare catene, dalla mancanza di risorse, dal numero della generazione, dall’inizio della flocculazione e dalla formazione di fibrille (Smart, 2000). Le pareti cellulari del lievito contengono anche mannoproteine, ossia proteine con molti gruppi di mannosio, che aiutano a regolare la forma e la porosità della cellula e le interazioni tra cellule, incluse quelle coinvolte nella flocculazione.
Il fattore determinante per la flocculazione è il ceppo di lievito stesso: ogni ceppo, infatti, possiede una sua unica sequenza di DNA, che determina l’esatta serie di proteine mostrate sulla superficie cellulare. Le minime differenze nella composizione della parete cellulare giocano un ruolo chiave nel comportamento della flocculazione e determinano il grado di flocculazione per ogni ceppo. Altri fattori che influenzano il grado di flocculazione includono la densità iniziale del mosto, la temperatura di fermentazione, il tasso di inoculo e il contenuto iniziale di ossigeno. Tenete presente che qualsiasi cosa influenzi la salute e il tasso di crescita del lievito influenza anche la flocculazione.
I birrai classificano il lievito in flocculante alto, medio o basso (Figura 2.8). I ceppi di lievito ale spaziano su tutte e tre le categorie, mentre i ceppi di lievito lager sono per la maggior parte flocculanti medi. Per esempio, i ceppi English/London ale sono spesso flocculanti alti, poiché per secoli, in Gran Bretagna, l’uso del metodo di top cropping, ossia la raccolta del lievito dalla parte superiore del fermentatore, ha selezionato il lievito altamente flocculante. Curiosamente, sebbene secoli di top cropping abbiano reso quei ceppi così flocculanti, di recente alcuni birrai hanno esercitato su di essi una pressione selettiva per farli migliorare nell’agglomerazione sul fondo. Oggigiorno i ceppi sono altrettanto flocculanti, ma spesso si raggruppano in modo eccellente anche sul fondo.

Figura 2.8: Differenze nella classificazione delle flocculazioni.

I lieviti in commercio con il nome di ceppi California/American ale sono per lo più flocculanti medi, mentre i ceppi hefeweizen sono buoni esempi di flocculanti bassi. Anche se la flocculazione elevata rende una birra limpida in tempi brevi, la filtrazione può rendere una birra limpida anche più rapidamente, quindi un birraio che abbia intenzione di effettuare la filtrazione può utilizzare un ceppo di lievito a praticamente qualsiasi livello di flocculazione.
Un flocculante alto inizia ad agglomerarsi in 3-5 giorni. Quando scende sul fondo del fermentatore forma uno strato di lievito solido e compatto; addirittura, alcuni ceppi di lievito sono talmente flocculanti da formare dei veri e propri tappi che bloccano le aperture e ostruiscono le valvole del fermentatore. A volte gli homebrewer che lavorano con fermentatori piccoli agitano lo strato di lievito per mantenere l’attività di fermentazione, ma anche in questo modo il disco di lievito si rompe in grandi pezzi. Produrre una birra pienamente attenuata con flocculanti alti può richiedere cure particolari, come quella di rianimare il lievito nella birra ma, anche con questi procedimenti, di solito i ceppi altamente flocculanti producono un’attenuazione più bassa e livelli alti di diacetile ed esteri.
I flocculanti medi tendono a produrre birre più limpide con livelli di diacetile ed esteri più bassi. Siccome le cellule stanno in sospensione più a lungo, attenuano di più la birra e riducono il diacetile e altri composti della fermentazione in misura maggiore. In un birrificio commerciale è leggermente più difficile lavorare con questi tipi di lievito piuttosto che con i flocculanti alti, perché essi necessitano spesso di filtrazione per un rapido tempo di produzione. Certo, la maggior parte degli homebrewer non filtra, e in un periodo di tempo sufficiente anche i flocculanti medi si stabilizzano da soli; ci impiegano semplicemente più tempo rispetto ai lieviti altamente flocculanti. I flocculanti medi, con la loro tendenza verso caratteristiche di fermentazione pulite, sono adatti per birre altamente luppolate come molte ale in stile americano. I loro sentori puliti permettono all’aroma e al gusto del luppolo di emergere.
I produttori di birra utilizzano raramente flocculanti bassi, poiché non si stabilizzano, creando problemi di torbidità e di filtrazione. Tuttavia, alcuni stili di birra prevedono il lievito in sospensione: per esempio, le hefeweizen tedesche e le wit belghe richiedono entrambe ceppi di lievito a bassa flocculazione, per creare l’aspetto torbido desiderato. Alcuni birrifici filtrano le hefeweizen e poi aggiungono del lievito lager al momento dell’imbottigliamento; poiché i ceppi lager sono meno flocculanti e tendono a stare in sospensione più a lungo, sono maggiormente in grado di affinare una birra durante una fermentazione più lunga e il processo di lagerizzazione. Esistono alcuni ceppi di lievito lager molto “polverosi”, che funzionano bene per rendere quell’aspetto torbido.
Un fattore importante per la flocculazione è il calcio: il lievito ha bisogno di livelli minimi di calcio perché la flocculazione avvenga. In genere il mosto contiene già abbastanza calcio e il birraio non deve aggiungerne altro, ma se lavorate con acqua molto dolce, tenete a mente i requisiti di calcio: nella maggior parte dei casi, 50 ppm di calcio sono abbastanza per soddisfare le necessità del lievito.
ENZIMI
Il lievito non è l’unico ingrediente della birra che i produttori non apprezzano pienamente; al secondo posto ci sono gli enzimi. Pensate: senza gli enzimi, non ci sarebbe birra. Gli enzimi sono coinvolti in tutte le fasi del processo brassicolo: maltazione, ammostamento e fermentazione. La produzione di birra è, fondamentalmente, un processo enzimatico, quindi più un birraio è informato sugli enzimi, più efficacemente potrà risolvere i problemi.
Gli enzimi sono una classe speciale di proteine che accelerano le reazioni chimiche. Sono essenziali per la vita e presenti in tutti gli esseri viventi. Un enzima è una proteina creata da organismi viventi (o sinteticamente) che agisce da catalizzatore durante le reazioni chimiche, avviandole o accelerando la velocità alla quale avvengono, senza alterarsi durante il processo.
A metà del XIX secolo, i chimici che studiavano il processo di fermentazione hanno provato l’esistenza degli enzimi. Nel 1897 Eduard Buchner è stato il primo a preparare un estratto cellulare che mostrava ancora attività catalitica; egli ha dimostrato che il liquido filtrato e privo di cellule, ottenuto dallo schiacciamento di cellule di lievito, poteva convertire lo zucchero in anidride carbonica. Per il suo lavoro, Buchner ha ottenuto il Premio Nobel per la Chimica nel 1907. Per molti anni gli enzimi sono stati chiamati “fermenti”, un termine derivato dalla parola latina che indica il lievito. Nel 1878 alcuni ricercatori hanno introdotto il termine “enzima”, dall’espressione greca che significa “nel lievito”.
Louis Pasteur ha fatto le scoperte più famose legate alla produzione di birra. Anche se non ha avuto il merito di scoprire il ruolo degli enzimi, ha dimostrato che il lievito era responsabile della conversione dello zucchero presente nel mosto in alcol. I chimici del tempo sostenevano ostinatamente che l’organismo vivente lievito non avesse nulla a che fare con la trasformazione dello zucchero. Essi insistevano sul fatto che il processo fosse prettamente chimico e non biologico; sostenevano che ci fosse qualcosa nel mosto, come l’ossigeno, che catalizzava la trasformazione. Questi studiosi avevano in parte ragione, poiché il lievito contiene enzimi per la fermentazione che agiscono da catalizzatori in molte fasi della conversione dello zucchero in alcol. Dal punto di vista della fermentazione, le cellule di lievito sono semplicemente delle sacche di enzimi.
Gli enzimi sono proteine, e le proteine sono fatte di aminoacidi, uno dei principali componenti biologici degli esseri viventi. Una singola molecola di proteina è formata da centinaia di aminoacidi. Le proteine sono circa dieci volte più grandi delle molecole di zucchero, e circa 1.000 volte più piccole delle cellule di lievito. Non tutti gli enzimi hanno le stesse dimensioni: possono variare da circa 50 a 500.000 aminoacidi e sono spesso più grandi dei substrati sui quali agiscono. La parte più importante dell’enzima è il sito attivo al suo interno, ossia una regione dell’enzima nella quale gli aminoacidi hanno l’orientamento corretto per facilitare una data reazione chimica su un substrato, in modo molto simile a una chiave con la serratura. Ogni enzima può catalizzare un’unica reazione chimica, ma la può catalizzare in entrambe le direzioni. La direzione dipende dalle condizioni e dal substrato disponibile. Prendiamo in considerazione l’enzima alcol deidrogenasi e la reazione da acetaldeide a etanolo.
acetaldeide + NADH → etanolo + NAD+

Di solito si pensa alla reazione che converte l’acetaldeide in etanolo, ma lo stesso enzima catalizza anche la reazione inversa. Un esempio di tale reazione inversa avviene nei nostri corpi, che utilizzano l’alcol deidrogenasi presente per scindere l’etanolo in acetaldeide.
Senza l’enzima alcol deidrogenasi, la reazione qui descritta avverrebbe lo stesso, ma impiegherebbe giorni invece di picosecondi. La vita dipende così tanto dagli enzimi (ogni cellula umana ne ha più di 3.000) che prima del 1950 i chimici erano convinti che fossero gli enzimi a contenere il codice genetico, e che il DNA fosse solo un componente strutturale.
Il lievito per birra non possiede tutti gli enzimi necessari per produrre la birra a partire dall’orzo. Per esempio, le cellule di lievito non producono gli enzimi amilasi, che convertono l’amido in zucchero. Ecco perché un birraio deve prima di tutto utilizzare gli enzimi dell’orzo durante la fase di ammostamento, per convertire l’amido in zucchero.
Per catalizzare una particolare reazione, un enzima si lega a un substrato. Questi legami sono forti, ma il completamento della reazione modifica il substrato e cambia la natura del legame, liberando l’enzima che è così in grado di legarsi a un altro substrato. Analizzare i meccanismi e la cinetica dell’azione enzimatica va oltre lo scopo di questo libro, ma possiamo riassumerla in questa formula:
enzima + substrato → complesso enzima-substrato → enzima + prodotto

L’attività enzimatica (misurata dalla formazione del prodotto) dipende da vari fattori: pH, temperatura, forza ionica della soluzione e concentrazione del substrato. I birrai possono controllare la maggior parte di questi fattori; è quindi importante capire ciò di cui hanno bisogno gli enzimi, e in tal modo controllarne l’attività e i prodotti. Controllare la temperatura è forse il fattore più importante. Gli enzimi sono formati da aminoacidi, e ogni enzima si piega in un modo specifico per rendere disponibile il sito attivo. Se l’enzima denatura, perde la sua abilità e non riesce a riprendersi. Il calore è la causa principale del mancato ripiegamento enzimatico. La maggior parte degli enzimi viene denaturata dalla bollitura, ma anche leggere variazioni di temperatura possono denaturare molti enzimi: per esempio, le temperature di ammostamento vicine al massimo per gli enzimi amilasi denaturano molte proteasi.
Anche il pH è molto importante, perché influisce sul legame dell’enzima con il suo substrato. Questo processo implica l’interazione di singoli aminoacidi, che solitamente dipende dalla loro carica elettrostatica. Senza la carica corretta il legame non avviene. La carica varia con il pH, a seconda dell’aminoacido, e ogni enzima ha il suo pH ottimale. Proprio come succede con la temperatura, un pH troppo alto o troppo basso può denaturare (deattivare) l’enzima in modo permanente. Nell’aggiungere enzimi, è bene tener conto dei profili della temperatura e dell’attività del pH raccomandati dal produttore.
ENZIMI NELLA MALTAZIONE
La maggior parte dei birrai conosce la conversione di amido in zucchero attraverso le reazioni enzimatiche durante il processo di ammostamento, ma gli enzimi giocano un ruolo molto importante anche durante il processo di maltazione. La scissione dell’amido durante la maltazione è fondamentale per la produzione di malto di alta qualità. L’embrione di orzo (grano) ha bisogno di zucchero per crescere; gli enzimi nell’embrione rompono l’amido e le proteine in frazioni più piccole e solubili in preparazione alla crescita embrionale. I tipi di enzimi responsabili di questo processo sono tre:
gruppo citasi degradano la parete cellulare dell’endosperma
amilasi degradano l’amido in zucchero
enzimi proteolitici degradano grandi proteine in proteine più piccole
Il gruppo citasi e le proteasi rompono le strutture della parete cellulare per rendere disponibile l’amido. Le proteasi (gli enzimi che degradano le proteine) rompono le proteine della matrice. In questo modo, l’azione delle proteasi crea gruppi di aminoacidi liberi, che vengono utilizzati dall’embrione per produrre proteine.
Il proseguimento del processo di maltazione attiva le α-amilasi e le β-amilasi. Questi enzimi scindono gli amidi in zuccheri: l’α-amilasi è un endoenzima e la β-amilasi è un esoenzima. Gli endoenzimi rimuovono dei pezzi dall’interno di una molecola grande, mentre gli esoenzimi rimuovono pezzi dall’esterno. Gli enzimi amilasi convertono l’amido in zucchero, che l’embrione utilizza per la crescita. Tuttavia, nel caso di malti base o di malti da birrificazione il maltatore interrompe il processo essiccando il malto fino al punto in cui cessa l’attività enzimatica, perché se essa continuasse, anche l’amido rimanente verrebbe convertito in zucchero. Questa è parte del processo di produzione dei malti crystal, ma se tutti i malti fossero prodotti in questo modo, non faremmo più l’ammostamento: il produttore del malto avrebbe già determinato la fermentabilità dello zucchero al posto nostro, e noi faremmo semplicemente un’infusione dei grani per estrarne gli zuccheri.
ENZIMI NELL’AMMOSTAMENTO
Non sono solo le α-amilasi e le β-amilasi a influenzare la fermentazione; il mash include vari tipi di altri enzimi attivi, come beta-glucanasi, proteasi ed esterasi. Per esempio, effettuare una pausa per l’acido ferulico (il cosiddetto acid rest) intorno ai 43 °C può aumentare il livello di acido ferulico nel mosto, che alcuni ceppi di lievito possono convertire in 4-vinil guaiacolo, un componente di sapore e aroma caratteristico delle weizen tedesche. Anche le pause per le proteine (protein rest) possono avere un impatto sulla fermentazione, poiché possono aumentare i livelli di aminoacidi nel mosto. Non è un passaggio necessario quando si utilizza un malto ben modificato, tuttavia malti non modificati o malti esastici hanno bisogno di un protein rest.
Quello che la maggior parte dei birrai ha capito è che il controllo della temperatura di ammostamento per avviare l’attività enzimatica influenza l’equilibrio tra zuccheri semplici e complessi. Il malto con una percentuale maggiore di zuccheri complessi (destrine) è meno fermentescibile: anche se alcuni ceppi di lievito possono utilizzare meglio di altri il maltotriosio, l’effetto è relativo. In genere, più è alta la temperatura di ammostamento, meno fermentescibile è il mosto.
Quando poi il mosto viene bollito, il calore denatura la maggior parte degli enzimi presenti, e molti di essi precipitano come parte del coagulo a caldo e a freddo (hot and cold break).
ENZIMI NELLA FERMENTAZIONE
Ora inizia la fase remunerativa. Non esisterebbe un mercato così ampio per la birra se il lievito non creasse l’alcol durante la fermentazione. La conversione dello zucchero in alcol può essere espressa semplicemente come:
C6H12O6 → 2 CH3CH2OH + 2 CO2

glucosio → etanolo + anidride carbonica

Tuttavia, la conversione dello zucchero in alcol non è così semplice come sembrerebbe dalla formula; in effetti, essa avviene in molte più fasi e richiede molti enzimi per catalizzare ogni passaggio. Il lievito utilizza l’energia creata dall’ossidazione dello zucchero in etanolo per rafforzarsi e riprodursi. Per le cellule di lievito, l’alcol è un sottoprodotto; ogni reazione chimica ha il potenziale per produrne, e ogni passaggio può portare alla produzione di quei componenti di sapore e aroma che desiderate, o quelli che non volete.
Anche se i birrai aggiungono raramente enzimi durante la fermentazione, ci sono alcuni casi in cui potrebbero servire. Anche se è molto rara, una fermentazione bloccata può essere dovuta a una inefficiente conversione di amido o a zuccheri non fermentescibili composti da catene troppo lunghe. In tal caso, il birraio potrebbe aggiungere α-amilasi direttamente nel fermentatore per catalizzare una ulteriore scissione degli zuccheri, che potrebbe aumentare l’attenuazione. Certo, questo metodo ha anche degli inconvenienti: i produttori propagano questi preparati enzimatici da una fonte microbica, e quindi essi contengono una piccola quantità di batteri; aggiungendo questi enzimi alla birra, senza il beneficio della bollitura, si rischia di rovinarla. Da una prospettiva di sicurezza alimentare, le quantità di batteri presenti sono piccole e innocue, variando da 1.000 a 5.000 unità formanti colonie (UFC), ma dal punto di vista di un birraio sono comunque inaccettabili (Briggs et al., 1981; Mathewson, 1998; Walker, 1998).
ESTERI, ALCOLI E ALTRO ANCORA
Il lievito per birra può produrre cinquecento diversi composti di sapore e aroma (Mussche e Mussche, 2008). Dopo l’inoculo, il lievito subisce una fase di attesa, che è poi seguita da una fase di crescita esponenziale molto rapida; durante queste due fasi, il lievito costruisce aminoacidi, proteine e altri componenti cellulari, la maggior parte dei quali non influisce sul sapore della birra, ma le vie coinvolte nella loro produzione creano anche molti altri composti che escono dalla cellula e influenzano il sapore della birra. I composti che hanno il maggiore impatto sul gusto sono esteri, alcoli superiori, composti che contengono zolfo e composti carbonilici come aldeidi e chetoni (incluso il diacetile). Sebbene molti di questi composti giochino un ruolo importante nel sapore e nell’aroma caratteristico della birra, viene considerato un difetto quando alcuni di essi raggiungono livelli elevati e facilmente identificabili.
ESTERI
Gli esteri giocano un ruolo importante nel carattere della birra, soprattutto nelle ale. Un estere è un composto volatile formato da un acido organico e un alcol, e sono proprio gli esteri a dare alla birra l’aroma fruttato. Persino le birre dal sapore più pulito contengono esteri, e alcune ne hanno addirittura cinquanta tipi (Meilgaard, 1975). Senza gli esteri, una birra sembrerebbe molto piatta. È possibile misurare gli esteri mediante gascromatografia, un ottimo metodo anche per differenziare le birre in base agli esteri in esse contenuti. La produzione di esteri varia a seconda del ceppo di lievito e delle condizioni di fermentazione. Esempi di esteri comuni sono l’etilacetato (solvente), il caproato di etile (mela) e l’acetato di isoamile (banana).
Combinare un acido e un alcol per formare un estere richiede tempo, poiché il lievito deve prima produrre gli alcoli. Gli esteri hanno un impatto maggiore sul gusto rispetto ai singoli acidi e alcoli (Bamforth, “Beer flavours: esters”, 2001). Gli enzimi alcol acetiltransferasi AATasi I e II catalizzano la formazione di esteri. Questi enzimi combinano un alcol con un acido attivato. Nella birra, l’acido attivato più abbondante è l’acetil-CoA. Prima della fermentazione, quando il birraio ossigena la birra, il lievito produce steroli in preparazione per la creazione di nuove cellule. La produzione di steroli sottrae l’acetil-CoA dalla produzione di esteri, con il risultato di ridotti livelli di esteri nella birra (Bamforth, Beer flavours: esters). Questa potrebbe essere una delle cause dell’effetto dell’ossigeno sulla birra, ossia che alti livelli di aerazione producono bassi livelli di esteri. Un’altra spiegazione potrebbe essere quella per la quale l’ossigeno reprime direttamente l’espressione dei geni che codificano per l’AATasi (Fugii, 1997). Molti altri fattori influenzano la produzione di esteri, ma quelli che aumentano la crescita di lievito e sottraggono l’acetil-CoA spesso riducono al minimo la sintesi di esteri. La produzione di esteri è controllata da tre fattori principali: la concentrazione di acetil-CoA, la concentrazione di alcoli superiori e l’attività totale di alcuni enzimi.
ALCOLI SUPERIORI
È possibile utilizzare la gascromatografia per misurare contemporaneamente gli alcoli superiori e gli esteri. La birra può contenere qualsiasi combinazione di circa quaranta alcoli superiori (Meilgaard, 1975). Gli alcoli superiori come n-propanolo, alcol isoamilico e isobutanolo hanno un sapore simile all’etanolo, anche se possono aggiungere sentori caldi o di solvente alla birra a seconda del tipo e della concentrazione, ma non esistono stili di birra in cui retrogusti caldi e di solvente siano tratti desiderati. Tuttavia, molte birre buone contengono alcoli superiori in quantità pari o poco superiori alle loro soglie gustative, e sono quindi importanti composti di sapore derivati dal lievito. Di tutti gli alcoli superiori, la birra contiene principalmente alcoli amilici, come l’alcol isoamilico, che nel vino può arrivare a più del 50% di tutti gli alcoli superiori (Zoecklein et al., 1999). In genere i mal di testa si attribuiscono agli alcoli superiori presenti nelle bevande alcoliche. Alti livelli di alcoli superiori brucianti in una birra di media forza sono un vero e proprio difetto. Persino nelle birre più forti, dovrebbero essere al massimo una nota di fondo. Non ci sono scuse per la produzione di birra dal gusto di solvente per vernici.
Durante la fase di latenza della fermentazione, il lievito comincia a creare alcoli superiori a partire da piruvato e acetil-CoA durante la sintesi degli aminoacidi, oppure dall’assorbimento di aminoacidi (azoto). La formazione di alcoli superiori implica la riossidazione di NADH in NAD+ nella fase finale, e alcuni scienziati credono che il lievito produca alcoli superiori per rendere di nuovo disponibile il NAD+ per la glicolisi (Kruger, 1998).
I vari ceppi di lievito producono alcoli superiori in modi differenti: di solito i ceppi ale creano maggiori concentrazioni rispetto ai ceppi lager. Spesso i ricercatori attribuiscono questo fatto alle maggiori temperature di fermentazione delle ale ma, se è vero che le concentrazioni di alcoli superiori aumentano con la temperatura di fermentazione, è anche vero che esistono altre condizioni di fermentazione che ne influenzano la produzione. Per esempio, anche un malto con troppo o troppo poco azoto potrebbe causare alti livelli di alcoli superiori. In generale, le condizioni di fermentazione che promuovono la crescita cellulare, come temperatura, ossigenazione e azoto, provocano elevati livelli di alcoli superiori. Maggiore è il substrato di alcoli superiori, più è possibile che si creino esteri con qualsiasi acetil-CoA presente. Per produrre una birra con una bassa quantità di esteri è necessario un equilibrio tra i fattori che aiutano a prevenire la formazione di esteri ma che, allo stesso tempo, aumentano la produzione di alcoli superiori.
DIACETILE
Anche se molti stili di birra classici consentono la presenza di bassi livelli di diacetile, e anche se alcuni consumatori lo trovano gradevole, molti birrai considerano il diacetile un difetto, in qualsiasi quantità. Il diacetile, anche a bassi livelli, può contribuire a una sensazione di scivolosità al palato. In quantità maggiori, dà alla birra un aroma e un sapore di burro. Il diacetile è un piccolo composto organico che appartiene al gruppo chimico dei chetoni. Un altro chetone comunemente presente nelle birre è il 2,3-pentanedione, così simile al diacetile che quando un laboratorio misura il livello di quest’ultimo in una birra, riporta invece un livello di dichetoni vicinali (VDK) che comprende sia il diacetile sia il 2,3-pentanedione. La soglia gustativa del diacetile è di 0,1 ppm per le birre “leggere”, ma sia le birre fatte in casa sia quelle artigianali hanno spesso livelli che variano da 0,5 a più di 1,0 ppm.
Una delle ragioni per cui a molti birrai non piace la presenza del diacetile nella loro birra è perché è un indicatore di un possibile problema di fermentazione o contaminazione. Tuttavia, ci sono eccezioni in cui il diacetile è una caratteristica voluta della birra, molto probabilmente a causa del ceppo di lievito e del profilo di fermentazione che il birrificio utilizza. Alcuni ceppi di lievito, in particolare i ceppi ale inglesi altamente flocculanti, sono grandi produttori di diacetile. Diminuire troppo presto la temperatura di fermentazione, che impedisce al lievito di ridurre il diacetile, è un altro modo in cui la birra risultante presenta un livello percepibile di diacetile. Quello che dovete ricordare è che più a lungo il lievito resta in sospensione, più tempo esso avrà per ridurre molti composti intermedi della fermentazione. Fortunatamente, il lievito riassorbirà il diacetile e lo ridurrà ad acetoino per rigenerare il NAD.
Il metodo di creazione del diacetile nella birra è relativamente semplice: la valina è uno degli aminoacidi che il lievito produce durante la fase di latenza e quella esponenziale. Un composto intermedio della produzione di valina è l’acetolattato. Non tutto l’acetolattato prodotto dal lievito diventa valina, poiché una parte esce dalla cellula e si riversa nella birra, e questa parte si ossida chimicamente diventando diacetile. Tuttavia, anche se ciò è vero per tutti i ceppi di lievito, nelle stesse condizioni ceppi diversi produrranno livelli diversi di diacetile.
ACIDI ORGANICI
Durante la fermentazione, il lievito produce anche livelli variabili di acidi organici, come acido acetico, acido lattico, acido butirrico e acido caproico. Nella maggior parte delle fermentazioni, le concentrazioni prodotte sono al di sotto della soglia gustativa, il che solitamente è un bene, poiché questi acidi hanno sapori e aromi di aceto, vomito e animali da cortile. Tuttavia essi sono necessari, poiché giocano un ruolo fondamentale nella formazione degli esteri.
COMPOSTI SULFUREI
Chi ha scoreggiato? Molti neofiti della produzione di birre lager potrebbero porre questa domanda. La produzione di birra lager crea più composti sulfurei rispetto alla birra ale. La bassa temperatura durante la produzione di lager è uno dei motivi principali dei maggiori livelli di zolfo (Bamforth, “Beer flavour: sulphur substances”, 2001). Il lievito produce composti sulfurei in grandi quantità durante la fermentazione, ma essi sono generalmente abbastanza volatili da essere espulsi con la CO2 dalla forte attività di fermentazione, riducendo così di molto i livelli di zolfo nel momento in cui la birra viene bevuta. Le temperature più basse della fermentazione lager provocano generalmente una fermentazione meno vigorosa (minore movimento fisico del mosto) e una minore evoluzione di gas, dovuta a una maggiore solubilità gassosa a quelle temperature. Per questo, le birre lager tendono a trattenere quantità percepibili di aroma e sapore di zolfo, mentre è raro trovare zolfo nelle ale.
I composti sulfurei tipicamente presenti nella birra sono solfuro dimetile (DMS), anidride solforosa, acido solfidrico e mercaptani. Alcuni di questi composti sulfurei derivano dal malto, altri dal lievito o da una combinazione dei due. Per esempio, il dimetile solfossido (DMSO) è presente nel malto a livelli variabili che dipendono dalla fonte del malto. Il livello di questo composto ossidato del DMS non è influenzato dalla bollitura come il DMS e il suo precursore S-metilmetionina (SMM). Sfortunatamente, il lievito riduce il DMSO in DMS durante la fermentazione, aumentando nella birra il livello di aromi e sapori di mais in scatola e cavolo cotto.
Il lievito produce anidride solforosa, che non solo dà sapore alla birra ma le fornisce proprietà antiossidanti. Spesso le persone descrivono l’aroma dell’anidride solforosa come simile a un fiammifero acceso. L’anidride solforosa si riduce facilmente in un altro composto sulfureo, l’acido solfidrico, caratterizzato da un odore di uovo marcio. Fortunatamente, la CO2 rilasciata durante la fermentazione espelle dalla birra la maggior parte dell’acido solfidrico. La chiave per ridurre questi composti sulfurei nella birra è una fermentazione attiva e sana.
COMPOSTI FENOLICI
I composti fenolici, formati da anelli aromatici idrossilati di carbonio, possono essere prodotti dagli ingredienti e dalla fermentazione. Gli antisettici a base di fenoli li contengono: questo è il motivo per il quale spesso si dice che i composti fenolici hanno un gusto di farmaco. Il loro sapore viene però anche paragonato a plastica e cerotti, e descritto come affumicato e speziato. I composti fenolici sono meno volatiti degli alcoli superiori, il che significa che essi rimangono nella birra durante tutto l’invecchiamento. Una volta presenti a un livello percepibile, probabilmente ne sentirete sempre il sapore.
Nella maggior parte degli stili di birra i retrogusti fenolici sono un difetto, anche se ci sono delle eccezioni: le hefeweizen bavaresi devono avere sentori di chiodo di garofano, le rauchbier di affumicato, e anche alcune birre belghe hanno altri caratteri fenolici, ma quando i fenoli non sono voluti, può succedere un disastro.
Il composto fenolico principale prodotto dal lievito è il 4-vinil guaiacolo (4 VG). Il malto e i luppoli forniscono acido ferulico, e il lievito produce il 4 VG mediante decarbossilazione dell’acido ferulico a opera dell’enzima decarbossilasi (la decarbossilazione consiste nella riduzione chimica di un composto mediante evoluzione di CO2). I lieviti che producono fenoli hanno un gene intatto che codifica gli aromi fenolici sgradevoli (gene POF), necessario per la codifica della decarbossilasi dell’acido ferulico.
La maggior parte dei ceppi di lievito per birra ha una mutazione naturale nel gene POF che impedisce loro di produrre il 4 VG. Infatti, la produzione non desiderata di un carattere fenolico indica spesso che del lievito selvaggio ha contaminato la birra. In circostanze rare, è possibile che una mutazione nel lievito per birra faccia sì che esso produca di nuovo un carattere fenolico.
Ora, la domanda sorge spontanea: e i ceppi di lievito utilizzati nella produzione di birre in stile hefeweizen bavarese? Essi sono buoni esempi di quelli che una volta erano ceppi di lievito selvaggio, che i birrai hanno purificato e fatto crescere nel tempo, senza operare alcuna selezione nei confronti dei composti fenolici. Il gene POF è rimasto intatto in questi ceppi, che continuano a produrre i fenoli caratteristici dello stile.
Il Brettanomyces è un altro genere di lievito che molti birrai e viticoltori considerano un contaminante, mentre altri lo vedono come un genere unico in grado di produrre sapori e aromi che il comune lievito per birra non riesce a dare. Il Brettanomyces abbonda naturalmente nell’ambiente, e spesso si trova sulle bucce dei frutti. Non viene infastidito da condizioni di fermentazione avverse ed è tollerante all’alcol. Può produrre sapori e aromi di pollaio, sella di cavallo, sudore e una vasta gamma di altri composti, incluso il 4 VG. La sua presenza nella birra è facilmente percepibile e persino desiderata in alcuni stili di birra, come i lambic belgi, le Flemish red e molte nuove birre artigianali.
La fermentazione non è l’unica fonte di composti fenolici. A volte un birraio li aggiunge intenzionalmente utilizzando, per esempio, malti affumicati. Nel vino, il carattere fenolico deriva dal lievito, ma può anche derivare dal contatto con le botti di quercia e dall’uva utilizzata. Anche il whisky prende i suoi fenoli dagli ingredienti, dal lievito e dall’invecchiamento in barili. Anche la birra prodotta con certi tipi di frutti e invecchiata in botti di legno può prendere composti fenolici.
COME SCEGLIERE IL LIEVITO GIUSTO

Di fronte alla possibilità di produrre una birra nuova, molti birrai si attengono a ciò che conoscono: il ceppo di lievito che hanno utilizzato per tutte le cotte precedenti sarà anche quello che utilizzeranno per la loro nuova creazione. In molti casi, usare il lievito abituale è la loro unica opzione. È comprensibile, ma quando si ha la possibilità di scegliere il ceppo che si desidera, è un peccato limitarsi a uno solo. Spesso non si tratta di una mancanza di creatività o di interesse per l’esplorazione di nuovi ceppi da parte dei birrai; piuttosto, essi sono insicuri su come selezionare i candidati migliori per produrre il carattere desiderato.
CRITERI DI SELEZIONE
Quando si cerca di selezionare un nuovo ceppo di lievito per la fermentazione, è importante conoscere le proprie priorità. È come costruire una casa: sapete di aver bisogno di viti e bulloni, ma le loro caratteristiche dipendono dal tipo di casa che dovete costruire. Una villetta a schiera, una casa delle bambole, una casetta da giardino richiedono tutte elementi di fissaggio, ma diversi. Allora, cosa state cercando di creare? È importante partire dall’idea della birra che volete fare. Deve essere secca e luppolata? Dolce e maltata? Pulita o con esteri? Ad alta o bassa gradazione alcolica? Una volta che avrete in mente ciò che volete creare, allora potrete iniziare a trovare dei ceppi di lievito che potrebbero funzionare. È possibile, e anche probabile, che non troverete un ceppo che da solo soddisfi tutti i vostri bisogni, ma non dimenticate che potete anche utilizzare più ceppi in una birra. Prendete sempre in considerazione almeno i criteri seguenti per selezionare un nuovo ceppo di lievito:
• Attenuazione
• Profilo di sapore
• Flocculazione
• Affidabilità della fornitura
• Intervallo di temperatura di lavoro

È interessante notare come un birraio possa influenzare la maggior parte di queste caratteristiche manipolando la ricetta, il processo o i parametri di fermentazione, ma c’è un limite alla sua capacità di controllo. Nella maggior parte dei casi, manipolare una caratteristica ne modifica un’altra. Per esempio, aumentare la temperatura di lavoro di un ceppo di lievito per rispondere alle necessità del birrificio causerà probabilmente la produzione di più composti aromatici di quanti se ne desiderino. Fermentare a una temperatura minore per minimizzare la produzione di esteri può ridurre il livello di attenuazione. Tutte le caratteristiche del lievito sono in correlazione, e non è possibile manipolarne una senza influenzarne altre.
Come scegliere, allora? Come decidere qual è il lievito migliore per la vostra brown ale? Potete informarvi sui libri, parlare con altri birrai o cercare nel web, ma il modo migliore è sperimentare. Producete abbastanza mosto di brown ale per suddividerlo in vari fermentatori e inoculate un ceppo diverso di lievito in ogni fermentatore. È necessario mantenere le stesse condizioni di fermentazione, soprattutto il tasso di inoculo e la temperatura, in modo da poter confrontare l’effetto che ogni ceppo ha sulla birra. Una volta scelto il ceppo, potrete ripetere l’esperimento utilizzando il lievito a temperature, livelli di ossigeno o tassi di inoculo diversi. Se siete soliti riutilizzare il lievito, potreste anche ripetere l’esperimento su piccola scala per cinque o più volte, per vedere come cambia il carattere nelle varie generazioni.
STILI DI BIRRA E SELEZIONE DEL LIEVITO
Alcuni birrai potrebbero domandarsi perché ci sia bisogno di discutere dello stile di birra in un libro sul lievito. Dopotutto, lo stile di birra non è determinato dal malto e dai luppoli utilizzati? Sì e no. Per il vino spesso è l’uva, l’ingrediente principale, a determinare lo stile. Il mondo vinicolo si serve della varietà di uva, o a volte della regione di produzione, per classificare il vino.
Per quanto riguarda la birra, determiniamo lo stile per lo più in base a una combinazione di malti, luppoli e lievito, ma non prendiamo necessariamente in considerazione il luogo di coltivazione degli ingredienti o di produzione della birra. Certo, in alcuni stili i luppoli americani agrumati sono un tratto distintivo. Il malto biscottato British pale ale e il malto Pilsner europeo con aromi di cereale sono un ingrediente fondamentale per altri, ma sono il procedimento, la ricetta e la selezione del lievito a differenziare sostanzialmente gli stili di birra. Infatti, il lievito gioca un ruolo talmente importante nel carattere di una birra che, in alcuni casi, è solo il ceppo a differenziare due stili. Paragonate i malti utilizzati nella ricetta di una tipica California common e di una Düsseldorf altbier: sono molto simili, ma le due birre sono totalmente differenti, grazie alla scelta del lievito.
Il consumatore medio suddivide spesso la birra in due categorie, ale e lager, ma questa è la divisione più semplicistica. Nonostante sia tecnicamente valido separare le ale e le lager in due categorie diverse, esistono ceppi di lievito e stili di birra che superano tale confine: ci sono stili ibridi di birra che si trovano a metà tra ale e lager, ossia birre fermentate con lievito lager a temperature da ale, o lieviti ale fermentati a temperature minori di quelle tipiche per le ale.
Nel momento in cui scriviamo, il Programma di Certificazione Giudici Birrari (Beer Judge Certification Programme, BJCP) riconosce 118 stili di birra suddivisi in 34 categorie. Il BJCP raggruppa molti stili nelle categorie ale, lager o ibrida, anche in base all’origine geografica e alla gradazione alcolica. Poiché le birre lager sul mercato sono estremamente popolari, potreste pensare che questa categoria si componga di un numero spropositato di stili, ma non è così. Le lager contano meno di un quarto di tutti gli stili, il che ha senso poiché esse sono birre relativamente nuove nel mondo brassicolo. Molti di questi stili sono il risultato dell’adattamento delle birre ai gusti locali, operato dai mastri birrai che, più o meno inconsapevolmente, in passato selezionarono le caratteristiche preferite raccogliendo e riutilizzando solo il lievito che produceva la birra che loro e i loro clienti volevano. Tale pressione selettiva ha avuto come risultato gli stili di birra e i ceppi di lievito che utilizziamo attualmente.
Scoprirete che molti fornitori di lievito suddividono inizialmente i loro ceppi in ale o lager, poi li identificano ulteriormente in base alla posizione geografica (nazione, regione, città) o in base al nome dello stile. Se acquistate del lievito da uno di questi venditori, è semplice fare le vostre potenziali scelte sulla base di queste ampie categorie e la descrizione dei lieviti. Volete produrre una birra in stile belga? Selezionate i ceppi che contengono “belga” nella descrizione e fate la vostra scelta tra uno di questi. Se volete produrre una lager in stile tedesco o una ale in stile inglese, procedete allo stesso modo. Certamente, questo metodo è solo l’inizio, dovrete poi anche prendere in considerazione tutti i criteri di selezione per determinare esattamente quali ceppi soddisfano i vostri bisogni.
CEPPI DI LIEVITO
Il compianto George Fix aveva ideato un sistema unico per categorizzare il lievito per birra, che potreste trovare utile. Egli suddivise i ceppi di lievito in cinque categorie, nel tentativo di organizzarli in termini di caratteristiche di gusto. Suddivise quindi i lieviti ale in Pulito/Neutro, Maltato/Con esteri e Specialità, e i lieviti lager in Secco/Fresco e Pieno/Maltato (Fix e Fix, 1997). Il punto interessante e molto utile del concetto di Fix è che non si concentra sul luogo o sullo stile per suddividere il lievito, ma piuttosto sul carattere della fermentazione. Questo rende più semplice pensare fuori dagli schemi, permettendo al birraio di fare qualcosa di diverso, come utilizzare lievito ale europeo per una pale ale americana, al posto dei soliti ceppi americani che utilizzano tutti. I ceppi di lievito non conoscono i confini degli stili, e il birraio che lo capisce si trova di fronte a una varietà di scelte molto più ampia per dare sfogo alla sua creatività.
Seguendo l’approccio di Fix, raggrupperemo i ceppi di lievito secondo il loro carattere:
ALE
• Pulito
• Fruttato
• Ibrido
• Fenolico
• Eccentrico

LAGER
• Secco
• Pieno

PANORAMICA DEI LIEVITI ALE
Il lievito ale è il Saccharomyces cerevisiae, un grande gruppo che include il lievito per la panificazione, il lievito secco attivo per distillati e molti ceppi di lievito di laboratorio. I birrai distinguono il lievito ale in base al suo comportamento e alla produzione di aroma. I lieviti ale fanno ciò che il birraio vuole: fermentano velocemente, consumano il corretto profilo di zuccheri, tollerano moderati livelli di alcol e sopravvivono in condizioni anaerobiche di fermentazione.
I ceppi ale sono anche conosciuti come ad alta fermentazione, poiché il cappello di schiuma che appare durante molte fermentazioni di ale contiene molto lievito. Durante la fermentazione, la superficie idrofoba del lievito ale fa sì che i suoi flocculanti si attacchino all’anidride carbonica e risalgano fino alla superficie della birra (Boulton e Quain, 2001). Ciò permette ai birrai di raccogliere il lievito dalla parte superiore del fermentatore, un metodo conosciuto come “top cropping”. Il vantaggio di questo tipo di raccolta è la possibilità di raccogliere una grande quantità di lievito sano e con pochi sedimenti. Lo svantaggio consiste nell’esposizione della birra e del lievito all’ambiente, che potrebbe causare contaminazione. Nonostante al giorno d’oggi siano pochi i birrifici fuori dal Regno Unito che utilizzano questo metodo, esso sta avendo un piccolo ma crescente seguito tra gli homebrewer poiché, nelle giuste condizioni, può rivelarsi una tecnica di gestione del lievito molto valida ed efficace. Per avere maggiori dettagli sulle tecniche di top cropping, consultate la sezione “Raccolta del lievito” (pagg. 137-143) di questo libro.
Esistono molte varietà di lieviti ale, dai ceppi tipo “Chico” ai Belgian fenolici. I lieviti ale includono ceppi che flocculano a malapena e altri che cadono sul fondo come dei mattoni. Confrontate un ceppo ale con un altro e scoprirete che possono flocculare e attenuare in modi diversi, e anche produrre profili aromatici differenti.
Nonostante esistano disparati lieviti ale, essi presentano delle caratteristiche comuni. La maggior parte dei ceppi ale ha un intervallo di temperatura di fermentazione intorno ai 20 °C. Inoltre, la maggior parte dei lieviti ale può tollerare temperature fino a 35 °C, ma produce il sapore migliore con una fermentazione tra i 18 e i 21 °C. Se siete in dubbio, quando lavorate con un ceppo di lievito ale che conoscete poco, partite da una temperatura di 20 °C. Tutti i lieviti ale producono una varietà di composti che riconosciamo come sapori e aromi caratteristici delle birre ale. Se un ceppo produce una piccola quantità di tali composti, i birrai lo considerano un ceppo “a fermentazione pulita”. Quando un ceppo produce altri composti (specialmente esteri e alcoli superiori), i birrai lo considerano un ceppo “fruttato” o “con esteri”.
CEPPI ALE A FERMENTAZIONE PULITA
I ceppi di lievito ale a fermentazione pulita sono molto popolari negli Stati Uniti, poiché, anche a temperature e tempi di fermentazione da ale, possono produrre birre che assomigliano quasi a delle lager, poco fruttate e con pochi alcoli superiori. Questi lieviti fanno risaltare gli ingredienti contenuti nella ricetta del birraio molto più di altri ceppi. Il birraio controlla la maggior parte delle caratteristiche di sapore e aroma mediante la scelta di malto, luppolo, temperature di birrificazione e di fermentazione. I ceppi a fermentazione pulita in genere fermentano più lentamente rispetto ai ceppi più fruttati e sono mediamente flocculanti, rimanendo in sospensione abbastanza a lungo da condizionare la birra in modo appropriato. Questi lieviti possono produrre tracce di zolfo se operano in condizioni stressanti, come pressione alta, carenza di sostanze nutritive, grandi sbalzi di temperatura o una temperatura di fermentazione troppo bassa. Esempi di ceppi di lievito che rientrano in questa categoria sono il California/American ale, lo Scottish ale e lo European ale.
CEPPI ALE FRUTTATI
I ceppi di lievito ale fruttato sono tradizionali in Inghilterra e stanno diventando sempre più popolari anche in America, grazie ai consumatori più informati. Mentre alcuni birrai considerano i lieviti ale fruttati come leggermente meno versatili rispetto ai ceppi ale a fermentazione pulita, altri ribattono che essi sono in grado di creare birre molto più interessanti. I ceppi ale che sviluppano tanto carattere durante la fermentazione possono conferire molta più complessità alla vostra birra. Rappresentano un fattore tanto importante per le caratteristiche della birra quanto gli altri ingredienti. Nonostante fermentino alla stessa temperatura dei ceppi a fermentazione pulita, i lieviti ale fruttati producono e fanno filtrare una quantità maggiore di sapori e aromi unici e interessanti dalla cellula di lievito alla stessa temperatura. Di solito fermentano e flocculano molto velocemente, consentendo al birraio di produrre una birra finita in meno tempo rispetto a quando utilizza un ceppo a fermentazione pulita. I ceppi fruttati tendono a formare grandi ammassi di lievito durante la flocculazione, ottenendo così una birra limpida e dal colore intenso in tempi rapidi. Un inconveniente comune con una fermentazione e una flocculazione così rapide consiste nel fatto che il lievito tende a rilasciare più sottoprodotti, come il diacetile. Queste birre possono avere sentori di miele, prugna, agrumi e asprezza, a seconda del ceppo. Esempi di lieviti che rientrano in questa categoria sono quelli identificati come British, Irish, Australian ale e alcuni ceppi di Belgian ale.
CEPPI ALE IBRIDI
Dal punto di vista biologico, non esistono ceppi ale ibridi. Sembra che i ceppi di lievito lager si siano evoluti a partire dalla rara ibridizzazione di S. cerevisiae e S. bayanus (Casey, 1990), ma questo non è quello che la maggior parte dei birrai intende quando parla di “ibrido”. Essi si riferiscono infatti a ceppi ale che fermentano generalmente a temperature inferiori rispetto al solito, producendo in tal modo una birra limpida, quasi come una lager. Tradizionalmente i birrai utilizzavano tali ceppi per stili particolari come le altbier e le Kölsch. Anche quando fermentano a temperature superiori, l’aroma fruttato è contenuto. In tempi recenti questi lieviti sono diventati popolari anche al di fuori dei due stili menzionati, e vengono utilizzati praticamente in tutto, dalle birre di frumento americane ai barley wine. Questi ceppi a fermentazione pulita fermentano in genere più lentamente dei ceppi fruttati, e flocculano a una velocità media, rimanendo in sospensione abbastanza a lungo per attenuare e condizionare la birra. Producono inoltre tracce di zolfo, ma non quanto i ceppi lager.
I birrai considerano spesso il lievito California common come ceppo ibrido. Si tratta di un ceppo lager che produce risultati simili a un ceppo lager con esteri. Utilizzare lieviti lager a temperature da ale è un territorio aperto alle sperimentazioni, ma i risultati possono variare in modo sostanziale da un ceppo all’altro.
CEPPI ALE FENOLICI
I ceppi fenolici sono utilizzati nelle birre ale di tipo Belgian e nelle weizen tedesche. Una maggiore produzione fenolica è la caratteristica che si associa comunemente ai ceppi di lievito Belgian. Un fenolo è un anello aromatico idrossilato, un composto ad anello di carbonio a sei atomi legato direttamente a un ossidrile (–OH). Queste sono le stesse classi di composti utilizzati in alcuni antisettici, e alcuni ne descrivono il sapore e l’aroma come di medicinale.
In molti di questi ceppi fenolici, l’attenuazione tende a essere alta e la flocculazione bassa, tuttavia esistono parecchie eccezioni. Per esempio, nel passato alcune Belgian farmhouse ale avevano basse densità iniziali (da 6 a 8 °P), e i birrai sembrano avere favorito il riutilizzo del lievito proveniente da cotte con attenuazione bassa, forse per cercare di evitare che la birra fosse troppo esile e secca. Il risultato odierno di quella pressione selettiva è che questi ceppi attenuano solo circa il 50%. Storicamente, gli inoculi di lievito per molte di quelle farmhouse ale non erano puri. In fattoria non esisteva un laboratorio che permettesse di mantenere una coltura pura, e l’inoculo era composto da una combinazione di ceppi e forse anche da qualche traccia batterica. Tale combinazione attenuava ulteriormente la birra e, forse, le conferiva più carattere.
I ceppi per birra di frumento tedesca producono un carattere fenolico e di esteri, tradizionale nelle weizen tedesche. Senza quel carattere speziato di chiodo di garofano e fruttato di banana, non sarebbero weizen tedesche. Un birraio che utilizzasse un ceppo ale a fermentazione pulita con la stessa ricetta e lo stesso procedimento si ritroverebbe invece con un ottimo esempio di una birra di frumento americana, che non ha nulla di fenolico o di esteri. Se una birra avesse involontariamente quei sentori, senza che si sia utilizzato alcun ceppo fenolico, daremmo la colpa al lievito selvaggio. Tuttavia, utilizzati in modo volontario da parte di un birraio esperto, questi lieviti possono produrre un piacevole equilibrio di sapori che si amalgamano bene con gli altri ingredienti.
In commercio esistono solo pochi ceppi per birra di frumento tedesca: sono leggermente diversi tra loro e si distinguono principalmente per il profilo aromatico. Per esempio, un ceppo di lievito produrrà per lo più esteri di banana, la cui quantità aumenta o diminuisce con la temperatura di fermentazione, mentre un altro ceppo non produrrà molti esteri di banana, indipendentemente dalla temperatura di fermentazione.
Questi ceppi fenolici per birra di frumento producono livelli avvertibili di diacetile, sebbene alcuni producano zolfo. È importante assicurare una fermentazione vigorosa e lasciare che essa termini prima di chiudere il fermentatore. Alcuni birrai preferiscono chiudere il fermentatore poco prima della fine della fermentazione, per carbonare la birra intrappolando la CO2 rimanente. Tuttavia, in questo modo il birraio intrappola anche lo zolfo rimasto nella birra, che non se ne andrà se non con sforzi incredibili. Questo vale anche per la produzione di lager.
Come il lievito selvaggio, la maggior parte dei ceppi fenolici non floccula bene. Questa è una caratteristica desiderata in molte birre di frumento tedesche, poiché aiuta ad aggiungere torbidità alla birra. Nonostante ciò, si vuole sempre che il lievito flocculi e si depositi, altrimenti la birra risulterebbe lattiginosa come una coltura di lievito, e ne avrebbe anche lo stesso sapore.
Tipici ceppi fenolici sono il German hefeweizen, il Belgian ale e il Belgian Trappist/abbey ale (birra trappista/d’abbazia).
CEPPI ALE ECCENTRICI
Spesso i birrai definiscono “eccentrici” i ceppi ale che non rientrano nelle categorie precedenti e li utilizzano per lo più nella produzione di ale di tipo belga. Alcuni di questi ceppi producono composti aromatici insoliti, che potrebbero essere considerati interessanti, come sentori terrosi, di pollaio, oppure acidi, mentre altri ceppi esibiscono un comportamento insolito, come i lieviti per altissima gradazione.
Per certi versi, questa categoria si sovrappone a quella dei ceppi fenolici, ma c’è così tanta differenza nelle ale di tipo belga che i ceppi tendono a sfuggire a qualsiasi classificazione. Tuttavia, tutti questi stili di birre belghe hanno una caratteristica in comune: l’importanza del carattere che il lievito conferisce allo stile. Alcune birre possono avere un carattere di lievito più contenuto, altre più evidente, ma provengono sempre dai composti della fermentazione tipici del ceppo di lievito, se rappresentano un buon esempio dello stile. Tra i ceppi preferiti dai birrai per la produzione di birre in stile belga, la maggior parte tende ad attenuare bene, a non flocculare bene e ad avere profili aromatici interessanti, come i fenoli. Tuttavia, i ceppi di stile belga sono ben differenti tra loro: non potete scegliere un lievito “stile belga” qualunque per produrre una wit in stile belga. Mentre qualcuno potrebbe dire che ha un “carattere belga”, non avrà lo stesso aroma e sapore della wit belga tradizionale, a meno che non l’abbiate fermentata con un ceppo da wit belga autentico. Molti ceppi di lievito per stili belgi producono infatti ben più dei soli fenoli. Nonostante alcuni ceppi siano relativamente a fermentazione pulita, molti producono diversi esteri, alcoli superiori, sentori terrosi e persino acidi. Non flocculano bene, il che non è necessariamente una caratteristica auspicabile, ma questo è parte di ciò che fa sì che questi ceppi di lievito attenuino una birra a un livello maggiore rispetto ai ceppi più flocculanti.
Oggi, per la maggior parte dei birrai belgi, il lievito è tutto. Mentre molti di essi condividono liberamente le informazioni riguardanti il resto del processo di birrificazione, per loro il lievito è sacro e deve essere protetto. I birrai belgi credono che il lievito che utilizzano per la birra sia così importante che molti dei più grandi birrifici belgi, e anche qualcuno dei più piccoli, possiedono alcuni tra i più sofisticati strumenti, processi e metodi di controllo della qualità disponibili.
Un ottimo esempio è rappresentato dal birrificio Chimay. Padre Theodore isolò il lievito Chimay nel 1948 utilizzando tecniche di coltura pura. Da allora, Chimay ha prodotto le sue birre con un ceppo singolo. La fermentazione e tutte le procedure relative al lievito di Chimay includono anche una quantità significativa di esami di laboratorio. I birrai utilizzano nuove colture di lievito per ogni cotta, centrifugano la birra tre volte per rimuovere il lievito dopo la fermentazione e lo aggiungono ancora per la rifermentazione in bottiglia. Tutto ciò conferma quanto fermamente essi credano nell’importanza della salute del lievito per la qualità della birra.
Analogamente, altri birrifici belgi hanno gestito e protetto attentamente i loro ceppi di lievito, esercitando una pressione selettiva nei confronti di sapori e aromi unici. A causa dell’importanza della birra nella cultura belga, oggi è disponibile un gran numero di lieviti ale, ognuno con le sue diverse caratteristiche, permettendoci di sperimentare nella produzione di birre in stile belga tradizionali o di nuove interpretazioni degli stili classici.
CEPPI LAGER
Oltre alla capacità di fermentare il melibiosio (pagg. 224-226), quali sono le differenze tra i lieviti ale e lager? A volte i birrai definiscono i lieviti lager “a bassa fermentazione”, poiché durante la fermentazione la maggior parte dei ceppi lager non si alza verso la parte superiore del fermentatore, o lo fa solo a livelli minimi. Certamente, esistono sempre delle eccezioni, e qualche ceppo lager sale verso l’alto come il lievito ale. Nonostante la maggior parte dei ceppi lager sia a bassa fermentazione, essi non sono altamente flocculanti. Molti birrai spesso pensano erroneamente alla flocculazione come al processo per cui il lievito cade verso il fondo del fermentatore, quindi un ceppo che non risale verso la parte superiore dovrebbe essere un ceppo altamente flocculante. Come menzionato precedentemente, per flocculazione si intende l’aggregazione del lievito in grumi, non il processo di caduta verso il fondo. Più un ceppo è flocculante, più tende a risalire mediante le bolle di CO2 durante la fermentazione. Siccome la maggior parte dei ceppi lager non è molto flocculante, essi tendono a non risalire verso l’alto. Al contrario, restano in sospensione per periodi più lunghi rispetto alla maggior parte dei ceppi ale, riducendo in questo modo molti sottoprodotti formatisi durante la fermentazione.
Il lievito lager lavora più lentamente e produce meno esteri e alcoli superiori a temperature di fermentazione inferiori, di solito tra i 10 e i 13 °C, ma la fermentazione più lenta e le basse temperature mantengono anche più zolfo in soluzione e rendono più difficile, per il lievito, riassorbire il diacetile. Tutti i ceppi producono generalmente meno esteri a temperature inferiori, ma alcuni birrai potrebbero chiedersi perché la maggior parte dei ceppi lager produca meno esteri rispetto ai ceppi ale alla stessa temperatura. Una delle ragioni è che l’escrezione di esteri dipende dalla membrana cellulare: molti ceppi lager trattengono più esteri all’interno della cellula (Mussche, 2008).
I ceppi lager sono suddivisi in due gruppi fondamentali: quelli che producono una qualità più secca, pulita, fresca e dissetante e quelli che, pur sempre puliti e di tipo lager, producono un gusto più maltato, rotondo e complesso. Scegliete uno tra i ceppi freschi e secchi se volete produrre la maggior parte delle birre lager americane, scandinave e alcune di quelle tedesche. Invece, utilizzate i ceppi maltati per le helles o le dunkel di Monaco e tutti gli altri stili lager maltati. Oltre a un carattere più maltato, questi ceppi spesso producono una birra con più zolfo e un leggero sapore fruttato. I produttori etichettano di frequente questi lieviti come German lager o Munich lager e nella descrizione ne evidenziano il carattere maltato.
CEPPI DIFFERENZIATI NEL VOSTRO BIRRIFICIO
“Vorrei un set di degustazione, per favore”. Tutti ci siamo seduti in un brewpub davanti a un set di degustazione e, dopo aver provato ogni birra, abbiamo concluso: “Hanno tutte lo stesso sapore.” Come può essere, se il birraio ha utilizzato malti e luppoli diversi per ognuna? Spesso la ragione sta nel fatto che il birrificio utilizza un solo ceppo di lievito per tutti i suoi prodotti. Alcuni birrai usano solo un ceppo per la preoccupazione che, utilizzandone più di uno, possano contaminare a vicenda le cotte, aggiungendo un sapore non voluto a una birra. Per altri, la preoccupazione principale è lo sforzo di mantenere vivo e sano più di un ceppo tra le varie cotte.
Fortunatamente, sempre più birrai stanno cominciando a esplorare i benefici di diversi ceppi di lievito. Un cuoco non cucina i suoi piatti con un solo condimento a una sola temperatura; perché un birraio dovrebbe quindi accontentarsi? Egli non potrà mai esprimere appieno la sua creatività senza avere accesso a ceppi di lievito differenti, quindi perché non enfatizzare la varietà e la creatività provando un lievito diverso?
Finora abbiamo parlato di sette categorie di lievito, ognuna con molti ceppi in grado di produrre un’ottima birra. Ciò permette a un birraio di avere un’ampia varietà di scelta, che porta a molte opportunità di creare un profilo aromatico unico. Esistono centinaia di ceppi, e la maggior parte dei birrai ha accesso almeno a cinquanta di essi. Come fare quindi a determinare quali ceppi utilizzare? La Figura 3.1 rappresenta solo un esempio delle scelte disponibili quando si utilizzano più ceppi all’interno di un unico brewpub.

Con questo esempio di dieci birre prodotte continuamente nel brewpub, la varietà maggiore è data da cinque ceppi. Senza alcuni di questi ceppi il birraio non può produrre un esempio autentico di alcuni stili di birra. Ceppi diversi permettono al birraio di evidenziare sapori, aromi e caratteristiche diverse delle birre. Per esempio, passare da un lievito California ale a un English ale nella produzione di una brown ale aumenta la dolcezza del malto e gli esteri fruttati, insieme ad altre caratteristiche del lievito.
La preoccupazione riguardo al mantenere in salute molteplici ceppi è del tutto valida. Come fa un birraio a determinare quanti ceppi saranno coltivabili nel birrificio? Utilizzate la seguente equazione per avere un’idea generale di quanti ceppi diversi potrete essere in grado di mantenere in vita nel vostro birrificio.
n° di ceppi diversi = n° di giorni di cotta al mese / 3

Per esempio, dodici cotte al mese equivarrebbero a quattro ceppi diversi. Ciò dà al birraio nove-dieci giorni a partire dall’inizio della fermentazione fino al momento in cui avrà bisogno del lievito per il reinoculo. Di solito le fermentazioni delle ale finiscono dopo cinque giorni, poi servono quattro o cinque giorni perché il lievito si depositi, la birra maturi e il birraio possa raccogliere il lievito. I ceppi altamente flocculanti, come l’English ale, saranno pronti più velocemente, mentre i ceppi lager impiegheranno più tempo. Considerate il numero di ceppi indicato come un limite massimo; solo i birrai più esperti dovrebbero cercare di gestire quattro ceppi di lievito producendo birra per tre giorni alla settimana. Non utilizzerete tutti i ceppi allo stesso modo, poiché le birre più popolari, come le pale ale o le amber, saranno vendute più velocemente.
Anche il costo potrebbe rappresentare un’altra preoccupazione per alcuni birrai che stanno pensando di utilizzare più di un ceppo, ma questo non è molto differente rispetto a utilizzare un ceppo singolo. In questo modo il birrificio gode dei benefici derivanti da maggiori tassi di inoculo e suddivide il costo del lievito su molte cotte. Considerate anche che una più ampia varietà di birre uniche potrebbe attirare più clienti, aumentando le vendite dei vostri prodotti. Se questo fosse il risultato, allora sarebbe valsa la pena di utilizzare ceppi molteplici, con i costi e lo sforzo che ne derivano.
La contaminazione incrociata è un’altra preoccupazione comune dei birrai che non hanno mai utilizzato ceppi diversi. C’è del vero in questa preoccupazione, poiché la concentrazione di questi “altri” ceppi è alta nel birrificio. Maggiore è la concentrazione di un organismo, maggiore è la possibilità di una contaminazione incrociata. Tuttavia, così come tutto ciò che è relativo alla fermentazione, il successo è determinato in gran parte dall’attenzione alla pulizia e alle pratiche igieniche. Con un’appropriata pulizia, i birrai non avranno problemi dovuti alla contaminazione incrociata tra ceppi diversi. Chi utilizza molteplici ceppi crede che se le procedure attuali non provocano contaminazione, non sarà un problema aggiungere altri ceppi. Tenete a mente quanto segue quando lavorate con vari ceppi di lievito contemporaneamente.
• Siate costanti. Cercate sempre di raccogliere il lievito al momento ottimale per quel ceppo e inoculate un numero di cellule costante o un peso costante delle cellule umide. In questo modo sarà più semplice individuare i problemi prima che diventino significativi.
• Usate contenitori “solo per lievito”. Utilizzate un contenitore diverso per ogni ceppo ed etichettatelo in modo chiaro. Quando conservate il lievito, ricordatevi di riporlo al fresco, in atmosfera controllata, e mantenete bassa la pressione di CO2.
• Conservate i contenitori di lievito in una zona pulita e refrigerata. Evitate di utilizzare la dispensa di casa o altre zone multiuso.
• Fresco è meglio. Mantenete al minimo il tempo di conservazione. L’obiettivo è conservare il lievito tra 1 e 2 °C e utilizzarlo entro sette giorni dalla raccolta. Considerate un tempo massimo di conservazione di 14 giorni.
• Tenete sotto controllo il pH della massa di lievito mentre lo conservate. Un aumento del pH di più di 1,0 indica significativa morte cellulare, e dovreste quindi gettare il composto.
• Documentate tutto e tenete dei registri. Dovreste prestare particolare attenzione alle temperature e ai tempi di fermentazione, alla flocculazione e all’attenuazione da birra a birra. Non dimenticate di registrare dati quali le qualità sensoriali della birra, la fonte del lievito, il numero di generazioni, le temperature e i tempi di conservazione ecc.
• Imparate a capire i bisogni e i comportamenti di ogni ceppo di lievito nel vostro birrificio. Ognuno è diverso dagli altri.
• Organizzate un gruppo di assaggio con il quale condurre degustazioni settimanali. Avere poche persone fidate che assaggiano le vostre birre ogni settimana vi dà un metro di paragone costante per identificare chiaramente i problemi. Assaggiate la birra dal fermentatore, per individuare un potenziale problema prima di riutilizzare il lievito.
• Come sempre, pulite e sanitizzate a fondo anche i raccordi ogni volta che fate un collegamento. Controllate regolarmente quei punti che, in genere, sono difficili da pulire, come lo scambiatore di calore e le superfici del fermentatore. Sostituite le parti morbide, come le guarnizioni in gomma, prima che insorgano dei problemi.
CEPPI MULTIPLI IN UNA BIRRA
Oggigiorno, i birrai utilizzano solitamente un singolo ceppo di lievito puro per la fermentazione. Questa è stata la consuetudine da quando Emil Christian Hansen sviluppò le tecniche per le colture pure. Prima di ciò, un birraio inoculava probabilmente molti ceppi diversi nel mosto, il che sarebbe potuto andare a scapito o a favore della sua birra. Oggi la maggioranza dei birrai considera un ceppo singolo come parte del tipico profilo di sapore della loro birra. Per esempio, pare che la Anheuser-Busch fermenti ancora oggi con il suo ceppo di lievito lager originale, che utilizza dal tardo Ottocento. Anche molti piccoli birrifici artigianali utilizzano un ceppo unico per la maggior parte delle loro birre. Anche nel caso in cui un birrificio usi ceppi diversi per birre diverse, la prassi prevede che si utilizzi un solo ceppo per birra.
Ci sarebbero dei benefici nell’utilizzare più ceppi di lievito in un’unica fermentazione? Per alcune birre, sì. Sarebbe infatti possibile:
• rendere più secca una birra altrimenti troppo dolce aggiungendo un ceppo neutro, maggiormente attenuante, alla cotta. In questo modo si sfrutterebbe il potere di attenuazione del ceppo neutro, mantenendo il profilo di sapore del ceppo più complesso ma meno attenuante;
• mischiare due ceppi con profili di sapore diversi ma complementari per ottenere un gusto più complesso;
• creare un profilo di sapore unico, che risulterebbe difficile da copiare per altri birrai;
• utilizzare un ceppo tollerante all’alcol assieme al ceppo abituale per la produzione delle birre stagionali ad alta densità.

Figura 3.2: Fermentazione multiceppo per ottenere obiettivi specifici.

Una cosa da tenere a mente è che le cellule di lievito producono la maggior parte dei composti aromatici della fermentazione nelle prime 72 ore. Per questo, se si volessero mescolare i sapori da ceppi di lievito diversi, bisognerebbe aggiungerli tutti all’inizio della fermentazione.
Diversamente accade quando si aggiunge un ceppo per ottenere una maggiore attenuazione o una tolleranza all’alcol. In questo caso, si aggiunge il ceppo tollerante all’alcol o quello altamente attenuante verso la fine della fermentazione, poiché aggiunge poco in termini di composti aromatici, anche se lavorerà mediante gli zuccheri rimanenti per raggiungere l’attenuazione desiderata. Lo svantaggio di tale metodo è che non è possibile reinoculare il lievito senza che il secondo ceppo abbia un impatto aromatico superiore sulle cotte successive.
Esistono dei trucchi per aggiungere il lievito a una fermentazione già in atto. Siccome la fermentazione è priva di ossigeno e l’alcol è presente, il lievito deve essere in uno stato molto attivo. I lieviti dovrebbero passare attraverso una fermentazione attiva, che sia da uno starter, per propagazione o da una fermentazione attiva di uno o due giorni, quando inoculati in una birra.
Molti birrai evitano di utilizzare ceppi diversi in una fermentazione poiché temono che i lieviti competeranno tra loro, e che uno avrà il sopravvento. È invece interessante notare come la maggior parte dei ceppi di lievito cresca a una velocità simile durante la fermentazione della birra, quindi raramente vi è competizione quando si mischiano due o più ceppi. Molti ceppi di lievito in natura competono contro altri, e alcuni di loro possono ucciderne altri, ma il lievito per birra non si comporta così. Forse ciò è dovuto alle generazioni di birrai che hanno protetto il loro lievito da ceppi concorrenti. Se siete preoccupati che un ceppo cresca più di un altro, potete eseguire un semplice esperimento per confrontare il tasso di crescita di ogni ceppo, prima separatamente e poi uniti, per determinare se i lieviti crescono bene insieme.
La preoccupazione più pertinente riguardo le fermentazioni con colture miste è la differenza di flocculazione. Anche se ceppi poco flocculanti miglioreranno questa caratteristica flocculando insieme a un ceppo maggiormente flocculante, ci saranno sempre delle differenze nella flocculazione generale. Raccogliere e reinoculare da una fermentazione con ceppi misti richiede attenzione nei confronti di tali differenze, altrimenti si potrebbe influenzare la percentuale di ogni ceppo di lievito raccolto. Per esempio, se la coltura mista consiste di un ceppo altamente flocculante e di uno poco flocculante, raccogliere il lievito dal fondo del fermentatore aumenta la percentuale del ceppo altamente flocculante. Nella realtà del mondo birraio, abbiamo notato che la percentuale varia in appena cinque generazioni. In questo caso, la miscela è variata da una distribuzione equa a una in cui un ceppo costituiva il 90% dell’inoculo. Tuttavia, è interessante notare come il birraio sentisse ancora i benefici derivanti da entrambi i ceppi, e fosse molto sorpreso una volta venuto a conoscenza della grandezza del cambiamento di distribuzione.
Non dovreste essere troppo preoccupati riguardo a questa possibilità, poiché è relativamente semplice controllare le proporzioni tra i ceppi in un inoculo. Questo libro illustra diverse tecniche di monitoraggio del lievito nella sezione “Il vostro semplice laboratorio del lievito”. Il metodo più semplice per controllare lo slittamento di proporzioni è simile alle tecniche utilizzate per determinare la purezza di un ceppo di lievito: mettere il lievito in una piastra di Petri con terreno Wallerstein (WL) rende visibile la quantità del singolo ceppo in una coltura mista senza l’uso del microscopio o l’analisi genetica.
Nell’interesse di esplorare l’efficacia dei ceppi misti nel mondo brassicolo, la White Labs ha fornito delle colture miste a un certo numero di birrifici. Le reazioni dei birrai sono state positive.
Nonostante la fermentazione di colture miste non sia una panacea per tutti i problemi di sapore o di attenuazione, è semplice notare come l’utilizzo di ceppi diversi da uno o più fornitori possa rivelarsi uno strumento utile nell’arsenale creativo del birraio.
BRETTANOMYCES
La maggior parte dei birrai più esperti sa che il Brettanomyces è un lievito, sebbene alcuni lo considerino un batterio. Come i ceppi lager e ale, i ceppi Brettanomyces non producono spore. Spesso i birrai lo chiamano “Brett” e, mentre per alcuni è una maledizione, altri lo amano.
Nel 1904 N. Hjelte Claussen, direttore del birrificio New Carlsberg a Copenhagen, in Danimarca, isolò e presentò al mondo il Brettanomyces. Egli dimostrò che le forti birre inglesi conservate in magazzino subivano una lenta fermentazione secondaria grazie al Brettanomyces, che produceva sentori tipici delle birre britanniche ad alta densità. Il nome Brettanomyces deriva dal greco e significa infatti “fungo britannico”. Claussen fu in grado di replicare il sapore inoculando nella birra una coltura pura del lievito appena scoperto.
Prima del lavoro di Hansen e del suo sviluppo della tecnica di coltura pura, il Brettanomyces era presente in molte birre. L’inizio della coltura pura nella birrificazione ha anche segnato l’inizio dell’età oscura del Brettanomyces, che veniva puntualmente eliminato dai birrai. Mentre la maggior parte delle aziende vinicole e dei birrifici oggi evita il Brettanomyces, alcuni lo utilizzano, dando una speranza anche a questo lievito tanto diffamato. Le parole utilizzate per descrivere i composti della fermentazione del Brettanomyces suonano come la vecchia fattoria: sella di cavallo, pollaio, cavallo sudato, cerotto, cuoio, lana bagnata, enterico, fagioli bruciati, plastica bruciata, pepato, topo e altro ancora. È semplice comprendere perché molti birrai lo vedono come un’influenza negativa piuttosto che positiva. Tuttavia, esso è un componente chiave dei lambic e di altre ale di tipo belga. Oggigiorno molti birrifici utilizzano il Brettanomyces, e alcuni coraggiosi lo usano nei propri esperimenti, ottenendo un enorme successo. Questo lievito è considerato una parte integrante della produzione del sapore di birre come Rodenbach Grand Cru, Orval, Cuvée de Tomme, lambic e molte altre, da birrifici come Lost Abbey Brewing Company di San Marcos, in California, e Russian River Brewing Company di Santa Rosa, in California.
Perché questi birrifici utilizzano questo strano lievito se i sentori che produce sembrano così sgradevoli? Be’, è un po’ come aggiungere delle spezie indiane a cibi locali (a meno che non viviate in India, certo). Improvvisamente, avete così tanti nuovi sapori e aromi da utilizzare nella produzione della birra. Con la giusta abilità e il giusto equilibrio, questi sentori creano una birra allo stesso tempo complessa e deliziosa.
PREOCCUPAZIONI DI CONTAMINAZIONE
L’unica cosa che impedisce a molti birrai di sperimentare con il Brettanomyces è la paura della contaminazione incrociata. Se non prestate attenzione, potreste scoprire velocemente che il carattere del Brettanomyces si sta sviluppando in tutte le vostre birre. Questo lievito si diffonde facilmente, come altri organismi, attraverso la polvere trasportata dall’aria, il legno, le mosche della frutta, le linee di trasferimento e altri attrezzi. Ciò che rende il Brettanomyces un po’ più problematico è che esso può formare un biofilm, che richiede una pulizia appropriata prima di sanitizzare la superficie. Tuttavia, l’attenzione alla pulizia e alle procedure di sanitizzazione è fondamentale per evitare molti problemi: se mantenete separati gli attrezzi morbidi e ne utilizzate un set per il Brettanomyces e uno per tutte le altre birre, non dovreste mai avere problemi.
CEPPI DI BRETTANOMYCES
Il Brettanomyces è un genere di lievito che non produce spore della famiglia delle Saccharomycetaceae. I lieviti che producono spore costituiscono il genere Dekkera. Il gruppo dei Brettanomyces si è ampliato man mano che i ricercatori hanno aggiunto molti nuovi ceppi nel corso del secolo scorso. Essi hanno identificato cinque specie, sulla base dell’omologia tra le sequenze di DNA ribosomiale:

•B. bruxellensis, che include B. intermedia, B. lambicus e B. custersii
•B. anomalus, che include B. claussenii
•B. custersianus
•B. naardenesis
•B. nanus

Ci sono solo tre ceppi Brett che si utilizzano regolarmente per la produzione di birra:
•B. bruxellensis: un ceppo fantastico per la fermentazione secondaria. Orval utilizza questo ceppo per produrre il gusto secondario della sua birra trappista. Anche New Belgium, Southampton e Mackenzies hanno utilizzato questo ceppo nella produzione delle loro birre.
•B. lambicus: spesso presente nelle birre in stile lambic, nelle Flemish red e nelle brown ale. Russian River utilizza questo ceppo in diverse birre, soprattutto nella Sanctification.
•B. anomalus: non così conosciuto come gli altri due, ma si ritiene sia un ceppo di B. bruxellensis. Forse questo è il ceppo isolato dalle stout inglesi e irlandesi. Ha un sapore molto più tenue rispetto a quello degli altri ceppi, tendendo per lo più al fruttato.

CHE COSA RENDE IL BRETTANOMYCES SPECIALE?
Il Brettanomyces si comporta in modo diverso dai comuni ceppi per birra. Probabilmente la differenza più significativa consiste nell’effetto Custer, ossia l’inibizione della fermentazione alcolica in assenza di ossigeno. Mentre solitamente il lievito produce alcol in assenza di ossigeno (fermentazione anaerobica), il Brettanomyces produce alcol molto più velocemente in presenza di ossigeno (fermentazione aerobica). Se è presente l’ossigeno, il Brettanomyces trasforma il glucosio in etanolo e acido acetico. Uno dei motivi per cui molte aziende vinicole temono il Brettanomyces è il fatto che esso consuma gli zuccheri del legno presenti nelle botti di quercia. Il Brettanomyces produce l’enzima β-glucosidasi, che gli permette di scindere uno zucchero del legno chiamato cellobiosio. Il processo di tostatura delle nuove botti di quercia crea il cellobiosio. Le botti nuove contengono inoltre quantità maggiori di cellobiosio rispetto alle botti usate, quindi possono potenzialmente accogliere popolazioni di Brettanomyces più ampie. L’enzima β-glucosidasi scinde il cellobiosio e produce glucosio, utilizzato dalle cellule come fonte di energia. È possibile che questa attività della glucosidasi generi dei sentori fruttati. Mentre molte aziende vinicole distruggono ogni botte dentro la quale si sviluppi una popolazione di Brettanomyces, alcuni birrai le custodiscono gelosamente. Se volete agevolare la β-glucosidasi, sappiate che la sua attività viene inibita da alti livelli di etanolo, e che il suo pH ottimale varia da 5 a 6.
Il Brettanomyces produce quattro sottoprodotti principali: acidi organici volatili, esterasi, tetraidropiridine e fenoli volatili. Un acido comune prodotto è l’acido acetico, e spesso si ritiene che le birre con Brettanomyces con alti livelli di acido acetico abbiano anche alti livelli di acetato di etile, dal sapore simile al solvente. Altri composti di sapore comuni ai Brettanomyces, derivati dagli acidi grassi, sono l’isovalerico, l’isobutirrico e l’acido 2-metil-butirrico.
Le tetraidropiridine sono responsabili dei sentori di urina di topo. La fermentazione dei Brett forma dei fenoli volatili come 4-etilfenolo (cerotto) e 4-etilguaiacolo (legno bruciato). I fenoli volatili producono anche sentori speziati di cannella, pepe, pollaio, cavallo e altri composti tipici dei Brettanomyces. Infatti, la presenza di 4-etilfenolo è un forte indicatore di Brettanomyces.
TASSI DI INOCULO E ALTRI FATTORI
Come molti birrai già sanno, bastano poche cellule di Brettanomyces perché il suo carattere appaia nella birra. Anche se volete utilizzare intenzionalmente i Brettanomyces, troppe cellule possono essere un male. Un tasso di inoculo di 200.000 cellule per millilitro è efficace, molte meno rispetto ai ceppi ale o lager. Quando si lavora con botti di legno, Tomme Arthur di Lost Abbey consiglia di inoculare il doppio di quel tasso per le botti nuove, in modo che il ceppo si possa insediare nella botte. Vinnie Cilurzo di Russian River comincia con metà di quel tasso ma integra le fermentazioni con un ulteriore inoculo di Brettanomyces una volta al mese. Come con ogni altra fermentazione, dovete fare delle prove per trovare il corretto tasso di inoculo e ottenere i risultati desiderati.
Il Brettanomyces cresce lentamente e vive a lungo. Mentre alcuni ceppi impiegano cinque mesi per raggiungere il picco di crescita e sviluppare i profili di sapore appropriati, il ceppo medio raggiunge quel punto in circa cinque settimane in condizioni appropriate.
L’ossigeno gioca un ruolo importante nella crescita del Brett e nella produzione di composti come l’acido acetico e l’etanolo. Un’aerazione moderata stimola la crescita di questo lievito. Alcuni ricercatori hanno scoperto che la fornitura ottimale di ossigeno per la crescita del B. bruxellensis è di 4 mg O2 l–1h–1, ossia un flusso d’aria di 60 l h–1 (0,1 volume di aria per volume del mezzo al minuto, o vvm), circa quattro volte superiore al livello di ossigeno consigliato per le ale. Tassi superiori o inferiori riducono la crescita cellulare. Anche la produzione di etanolo e di acido acetico dipende dal livello di aerazione: un aumento dell’ossigeno produce più acido acetico e meno etanolo (Aguilar Uscanga et al., 2003). Se il vostro obiettivo è quello di far crescere il Brettanomyces o di dare un carattere acetoso alla birra, allora l’ideale è molto ossigeno.
La densità specifica della birra può anche influenzare lo sviluppo aromatico della fermentazione secondaria con il Brettanomyces. Quando Claussen lavorò con questo lievito, dimostrò che l’inoculo in una birra con densità specifica di 1,055 le avrebbe conferito un carattere “inglese”. In seguito, J.L. Shimwell confermò che erano necessarie certe condizioni per ottenere un sentore vinoso. Una birra sotto 1,050 (12,4 °P) risulterebbe sgradevole e torbida, con sapori e aromi insipidi, mentre una birra con densità iniziale di 1,060 (14,7 °P) svilupperebbe un sentore vinoso. Shimwell affermò che il Brettanomyces potrebbe essere “un organismo desiderabile in una birra e sgradito in un’altra, all’interno dello stesso birrificio” (Shimwell, 1947).
CATTURARE IL LIEVITO SELVAGGIO
La maggior parte di noi l’ha fatto. Ci stiamo godendo un eccellente lambic belga, e iniziamo a fantasticare di una fermentazione spontanea nel nostro cortile. E se lasciassimo in cortile un secchio di mosto durante la notte? E se immergessimo nel mosto una mela raccolta dal nostro albero? Nonostante la maggior parte dei birrifici cerchi di evitare l’esposizione a tali influenze, qualche spirito audace incoraggia l’inclusione di organismi presenti in natura all’interno del suo processo di fermentazione. Quando se ne parla, molti pensano immediatamente ai birrifici della valle della Senne intorno a Bruxelles. Certo, sono stati per secoli una guida alla birrificazione, ma oggi sempre più birrifici stanno esplorando questa parte eccitante della loro arte. Uno di questi è il Jolly Pumpkin Artisan Ales di Dexter, nel Michigan. Secondo Ron Jeffries, proprietario e birraio, il design particolare del sistema di riscaldamento e raffreddamento del birrificio lascia entrare di notte l’aria fredda e non filtrata, dando così ai microrganismi locali un’opportunità di stabilirsi nei fermentatori aperti. Il birrificio Jolly Pumpkin fermenta primariamente le sue birre con un ceppo di lievito commerciale, ma il riutilizzo della coltura di cotta in cotta, nel lungo periodo, e l’influsso di altri organismi, ha permesso di sviluppare un profilo aromatico unico nel tempo.
Per l’inoculo della fermentazione spontanea dipendiamo dai microbi già presenti negli ingredienti (uva, mele, pere) o trasportati dalle particelle di polvere nell’aria o ancora dagli insetti. Come potete intuire, i risultati sono spesso altamente variabili. Anche se potrebbe esserci del lievito in grado di produrre il tipo di fermentazione che volete, spesso esso è accompagnato da altri microbi, come batteri e muffa.
C’è un dibattito in corso riguardo alla effettiva possibilità di trovare del lievito che produce alcol sulla buccia di vari frutti. Si crede che il lievito sia già presente sugli strumenti utilizzati per la lavorazione e la fermentazione. Tuttavia, alcuni studi hanno scoperto S. cerevisiae nelle mele fermentate spontaneamente (Prahl, 2009). Ciò non significa che esso sia presente su tutta la frutta o su altre piante, ma sembra probabile che la maggior parte della frutta ne ospiti almeno una piccola popolazione.
Che si vogliano raccogliere gli organismi dalla frutta o che si permetta loro di stabilirsi trasportati dall’aria notturna, la quantità di lievito sarà comunque molto piccola in confronto a quella di cui avremmo bisogno anche per la più piccola cotta di birra. Molti birrai aggirano il problema inoculando per prima cosa una coltura pura a un tasso di inoculo appropriato, e poi permettono ad altri organismi di distribuirsi nella birra aperta. Il periodo di esposizione e il tasso di inoculo primario possono avere un enorme impatto sui risultati del processo. Non ci sono regole, e tutto ciò che potete fare è sperimentare con il tasso di inoculo iniziale, il tempo di apertura del fermentatore e l’esposizione del mosto prima, durante, o dopo il completamento della fermentazione. Il pH, gli IBU, la quantità di alcol presente, la stagione dell’anno e la quantità di zucchero residuo influiranno tutti sulla risposta degli organismi secondari.
E se voleste maggiore controllo e la possibilità di evitare tutti gli altri batteri e muffe? Forse dovreste crearvi una vostra coltura pura da ciò che si trova nel vostro cortile. Potreste effettuare delle piccole fermentazioni esponendo il mosto durante la notte o immergendovi della frutta. Utilizzate un mosto semplice, solo malto pale e bassi livelli di luppolo. Potete assaggiare i risultati per verificare se qualcuno dei vostri esperimenti ha un carattere che volete mantenere, poi raccogliete e mettete su una piastra di Petri gli organismi presenti su quella birra. Dalle colonie che crescono sulla piastra, effettuate ulteriori prove di fermentazione per vedere quali contribuiscono ai sentori che gradite.
Un fattore che potete sfruttare a vostro vantaggio è che la miscela di organismi cambierà dopo ripetute fermentazioni, per sviluppare le caratteristiche che le permettono di sopravvivere nell’ambiente che voi fornite. Lo ripetiamo: l’ambiente che fornite esercita una pressione selettiva sugli organismi e ne favorisce alcuni rispetto ad altri. Sfruttatelo a vostro vantaggio. Se avete una fermentazione alcolica, nella quale il pH si è abbassato, le sostanze nutritive sono limitate, l’ossigeno non è presente e il livello di alcol si è alzato, allora alcune varianti di S. cerevisiae saranno probabilmente le più forti, e dovrebbero essere in grado di sconfiggere la maggior parte dei batteri presenti.
Una volta che avete scelto il vostro lievito preferito dalla cotta di prova, prendete il risultato e fatene fermentare un’altra alla stessa densità specifica, stessi IBU e altri fattori della birra che volete ottenere. Questo favorirà alcuni organismi a scapito d’altri, eliminando quelli che non si adattano al vostro ambiente. Se il vostro obiettivo è quello di produrre una birra con alti livelli di etanolo con il lievito che avete appena trovato, potreste voler cominciare anche con un lievito ale neutro: vi assicurerà un livello di alcol maggiore e contribuirà a eliminare qualsiasi organismo che non possa sopravvivere in quell’ambiente. Il riutilizzo favorirà poi gli organismi con una maggiore tolleranza all’alcol.
Se volete isolare un organismo, ripetete questi passi per creare la vostra coltura.
1. Raccogliete il sedimento della fermentazione.
2. Diluite il sedimento e disponetelo su una piastra di Petri così da poter scegliere le singole colture pure.
3. Trasferite le colonie distinte in piccoli lotti di mosto di prova.
4. Verificate i risultati della prova valutando il gusto, l’aroma, o con altri test. Se fallite, ricominciate. Se i risultati sono quelli che volevate, andate avanti.
5. Raccogliete il risultato e fatelo propagare in un volume più grande.

Anche se lavorare con i lieviti selvaggi può essere interessante, la realtà è che non è affatto semplice ottenere dei buoni risultati. A seconda del mezzo utilizzato, potrebbe anche rivelarsi potenzialmente pericoloso. Le condizioni aerobiche e un pH abbastanza elevato possono favorire la crescita di agenti patogeni. Prestate attenzione quando assaggiate una fermentazione naturale, specialmente se non ha l’odore di una birra. Anche se non puzza, potrebbe essere pericolosa. Evitate di assaggiare qualsiasi fermentazione spontanea e aspettate di aver isolato i lieviti e aver fatto crescere una coltura da essi.
FERMENTAZIONE

La fermentazione è il passaggio durante il quale si fa la birra. Il detto secondo cui “i birrai fanno il mosto, il lievito fa la birra” è vero, ma come birrai, abbiamo molto controllo sul modo in cui il lievito fa la nostra birra. Anche se può sembrare che, di tanto in tanto, un dato ceppo di lievito ci si ritorca contro, è importante capire le sue esigenze e i suoi gusti e sfruttare al massimo questa conoscenza, poiché ci permette di avere controllo sul nostro lievito. Gran parte di ciò che rende grande un birraio è la comprensione e la manipolazione della fermentazione per ottenere un risultato ideale. Anche se non è possibile far fare a un ceppo di lievito qualcosa che non è fisiologicamente in grado di fare, è possibile farlo rispondere al meglio delle sue abilità.
SEQUENZA TEMPORALE DELLA FERMENTAZIONE
Una volta inoculato il lievito, cosa fanno le cellule? La risposta più comune è: consumano lo zucchero nel mosto e lo trasformano in nuove cellule di lievito, etanolo, anidride carbonica e composti di sapore.
Zucchero + 2 ADP + 2 fosfato → 2 etanolo + 2 CO2 + 2 ATP

Per massimizzare i composti di sapore corretti, è utile sapere come si comporta il lievito durante la fermentazione della birra. Alcuni esperti suddividono la fermentazione in quattro o più fasi: latenza, crescita, fermentazione e sedimentazione. La verità è che la maggior parte dell’attività del lievito non segue fasi distinte, con punti di partenza e di arrivo fissi; al contrario, ci sono molte sovrapposizioni. Per esempio, all’inizio la crescita e la fermentazione avvengono nello stesso momento. Dire che le cellule si trovano in una fase o nell’altra in un dato momento non è sempre vero, poiché le singole cellule procederanno nella fermentazione a velocità diverse.
Per semplificare, possiamo dire che la fermentazione del mosto di birra segue tre fasi: una fase di latenza che dura da zero a 15 ore, una fase di crescita esponenziale, da uno a quattro giorni, e una fase stazionaria, da tre a dieci giorni. Le fasi esatte non sono importanti; piuttosto, il birraio dovrebbe capire cosa ottiene il lievito dalla fermentazione, e cosa esso fa per la birra.
FASE DI LATENZA (DA ZERO A QUINDICI ORE DOPO L’INOCULO DEL LIEVITO)
Quando il lievito viene inoculato nel mosto, esso comincia ad acclimatarsi all’ambiente. Nonostante non si veda alcuna attività, la cellula comincia ad assorbire ossigeno, minerali e aminoacidi (azoto) dal mosto, e a costruire delle proteine a partire dagli aminoacidi. Se il lievito non riesce ad assorbire gli aminoacidi di cui ha bisogno, li produce.
Il mosto di malto (all-malt) è una fonte eccellente di azoto, minerali e vitamine. Fornisce la maggior parte delle vitamine di cui il lievito ha bisogno per una fermentazione appropriata, come la riboflavina, l’inositolo e la biotina. Minerali importanti sono fosforo, zolfo, rame, ferro, zinco, potassio e sodio. Nel momento in cui il lievito comincia ad assorbire i minerali e le vitamine dal mosto, esso comincia a produrre gli enzimi necessari alla crescita. È possibile fornire al lievito ulteriori minerali e vitamine utilizzando appositi nutrimenti disponibili in commercio, per migliorarne la salute e le prestazioni. Lo zinco è uno dei composti spesso carenti.
Una sostanza nutritiva di cui il lievito ha bisogno, ma che non è presente nel mosto a causa della bollitura, è l’ossigeno. Durante la fase di latenza, le cellule di lievito assorbono rapidamente l’ossigeno disponibile nel mosto. Esse ne hanno bisogno per la produzione di importanti sostanze, in primo luogo gli steroli, che sono fondamentali per la permeabilità della membrana cellulare. È importante che forniate abbastanza ossigeno al lievito all’inizio della fermentazione e non in seguito, altrimenti potreste ostacolare il delicato equilibrio della creazione dei composti di sapore e aroma. Un’eccezione è rappresentata dalle birre a densità molto alta e molto alcoliche. In questi casi, nei quali il lievito ha bisogno di grandi riserve per portare a compimento la fermentazione della birra, una seconda aggiunta di lievito tra le 12 e le 18 ore dopo l’inoculo può fare un’enorme differenza nell’attenuazione della birra al livello desiderato.
La temperatura influisce direttamente sulla crescita del lievito. Temperature più alte producono più cellule. Una tecnica frequente quando si lavora con un tasso di inoculo di lievito leggermente più basso è quella di effettuare la fase di latenza a una temperatura superiore. Tuttavia, anche se potrebbe non creare direttamente aromi sgradevoli, può aumentarne alcuni precursori, come l’alfa-acetolattato, che è il precursore del diacetile. Se avete intenzione di inoculare il lievito al caldo, siate pronti a portare la birra alla stessa temperatura (o a una temperatura superiore) verso la fine della fermentazione. Ciò aiuterà il lievito a riassorbire alcuni di questi composti della fermentazione, ottenendo così una birra più pulita. Oltre a questi precursori, il lievito produce pochissimi altri composti di sapore durante la fase di latenza. Produce inoltre poco etanolo in questa fase, quindi non c’è da preoccuparsi per la formazione di esteri, che si creano una volta prodotte quantità apprezzabili di etanolo. Tuttavia, la rapidità della crescita durante questa fase influenzerà i sentori nel corso della fermentazione. Alcuni birrai iniziano la fase di latenza per le ale tra i 22 e i 24 °C, e completano la fermentazione a 20 °C. È possibile fare così anche per le birre lager, iniziando la fase di latenza tra i 22 e i 24 °C e abbassando la temperatura di fermentazione tra 10 e 13 °C. Questo è un metodo accettabile per affrontare un inoculo di lievito più piccolo, ma sempre di un’entità adeguata, in una cotta di birra di una data dimensione. Tuttavia, non rappresenta una panacea per un inoculo troppo piccolo. Quando il birraio ha a disposizione un inoculo appropriato di lievito sano e può raffreddare il mosto alle temperature di fermentazione in tempi ragionevoli, l’opzione migliore per ottenere una birra di qualità è spesso inoculare alla temperatura di fermentazione, o a una temperatura leggermente inferiore, che si alzerà tra le prime 12-36 ore, fino al raggiungimento della temperatura desiderata. Il beneficio di tale processo è una crescita controllata del lievito, che spesso corrisponde a una sua migliore salute generale, a minori perdite attraverso la membrana cellulare e quindi a un profilo di birra più pulito. Non sarà visibile alcuna attività durante la fase di latenza (ecco spiegato il nome), ma costituisce un passaggio fondamentale nella costruzione di nuove cellule sane per la fermentazione. Anche il tasso di inoculo gioca un ruolo chiave nella qualità della fase di latenza. Un tasso più alto può diminuire la durata di questa fase, ma ogni singola cellula non sarà altrettanto sana alla fine della fermentazione. Nonostante possa sembrare più rassicurante vedere l’attività della fermentazione già entro un’ora, questa non è la condizione ottimale per il lievito. Lo stesso vale per un tasso di inoculo basso, che richiede di modificare le temperature e di aggiungere sostanze nutritive. Una crescita cellulare troppo grande lascia spesso le cellule in pessimo stato per il resto della fermentazione, e anche per la fermentazione successiva.
FASE DI CRESCITA ESPONENZIALE (DA QUATTRO ORE A QUATTRO GIORNI)
Quando il lievito esce dalla fase di latenza, inizia a consumare gli zuccheri in soluzione e produce, tra l’altro, CO2. Questo è l’inizio della fase di crescita esponenziale, o logaritmica, del lievito. Durante questa fase, il numero di cellule cresce rapidamente, e il lievito produce etanolo e composti di sapore. Il lievito comincia a produrre grandi volumi di CO2 e crea uno strato di schiuma sulla superficie della birra. Per la maggior parte del lievito ale neutro, l’aroma della fermentazione durante questa fase ha un odore “di oliva”.
Nella fase esponenziale il lievito consuma rapidamente gli zuccheri seguendo un certo ordine. Per prima cosa, utilizza gli zuccheri semplici: glucosio, fruttosio e saccarosio, che vengono assorbiti nella cellula e rilasciati nel metabolismo molto velocemente. Mentre il glucosio rappresenta circa il 14% di tutto lo zucchero presente nel mosto, l’elemento principale è il maltosio. Esso rappresenta il 59% degli zuccheri nel mosto, e la sua fermentazione fa parte di ciò che permette al lievito di creare alcuni dei caratteristici composti di sapore della birra. In risposta alla presenza del maltosio, il lievito utilizza l’enzima maltasi per idrolizzare il maltosio in unità di glucosio (l’idrolisi è la decomposizione di un composto chimico per reazione con l’acqua). Il lievito può quindi utilizzare il glucosio attraverso il ciclo metabolico normale.
Per ultimi, il lievito fermenta gli zuccheri più complessi come il maltotriosio, che non è facilmente digeribile dal lievito; infatti, alcuni ceppi fermentano il maltotriosio meglio di altri, mentre alcuni non sono affatto in grado di fermentarlo. Più un ceppo è flocculante, meno maltotriosio tende a essere in grado di fermentare. La capacità di fermentare il maltotriosio determina i valori di attenuazione tipici di ogni ceppo.
Chiamiamo il picco dell’attività del lievito “high krausen”. La parte superiore della schiuma in cima al fermentatore cambia colore, variando da giallo a marrone. Il colore deriva principalmente da malto e luppolo precipitati, e le macchie marroni, o “lievito marrone” (braun hefe), dalle resine dei luppoli ossidate.
FASE STAZIONARIA (DA TRE A DIECI GIORNI)
A questo punto, la crescita del lievito rallenta, ed esso entra nella fase stazionaria; è stata già prodotta la maggior parte dei composti di sapore e aroma, che includono alcoli superiori, esteri e composti solforosi. La birra in questa fase è detta “giovane”, poiché contiene ancora molti composti che associamo a una birra non ancora matura e che non ha ancora raggiunto un appropriato equilibrio di sapori.
La birra matura nella fase stazionaria, conosciuta anche come fase di rifermentazione. Il lievito riassorbe gran parte del diacetile e dell’acetaldeide prodotti durante la fermentazione, mentre l’acido solfidrico continua a fuoriuscire dalla parte superiore del fermentatore sotto forma di gas. Il krausen scende, e i grumi di lievito cominciano a precipitare. Quando si lavora con un ceppo nuovo, è importante controllare il grado di attenuazione a questo punto per confermare che il lievito abbia effettivamente terminato la fermentazione. Alcuni ceppi flocculano e precipitano prima che la birra sia totalmente attenuata, quindi sono necessarie delle azioni correttive che possono includere rianimare il lievito, aumentare la temperatura o effettuare un nuovo inoculo.
A questo punto molti birrifici professionali, al fine di produrre una birra nel modo più veloce ed efficace possibile, raffreddano gradualmente il contenuto del fermentatore di 2-4 °C, il che obbliga la maggior parte del lievito a flocculare e precipitare. Nonostante gli homebrewer potrebbero seguire questo metodo spostando il fermentatore in una zona refrigerata o impostando il termostato su una temperatura inferiore, ci sentiamo di sconsigliare questo approccio. Una delle cose da evitare è forzare il letargo del lievito prima che abbia avuto l’opportunità di ripulire il mosto. Un famoso birrificio commerciale, poiché affrettava questo processo, produceva una ale con alto livello di diacetile. Una volta concessi più calore e tempo, la birra passò dall’essere burrosa all’essere fantastica. Il nostro consiglio, specialmente per gli homebrewer, è di aspettare che il lievito finisca i suoi compiti e ripulisca il più possibile i sottoprodotti della fermentazione. Ma anche il tipico consiglio che si dà agli homebrewer, ossia “aspettare sette giorni e poi trasferire”, non è il migliore. Birre e lieviti diversi hanno bisogni differenti. Aspettate fino a quando il lievito non mostra più segni di attività, lasciate che il fermentatore diventi più chiaro naturalmente, e poi imbottigliate la birra.
In sostanza, è importante che voi riconosciate queste fasi principali, poiché sarete in grado di identificare potenziali problemi. Quando si tratta di fermentazione, e in particolare dei fattori chiave temperatura, tempo e tasso di inoculo, focalizzatevi sulla qualità della birra piuttosto che sulla velocità.
COMPOSIZIONE DEL MOSTO
La composizione del mosto è molto importante per la fermentazione, a partire dalle sostanze nutritive fino alle percentuali di zuccheri. Senza un adeguato nutrimento e il giusto equilibrio tra gli zuccheri, la fermentazione non andrà a finire come si aspetta il birraio, e la birra ne soffrirà.
ZUCCHERI
La maggior parte di chi fa birra sa che esiste una correlazione tra la temperatura d’ammostamento e il tipo di zuccheri creati durante quella fase. Temperature più elevate favoriscono gli enzimi che producono zuccheri più complessi e difficilmente fermentescibili, con il risultato che la birra attenua di meno rispetto a una con meno zuccheri complessi. Anche la consistenza del mash gioca un ruolo, per quanto piccolo, nella fermentescibilità del mosto, ma il birraio può facilmente superarne l’effetto con una leggera modifica della temperatura d’ammostamento.
Il tempo e la temperatura sono i parametri principali che il birraio dovrebbe utilizzare per modificare la fermentescibilità del mosto. Nonostante la conversione possa avvenire rapidamente, anche una ulteriore attività enzimatica può influenzare la fermentabilità del mosto.
Eseguire un test di verifica della fermentescibilità del mosto è economico, semplice e vi dà informazioni preziose su ciò che potreste aspettarvi dalla fermentazione. In questo modo è molto più facile determinare se un problema di fermentazione è collegato alla fase fredda o alla fase calda. Abituatevi a effettuare un test di fermentescibilità del mosto ogni volta che producete una nuova birra e testate periodicamente le birre già in produzione. Trovate più informazioni su questo test nel capitolo “Il vostro semplice laboratorio del lievito”.
Una cosa che molti birrai sono stati indotti a credere è che temperature di ammostamento elevate producono birre più “maltate”. Con questo termine intendono dire che la birra ha più dolcezza data dal malto. In realtà, temperature di ammostamento elevate non sviluppano un carattere o un sentore di malto, e non danno molta dolcezza. Le lunghe catene di destrine create a temperature di ammostamento elevate sono solo leggermente dolci. Potreste produrre due birre, una a una maggiore temperatura di ammostamento e con una densità finale alta, e un’altra a temperatura di ammostamento inferiore e con una densità finale bassa, ma la birra con la gravità finale più alta risulterebbe più secca (meno dolce) dell’altra. Esistono molti esempi di birre in stile belga con una densità finale molto bassa che hanno un importante carattere dolce. Molti fattori contribuiscono alla dolcezza relativa di una birra oltre alla fermentazione, inclusi alcol, composti amaricanti, tannini, carbonazione e zuccheri che il lievito non ha consumato.
ENZIMI
Gli homebrewer sono famosi per il loro desiderio di produrre birre estreme e per la volontà di superare ogni volta i propri limiti. Chi produce grandi volumi di birra a volte ricorre a prodotti da banco contenenti enzimi che scindono gli amidi. Il problema principale dell’aggiungere enzimi alla fermentazione (oltre al rischio di una contaminazione batterica) è che, senza la bollitura, gli enzimi mantengono la loro piena attività, continuando a scindere gli amidi e le destrine, prosciugando completamente la birra e degradando la qualità del gusto. L’unico modo ragionevole per fermare l’attività enzimatica è pastorizzare la birra a una temperatura e per una durata tali da denaturare gli enzimi, ma pochi birrifici artigianali e anche meno homebrewer pastorizzano la birra.
Le birre ad alta densità, specialmente quelle all-malt, hanno inizialmente un’alta percentuale di zuccheri non fermentescibili. Il problema è che spesso la fermentazione si interrompe prima del raggiungimento dell’obiettivo del birraio. Spesso aggiungere gli enzimi α-amilasi fa ripartire una fermentazione ferma ad alta densità. Come già accennato, gli enzimi continuano a lavorare, ma l’alta concentrazione di alcol impedisce al lievito di lavorare, anche quando gli enzimi rendono disponibili nuovi zuccheri fermentescibili. Alcuni birrai hanno avuto successo con questo metodo, nonostante i risultati possano essere meno simili a una birra di quanto desiderassero. E siccome la popolarità delle birre altamente alcoliche continua ad aumentare, sempre più birrai faranno esperimenti con gli enzimi.
Anche delle carenze nutritive possono far procedere lentamente la fermentazione. Quando si utilizza mosto che contiene una grande porzione di zuccheri che non provengono dal malto o quando si utilizzano malti poco modificati, è importante assicurarsi che ci sia abbastanza azoto nel mosto per lo sviluppo appropriato delle cellule di lievito e quindi per la fermentazione. I malti poco modificati dovrebbero essere sottoposti a un protein rest per assicurarsi che il mosto contenga abbastanza aminoacidi, mentre un mosto che utilizza un’alta percentuale di zuccheri non provenienti dal malto potrebbe richiedere altro azoto. A volte la causa di una fermentazione fiacca è la carenza di minerali. Per lavorare in modo efficiente, molti enzimi necessitano di alcuni minerali come cofattori. Per esempio, spesso il mosto ha una carenza di zinco. Lo zinco è un cofattore dell’enzima alcol deidrogenasi, responsabile nel lievito della produzione di alcol. Tale enzima non può utilizzare altri ioni metallici al posto dello zinco.
Gli enzimi provengono da molte fonti, per esempio il malto, una fonte vegetale. La maggior parte dei produttori commerciali fabbrica i prodotti enzimatici a partire da microrganismi. È economicamente efficace far crescere grandi quantità di microrganismi (batteri o funghi) in fermentazioni ad alta densità cellulare. Solitamente gli organismi secernono l’enzima interessato, quindi è sufficiente rimuovere le cellule e concentrare il terreno circostante, che contiene l’enzima. Le caratteristiche e l’utilizzo designato di ogni prodotto determinano se proseguire a un’ulteriore purificazione. Sarebbe troppo costoso purificare completamente la maggior parte degli enzimi, perciò ogni preparazione contiene di solito un certo numero di enzimi diversi. I produttori possono anche creare enzimi da fonti di DNA ricombinante (organismi geneticamente modificati, o OGM), ma il loro utilizzo nella produzione di birra è oggi molto raro. I birrai sono conservatori e consapevoli delle reazioni potenzialmente avverse dei loro clienti nei confronti dell’aggiunta di OGM alla birra. Tuttavia, il prodotto OGM Maturex, della Novo Nordisk, ha ottenuto l’approvazione all’utilizzo nella birra da parte dell’autorità competente negli Stati Uniti. Si tratta di una acetolattato decarbossilasi che converte l’acetolattato direttamente in acetoino senza produrre diacetile, eliminando il bisogno del diacetyl rest. Tuttavia, Maturex non può rimuovere il diacetile presente come risultato del metabolismo del lievito o del pediococco. In sostanza, utilizzare questo enzima potrebbe eliminare la pausa del diacetyl rest, ma accorciare il periodo di maturazione della birra potrebbe avere altre conseguenze sul sapore.
Quando acquistate questi prodotti enzimatici, non vi sorprendete del contenuto esiguo. Poiché catalizzare una reazione non consuma l’enzima, è necessaria solo una quantità molto piccola. Le esatte dosi di utilizzo variano ma, in genere, si attestano intorno a 1 grammo per barile statunitense (circa 117 litri). Solitamente i prodotti saranno confezionati in forma liquida o liofilizzati. Se acquistate enzimi liofilizzati, è meglio utilizzare preparazioni “senza polvere”, per evitare il contatto involontario con pelle, occhi o polmoni. Le proteasi presenti nelle miscele e l’altra concentrazione di enzimi possono causare irritazioni cutanee. Potete protrarre la scadenza degli enzimi tenendoli al freddo. Per la maggior parte delle preparazioni conservate a 4 °C la scadenza è di un anno.
NUTRIRE IL LIEVITO
Il lievito ha bisogno di un’adeguata scorta di zucchero, azoto, vitamine, fosforo e metalli in tracce. Gli esatti requisiti nutritivi variano tra cellule di lievito ale (Saccharomyces cerevisiae) e lager (Saccharomyces uvarum), e anche per ogni ceppo all’interno di una specie. Essi possono variare da cotta a cotta, anche quando si utilizza lo stesso ceppo di lievito.
Un mosto di solo malto contiene tutte le sostanze nutritive di cui il lievito ha bisogno per la fermentazione, escluso l’ossigeno e lo zinco. Aggiunte di mais, riso o sciroppi di zucchero non contengono molte sostanze nutritive essenziali, come azoto, minerali o vitamine. Tuttavia, anche con un mosto di solo malto i birrai trovano vantaggioso aggiungere dei nutrienti per migliorare e perfezionare la fermentazione. Molti prodotti nutritivi per il lievito in commercio costituiscono una fonte bilanciata di azoto, minerali e vitamine. I birrai possono anche aggiungere singoli nutrimenti specifici, ma tenete a mente che quantità eccessive possono causare problemi. Il vostro obiettivo è trovare l’equilibrio ottimale alle condizioni di fermentazione a seconda di ogni caso.
L’azoto costituisce circa il 10% del peso secco delle cellule di lievito. L’azoto nel mosto è presente per lo più sotto forma di aminoacidi. Esistono venti diversi tipi di aminoacidi, e il lievito è in grado di costruirsi quelli di cui ha bisogno, oppure li assimila dal mosto. Sia gli aminoacidi nel mosto sia l’integrazione di azoto inorganico influenzano il sapore, il che potrebbe costituire un bene o un male, a seconda dei vostri obiettivi.
Similmente al modo in cui il lievito consuma zuccheri diversi, esso assimila e utilizza gli aminoacidi nel mosto il più rapidamente ed efficacemente possibile: assorbe alcuni degli aminoacidi presenti nel mosto (gruppo A) nel corso del primo giorno, mentre altri (gruppo B) vengono assimilati gradualmente durante la fermentazione. Il lievito, poi, non ne assimila altri (gruppo C) per un lungo periodo. Inoltre, non utilizza per nulla l’aminoacido più abbondante nel mosto, la prolina (gruppo D). La specificità delle permeasi che trasportano gli aminoacidi oltre la membrana plasmatica controlla i tassi di utilizzo. Il modo più veloce di utilizzare l’azoto da parte del lievito è la transaminazione: in questo processo, un aminoacido donatore cede il suo azoto alfa-amminico al chetoacido per formare l’aminoacido desiderato. Per questo, per la maggior parte, gli aminoacidi presenti nel mosto sono convertiti in alfa-chetoacidi. Il lievito quindi non utilizza prolina perché essa è un aminoacido nel quale il gruppo alfa-amminico è secondario (legato a due atomi di carbonio) e non può essere transaminato.
Tale processo ha delle implicazioni profonde sul sapore. Gli alfa-chetoacidi formati sono decarbossilati per creare una aldeide, che viene conseguentemente ridotta ad alcol, che è la fonte degli alcoli superiori. Questo è il motivo per il quale le aggiunte di aminoacidi possono influenzare la quantità e il tipo di alcoli superiori formato. Inoltre, modifiche nel profilo degli alcoli superiori influenzano il profilo di esteri. Ecco perché le integrazioni di aminoacidi non sono necessariamente migliori dell’azoto inorganico.
Fonti tipiche di azoto inorganico sono il solfato d’ammonio e il fosfato di diammonio (abbreviato in DAP). Il DAP è diventato la fonte di azoto preferita dell’industria vinicola, poiché fornisce anche fosfato. Il fosforo è un componente essenziale dell’acido desossiribonucleico (DNA), così come i fosfolipidi all’interno delle membrane cellulari. Il fosforo rappresenta dal 3 al 5% del peso secco della cellula, la maggior parte del quale è conservata dal lievito all’interno dei vacuoli. Se al lievito manca il fosfato, possono sorgere difficoltà durante la fermentazione dovute a problemi con la replicazione del DNA, causando fermentazioni bloccate e incomplete. Quando il fosfato è carente, come nel caso di mosti non completamente a base di orzo, l’aggiunta di fosfato può recare giovamento.
Le vitamine sono essenziali in molte reazioni enzimatiche, tuttavia il lievito non è in grado di sintetizzare molte delle vitamine necessarie. I tipici fabbisogni vitaminici includono biotina, niacina e acido pantotenico. La biotina è la vitamina più importante per il lievito; essa è coinvolta in quasi tutte le reazioni enzimatiche che producono i composti fondamentali per il lievito: proteine, DNA, carboidrati e acidi grassi. Una carenza di biotina causa una rallentata crescita del lievito e fermentazioni bloccate.
I minerali necessari includono calcio, potassio, magnesio, zinco e molti altri metalli in tracce. Le reazioni enzimatiche utilizzano i minerali come cofattori. I minerali facilitano l’assorbimento cellulare delle sostanze e il lievito utilizza i minerali come componenti della struttura della cellula. Il calcio è importante per la flocculazione e il metabolismo del lievito, ma gli scienziati non credono che in generale esso sia un fattore limitante per la crescita e la fermentazione del lievito in un mosto a base di malto. A volte i birrai aggiungono sali di calcio alle fermentazioni per aggiustarne il pH e migliorare la flocculazione. Il manganese, che può stimolare la crescita, è spesso aggiunto a molte formulazioni nutritive per il lievito. Il potassio svolge diverse funzioni all’interno della cellula e costituisce fino al 2% del peso secco di una cellula di lievito, una percentuale molto alta per un minerale (la maggior parte si attesta sotto lo 0,1%). Il magnesio è importante per la sintesi dell’ATP, la forma di energia utilizzata dalle cellule. Infatti, il lievito non può crescere in assenza di magnesio. Se esso è carente, le cellule devono cercare di produrre composti che compensino alcune delle sue funzioni. Alcuni ricercatori hanno dimostrato che il magnesio migliora la capacità di una cellula di sostenere lo stress e gioca un ruolo importante nell’evitare la morte cellulare quando l’etanolo si accumula all’interno della cellula (Walker, 2000).
Come abbiamo detto precedentemente, spesso la quantità di zinco nel mosto è limitata. Questo metallo è importante nel ciclo cellulare (riproduzione) ed è un cofattore dell’alcol deidrogenasi, l’enzima responsabile della produzione di alcol. Anche se potrebbero essere presenti altri ioni metallici, non esiste un sostituto per lo zinco. La quantità ideale per la fermentazione varia tra 0,1 e 0,15 milligrammi per litro. È possibile utilizzare solfato di zinco o cloruro di zinco per uso alimentare o farmaceutico. Nel determinare il dosaggio e il costo del solfato di zinco, prestate attenzione al fatto che quello per uso alimentare o farmaceutico è invariabilmente sale eptaidrato di zinco (ZnSO4 • 7H2O), che contiene solo il 23% di zinco in peso. D’altra parte, il cloruro di zinco contiene il 48% di zinco in peso. Inoltre, tenete presente che parte dello zinco è assorbito durante l’hot break, quindi dovrete aggiungerne di più rispetto alla quantità esatta per la fermentazione. Aggiungendo circa 0,2-0,3 mg/l di zinco verso la fine della bollitura, dovreste ritrovarvi con un livello di zinco sufficiente nel fermentatore.
È interessante notare come il lievito per birra contenga alti livelli di cromo rispetto ad altri lieviti. Non sappiamo ancora quale ruolo giochi il cromo nella fermentazione, ma i suoi livelli sono così elevati che spesso il lievito viene incluso in molti prodotti nutritivi e cosmetici esclusivamente per il suo apporto di cromo.
Anche quando il mosto ha una composizione di minerali tecnicamente sufficiente, non c’è garanzia che essi siano biodisponibili per le cellule di lievito. Gli ioni metallici tendono a chelare, ossia a legarsi a proteine o altri composti, rendendosi non disponibili per il lievito. Anche quando i metalli entrano nelle cellule di lievito, essi possono chelare all’interno del citoplasma. Questo, in realtà, è un meccanismo di difesa del lievito, poiché impedisce ai metalli tossici di danneggiare la fermentazione. Il cesio, il litio e il piombo, per esempio, inibiscono tutti la crescita del lievito.
L’unico supplemento nutrizionale in questo caso è Servomyces di White Labs. Il produttore ha utilizzato un processo brevettato tramite il quale fa crescere il lievito in presenza di ioni metallici, inclusi zinco e magnesio. Test di fluorescenza mostrano che il processo di produzione lega la maggior parte dei minerali all’interno della parete cellulare, il che può impedirne la chelazione una volta che il lievito viene aggiunto al mosto. Aggiungendo Servomyces si fornisce lo zinco e il magnesio necessari, insieme alle sostanze nutritive date dalle cellule di lievito morte. Così, l’effetto di Servomyces è maggiore di quello che avrebbe una pari quantità di sali nutrienti (Mclaren et al., 2001).
OSSIGENARE PER LA FERMENTAZIONE
Il lievito non è strettamente anaerobico: ha bisogno di ossigeno per riprodursi. Di solito i birrai immettono ossigeno nel mosto prima di aggiungere il lievito, prima che cominci la fermentazione anaerobica. Nonostante chi produce birra sia terrorizzato all’idea di ossidare il prodotto finale, sa bene che il lievito necessita di ossigeno per una fermentazione salutare e costante.
Sono necessari appropriati livelli di ossigeno durante le fasi iniziali della fermentazione del mosto, poiché l’ossigeno gioca un ruolo fondamentale nella sintesi dei lipidi per la formazione della parete cellulare (Fix e Fix, 1997). Esiste una forte correlazione tra l’ossigeno fornito al mosto, la quantità di steroli sintetizzati e la resa della fermentazione (Boulton et al., 1991, Boulton e Quain, 1987). Senza una fornitura adeguata di steroli, le cellule di lievito mostrano in modo caratteristico una bassa carica vitale e scarse prestazioni durante la fermentazione.
Quando la Sierra Nevada Brewing Company di Chico, California, iniziò a produrre birra per il commercio nei primi anni Ottanta, i mastri birrai provarono per tre mesi a produrre una pale ale accettabile. Per ragioni sconosciute, il sapore non era quello che volevano. Un indizio: le fermentazioni erano fiacche. Scoprirono poi che il problema era una ossigenazione leggermente insufficiente. La soluzione era semplice, ma radicale: per migliorare l’ossigenazione dovettero modificare la loro attrezzatura, in modo che spruzzasse il mosto all’interno del fermentatore (Grossman, 2009).
IL BISOGNO DI OSSIGENO
Quando il lievito si riproduce, ha bisogno di creare nuove membrane lipidiche per la sua progenie. Per farlo, necessita di due tipi di composti: steroli e acidi grassi insaturi. Gli steroli mantengono fluida la struttura della membrana cellulare lipidica e ne regolano la permeabilità. Il lievito può acquisire gli steroli dal mosto, oppure li può produrre. Tuttavia, non sempre nel mosto sono presenti steroli a sufficienza (e non dei tipi giusti) per delle fermentazioni adeguate, quindi il lievito deve produrne. Curiosamente, anche se tutti gli steroli corretti fossero disponibili nel mosto, il lievito avrebbe difficoltà nell’importarli in presenza di ossigeno (Shinabarger et al., 1989).
La sintesi e la regolazione degli steroli sono procedimenti complessi. In breve, il lievito utilizza il glicogeno per derivare l’acetil-CoA, che usa per creare lo squalene. Poi, in una serie di passaggi che utilizzano ossigeno, il lievito converte lo squalene in 2,3-epossisqualene, che viene poi ciclicizzato per produrre il lanosterolo, il primo sterolo nel percorso di sintesi. Poi il lievito crea altri steroli, incluso l’ergosterolo, in varie reazioni, alcune delle quali comprendono l’ossigeno. Avvengono dieci reazioni enzimatiche dall’acetil-CoA allo squalene, e altre dieci o dodici per formare l’ergosterolo. La maggior parte degli steroli liberi si dirige nella membrana plasmatica, altri negli organuli collegati alla membrana all’interno della cellula.
Gli altri importanti componenti delle membrane lipidiche sono gli acidi grassi insaturi, come l’acido palmitoleico e l’acido oleico. Così come con gli steroli, la sintesi comincia dall’acetil-CoA. Per esempio, la conversione dell’acetil-CoA in acido palmitico richiede dieci passaggi, dopodiché l’ossigeno lo desatura in acido palmitoleico.
Molti birrifici commerciali si preoccupano del fatto che l’aggiunta di ossigeno al mosto possa accorciare la scadenza della birra, quindi stanno cercando nuovi metodi per fornire al lievito gli steroli necessari alla fermentazione. La New Belgium Brewing Company di Fort Collins, in Colorado, ha provato ad aggiungere acidi grassi insaturi nelle colture di lievito come metodo alternativo all’ossigenazione del mosto. Hanno scelto l’olio di oliva, poiché è una fonte ricca di acido oleico. La concentrazione massima di olio d’oliva che il birrificio ha aggiunto, 1 milligrammo per 25 miliardi di cellule a 5 ore prima dell’inoculo, ha avuto come risultato un tempo di fermentazione simile a quello della fermentazione ossigenata, ossia 94 ore per l’olio contro 83 ore del controllo. Siccome la fermentazione ha raggiunto la densità finale desiderata, si è ipotizzato che l’aggiunta di olio d’oliva abbia avuto un effetto positivo sui livelli di acidi grassi insaturi. La birra risultante, una amber ale, aveva effettivamente, come previsto, livelli più elevati di esteri e più bassi di alcoli superiori (dati dalla mancanza di ossigenazione), ma i gruppi di assaggio non sono stati in grado di identificare le differenze (Hull, 2008). La New Belgium non ha adottato la tecnica in modo permanente, ma questo esperimento ha attirato l’interesse di molti birrai. Ecco alcuni punti da tenere in considerazione:
• Quali sono gli effetti positivi e negativi di non effettuare l’ossigenazione del mosto?
• Quali sono gli effetti di non aggiungere ossigeno sulle successive generazioni di lieviti?
• L’aggiunta dell’olio d’oliva insieme al lievito o l’ossigenazione del mosto migliorerebbero la birra?
• L’aggiunta di ergosterolo o di ergosterolo e olio d’oliva migliorerebbero la fermentazione?

Il lievito può avere troppi steroli? No, poiché esso regola attentamente il suo metabolismo, troppo ossigeno non produrrebbe steroli in eccesso. Al contrario, il lievito utilizzerebbe l’ossigeno per produrre ulteriori composti di sapore.
QUANTO OSSIGENO SERVE?
Utilizzare adeguati livelli di ossigeno disciolto è importante tanto quanto utilizzare tassi di inoculo appropriati. Una carenza di ossigeno è alla base di molti problemi di fermentazione. Fermentazioni bloccate, tempi lunghi, birre poco attenuate, stress per il lievito e sentori sgradevoli sono spesso il risultato di troppo poco ossigeno. Inoltre, una insufficiente ossigenazione può causare una carica vitale sempre inferiore in ogni generazione di lievito riutilizzato.
Per un mosto comune e tassi di inoculo del lievito ordinari, la quantità appropriata di ossigeno disciolto è di 8-10 parti per milione (Takacs et al., 2007). Quando si lavora con mosto ad alta densità, i birrai si chiedono spesso se ossigenare in base alla densità o alla quantità di lievito inoculato. L’obiettivo è fornire la quantità ottimale di ossigeno per il numero di cellule di lievito presenti e il numero che dovrebbero raggiungere con la crescita. Certamente, con un mosto ad alta densità deve essere inoculato più lievito, quindi sarà necessaria una quantità maggiore di ossigeno. In alcuni casi, i birrai cercano di compensare una carenza di cellule aggiungendo più ossigeno, per stimolare una crescita maggiore, ma essa è raramente ottimale per il gusto della birra. Gli strumenti per ossigenare il mosto utilizzati da molti homebrewer ottengono approssimativamente 4 ppm, meno della metà della quantità necessaria. I birrifici commerciali che utilizzano metodi simili avranno risultati paragonabili. Con molto spazio nel fermentatore, una schiena forte e vigorosi scuotimenti, un homebrewer può raggiungere livelli di 8 ppm nel mosto, il massimo raggiungibile utilizzando l’aria. Usando una pompa per acquari con una pietra porosa non si supereranno 8 ppm, anche in tempi lunghi. Infatti, una lunga ossigenazione potrebbe essere dannosa per la formazione e il mantenimento della schiuma. L’unico modo per raggiungere la quantità consigliata di 10 ppm è aggiungere l’ossigeno. Riempire lo spazio vuoto del fermentatore e agitare vigorosamente può servire a raggiungere livelli di ossigeno disciolto oltre 10 ppm, ma quando avete una bombola di ossigeno, è molto più semplice utilizzare una pietra porosa. Con una bombola o un generatore di ossigeno e una pietra porosa, è possibile raggiungere livelli elevati di ossigeno disciolto. In commercio sono disponibili molti sistemi per arrivare ai livelli necessari, sia per i professionisti sia per gli homebrewer.
Raramente troppo ossigeno rappresenta un problema. Tuttavia, in certi casi, alcuni birrai hanno raggiunto livelli di ossigeno dannosi per il sapore della birra. Anche se la maggior parte dei ceppi di lievito è in grado di gestire livelli elevati di ossigeno disciolto, è possibile aggiungerne così tanto da farlo diventare un problema per il sapore della birra. Un utilizzo eccessivo di ossigeno puro causa livelli elevati di alcoli superiori, una quantità maggiore di acetaldeide e altri problemi relativi al gusto. La maggior parte dei piccoli birrifici non misura la quantità effettiva di ossigeno disciolto, ma si affida invece a una procedura (vedi pag. 84). Ciò può facilmente trarre in inganno un birraio, se esiste un problema imprecisato con le attrezzature, la temperatura o altre variabili, che potrebbe portare a livelli elevati, o più spesso bassi, di ossigeno disciolto. Gli strumenti per misurare il livello di ossigeno nel mosto non sono molto cari per la maggior parte dei birrifici commerciali, intorno a 1.000 dollari (circa 880 euro).
Cosa fanno gli homebrewer? Alcuni acquistano l’attrezzatura alla ricerca della birra perfetta, ma l’homebrewer medio non è in grado di permettersi questo investimento. Tuttavia, è importante cercare di avere il controllo del proprio processo. Se, con la vostra attrezzatura, siete in grado di apportare costantemente lo stesso flusso di ossigeno, potete controllare il livello totale di ossigeno disciolto variando la durata di aggiunta. Molti homebrewer vogliono sapere quanto ossigeno ottengono con il loro metodo. La quantità esatta non è importante, a meno che non vogliate comprare l’attrezzatura per valutarla. In sua mancanza, potete provare diverse quantità di ossigeno e valutare la qualità della birra risultante. Se un minuto di ossigenazione alla vostra velocità di flusso costante non dà i risultati desiderati, provate ad aumentare la durata dell’ossigenazione fino a un minuto e mezzo, o ad abbassarla a trenta secondi. Se la birra migliora, allora utilizzate sempre la nuova durata. Utilizzando questo metodo potrete trovare la quantità ottimale per il ceppo che usate per una data birra. La parte complicata è assicurarsi di avere ogni volta lo stesso flusso. Sono disponibili dei regolatori che forniscono un flusso costante, e sono anche una buona soluzione se il budget lo permette. Altrimenti, dovrete provare ad assicurare lo stesso flusso visivamente ogni volta in cui aggiungete ossigeno.
Per aiutare gli homebrewer a determinare quanto ossigeno aggiungere alla cotta di birra, la White Labs ha condotto un esperimento iniettando ossigeno puro in 20 litri di mosto a densità 1,077 (18,7 °P) utilizzando una pietra sinterizzata con acciaio inox da 0,5 micron al flusso di 1 litro al minuto. I risultati mostrano che, per raggiungere la quantità desiderata di 8-10 ppm, bisognerebbe iniettare ossigeno per un minuto.
Per dimostrare l’effetto sulla fermentazione di diversi livelli di ossigeno disciolto, la White Labs ha successivamente inoculato lievito White Labs WLP001 a un tasso di 12 milioni di cellule per millilitro nei vari mosti utilizzati durante i test sull’ossigeno disciolto. La Figura 4.2 mostra che i campioni di mosto a 3 e 5 ppm di ossigeno non attenuavano come gli altri campioni, che attenuavano un pieno grado Plato nel campione agitato. Aumentando il livello di ossigeno oltre 9 ppm, il ritmo della fermentazione è aumentato leggermente per i primi tre giorni, ma entrambe le birre avevano la stessa densità finale.

Figura 4.1: Livelli di ossigeno disciolto in 20 litri di mosto con tempi di ossigenazione diversi. Mosto a 18,7 °P e a temperatura di 24 °C. Iniezione di ossigeno puro a 1 litro al minuto utilizzando una pietra sinterizzata da 0,5 micron.
Figura 4.2: Come i livelli di ossigeno (ppm) modificano il progresso della fermentazione nel tempo (ore). Mosto a 18,7 °P con temperatura iniziale di 24 °C.
Figura 4.3: Livelli di ossigeno disciolto in campioni di birra artigianale (Parker, 2008).

Chiaramente, sono molto pochi i birrai che raggiungono i livelli consigliati di 8-10 ppm. Nessuno di questi birrifici misurava l’effettivo ossigeno disciolto nel mosto. La maggior parte utilizzava un flussimetro, introducendo ossigeno puro e successivamente stimando il livello di ossigeno disciolto sulla base del tempo di riempimento del mosto.
Ulteriori esperimenti hanno mostrato che, aumentando i livelli di ossigeno per portarli ai valori consigliati, il numero di cellule moltiplicatesi aumenta in modo significativo, migliorando la velocità di fermentazione, che in alcuni casa termina tra le 24 e le 48 ore in anticipo (Figura 4.4).

Figura 4.4: Velocità di fermentazione di una birra che confronta il mosto solito e quello con l’aggiunta di ossigeno. Il mosto con più ossigeno ha raggiunto la densità finale tra le 24 e le 48 ore prima del mosto con meno ossigeno (Parker, 2008).

La White Labs ha anche studiato i risultati di una ossigenazione cronicamente bassa. La Figura 4.5 confronta le prestazioni nella fermentazione del lievito che era stato sottoposto a molteplici fermentazioni in un livello di ossigeno disciolto di 5 ppm. Alla quinta generazione, la fermentazione ha mostrato un aumento significativo del tempo di latenza e del tempo trascorso fino al completamento della fermentazione, e una densità finale più alta rispetto alle fermentazioni delle generazioni precedenti.

Gli homebrewer non sono i soli a scervellarsi per capire quanto ossigeno aggiungere al mosto. La ricerca di White Labs ha mostrato che molti piccoli birrifici continuano a ossigenare troppo o troppo poco (Parker, 2008). La White Labs ha controllato le pratiche di ossigenazione del mosto in una dozzina di birrifici commerciali e ha individuato i seguenti livelli di ossigeno disciolto.
Figura 4.5: Prestazioni nella fermentazione di diverse generazioni di lievito con risorse cronicamente carenti di ossigeno (Parker, 2008).

Da questo studio possiamo quindi concludere che, per una buona fermentazione, sono necessari livelli di ossigeno appropriati e che una ossigenazione insufficiente ha un impatto sul lievito da riutilizzare. Non solo la carenza di ossigeno si traduce in meno lievito, bensì in lievito che non manterrà le stesse prestazioni nella fermentazione successiva. Senza la possibilità di sfruttare ampie risorse per costruire le pareti cellulari, sempre meno cellule avranno riserve di glicogeno e membrane in grado di resistere allo stress della fermentazione e all’ambiente alcolico e con un basso pH della birra (Priest e Campbell, 2003).
BIRRE AD ALTA GRADAZIONE
Come menzionato precedentemente, la densità specifica del mosto influenza il lievito e modifica il carattere della fermentazione in vari modi. Alcuni birrai cercano di gestire il mosto ad alta densità attraverso conte cellulari più alte e ossigenando il mosto prima della fermentazione. Se si tratta di un mosto a densità molto elevata, ossia superiore a 1,092 (22 °P), è necessario ossigenare con ossigeno puro, poiché l’aria non fornirà un livello abbastanza elevato di ossigeno disciolto.
Sfortunatamente, ciò potrebbe ancora non essere sufficiente per le birre con densità superiore a 1,083 (20 °P). Per queste birre, aggiungere una seconda dose di ossigeno tra 12 e 18 ore può aiutare a velocizzare e ad attenuare la fermentazione (O’Conner-Cox e Ingledew, 1990). Il lievito assorbe velocemente questo ossigeno e lo utilizza per il mantenimento della membrana cellulare e la produzione di alcuni composti intermedi necessari. Alcune ricerche indicano anche che l’aggiunta di ossigeno (alcuni dicono più di 7 ppm, altri più di 12 ppm) a 12 ore aumenta la velocità di fermentazione del 33% e diminuisce composti di sapore come diacetile e acetaldeide (Jones et al., 2007). Perché aspettare fino a 12 ore? Bisogna aspettare che il lievito completi almeno una divisione cellulare. Si otterrebbe solo un piccolo, o addirittura nessun, beneficio da un’ulteriore ossigenazione prima che il lievito abbia avuto la possibilità di dividersi almeno una volta.
Potreste anche prendere in considerazione di modificare il tasso di inoculo e la temperatura. Per un mosto a 1,106 (25 °P), il tasso di inoculo ottimale è di 35 milioni di cellule per millilitro o un tasso di 1,4 milioni/ml/°P (D’Amore, 1991). A 48 ore dall’inizio della fermentazione, dopo che la proliferazione cellulare è completa, aumentate la temperatura a 25 °C per le ale e a 20 °C per le lager. L’aumento di temperatura mantiene le prestazioni del lievito al massimo.
SISTEMI DI FERMENTAZIONE
Possiamo fermentare la birra in qualsiasi contenitore per liquidi, vero? È possibile utilizzare svariati recipienti, in vari volumi e dimensioni, ma non tutti i fermentatori sono uguali. Al giorno d’oggi, i più comuni spaziano da secchi di plastica a fermentatori cilindro-conici di grandi dimensioni ad alta tecnologia.
Perché il sistema di fermentazione utilizzato fa la differenza? Provate a fermentare la stessa birra in due tipi diversi di fermentatori: il più delle volte, otterrete due birre diverse. La meccanica dei fluidi, per quanto riguarda la fermentazione, è unica per ogni tipo di fermentatore. Un birrificio che utilizzi due tipi diversi di fermentatori otterrà due risultati diversi, che in alcuni casi differiscono molto, in altri sono abbastanza simili. Nella maggior parte dei casi, se i fermentatori sono più o meno della stessa forma e dimensione, i risultati sono abbastanza simili da poter unire le due birre per creare un prodotto commercialmente accettabile.
È possibile ritoccare un po’ le fermentazioni per ottenere la stessa birra? Sì, ma solitamente questo richiede delle modifiche nella procedura di fermentazione, e a volte anche modifiche durante la produzione del mosto. Per illustrare questo concetto, prendiamo in considerazione due cotte di dimensioni drasticamente diverse. Se fermentate 10 ettolitri di birra a 21 °C, dovrete fermentarne una versione da 20 litri a 19 °C per ottenere lo stesso profilo di esteri. Le caratteristiche del fermentatore, come la pressione idrostatica, il punto di saturazione di certi gas, i gradienti di temperatura e i punti morti, rendono necessario utilizzare una temperatura inferiore per un contenitore in plastica rispetto a un grande fermentatore conico. Potreste anche pensare che ciò non valga per il vostro birrificio, poiché la maggior parte dei birrifici commerciali non fermenta mai in recipienti di plastica, ma anche le differenze nel design dei fermentatori possono influire sul processo. Spesso, quando in un birrificio si acquistano nuovi fermentatori, è necessario fare delle prove in diverse condizioni di fermentazione fino a quando le birre prodotte sono identiche. Steve Dressler, mastro birraio di Sierra Nevada, disse che quando l’azienda aprì un nuovo birrificio nel 1997, fu necessario un mese di prove con i nuovi fermentatori per eguagliare il gusto. Il birrificio scoprì che la dimensione del fermentatore era una variabile più importante di quanto non si fossero aspettati. Sperimentarono anche la fermentazione con pressione dall’alto, vari schemi di ossigenazione e di tassi di inoculo prima di ottenere il carattere della fermentazione desiderato. Spesso i birrai non si aspettano che ci siano variazioni tra fermentatori diversi, quindi consigliamo di effettuare delle cotte di prova su tutti i nuovi fermentatori.
FERMENTATORI PER L’HOMEBREWING
La grande maggioranza degli homebrewer produce birra in lotti da circa 20 litri, utilizzando per la fermentazione recipienti in plastica o damigiane di vetro. Molti homebrewer cominciano con i fermentatori in plastica per poi passare alle damigiane in vetro, con le quali è più semplice evitare contaminazioni. Sfortunatamente, però, queste sono pesanti e pericolose quando bagnate e, se rotte, hanno ferito seriamente più di qualche homebrewer. I recipienti di plastica sono più inclini alle contaminazioni perché la plastica è morbida e facilmente graffiabile. I graffi nella plastica possono ospitare e nascondere una contaminazione dalle procedure di pulizia e sanitizzazione. Purché il birraio sostituisca regolarmente il fermentatore, vanno più che bene. Recentemente è arrivata sulla scena dell’homebrewing una damigiana in plastica chiamata Better-Bottle. Fatto in PET, questo fermentatore è meno predisposto ai graffi rispetto a quelli in plastica, è più leggero del vetro ed è sostanzialmente infrangibile. È un buon compromesso tra i due estremi.
Figura 4.6: Tipici fermentatori per homebrewer: Better Bottle, fermentatore in plastica, damigiana di vetro. Foto per gentile concessione di MoreBeer.com.

Gli homebrewer fermentano la birra anche in tutta una serie di altri contenitori, dai fusti per uso alimentare alle pattumiere, alla stessa pentola di bollitura. Qualche homebrewer sperimenta anche le fermentazioni aperte, togliendo il coperchio dai fermentatori in plastica. Gli homebrewer sono creativi e molti sono anche tremendamente appassionati del loro passatempo. Alcuni utilizzano versioni ridotte dei fermentatori conici professionali. Alcuni modelli sono forniti di apparecchiature di riscaldamento e raffreddamento all’avanguardia, fori per il travaso, raccordi igienici e altro.

Figura 4.7: Fermentatori tecnologici cilindro-conici per homebrewer con raffreddamento/riscaldamento termoelettrico e altre opzioni. Foto per gentile concessione di MoreBeer.com.

Per servire le proprie birre, spesso gli homebrewer utilizzano fusti in acciaio inox chiamati Cornelius keg, in passato utilizzati dai produttori di bevande analcoliche. Alcuni decidono addirittura di svolgere la fermentazione in questi contenitori. I benefici sono la durevolezza e la possibilità di effettuare travasi chiusi. Lo svantaggio sta nella forma e nelle dimensioni del contenitore. La forma alta e stretta produce caratteristiche di fermentazione diverse da quelle della maggior parte degli altri fermentatori per homebrewer. La versione da 19 litri rende inoltre impossibile produrre 19 litri di birra finita senza diluirla con l’acqua, perché non c’è spazio a sufficienza. Tuttavia, i birrai che li utilizzano per la fermentazione sembrano soddisfatti. Se li volete provate, assicuratevi di trovare un modo per liberare la pressione della CO2 che si accumula durante la fermentazione. Anche se il contenitore è resistente, una pressione abbastanza alta potrebbe uccidere il lievito. Anche se la pressione non raggiunge livelli fatali, comunque, potrebbe causare una diminuzione della crescita cellulare, una produzione di esteri inferiore e una maggiore produzione di diacetile e acetaldeide.
FERMENTATORI COMMERCIALI
Storicamente, i birrifici utilizzavano fermentatori aperti in legno, in pietra e in rame. In seguito iniziarono a usare serbatoi in acciaio inossidabili, sempre aperti ed esposti all’aria, che erano molto più semplici da pulire e sanitizzare rispetto al legno o ad altri materiali. Nei fermentatori aperti il lievito agisce velocemente e i birrai possono raccoglierlo facilmente dalla parte superiore. (Vedi il paragrafo “Top cropping” alla sezione “Raccolta del lievito”, pagg. 137-140).
Negli Stati Uniti è raro utilizzare la fermentazione aperta, ma sempre più birrifici artigianali stanno iniziando. Sierra Nevada conserva alcuni dei suoi fermentatori aperti originali e li utilizza per birre speciali, come la famosa Bigfoot, in stile barley wine, prodotta in fermentatori aperti da 100 barili (circa 12.000 litri). Questi sono quasi dieci volte più piccoli rispetto ai loro fermentatori più grandi, ma Sierra Nevada crede che i fermentatori aperti più piccoli diano più carattere e unicità alla birra. Lo stesso vale per il birrificio Jolly Pumpkin Artisan Ales, il cui proprietario Ron Jeffries si scervella per creare birre dal carattere unico. L’Anchor Brewery di San Francisco afferma che la fermentazione aperta è fondamentale per il carattere della Anchor Steam.

Figura 4.8: Fermentazione aperta al birrificio Magic Hat Brewery di South Burlington, nel Vermont. Foto per gentile concessione di Teri Fahrendorf.

La bassa profondità dei fermentatori aperti, l’accesso immediato all’ossigeno presente nell’atmosfera e anche gli angoli retti di alcuni di essi hanno tutti un effetto sul carattere della birra. Senza dubbio, lo stesso mosto fermentato in un fermentatore cilindro-conico non avrebbe lo stesso sapore. Oggi, la maggior parte dei birrifici professionali utilizza serbatoi cilindro-conici (Figura 4.9), molto più alti che ampi, fatti in acciaio inossidabile, con un fondo conico e la parte superiore chiusa. È semplice capire perché si è passati ai fermentatori cilindro-conici esaminandone i vantaggi.
• Richiedono meno spazio, il che è importante quando si paga l’affitto in base allo spazio calpestabile.
• Si possono utilizzare sistemi di pulizia automatica CIP (clean in place), molto più pratici degli spazzoloni.
• I fermentatori cilindro-conici, essendo sigillati rispetto all’ambiente esterno, sono anche igienici.
• Il fondo conico e la natura verticale sfruttano a loro favore la fluidodinamica per assicurare una buona miscelatura e una rapida fermentazione.
• Per raccogliere il lievito basta aspettare e aprire la valvola sul fondo.
• Di solito sono coibentati, rendendo possibile controllare la temperatura con un semplice pulsante.
Figura 4.14: Il sistema Firestone Union spinge il lievito marrone fuori dai barili, rendendo la birra più limpida. Foto per gentile concessione di Matthew Brynildson.

Il sistema di fermentazione Yorkshire square era famoso in passato nell’Inghilterra settentrionale, anche se è raramente utilizzato al giorno d’oggi. Tradizionalmente, le vasche erano quadrate o rettangolari ed erano fatte di ardesia, con un coperchio di raccolta sopra il livello del mosto. Durante la fermentazione, il lievito saliva attraverso dei buchi sul coperchio, dove il birraio poteva raccoglierlo. Sono molto pochi i birrifici che ancora utilizzano questo sistema, che è costoso da costruire e mantenere. Il birrificio Black Sheep di Masham, nello Yorkshire settentrionale, ha sperimentato per primo l’utilizzo di vasche rotonde fatte in acciaio inox, poiché crede che conferiscano alle birre un amaro distintivo e una sensazione setosa in bocca (Figura 4.15).

Figura 4.15: Il birrificio Black Sheep a Masham, Yorkshire settentrionale, utilizza una versione rotonda in acciaio inox dello Yorkshire square. Foto per gentile concessione di Black Sheep Brewery.

Qual è il futuro dei sistemi di fermentazione? I grandi serbatoi in acciaio inossidabile sono costosi e richiedono l’utilizzo di prodotti chimici pericolosi per mantenerli puliti, quindi potremmo vedere, in futuro, sistemi di fermentazione poco costosi e monouso. L’industria biofarmaceutica ha adottato sacchetti sterili per la fermentazione, che vengono utilizzati per molte ragioni, per esempio un minore bisogno di pulizia e sanitizzazione. Esistono già dei fusti per spillare la birra foderati con dei sacchetti, e i negozi di articoli per la produzione di birra nel Nord America dispongono di sistemi di fermentazione foderati con sacchetti. Forse queste fodere in futuro saranno biodegradabili?
Un’altra innovazione potrebbe essere rappresentata dai fermentatori con agitatore, famosi nell’industria biofarmaceutica per le fermentazioni più veloci, ma finora l’industria brassicola li ha sempre evitati per il timore dell’ossigenazione e della formazione di esteri. Recentemente, sempre più birrifici li stanno prendendo in considerazione, e c’è un crescente interesse verso di essi per la rapidità della fermentazione, ma a quale costo per la birra?
USO DI PRODOTTI ANTISCHIUMA
La fermentazione genera molta CO2 e questa crea molta schiuma. Ciò costituisce un problema quando un birraio vuole sfruttare al meglio la capacità del fermentatore, lasciando molto poco spazio libero all’interno. Assicurarsi di avere abbastanza spazio può essere costoso, poiché alcuni fermentatori avrebbero bisogno di una capacità extra del 25% per poter contenere la schiuma, quindi l’opzione che molti birrifici prendono in considerazione è l’aggiunta di prodotti antischiuma.
Solitamente i birrai aggiungono l’antischiuma verso la fine della bollitura; in questo modo viene sanitizzato e si mescola con il mosto. La maggior parte di questi prodotti è a base di silicone, e se ne aggiungono circa 5 millilitri per ettolitro o 1 millilitro per 20 litri. Oltre a permettere un riempimento completo del fermentatore e a evitare la fuoriuscita di schiuma (che migliora anche l’utilizzo del luppolo), i prodotti antischiuma possono effettivamente migliorare il mantenimento del cappello di schiuma, evitando che le proteine positive per la schiuma si denaturino. Alla fine della fermentazione e prima del confezionamento, il birraio elimina l’antischiuma filtrando la birra o lo lascia depositare per azione della gravità.
Date queste caratteristiche positive, perché molti birrai evitano i prodotti antischiuma? Molti non vogliono aggiungere nulla alla loro birra oltre a malto, luppolo, acqua e lievito. Non prendono neanche in considerazione di utilizzarli. Alcuni temono inoltre l’effetto dei prodotti antischiuma sulla salute del lievito, nonostante sembri che i prodotti attualmente sul mercato abbiano un impatto minimo, se non nullo, sulla salute o le prestazioni del lievito.
TEMPERATURE DI FERMENTAZIONE
Quando il lievito fermenta la birra può creare calore, generato dall’energia del metabolismo. Il calore della fermentazione aumenta la temperatura del mosto. Se essa non viene contenuta, il lievito può:
• morire a causa del calore estremo;
• creare sentori sgradevoli;
• mutare.

Uno dei compiti principali del birraio consiste nel controllare la temperatura di fermentazione. in un piccolo birrificio o a casa può essere molto semplice. In grandi sistemi di fermentazione richiede tecniche più complicate.
Qual è la temperatura migliore per la fermentazione? Dipende dal ceppo di lievito, dal tipo di birra e dai sentori che il birraio vuole ottenere. Tradizionalmente, i birrai fermentano le ale intorno ai 20 °C e le lager intorno ai 10 °C. Tuttavia, queste non sono le temperature preferite del lievito. I ceppi ale crescono più velocemente a 32 °C e i ceppi lager a 27 °C, quindi perché fermentiamo le birre a temperature inferiori? A temperature di fermentazione superiori, il lievito fermenta troppo velocemente e cresce troppo, producendo sentori che non vogliamo all’interno della birra, come gli alcoli superiori. Nel corso della storia brassicola, i birrai e il lievito si sono attestati su un intervallo di temperatura non troppo basso per il lievito, ma abbastanza per moderare la velocità di crescita cellulare e migliorare il sapore della birra.
Parliamo ora più dettagliatamente del lievito ale. Dal punto di vista del sapore, è importante mantenere la fermentazione alle temperature corrette, generalmente intorno ai 20 °C. Questa non è una temperatura fredda per gli esseri umani; la maggior parte delle persone avrebbe difficoltà a riconoscere la differenza tra una birra a 20 °C e una a 22 °C. Tuttavia, per il lievito immerso nella birra, la differenza è enorme. Ricordate che i lieviti sono organismi unicellulari: riconoscono immediatamente una piccola variazione di temperatura. Se questa supera i 20 °C, le cellule velocizzeranno il loro metabolismo al massimo. Se la temperatura continua a salire, esse cominceranno a esprimere proteine da shock termico per proteggere le loro membrane cellulari. Lo stesso accade con un significativo abbassamento della temperatura da 20 °C: le cellule esprimono proteine da shock termico per proteggere le membrane. Non fatevi ingannare dal nome: il lievito esprime proteine da shock termico in risposta allo stress, che può essere causato da diversi fattori ambientali. Queste proteine aiutano a evitare che altre proteine denaturino in condizioni di stress. Sfortunatamente, l’espressione di proteine da shock termico sottrae alla cellula la capacità di esprimere altre proteine necessarie per la divisione cellulare, la fermentazione e altre funzioni.
Dal punto di vista del birraio, tanto più bassa è la temperatura di fermentazione, tanto più lenta sarà l’attività del lievito. Temperature eccessivamente basse producono fermentazioni lente, fiacche, e a volte bloccate. Temperature più elevate aumentano l’attività del lievito, fino a un certo punto: temperature troppo alte, sopra i 35 °C per i ceppi ale, arrestano la fermentazione. Tenete a mente che temperature di fermentazione più alte aumentano anche la produzione di metaboliti secondari e di composti di sapore attivi. La White Labs ha utilizzato la gascromatografia per confrontare due birre prodotte a partire dallo stesso mosto, entrambe fermentate con lievito WLP001 California Ale. Il laboratorio ha mantenuto una fermentazione a 19 °C e l’altra a 24 °C, una temperatura comune in molti birrifici.
DIFFERENZE DI TEMPERATURA TRA CEPPI LAGER E ALE

I ceppi lager non tollerano le stesse temperature elevate dei ceppi ale. Infatti, i lieviti lager muoiono a temperature molto inferiori rispetto ai lieviti ale, quindi è importante tenere i primi a temperature inferiori quando li si maneggia, spedisce e conserva. Un metodo di laboratorio per differenziare i lieviti ale e lager sfrutta questo fatto incubando cellule di lievito sopra i 32 °C. Se le cellule crescono, il lievito è di tipo ale.

Figura 4.16: Confronto mediante gascromatografia di due birre ottenute con lo stesso mosto e lievito, fermentate a temperature diverse.

La fermentazione più calda mostra un piccolo aumento nella produzione di etanolo, alcoli superiori ed esteri, ma all’analisi sensoriale le birre erano molto diverse. La principale differenza di sapore consisteva in un aumento sostanziale di acetaldeide, 10,5 volte superiore rispetto alla soglia percettiva.
Il lievito produce la maggior parte dei composti di sapore nelle prime 72 ore di fermentazione, che rappresentano il periodo cruciale per il controllo della temperatura. Se la temperatura è troppo bassa, la fermentazione potrebbe impiegare molto tempo per cominciare. Se è troppo alta, il lievito produrrà molti composti di sapore. I lieviti di prima generazione sono particolarmente suscettibili alla temperatura di inoculo.
Anche verso la fine della fermentazione il controllo della temperatura è molto importante. Se raffreddate il fermentatore a una velocità costante (come un homebrewer fa affidandosi a un frigorifero o a una temperatura ambiente fredda) e non prendete in considerazione i cambiamenti nella produzione di calore da parte del lievito, la fermentazione può fermarsi prima del dovuto. Il lievito rallenta e produce meno calore verso la fine della fermentazione; se il raffreddamento non si adatta a questo rallentamento, il lievito può avvertire il calo della temperatura, causando il rallentamento o l’interruzione della fermentazione. Di conseguenza, la densità finale risulterebbe più alta di quanto previsto e il lievito non riuscirebbe a ripulire alcuni composti intermedi della fermentazione. Il problema è più serio nella produzione di birre lager, dove le temperature sono già basse e la potenza delle attrezzature di raffreddamento è maggiore. Tuttavia, anche i birrai che fermentano birre ale a una temperatura troppo bassa, allo scopo di avere una birra più limpida, possono facilmente incorrere in questo problema.
Quando si lavora con un inoculo appropriato di lievito sano, la temperatura iniziale ottimale per la maggior parte delle fermentazioni è solo qualche grado (da 1 a 2 °C) al di sotto della temperatura di fermentazione target. Inoculate il lievito e alzate lentamente la temperatura, o lasciate che si alzi da sola, raggiungendo la temperatura target in 18-36 ore. Una volta raggiunta la temperatura di fermentazione, mantenetela costante fino ad almeno l’ultimo terzo o l’ultimo quarto della fermentazione. A quel punto aumentate la temperatura di diversi gradi (da 2 a 5 °C) nel corso di uno o due giorni. Il lievito avrà già prodotto la maggior parte dei composti di sapore, per cui ci sarà un basso rischio di produrre altri sentori. Il vantaggio è che una temperatura maggiore verso la fine della fermentazione aiuta l’attività del lievito, che più probabilmente attenuerà completamente e ridurrà i composti intermedi prodotti precedentemente durante la fermentazione. L’aumento di attività contribuirà anche a eliminare alcuni composti volatili come lo zolfo. Questo è un trucco molto utile nella produzione di birra lager, quando le fermentazioni fredde e più lente tendono a conservare più composti aromatici volatili.
Certamente, se la temperatura di fermentazione è già abbastanza alta, come per esempio per le birre estreme in stile belga, dovrete prestare attenzione a non stressare il lievito.
CONTROLLO DELLA TEMPERATURA DI FERMENTAZIONE
La maggior parte dei birrifici commerciali oggi utilizza fermentatori cilindro-conici, controllandone la temperatura con rivestimenti refrigeranti con glicole o un altro fluido. Essi controllano la temperatura di fermentazione in uno o più punti del fermentatore, e regolano il flusso di liquido refrigerante per mantenere la temperatura desiderata. I serbatoi possono avere più rivestimenti, in modo da avere un rendimento maggiore e la possibilità di controllare porzioni diverse del fermentatore a piacimento. È particolarmente importante rivestire il cono, poiché il lievito si depositerà al suo interno.
La possibilità di controllare i rivestimenti a temperature diverse può avere dei vantaggi. Per esempio, con un’impostazione termica separata per il cono, il birraio può raffreddarlo prima di diminuire la temperatura di fermentazione del serbatoio. Questo stimola la flocculazione e assicura che il cono sia abbastanza freddo da impedire al lievito di accumulare troppo calore prima di essere raccolto.
È importante che il birraio sappia dove comincia e dove finisce ogni rivestimento, e che valuti regolarmente la temperatura della birra. Non solo un misuratore potrebbe sbagliarsi, ma la stratificazione e i punti morti potrebbero variare le temperature in certe zone del fermentatore. La prossima storia illustra questo problema. Un birraio del Texas ci chiamò per parlare dei retrogusti sgradevoli nella sua birra. Nel suo birrificio utilizzava molti ceppi di lievito ma, con uno solo di essi, otteneva un retrogusto particolare, terroso. Lui presumeva che dovesse esserci qualcosa di sbagliato nel lievito. Tuttavia, non era una caratteristica solita del lievito, e altri birrifici non ottenevano lo stesso retrogusto. Siccome si era nel mezzo di una calda estate del Texas, il nostro sospetto era che il problema avesse qualcosa a che fare con il calore. Presto il birraio scoprì il problema. Quando i fermentatori erano pieni, la parte superiore della birra in fermentazione era al di sopra dell’ultimo rivestimento refrigerante. Il ceppo di lievito in questione era ottimo per il top cropping, e se ne stava in cima alla birra. Sfortunatamente, durante la calda estate texana, senza raffreddamento, la parte superiore della birra era troppo calda. Il lievito saliva fino alla superficie della birra, si cuoceva fino a morire, e poi ricadeva sul fondo, aggiungendo retrogusti dati dall’autolisi. Gli altri ceppi utilizzati dal birrificio si comportavano in modo diverso: si depositavano velocemente sul fondo, non stavano mai a lungo nella parte alta, così non si sviluppavano quei retrogusti. Il birraio risolse il problema producendo cotte di birra leggermente più piccole durante l’estate per tenere il lievito all’interno della zona rivestita di refrigerante.
CONTROLLO DELLA TEMPERATURA PER GLI HOMEBREWER
Gli homebrewer utilizzano diversi metodi di controllo della temperatura, che variano dal tecnologico raffreddamento termoelettrico al metodo “non fare nulla e prega”. È un peccato che molti si affidino al caso della temperatura dell’ambiente per controllare la fermentazione. Una delle cose più importanti che possa fare il birraio per migliorare la sua birra è gestire la temperatura di fermentazione. Ciò è ancora più importante dell’utilizzare dei buoni fermentatori o brassare birra all-grain. Un esperto produttore di birra da estratto, che sappia controllare la temperatura e abbia una padronanza eccellente della fermentazione, supererà quasi sempre un produttore di birra all-grain che si affidi al caso per il controllo della temperatura. Una mancanza di controllo della temperatura rende difficile per il lievito fare ciò che vi aspettate da lui. Se gli semplificate la vita, il lievito vi ricompenserà con i sentori che desiderate.
Il passo successivo al fare birra solo quando le previsioni del tempo indicano che non farà né troppo caldo né troppo freddo nelle settimane seguenti è utilizzare un metodo di raffreddamento naturale. Per prima cosa, scegliete un luogo in cui mettere il fermentatore che sia il più vicino possibile alla temperatura di fermentazione desiderata. Pareti interne, ripostigli e seminterrati tendono ad avere temperature più stabili, poiché sono più lontani dai cambiamenti climatici dell’ambiente esterno. State attenti anche ai condotti di riscaldamento e raffreddamento e ai caloriferi. Soffiare aria calda sul fermentatore di giorno e spegnerla di notte può rovinare una fermentazione, perché il lievito non sopporta grandi sbalzi di temperatura.
Per affrontare il problema delle temperature ambiente calde, molti homebrewer mettono il fermentatore nella vasca da bagno e aggiungono ghiaccio per tenere bassa la temperatura. Il beneficio di questo metodo è che è economico e non ci sono parti che si possono rompere, ma il grande punto debole è che mantenere le temperature desiderate richiede molta attenzione e molta pratica, specialmente verso la fine della fermentazione, quando il lievito non genera più molto calore. Tuttavia, se avete molto tempo e vi piace trafficare con il fermentatore quanto più possibile, questo metodo potrebbe funzionare.
Un altro vantaggio del metodo della vasca da bagno è che funziona anche se dovete riscaldare. Tutto ciò di cui avete bisogno è un investimento simbolico in un riscaldatore per acquari. Quando lo utilizzate, tenete a mente alcune cose. La combinazione acqua-elettricità è mortale: utilizzate sempre un interruttore differenziale per il riscaldatore e non fate arrivare l’acqua alla presa. Quando acquistate un riscaldatore per la vasca da bagno, sceglietene uno che sia completamente sommergibile o dovrete trovare un altro modo per agitare l’acqua riscaldata. Disporre un riscaldatore sommergibile vicino al fondo sviluppa delle correnti convettive che mescolano l’acqua. Capire la potenza necessaria del riscaldatore è semplice: sono necessari 0,0509 watt in 24 ore per fornire circa 4.400 Joule, ossia la quantità di energia necessaria per riscaldare 1 litro d’acqua di 1 °C. Se credete che il vostro impianto debba essere riscaldato di circa 8 °C nel corso di 24 ore, e se il volume totale del fermentatore più l’acqua nella vasca da bagno è di 76 litri, avrete bisogno di un riscaldatore di almeno 30,95 watt.
calore necessario in 24 ore × volume totale del liquido × 0,0509 = potenza richiesta

8 × 76 × 0,0509 = 30,95 W

Tuttavia, in realtà avrete bisogno di un riscaldatore più grande rispetto ai calcoli. I riscaldatori non sono efficienti al 100% nel convertire l’elettricità in calore, e il valore del rendimento potrebbe non rappresentare realisticamente l’effettiva energia erogata. Avete molta libertà di scelta per quanto riguarda un riscaldatore con una potenza appropriata, ed è difficile acquistarne uno troppo grande. Tuttavia, se ne prendete uno superiore alle vostre necessità, fate attenzione a che il regolatore interno non si blocchi, altrimenti potreste uccidere il lievito con temperature che superano il suo limite massimo.
Quello del raffreddamento evaporativo è un altro metodo popolare per contrastare il calore nei fermentatori per homebrewing. Prevede che si ponga il fermentatore in una bacinella d’acqua e lo si copra con un panno, le cui estremità entrino nell’acqua. L’effetto assorbente fa sì che l’acqua risalga lungo il tessuto, dove evapora. Il passaggio dell’acqua dallo stato liquido a quello gassoso consuma molta energia, il che aiuta a raffreddare il fermentatore. Alcuni tessuti funzionano meglio di altri: il nostro consiglio è di evitare tessuti sintetici e scegliere il cotone. I tessuti come la spugna potrebbero lavorare meglio ma anche peggio rispetto a quelli con poca consistenza. Un piccolo ventilatore che soffi sul panno aiuterà ad aumentare la velocità di raffreddamento, ma questo metodo non è molto efficace quando l’umidità è elevata. Ancora una volta, il maggiore punto debole è la difficoltà di controllare precisamente le temperature nel corso della fermentazione. È necessaria molta attenzione per far sì che esse non oscillino di molti gradi nel corso della giornata. Quella mancanza di precisione non è il massimo se volete fare la migliore birra possibile.
Il riscaldamento e il raffreddamento si semplificano significativamente se aggiungete un termostato con commutatore. Ne esistono di tutti i tipi e dimensioni, analogici o digitali, con varie impostazioni e gradi di accuratezza. Il punto di forza del termostato è che regola automaticamente il riscaldamento o il raffreddamento quando il lievito genera più o meno calore durante le diverse fasi della fermentazione. Lo svantaggio per l’homebrewer parsimonioso è rappresentato dal costo, ma la maggior parte degli homebrewer, dopo l’acquisto, pensa che sia stato un ottimo investimento.
Con un termostato è molto più semplice riscaldare. In commercio esistono delle fasce riscaldanti per fusti, oppure potete anche usare un tappetino riscaldante. Non utilizzate nulla che concentri il calore in una sola zona ristretta poiché, visto che il riscaldatore funziona per cicli, potrebbe potenzialmente rompere una damigiana di vetro.
Gli homebrewer possono facilmente raffreddare i loro fermentatori recuperando un frigorifero o un freezer e un termostato. Molti homebrewer comprendono velocemente la fortuna dell’avere un frigorifero in più in garage. Alcuni preferiscono usare un freezer, perché spesso sono isolati meglio dei frigoriferi e hanno una conformazione che può fornire più spazio utilizzabile. Evitate i freezer che si aprono dall’alto, a meno che non abbiate una schiena molto forte: porre un fermentatore in quel tipo di freezer può essere molto impegnativo. Lo svantaggio principale dei freezer è che non sono progettati per funzionare alle tipiche temperature di fermentazione. Impostare i freezer a temperature per ale, ma anche per lager, di solito scatena un problema di umidità. Il freezer, con la sua capacità di raffreddamento e il buon isolamento, finisce per non lavorare abbastanza frequentemente per abbattere l’umidità, che si accumula nel freezer e provoca ruggine. Molti homebrewer che hanno dei freezer spendono molti soldi e tempo per affrontare il problema dell’umidità (un prodotto assorbiumidità o una ventola del computer per far muovere l’aria all’interno possono essere d’aiuto). Un altro problema con l’eccessiva capacità di raffreddamento è la possibilità di far vacillare la temperatura di fermentazione raffreddando troppo e troppo velocemente.
Molti homebrewer pensano inizialmente di utilizzare un freezer perché vogliono lagerizzare la birra a temperature vicine al congelamento (0 °C). Tuttavia, si tratta sempre di una temperatura superiore a quelle alle quali un freezer lavora solitamente, e ancora una volta non è la soluzione migliore. La maggior parte dei frigoriferi può raggiungere una temperatura bassa a sufficienza per lagerizzare una birra in modo appropriato.
Quando si utilizza un frigorifero o un freezer con un termostato, è importante evitare cicli troppo brevi del compressore. Per ciclo breve si intende fare partire il ciclo di raffreddamento del frigorifero o freezer, spegnerlo e poi farlo ripartire di nuovo prima che i livelli di pressione si siano potuti pareggiare nel sistema. Ciò può danneggiare il compressore e ne ridurrà la durata. Alcuni termostati hanno un’impostazione per evitare i cicli corti che ritarda il riavvio del compressore per un periodo stabilito. Questa è un’ottima opzione da tenere in considerazione per coloro che devono acquistare un termostato per un frigorifero o un freezer. Se avete un termostato senza questa caratteristica, assicuratevi di non lasciare sospesa la sonda da sola: utilizzate la massa della birra in fermentazione per evitare i cicli brevi, attaccando la sonda all’esterno del fermentatore o utilizzando un pozzetto termometrico. Ci sono tanti modi ulteriori e molto creativi di raffreddare o riscaldare un fermentatore. Uno dei più interessanti consiste nell’utilizzare un dispositivo di raffreddamento o riscaldamento termoelettrico allo stato solido sui fermentatori cilindro-conici per homebrewing prodotto da MoreBeer a Concors, in California. L’azienda ha costruito questo dispositivo che si attacca all’esterno dei suoi fermentatori. L’homebrewer, allo stesso modo della sua controparte professionale, deve solo selezionare la temperatura appropriata sul termostato. Lo svantaggio più grande di questo metodo è il costo.
In ognuno di questi metodi è fondamentale che misuriate la temperatura della birra. Della birra, non dell’ambiente. Molti homebrewer, erroneamente, guardano la temperatura di fermentazione consigliata e pensano che si riferisca alla temperatura della stanza dove mettono il fermentatore. La temperatura in una stanza può variare molto nel corso del giorno. Può anche cambiare drasticamente in pochi minuti, ma ciò non significa che la birra stia fermentando alla stessa temperatura. Maggiore è la quantità di birra, più tempo ci vorrà perché la sua temperatura cambi secondo quella dell’ambiente circostante. Al contrario, il fermentatore potrebbe riscaldarsi a causa dell’attività del lievito, ma la temperatura di una cotta di birra non cambia di molto la temperatura di una grande stanza o di un frigorifero.
Esistono molti modi per misurare la temperatura della birra. Le strisce termometriche adesive funzionano molto bene e sono abbastanza accurate, ma si deteriorano nel tempo e devono essere sostituite. Se utilizzate un termostato, un’opzione è il pozzetto termometrico, costruito assieme al fermentatore o inserito nella birra attraverso un tappo. Inserite la sonda del termostato all’interno del pozzetto ed essa misurerà accuratamente la temperatura della birra. Una soluzione meno costosa e meno invasiva consiste nell’attaccare la sonda alla parte esterna del fermentatore con del nastro adesivo. Se scegliete di procedere in questo modo dovrete isolare la sonda con un foglio di plastica a bolle d’aria, un tessuto ripiegato o della schiuma isolante. Quest’ultima è una scelta eccellente, in quanto di solito è economica e molto efficace. Coprendo la parte esposta della sonda, il valore indicato corrisponderà alla temperatura della birra dentro il fermentatore. Finché è in corso l’attività di fermentazione all’interno del fermentatore, la temperatura sarà la stessa in tutta la birra.
Molti termostati hanno impostazioni per il differenziale, ossia la differenza tra il punto stabilito sul termostato e il punto in cui esso si spegne o si accende. Per la fermentazione, questa regolazione deve essere la più precisa possibile. L’impostazione migliore per il differenziale è di 0,5 °C, ma solo nel caso in cui misuriate la temperatura della birra. Con alcuni termostati è possibile impostare un differenziale molto piccolo. Utilizzare un’impostazione minore di 0,5 °C potrebbe far sì che il termostato lavori per cicli brevi: se il vostro termostato non ha un’impostazione che vi permetta di proteggervi dai cicli brevi, aumentate il differenziale per evitarli. Alcuni termostati permettono anche di controllare sia il riscaldamento sia il raffreddamento, una caratteristica molto utile, specialmente in luoghi con estati e inverni estremi.
OTTIMIZZARE IL SAPORE DELLA FERMENTAZIONE
Il lievito contribuisce molto all’aroma e al sapore della birra. Esteri, alcoli superiori, aldeidi e altri composti si mescolano all’etanolo, all’anidride carbonica e con le sensazioni boccali, costituiscono il carattere di una birra. Tutte queste sono proprietà che derivano dalla fermentazione del lievito; infatti, anche con gli stessi ingredienti, fermentazioni diverse portano a risultati diversi. Ciò avviene perché nella fermentazione del lievito sono coinvolte moltissime vie enzimatiche. I fattori ambientali non influenzano solo geni attivi, ma anche crescita e salute cellulare, gli zuccheri che le cellule consumano e molto altro. Tutto ciò che facciamo per il lievito, dalla temperatura al nutrimento, ha un grande impatto sulla sua crescita. Non dovrebbe essere una sorpresa allora se il modo in cui un birraio può ottimizzare il sapore dato dalla fermentazione consiste nel comprendere e controllare la crescita del lievito.

Figura 4.17: Contributi al sapore da parte dei composti della fermentazione.

Una parte importante nel controllare la crescita del lievito consiste nel sapere quanto ne aggiungete al mosto. Tassi di inoculo diversi porteranno a quantità di crescita cellulare diverse. Il tasso di crescita influisce sulla quantità e la formazione dei composti di sapore. Se aggiungete 10 unità di lievito, e alla fine della fermentazione ne avete 75 unità, avrete differenti quantità o gruppi di composti di sapore. Una crescita cellulare maggiore di solito dà vita a più composti. Ne riparleremo ancora quando discuteremo dei tassi di inoculo, perché essi influenzano anche la crescita del lievito.

Figura 4.18: Aumento di vari fattori della fermentazione e come influenzano la produzione di esteri e alcoli superiori nella birra (Laere et al., 2008).
Figura 4.19: Composti di fermentazione e relative soglie gustative nella birra. Valori tipici di birra, vino e whisky (Meilgaard, 1975; Saison et al., 2008; Reed et al., 1991).

Il ceppo e la condizione del lievito influenzano anche il carattere dato dal luppolo in una birra. Per esempio, confrontando fermentazioni allo stesso tasso di inoculo e temperatura con California Ale (WLP001) ed English Ale (WLP002) di White Labs, la prima ha ottenuto un livello di IBU più elevato rispetto alla seconda. Sono molti i fattori che determinano gli IBU finali in una birra, e il lievito è uno dei più importanti. Differenze nella superficie e dimensione cellulare, tassi di inoculo e di crescita e le caratteristiche di flocculazione giocano un ruolo importante nella determinazione della quantità di acidi isomerizzati del luppolo che rimangono nella birra finita.
FINE DELLA FERMENTAZIONE
ATTENUAZIONE
Nel processo di produzione della birra, l’attenuazione è la misura in cui il lievito ha fermentato il mosto, di solito espressa con una percentuale. L’attenuazione è tanto più elevata quanto più zucchero il lievito riesce a scindere durante la fermentazione.
Per calcolare l’attenuazione, il birraio controlla la densità specifica del mosto con un densimetro o un altro attrezzo in grado di misurare la densità della birra, prima di inoculare il lievito e dopo la fermentazione. La densità specifica per l’acqua distillata è 1.000 a 4 °C, mentre il mosto ha una densità maggiore perché contiene zuccheri. Più zuccheri sono dissolti nel mosto, più densa sarà la soluzione. Quando il lievito consuma gli zuccheri, la densità della soluzione diminuisce. I birrai esprimono questa differenza nella misurazione iniziale e finale come percentuale di attenuazione apparente. La maggior parte dei densimetri moderni ha una gradazione per la densità specifica, ma storicamente industrie diverse hanno utilizzato scale diverse, come la scala Plato per l’industria brassicola e la scala Brix per l’industria vinicola. Tutte le scale sono accettabili, l’importante è che il birraio utilizzi sempre la stessa per la misurazione della densità prima e dopo la fermentazione.
Dovreste sempre annotare la densità iniziale (OG), quella finale (FG) e qualsiasi altra misurazione, con le date e le ore. Un birraio può imparare molto sul progresso e la qualità della fermentazione da controlli giornalieri della densità della birra, nonostante sia fondamentale assicurarsi che nessun prelievo di campione contamini la birra. Quando la densità resta la stessa per tre giorni di fila, è molto probabile che la fermentazione sia terminata. Utilizzando la densità specifica, potete calcolare la percentuale di attenuazione con l’equazione seguente:
[(OG-FG)/(OG-1)] × 100

Per esempio, se la densità iniziale è 1,060 e quella finale è 1,012, allora l’attenuazione apparente è dell’80%. La chiamiamo apparente perché l’alcol è meno denso dell’acqua e la sua presenza influenza il valore dopo la fermentazione. Per ottenere il livello di attenuazione reale bisognerebbe rimuovere l’alcol e sostituirlo con acqua; di solito sono solo i grandi birrifici a spingersi così a fondo per rilevare l’attenuazione effettiva, mentre l’attenuazione misurata dalla maggior parte degli altri birrifici è quella apparente. In generale, quando un birraio parla di attenuazione, si riferisce a quella apparente, e anche in questo libro ci riferiamo all’attenuazione apparente.
Mentre è possibile che alcune fermentazioni raggiungano un’attenuazione al 100% o superiore, solitamente è molto raro che ciò avvenga, con il consumo di tutti gli zuccheri presenti. Tenete a mente che la presenza dell’etanolo esagera l’attenuazione apparente, poiché ha una densità specifica inferiore a quella dell’acqua. Un’attenuazione reale al 100% è rara, poiché il mosto contiene una complessa miscela di carboidrati, molti dei quali non fermentescibili. Il mosto contiene cinque zuccheri fermentescibili: glucosio, fruttosio, saccarosio, maltosio e maltotriosio. Generalmente il maltosio è presente in quantità maggiore, seguito dal maltotriosio e dal glucosio. Il lievito non è in grado di fermentare le destrine, e i vari ceppi hanno differenti capacità nella fermentazione del maltotriosio. I valori di attenuazione della birra da parte dei ceppi di lievito generalmente si attestano tra il 65 e l’85%. Al contrario, spesso il vino raggiunge il 100% di attenuazione, a causa della presenza di zuccheri semplici. Mentre i carboidrati complessi causano una densità finale più elevata, non contribuiscono alla dolcezza residua di una birra. Una birra ben fermentata con molti carboidrati complessi dà una sensazione più piena in bocca, ma non è necessariamente dolce. Se è presente una impressione di dolcezza in una birra completamente attenuata, spesso si tratta del risultato di altri fattori, come la presenza di vari alcoli o altri composti di sapore.
Le caratteristiche del mosto e le condizioni di fermentazione fanno variare l’attenuazione; per questo ogni ceppo di lievito ha un intervallo di valori previsti per l’attenuazione piuttosto che un singolo valore. Confrontare il livello effettivo di attenuazione con l’intervallo previsto è un modo per controllare se il lievito ha terminato, o sta per terminare, la fermentazione. Stare all’interno dell’intervallo non è una garanzia del fatto che la fermentazione sia completa al 100%, ma un valore al di fuori dell’intervallo, per un mosto ordinario, indicherebbe un problema. Molti birrai si preoccupano erroneamente per la birra prima ancora di controllarne l’attenuazione. È possibile che il lievito abbia già raggiunto il livello di attenuazione previsto. La regola generale è che più elevata è la densità iniziale di una birra, più elevata sarà la sua densità finale. Tuttavia, due mosti con composizioni differenti possono raggiungere livelli diversi di attenuazione, anche con lo stesso lievito e la stessa densità iniziale.
Controllare l’attenuazione è un semplice passo in avanti nella creazione di una birra costante e di alta qualità. Come farete a sapere quando la fermentazione è andata storta se non avete annotato l’attenuazione delle cotte andate a buon fine? Il livello di attenuazione è la chiave di volta quando si vogliono risolvere i problemi relativi alla fermentazione. Tutto ciò che un birraio deve fare è un semplice controllo della densità specifica all’inizio e alla fine della fermentazione ed eseguire poi dei semplici calcoli.
FLOCCULAZIONE
È sempre possibile che il lievito si rifiuti di depositarsi o che flocculi troppo presto. Alcuni ceppi altamente flocculanti possono depositarsi prematuramente, causando problemi al birraio. Perché utilizzare un ceppo altamente flocculante se può dare vita a una birra poco attenuata? Perché utilizzare un ceppo poco flocculante se è un problema poi ottenere una birra limpida? In entrambi i casi, la risposta è il sapore. Alcuni dei ceppi più difficili e capricciosi possono essere i più interessanti in termini di gusto.
In generale, condizioni ambientali più fredde favoriscono la flocculazione, mentre alti livelli di zuccheri, la presenza di ossigeno e una scarsa salute del lievito inibiscono la flocculazione. Nella maggior parte dei casi il birraio, il laboratorio o chi ha maneggiato il lievito ha fatto qualcosa durante la vita della coltura che ha causato un cambiamento nella flocculazione. Il lievito non decide da solo di cambiare i suoi schemi di flocculazione, che possono invece essere modificati da uno qualsiasi dei seguenti fattori:
• Tecniche di raccolta e conservazione.
• Carenza di minerali, sostanze nutritive o ossigeno.
• Mutazione del lievito.
• Contaminazione da lieviti selvaggi.
• Malto contaminato da micotossine.

Qualunque sia il livello di flocculazione di un ceppo di lievito, temperature inferiori hanno come risultato un tasso di flocculazione maggiore. Precipita più lievito a 4 °C che a 21 °C, e precipita più lievito a 0 °C che a 4 °C. Alcuni ceppi necessitano di due o più settimane a 4 °C per depositarsi completamente. Più un ceppo è flocculante, più elevata è la temperatura alla quale è in grado di flocculare. Per esempio, un ceppo ale altamente flocculante flocculerà bene a 18 °C. Se una o due settimane a temperature fredde non aiutano, o se non potete aspettare così a lungo perché la birra diventi limpida, le vostre opzioni includono chiarificazione, filtrazione, centrifugazione o una combinazione di tutte e tre. Molti libri sulla birra descrivono bene la filtrazione e la centrifugazione, quindi non ne parleremo dettagliatamente. Il vantaggio della filtrazione è che è molto economica, veloce e costante, ma espone la birra a potenziali contaminazioni. La centrifugazione vi permette di controllare meglio il processo, conservando anche del lievito, se volete, ma tende a essere costosa. La chiarificazione è economica ed efficace, ma i risultati possono variare. Bisogna trovare la dose ottimale di agente chiarificante per ogni birra. Siccome la chiarificazione si basa sui legami crociati, troppo o troppo poco prodotto può dare scarsi risultati. Un altro problema comune è miscelare adeguatamente i prodotti chiarificanti alla birra.
Il vostro scopo, quando aggiungete dei chiarificanti, dovrebbe essere di aggiungere la quantità sufficiente per ottenere il risultato. Se volete condizionare la birra in bottiglia, la concentrazione di lievito dopo la chiarificazione può essere molto bassa. Le ale chiarificate con colla di pesce contengono tipicamente meno di 100.000 cellule per millilitro, ma avrete bisogno di 1 milione di cellule per millilitro di birra per una carbonazione adeguata e puntuale.
La colla di pesce è un agente chiarificante efficace prodotto dalle vesciche natatorie dei pesci. Si tratta di collagene non denaturato con tre polipeptidi associati in una struttura a tripla elica. Anche la gelatina è un agente chiarificante alternativo, ma non così efficace come la colla di pesce. La gelatina è denaturata ed è composta da polipeptidi singoli.
La colla di pesce è disponibile in commercio in molte forme: liofilizzata, in pasta e liquida. La preparazione e l’utilizzo della colla di pesce dipendono dalla forma del prodotto. È necessario idratarla appropriatamente perché funzioni. La colla di pesce pre-idrolizzata è facile da utilizzare: si mescola velocemente a circa 16 °C per qualche minuto, la si lascia riposare per mezz’ora, ed è pronta all’uso. Se utilizzate un prodotto non pre-idrolizzato, dovete preparare una soluzione appropriatamente acidificata utilizzando acqua sterile e un acido organico. Portatela a un pH di 2,5 e mescolate lentamente con una quantità appropriata di colla di pesce, solitamente circa lo 0,5% in peso. Mescolate a intervalli per 30 minuti, poi lasciate riposare per 24 ore a circa 16 °C. Se opportunamente preparata, dovrebbe risultare una soluzione spessa e traslucida.
Aggiungere la colla di pesce a una birra dal pH elevato farà precipitare il collagene. Mentre esso precipita, il collagene con carica positiva si lega elettrostaticamente alle cellule di lievito dalla carica negativa, portandole sul fondo del fermentatore. Non tutti i lieviti risponderanno allo stesso modo, alcuni ceppi saranno più colpiti di altri. In teoria, dovreste innanzitutto eseguire una prova per assicurarvi di stare usando la quantità giusta di agente chiarificante, e non di più. Distribuite campioni uguali di birra in contenitori alti da 23 a 30 centimetri. Aggiungete a ciascuno quantità misurate di chiarificante, partendo da circa un millilitro di colla di pesce per litro di birra. Una volta determinata la quantità più efficace, potete calcolarne la quantità sull’intera cotta.
DIACETYL REST
Il lievito è in grado di ridurre il diacetile mediante gli enzimi. Durante la crescita, esso produce acetolattato, il precursore del diacetile. In seguito, durante la fase stazionaria, il lievito riassorbe il diacetile e lo converte prima in acetoina e poi in 2,3-butandiolo. Questi due composti possono uscire dalla cellula, ma entrambi hanno un’alta soglia gustativa e contribuiscono poco al sapore della birra.
Figura 4.20: Sequenza temporale tipica del diacetile durante le fasi del lievito.

La salute e l’attività del lievito giocano un ruolo fondamentale nei livelli di diacetile. Poiché la temperatura è fondamentale per l’attività del lievito, il controllo su di essa influisce anche sui livelli di diacetile. Quando la temperatura di fermentazione aumenta, aumentano anche la produzione e la riduzione del diacetile. Temperature più elevate provocano una crescita del lievito più rapida e più acetolattato. Maggiore è il picco di acetolattato, maggiore sarà il picco di diacetile, ma ciò non è necessariamente un male, poiché una temperatura elevata aumenta anche la riduzione del diacetile. Una ale fermentata al caldo potrebbe avere un picco di diacetile maggiore rispetto a una lager fermentata al freddo, ma la riduzione del diacetile avviene molto più velocemente alle temperature da ale.
La maggior parte dei ceppi di lievito, quando sono sani e attivi, riduce rapidamente il diacetile portandolo al di sotto della soglia percettiva, se ha a disposizione abbastanza tempo e una temperatura adeguata. Nonostante tassi di crescita inferiori possano ridurre la quantità di acetolattato prodotto, se essi causano una fermentazione fiacca, possono portare a livelli superiori di diacetile nella birra finita. Spesso sono le birre che fermentano più lentamente e producono meno acetolattato ad avere problemi di diacetile, poiché il lievito produce acetolattato anche più avanti nella fermentazione.
In questo caso la chiave, oltre ad assicurarsi che il lievito sia in buona salute e la fermentazione sia vigorosa, sta nel fornire un tempo e una temperatura di maturazione sufficienti alla riduzione del diacetile per ogni birra. Non separate la birra dal lievito prima che esso abbia avuto l’opportunità di ridurre i composti intermedi creatisi durante la maggior parte della fermentazione. Separare il lievito dalla birra o raffreddare la birra troppo presto possono lasciare una grande quantità di diacetile e di suoi precursori nella birra. Anche se potreste non sentire il sapore del diacetile, la birra potrebbe contenere comunque alti livelli di acetolattato, precursore del diacetile. Qualsiasi contatto con l’ossigeno, durante i trasferimenti o il confezionamento, darà vita molto probabilmente al diacetile che, una volta rimosso il lievito, è impossibile da eliminare. Prima di separare il lievito e la birra o di raffreddare la birra, eseguite un test del diacetile (vedi “Il vostro semplice laboratorio del lievito”). È un modo semplice ed efficace per determinare se la vostra birra contiene quantità eccessive del precursore acetolattato.
Poiché la riduzione di diacetile è più lenta a temperature più basse, una lager fermentata al freddo potrebbe richiedere una pausa diacetilica, il cosiddetto diacetyl rest. Per eseguirlo, verso la fine della fermentazione aumentate semplicemente la temperatura in un intervallo compreso tra i 18 e i 20 °C per un periodo di due giorni. Anche se è possibile eseguire il diacetyl rest quando la fermentazione ha raggiunto la densità finale, il momento più appropriato è quando la densità specifica ha un valore di 0,5-1 °P in meno rispetto alla densità finale. Alcuni produttori di lager preferiscono il metodo di fermentazione Narziss, che incorpora la riduzione di diacetile: i primi due terzi della fermentazione avvengono tra gli 8 e i 10 °C, mentre l’ultimo terzo avviene a 20 °C. Un’altra tecnica utilizzata da alcuni produttori di lager consiste nell’aggiunta di mosto appena fermentato (metodo krausen) che riduce il diacetile durante la carbonazione e la conservazione.
Per la produzione di ale, la fermentazione avviene di solito già a temperature superiori, tra i 18 e i 20 °C. Non è strettamente necessario modificare la temperatura, ma una pausa di due giorni alla temperatura di fermentazione quando la birra ha raggiunto la sua densità finale potrebbe aiutare a ridurre il diacetile. Se la fermentazione è fiacca, aumentare la temperatura di 3 °C accelererà la riduzione di diacetile. La cosa da evitare è permettere alla temperatura di fermentazione di scendere verso la fine, poiché ciò rallenterebbe molto o fermerebbe la riduzione di diacetile. Molti birrai abbassano erroneamente la temperatura della birra subito dopo aver raggiunto la densità finale, perché ritengono che la fermentazione sia completa e che la birra sia pronta.
LAGERIZZAZIONE
Sembra che tutte le birre migliorino dopo un periodo di maturazione a freddo. La durata del periodo e la temperatura variano a seconda della birra. Il periodo di maturazione delle ale è solitamente più corto rispetto alle lager.
La fermentazione delle lager al freddo comporta molte conseguenze per la birra. In un ambiente freddo, solitamente tra i 10 e i 13 °C, il lievito lavora più lentamente e produce meno esteri e alcoli superiori. Tuttavia, la fermentazione più lenta e la temperatura bassa conservano lo zolfo nella soluzione e rallentano la riduzione del diacetile.
Jean de Clerck pubblicò, nel 1957, un elenco di obiettivi della lagerizzazione, che si dimostra vero ancora oggi:
• Permettere al lievito e alle sostanze solide di depositarsi.
• Carbonazione artificiale della birra o fermentazione secondaria.
• Migliorare il gusto.
• Far depositare la torbidità dovuta al freddo, per evitare la formazione di torbidità quando la birra viene raffreddata dopo il filtraggio.
• Evitare il contatto con l’ossigeno per prevenire l’ossidazione (De Clerck, 1957).

Una volta completata la fermentazione, inclusi eventuali passaggi come la pausa diacetilica (diacetyl rest), dovete abbassare la temperatura della birra. In questo modo stimolerete la flocculazione del lievito rimanente. Potete condizionare a freddo sia ale sia lager a temperature vicine al congelamento. Molti si chiedono se possono abbattere la temperatura della birra o se la devono abbassare in modo graduale, per la preoccupazione che il lievito venga indotto a uno stato dormiente, impedendogli quindi di continuare l’assorbimento di composti durante il lungo periodo di maturazione a freddo. In realtà accade molto poco una volta che si porta il lievito al di sotto dei 4 °C. Se volete un lievito che sia attivo e che continui a ridurre i sottoprodotti della fermentazione, questo succede molto più velocemente a temperature più elevate. Per quanto riguarda l’attività del lievito, non c’è molta differenza tra abbattere la temperatura o diminuirla gradualmente se la portate al di sotto dei 4 °C. Tuttavia, una diminuzione molto rapida della temperatura (meno di 6 ore) alla fine della fermentazione può indurre il lievito a espellere esteri piuttosto che trattenerli. Inoltre, se intendete utilizzare il lievito per un reinoculo, dovreste evitare cambiamenti di temperatura molto rapidi (sia in aumento sia in diminuzione), poiché potrebbero indurre il lievito a esprimere proteine da shock termico.
La maturazione tradizionale delle lager sfrutta una lenta diminuzione della temperatura. Quando la fermentazione rallenta e il lievito inizia a flocculare, il birraio comincia il processo di raffreddamento lento della birra, diminuendo la temperatura di 0,5-1 °C al giorno. In questo modo si evita che il lievito diventi dormiente. Qualche giorno dopo, la birra raggiunge una temperatura vicina ai 4 °C e rimangono ancora alcuni zuccheri fermentescibili, circa 1-2 °P. A questo punto il birraio trasferisce la birra nei serbatoi di lagerizzazione. Poiché essi sono chiusi, la birra accumula la pressione dalla CO2, controllata da una valvola di sfogo per evitare una eccessiva carbonazione o il danneggiamento del lievito dato dalla pressione eccessiva. Nonostante incida molto sulla capacità dei loro magazzini, alcuni birrifici ancora oggi lagerizzano le loro birre per mesi, per portarle alla condizione migliore. Se volete utilizzare questa tecnica, ricordate che dipende da un preciso controllo della temperatura, in modo che la fermentazione continui durante il processo di lagerizzazione. Il lievito deve rimanere attivo per un lungo periodo se deve ridurre eventuali sottoprodotti della fermentazione.
RIFERMENTAZIONE IN BOTTIGLIA
Di solito pensiamo al lievito per il suo ruolo nella fermentazione, ma esso può avere un ruolo anche in seguito, nel momento in cui si effettua la carbonazione della birra in bottiglia. È possibile gassare la birra in due modi: attraverso il lievito o attraverso la carbonazione forzata. La maggior parte dei birrifici commerciali forza la carbonazione delle proprie birre, ma molti, sorprendentemente, si prendono la briga di effettuare la rifermentazione in bottiglia (bottle conditioning).
Potreste aver sentito qualcuno affermare che la carbonazione mediante rifermentazione in bottiglia sia in qualche modo diversa da quella forzata. Che sia vero oppure no, una cosa è certa: l’anidride carbonica è la stessa in entrambi i metodi. Ciononostante, alcuni grandi birrifici raccolgono la CO2 durante la fermentazione e poi la reinseriscono nella birra al momento dell’imbottigliamento. Fanno così per vari motivi, tra cui quelli ambientali, ma in passato l’editto tedesco sulla purezza della birra vietava ai birrai di aggiungere qualsiasi cosa alla birra che non fosse acqua, malto, luppolo e lievito. Raccogliendo la CO2 dalla fermentazione, essi potevano reinserirla in un secondo momento, poiché costituiva una parte della birra.
Tradizionalmente, i birrai gassavano tutta la birra mediante un periodo di rifermentazione con il lievito. Questo rimane il metodo di alcuni homebrewer, piccoli birrifici, produttori di birra in cask e diversi birrifici specializzati e regionali, come Coopers in Australia e Sierra Nevada negli Stati Uniti. È un metodo costoso, ma i suoi benefici possono rivelarsi sostanziali. Il lievito nella bottiglia aiuta a eliminare l’ossigeno, che è molto dannoso per il sapore della birra. I piccoli birrifici fanno fatica a tenere l’ossigeno al di fuori delle loro bottiglie, quindi molto spesso si affidano alla rifermentazione in bottiglia. D’altro canto, ci sono anche degli svantaggi: i risultati possono variare, i clienti hanno una reazione negativa alla vista del lievito nella bottiglia, e la potenziale distruzione autolitica delle cellule di lievito può rilasciare nella birra composti dal sapore sgradevole.
I risultati della rifermentazione in bottiglia possono variare perché vi affidate al lievito per fermentare una seconda volta in un ambiente già pieno di alcol, a un pH inferiore e in presenza di poco nutrimento. Le birre più alcoliche possono presentare un problema per la rifermentazione in bottiglia, poiché l’alcol diventa sempre più tossico all’aumentare della sua concentrazione. Anche le birre che utilizzano batteri, Brettanomyces o lievito selvaggio hanno difficoltà a compiere una carbonazione adeguata, poiché questi organismi possono utilizzare molti dei carboidrati rimanenti in una birra attenuata dal lievito del birraio, causando una eccessiva gasatura.
Utilizzate la quantità minore di lievito che vi permetta di raggiungere la carbonazione ottimale. Quanto maggiore sarà la quantità di lievito, tanto maggiori saranno gli eventuali sentori dovuti all’autolisi. Lo stesso vale per la salute del lievito. Se la fermentazione primaria è stata problematica, o se avete motivi per dubitare della salute del lievito alla fine della fermentazione, allora aggiungete del lievito fresco al momento dell’imbottigliamento. Una buona regola empirica prevede l’aggiunta di 1 milione di cellule per millilitro di birra filtrata, che corrispondono a 10-20 volte meno lievito rispetto a quanto usato per la fermentazione. Di solito i birrifici filtrano la birra e poi aggiungono 1 milione di cellule per millilitro. Nel caso di birra non filtrata, bisogna prendere in considerazione la popolazione di lievito già esistente. Dopo che il lievito si è depositato sul fondo della bottiglia, dovrebbe apparire come un sottile strato di polvere; se lo strato è spesso o se si è formato un mucchietto di lievito sul fondo, ne avete messo troppo. Ricordate che dovete solo gassare la birra; ogni eccesso è inutile. Le birre ad alta densità richiederanno più lievito per la carbonazione, fino a 5 milioni di cellule per millilitro, a causa degli alti livelli di alcol.
La birra fatta in casa, se non filtrata, ha di solito una quantità di lievito in sospensione più che sufficiente (con 1 milione di cellule per millilitro la birra può apparire limpida) per gassare la birra. Tuttavia, se la birra ha riposato per più di un mese prima dell’imbottigliamento, o se sono stati aggiunti agenti chiarificanti dopo la fermentazione, potrebbe essere necessario aggiungere altro lievito all’imbottigliamento. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, purché il lievito sia in buona salute, la semplice aggiunta di un po’ di lievito al momento dell’imbottigliamento dovrebbe bastare per gassare la birra.
Il lievito aggiunto dovrebbe essere nel migliore stato di salute possibile, libero da agenti contaminanti e raccolto da una delle prime generazioni (fino alla terza). In un birrificio commerciale, il laboratorio dovrebbe verificare le condizioni del lievito prima del suo utilizzo nella rifermentazione in bottiglia.
La breve rifermentazione in bottiglia influenzerà il sapore? Generalmente no, specialmente se utilizzate lo stesso ceppo di lievito che ha fermentato la birra. Conosciamo un produttore che utilizza un ceppo German weizen per gassare una pale ale neutra senza ottenere sentori di frumento. Tuttavia, quando il lievito fermenta, produce sempre esteri e alcoli superiori, quindi la quantità di carbonazione, il tipo di birra e il ceppo utilizzato determinano l’effettiva percezione di quei composti della rifermentazione. Se avete un birrificio commerciale, dovete sapere se avete aggiunto dei sapori durante la rifermentazione in bottiglia. Potrebbe essere il vostro scopo, ma dovete esserne consapevoli. Effettuate delle prove al buio con un gruppo di esperti per valutare la birra prima e dopo la rifermentazione in bottiglia. Se individuate sentori problematici come terra, cartone o altri sapori non voluti, dovete indagare. Utilizzate un ceppo di lievito diverso, o differenti quantità di lievito, oppure modificate i vostri metodi.
Quando condizionate una birra in bottiglia, c’è sempre la possibilità che alcune o tutte le bottiglie non sviluppino carbonazione. Purtroppo, non sempre il lievito si comporta come dovrebbe. Per un birrificio commerciale è obbligatorio controllare la birra e confermarne la carbonazione prima dell’immissione in commercio. In genere questo implica una o due settimane di conservazione nel birrificio. Tenere della merce in magazzino fino a quando è gassata fa aumentare il costo della rifermentazione in bottiglia e rappresenta uno dei suoi svantaggi.
Anche il modo in cui conservate la birra influisce sul grado di carbonazione. Se conservate le bottiglie in un ambiente troppo freddo, il lievito non metabolizzerà attivamente lo zucchero per creare CO2. Se le conservate in un ambiente troppo caldo, il lievito potrebbe morire prima ancora di creare CO2. Per il processo di carbonazione mantenete la birra tra i 18 e i 21 °C, e prestate attenzione al modo in cui le bottiglie sono conservate. Possono verificarsi risultati incostanti quando non c’è abbastanza ricircolo d’aria intorno alle bottiglie.
Se avete in programma di condizionare una birra in bottiglia per una nuova linea di produzione, o se volete utilizzare un nuovo ceppo di lievito, è meglio eseguire una prova preliminare con dieci o venti bottiglie prima di imbottigliare una cotta intera. È molto difficile aprire tutte le bottiglie prodotte e aggiungere nuovamente lievito e zucchero!
Tecnicamente parlando, è possibile utilizzare praticamente qualsiasi ceppo di lievito per condizionare la birra: lo stesso usato durante la fermentazione principale, oppure un ceppo diverso aggiunto dopo aver filtrato la birra. Negli anni, molti birrifici hanno affermato di filtrare il ceppo di lievito primario e rifermentare in bottiglia con un ceppo secondario per mantenere il segreto sul loro lievito, ma spesso si trattava solo di leggende.
La scelta migliore è utilizzare un ceppo con proprietà di attenuazione simili, che formi un sedimento sottile. Per esempio, il WLP002 è un ceppo altamente flocculante, e molti credono che sia ottimo per la rifermentazione in bottiglia della birra. Il problema è che è così flocculante da formare dei grumi. Quando si versa la birra, i grumi possono finire nel bicchiere, il che non è molto piacevole per chi beve. Confrontate quel lievito con il WLP001. Anche se questo ceppo non floccula così facilmente come il WLP002, floccula bene a temperature fredde e si attacca al vetro. Inoltre, forma uno strato sottile e omogeneo sul fondo della bottiglia invece che dei grumi.
A meno che imbottigliate la birra quando contiene ancora abbastanza zucchero, per la carbonazione avrete bisogno di aggiungerne. Spesso chi produce birra discute su quale sia lo zucchero migliore per la rifermentazione in bottiglia, e molti utilizzano zucchero bianco, altri estratto di malto secco, alti ancora mosto fresco. Uno studio ha scoperto che lo zucchero utilizzato ha effettivamente un impatto sulla rifermentazione in bottiglia. È stato riscontrato che glucosio, fruttosio e saccarosio fermentano in tassi uguali, mentre il maltosio non fermenta completamente. I ricercatori credono che ciò sia dovuto alla pressione della CO2 creatasi nelle bottiglie, che aveva un impatto maggiore sull’assorbimento del maltosio rispetto agli altri zuccheri (van Landschoot et al., 2007). Un contenuto residuo di zucchero influisce anche sulla flocculazione, quindi un consumo non completo di tutto lo zucchero in bottiglia potrebbe potenzialmente influenzare la sedimentazione. Nella maggior parte dei casi, è consigliabile utilizzare zuccheri semplici al momento della rifermentazione in bottiglia.
RIFERMENTAZIONE IN CASK
La rifermentazione in cask nei birrifici è un processo semplice. Il birraio prepara la birra per la carbonazione e la chiarificazione e poi si affida al publican che compie il resto dei compiti. Quando si parla di “cask conditioning” non ci si riferisce solo alla quantità di CO2 nella birra, ma a parte del processo di maturazione dal birrificio al bicchiere. Una grande birra in cask dipende molto da un trattamento appropriato quando la birra lascia il birrificio.
Il ruolo del birraio, oltre a produrre una birra eccezionale, è di travasare la birra nei fusti puliti e sanitizzati quando la densità è circa 2 °P sopra quella finale. Sebbene il lievito continui a consumare gli zuccheri residui e a creare alcol e altri sottoprodotti, lo scopo principale dello zucchero è di gassare la birra nel cask. Se la birra ha attenuato più del previsto, potete aggiungere dello zucchero per il priming, purché non risulti in una carbonazione eccessiva; l’obiettivo è 1-1,2 volumi di CO2. La birra dovrebbe avere un numero di cellule da 1 milione a 3 milioni per millilitro per la rifermentazione in cask. Poiché la maggior parte dei consumatori preferisce una birra limpida, è consigliabile aggiungere colla di pesce (isinglass) per velocizzare il deposito del lievito e di altre sostanze solide. Aggiungete la colla di pesce ed eventuali luppoli secchi subito prima di sigillare il cask per molti giorni. Una volta sigillato, fatelo rotolare per mescolare la birra con gli agenti chiarificanti, poi lasciatelo riposare per fare gassare e stabilizzare la birra.
Un aspetto importante della birra condizionata in cask è la temperatura. Non solo è importante per il gusto e l’aroma nel momento in cui la si beve, ma anche per l’efficacia degli agenti chiarificanti e la carbonazione. Anche se la carbonazione della birra avverrà più velocemente a temperature maggiori, la colla di pesce lavora meglio al di sotto dei 15 °C. Se la temperatura diventa troppo elevata, la colla di pesce potrebbe essere meno efficace e, a una temperatura abbastanza alta, denatura. Nel caso delle birre in cask, uno dei principali benefici della colla di pesce rispetto alla gelatina è che la colla di pesce è in grado di stabilizzarsi nuovamente una volta disturbata. Tuttavia, la colla di pesce perde questa proprietà se è stata denaturata. Il birraio deve tenere la birra nei cask alla temperatura appropriata, quella che consente di ottenere il giusto livello di carbonazione nel giusto periodo di tempo. Questa potrebbe variare tra i 10 e i 14 °C. Se effettuate la rifermentazione in cask per la prima volta, provate con una temperatura vicina ai 12 °C.
LIEVITO: CRESCITA, GESTIONE E CONSERVAZIONE

TASSI DI INOCULO
Una birra costante e di alta qualità richiede misurazioni precise. Una delle più importanti, specialmente in termini di fermentazione, è il tasso di inoculo. Senza tassi di inoculo costanti, il sapore può cambiare significativamente tra le varie cotte.
Quali sono le conseguenze di un inoculo eccessivo o insufficiente? Generalmente, quest’ultimo influenza maggiormente il sapore, mentre un inoculo eccessivo influenza negativamente la salute del lievito nelle varie generazioni. Tuttavia, entrambi possono causare una fermentazione non ideale con elevati livelli di diacetile, acetaldeide e bassa attenuazione. Un tasso di inoculo troppo alto può anche provocare livelli bassi o inaspettati di esteri, sentori di autolisi del lievito e scarso mantenimento della schiuma. Un tasso di inoculo troppo alto può rallentare la fermentazione e causare tempi di latenza molto lunghi, che permettono a batteri concorrenti e lieviti selvaggi di crescere nel mosto. Se si dovesse scegliere tra un inoculo insufficiente o uno eccessivo, quest’ultimo mostrerebbe una tolleranza maggiore riguardo ai difetti della fermentazione.
Molti birrai si preoccupano di determinare la conta cellulare esatta. Anche se conoscere il numero giusto serve, è più importante la costanza. Una volta determinata la quantità (a prescindere dal modo in cui la misurate) che funziona bene per la vostra birra, dovete utilizzare la stessa quantità ogni volta. Il metodo più semplice per determinare la quantità di lievito è misurare il volume o il peso dello slurry (impasto di lievito aggregato); in seguito, è possibile contare le cellule utilizzando un microscopio o uno spettrofotometro e poi determinare il numero di cellule nell’intero slurry. L’aspetto positivo del microscopio è la sua economicità e la possibilità di usarlo per controllare la carica vitale delle cellule (per maggiori dettagli, consultate la sezione “Il vostro semplice laboratorio del lievito”).
Un tipico tasso di inoculo è 1 milione di cellule per millilitro di mosto per grado Plato.
Cellule da inoculare = (1 milione) × (millilitri di mosto) × (gradi Plato del mosto)

Anche se in molti seguono questa formula alla lettera, essa rappresenta più una linea guida che una regola ferrea. Per le ale sono meglio tassi di inoculo leggermente inferiori (0,75 milioni), mentre per le lager è meglio inoculare una quantità leggermente superiore di cellule (1,5 milioni). Tuttavia, sarebbe meglio determinare il tasso di inoculo ideale per ogni birra in produzione. Molte ale saranno ideali a 0,75 milioni e molte lager a 1,5 milioni, ma alcune birre potrebbero richiedere quantità maggiori o minori per raggiungere la perfezione della birra. I tassi di inoculo variano a seconda del ceppo di lievito e dello stile di birra. Scoprirete che le birre lager richiedono tassi di inoculo più alti, in genere il doppio rispetto a quelli delle ale. Per la produzione di alcune ale in stile inglese e delle weizen in stile tedesco, il tasso ideale di inoculo è leggermente inferiore, spesso tra 0,5 e 0,75 milioni.
Tenete a mente che i tassi indicati si riferiscono al reinoculo di lievito raccolto, poiché questo è ciò che i produttori di birra fanno la maggior parte delle volte. Quando si inocula una coltura di laboratorio fresca, cresciuta con ossigeno e nutrimento, è possibile utilizzare un tasso di inoculo fino al 50% inferiore. Gli homebrewer che potrebbero lavorare con colture di lievito che sono state conservate per qualche tempo devono revitalizzare il lievito o aumentare il tasso di inoculo.
Facciamo un esempio di calcolo del tasso di inoculo per un mosto ale a 12 °P. Trattandosi di un mosto ale, utilizzeremo un tasso di 0,75. Moltiplichiamo questo tasso (0,75) per la densità specifica del mosto in gradi Plato (12) per determinare i milioni di cellule per millilitro di mosto. In questo esempio otteniamo 9 milioni di cellule per millilitro, che diventa la nostra unità di misura standard (cellule/ml). Moltiplichiamo poi questo numero (9 milioni di cellule/ml) per il volume del mosto (in millilitri), per determinare il numero totale di cellule da inoculare. Se si tratta di una cotta da 20 litri di birra fatta in casa:
(tasso di inoculo) × (millilitri di mosto) × (gradi Plato del mosto) = cellule necessarie

(750.000) × (20.000) × (12) = 180.000.000.000

In questo esempio, avremo bisogno di 180 miliardi di cellule da inoculare nella cotta di birra fatta in casa a un tasso di 0,75 milioni. E se invece si trattasse di un lotto commerciale da 10 ettolitri?
(750.000) × (1.000.000) × (12) = 9.000.000.000.000

Ora avremo bisogno di dosare la quantità appropriata di lievito. Tipicamente gli slurry di lievito contengono tra 1 e 3 miliardi di cellule per millilitro, ma ciò dipende dal modo in cui sono state raccolte. Se avete effettuato una conta cellulare, allora avrete una buona idea della densità; in caso contrario, dovrete fare una stima.
Quando conosciamo la densità dello slurry, dividiamo il numero totale di cellule necessarie per la concentrazione in cellule/ml nel serbatoio o nel contenitore del lievito per determinare quanti millilitri di slurry di lievito saranno necessari. Per il nostro esempio con la cotta da homebrewer, avremo bisogno di 180 miliardi di cellule. Se abbiamo determinato o presumiamo di avere uno slurry contenente 2 miliardi di cellule per millilitro, allora avremo bisogno di 90 ml di slurry. Se ne contenesse 1 miliardo/ml, avremmo bisogno del doppio.
STIMARE LA DENSITÀ DEL LIEVITO

Se volete farvi un’idea di come appaiono degli slurry con densità diverse, prendete una fiala di lievito White Labs e provate a fare questo esperimento. Il volume della fiala è di 47 millilitri, e ognuna è riempita fino a 36 millilitri, ossia fino al restringimento della parte superiore, dove la fiala diventa dritta. Dopo che la fiala è rimasta in posizione verticale e ferma per lungo tempo, il lievito si concentra nella parte inferiore, in uno spazio di circa 14 millilitri. Quando accade, il lievito (escluso il liquido al di sopra) ha una densità molto alta, intorno agli 8 miliardi di cellule/ml. Se agitate la fiala per fare mischiare uniformemente il lievito nel liquido, avrete una densità di circa 3 miliardi di cellule/ml. Se mischiate il contenuto della fiala con altri 16 millilitri d’acqua, avrete un’idea di come appare uno slurry da 2 miliardi di cellule. Aggiungendo altri 50 millilitri otterrete uno slurry da 1 miliardo di cellule/ml. Ricordate che il lievito raccolto da una fermentazione contiene spesso sostanze, oltre al lievito, in misura maggiore rispetto al lievito propagato in laboratorio, quindi prendetelo in considerazione nei vostri calcoli.
Esiste un altro trucco utile per stimare la densità senza possedere un microscopio. In una fiala di vetro standard da 13 × 100 mm, una sospensione di lievito di meno di 1 milione di cellule/ml non è visibilmente torbida. Sopra a 1 milione di cellule/ml è visibilmente torbida. È possibile modificare la densità cellulare con una serie di diluizioni fino a quando il campione è a malapena visibile. Annotando il numero di diluizioni, dovreste essere in grado di calcolare la densità iniziale e diluire per ottenere altre concentrazioni.
Incontrerete qualche altra densità comune durante il processo di birrificazione. All’inizio della fermentazione, la densità cellulare è tra i 5 milioni e i 15 milioni per millilitro, mentre alla fine è tra i 25 milioni e i 60 milioni per millimetro. Quando raccogliete il lievito dalla parte superiore o inferiore, probabilmente avrete circa 0,8-2 miliardi di cellule per millilitro.
Se state lavorando con il lievito secco, è relativamente semplice determinare la quantità da inoculare. La maggior parte del lievito secco contiene tra i 7 miliardi e i 20 miliardi di cellule per grammo, a seconda della dimensione delle cellule e della presenza di altre sostanze oltre al lievito, ma quei numeri non rappresentano le cellule vive per grammo che avrete una volta reidratato il lievito. Queste dipendono da una serie di fattori, come le tecniche di conservazione e reidratazione. Chiedete al vostro fornitore quante cellule vive per grammo potreste aspettarvi (potrebbero essere anche 5 miliardi), poi dividete semplicemente il numero di cellule necessarie per il numero di cellule vive, e otterrete il peso in grammi del lievito secco necessario. Certamente, ciò presuppone che tutto il lievito sia attivo e che voi lo reidratiate in modo appropriato prima dell’inoculo seguendo i consigli del produttore. Se ciò non dovesse accadere si potrebbe verificare la morte di circa la metà delle cellule.
Molti birrifici commerciali inoculano il lievito basandosi sul peso. Per alcuni volumi, questa misurazione è a volte assai più semplice. Ogni cellula di lievito pesa intorno agli 8 × 10–11 grammi (Haddad e Lindegren, 1953), quindi 100 miliardi di cellule pesano approssimativamente solo 8 grammi senza liquidi dallo slurry. Ciò dipende da molti fattori, ma in generale una densità di 2 miliardi di cellule per millilitro pesa circa 1,02 grammi per millilitro (l’acqua pesa 1 g/ml e il lievito 1,087 g/ml).
Tornando al nostro esempio di homebrewer, se volessimo misurare lo slurry mediante il peso, avremmo bisogno di circa 92 grammi di slurry. Per quando riguarda l’esempio del birrificio commerciale, necessiteremmo di 9 litri di slurry a una densità di 1 miliardo di cellule per millilitro, che corrisponde a circa 9,1 kg.
Avrete capito come dei piccoli errori nella stima della densità dello slurry potrebbero avere un impatto significativo sul tasso di inoculo. Idealmente, dovreste prima eseguire un’accurata conta cellulare per calcolare la densità dello slurry. Infatti, la conta cellulare richiede una misura di precisione nel lavorare con piccoli volumi di liquido e tecniche di conta. Ogni errore viene moltiplicato più volte e può portare a un sostanziale margine di errore, rendendo la misurazione per peso o volume un metodo non così cattivo. Perciò, se non potete contare la densità cellulare con un microscopio, non disperatevi. Ricordate che il gioco si chiama costanza. Se credete di stare inoculando troppo o troppo poco, provate ad abbassare o ad alzare la quantità che avete dosato. In teoria, finché la densità dello slurry resta la stessa e il vostro metodo di misurazione è sempre costante, dovreste essere in grado di trovare il tasso ideale della vostra birra basandovi sul sapore. Malgrado tutto, è molto più semplice essere costanti se si ha la possibilità di misurare accuratamente e di esaminare il lievito. Vale la pena ripetere anche che è importante utilizzare ogni volta la stessa quantità allo stesso tasso di crescita per assicurare la produzione dello stesso sapore di cotta in cotta. Il numero di cellule, quanto crescono e a quale velocità influenzano tutti la birra.
Quando è tempo di inoculare il lievito, è facile gestire una cotta da homebrewer. Può essere complicato su scala commerciale, poiché maneggiare secchi aperti di slurry può aumentare la possibilità di contaminazione.
Molti birrifici commerciali che utilizzano fermentatori cilindro-conici utilizzeranno un sistema di trasferimento “da cono a cono” per inoculare il lievito nel lotto successivo. Il birraio trasferisce il lievito dal fondo di un fermentatore conico in un altro con dei tubi rigidi o morbidi. A molti birrai piace questo metodo, perché evita l’esposizione del lievito ad agenti contaminanti trasportati per mezzo dell’aria e non richiede di conservare il lievito separatamente. Se volete fare un trasferimento da cono a cono, tenete a mente i seguenti punti:
• Mettete il braccio per il travaso nella posizione migliore del cono per la raccolta del lievito (al di sopra dei sedimenti e al di sotto delle cellule non flocculanti) sulla base dell’esperienza.
• Prelevate un campione di lievito prima di iniziare il trasferimento. Valutate il campione fisicamente (aspetto, odore) e, se siete in dubbio, inviate un campione al laboratorio per valutarne la carica vitale ed eseguire la conta cellulare prima di trasferire il lievito.
• Utilizzate una pompa volumetrica controllata mediante un variatore elettronico di velocità e calibratela pompando, a un’impostazione di potenza standard, il lievito in un contenitore calibrato in acciaio inox (utilizzate un antischiuma). Una volta calibrata la pompa, sarete in grado di inoculare un volume di lievito accurato.
• Se non potete trasferire il lievito in un nuovo lotto di mosto entro uno o due giorni dopo il deposito, è meglio rimuovere il lievito e conservarlo in un luogo freddo.

Un’altra domanda comune sui tassi di inoculo riguarda i fermentatori più grossi che necessitano di molteplici riempimenti. Dovreste calcolare il tasso di inoculo sulla base del primo riempimento o del volume totale alla fine? In generale, se riempite il fermentatore in un solo giorno di birrificazione, allora dovreste inoculare la quantità di lievito necessaria per l’intero serbatoio. Se lo riempirete in due giorni, dovreste determinare l’inoculo sulla base della quantità di mosto aggiunto durante il primo giorno. Il mosto e l’ossigeno aggiunti il primo giorno fanno crescere il lievito, spesso raddoppiandolo entro le prime 24 ore. Se aggiungete altro mosto e ossigeno il secondo giorno, non è necessario aggiungere altro lievito, oppure potreste inoculare a un tasso ridotto.
PROPAGAZIONE DEL LIEVITO
Una delle meraviglie del lievito è che con un’adeguata attenzione alle pratiche igieniche e alla sua salute, praticamente chiunque può far crescere piccole quantità in volumi inoculabili.
Quando si propaga il lievito, i requisiti di sanitizzazione e di ossigeno sono molto più elevati rispetto a quando si produce la birra. I risultati della propagazione possono influire sul sapore della birra, ma non ci preoccupiamo del sapore della propagazione. Il suo scopo non consiste solo nel far crescere la massa di lievito, ma piuttosto nel far crescere un lievito che sia il più sano possibile. Una quantità inferiore di un lievito molto sano produrrà una birra molto migliore rispetto a una gran quantità di lievito non sano. Purché lavoriate in buone condizioni igieniche, la propagazione del lievito avviene in modo diretto, e ha anche preso piede all’interno della comunità di homebrewer, che hanno denominato la propagazione “starter”.
PROPAGAZIONE NEI BIRRIFICI COMMERCIALI
Nei grandi birrifici commerciali, la propagazione è un processo in due fasi. Il laboratorio gestisce la prima parte, facendo crescere il lievito da una coltura pura in una provetta o su una piastra di Petri fino alla dimensione alla quale interviene il birrificio. I piccoli birrifici possono eseguire sia la parte del laboratorio sia quella del birrificio, o possono acquistare il risultato del primo passaggio da un fornitore e poi coltivare il lievito in birrificio fino a un volume di inoculo. Alcuni birrifici non fanno nulla: comprano una coltura inoculabile ed evitano di eseguire loro stessi la propagazione.
È fondamentale che il laboratorio si concentri sulla purezza e sulla salute della coltura che fornisce al birrificio. La chiave di una propagazione in laboratorio di successo include:
• Tecniche asettiche. Lo staff del laboratorio deve essere abile nelle tecniche asettiche, per assicurare la purezza della coltura.
• Mezzi di crescita sterili. Il mosto della birra non è sterile. Far crescere colture a bassa contaminazione richiede dei terreni sterili. Ogni fase del processo amplifica le eventuali contaminazioni della fase precedente.
• Mai eccedere negli incrementi di volume adeguati. Tassi di inoculo appropriati assicurano la crescita sana e l’utilizzo efficacie dei terreni.
• Ossigenazione
• Temperatura. Leggermente superiore rispetto alla fermentazione normale, da 20 a 25 °C, aumenta i tassi di crescita.

Inoltre, è fondamentale che il laboratorio sia pulito e igienizzato; idealmente, dovrebbe essere un ambiente completamente controllato e sterile. In realtà, i laboratori dei birrifici sono molto lontani da questo standard, e molto spesso il mosto utilizzato in laboratorio proviene dal birrificio ed è bollito, ma non sterilizzato. Tuttavia, è possibile assicurarsi di avere un laboratorio valido, per esempio pulendo e sanitizzando l’ambiente. Lo staff dovrebbe essere in grado di sanitizzare tutte le superfici della stanza a intervalli regolari. Una stanza completamente rivestita di piastrelle o di altre superfici adatte permette di pulire e sanitizzare regolarmente le pareti, il soffitto e il pavimento. Un deumidificatore tiene bassi i livelli di umidità, evitando che colture non volute crescano sulle superfici.
Figura 5.1: La propagazione richiede un ambiente di laboratorio adatto.

Quando il laboratorio per la propagazione è igienizzato, altri attrezzi possono impedire le contaminazioni. Luci ultraviolette, catini per il pediluvio, una camera d’equilibrio o porte doppie e un ambiente a pressione positiva contribuiscono a tenere fuori organismi indesiderati.
Un laboratorio potrebbe propagare lievito ale per il suo birrificio con questi passaggi: Figura 5.2: Tipica propagazione in laboratorio del lievito ale.

Quando il laboratorio completa la propagazione su piccola scala, trasferisce la coltura al birrificio. Il processo in laboratorio dura generalmente almeno cinque giorni, sebbene possa arrivare fino a due settimane o più. Anche dopo che il laboratorio ha trasferito la coltura al birrificio, dovrebbe continuare a monitorare e a esaminare il lievito mentre progredisce nel birrificio.
L’obiettivo del birrificio è simile a quello del laboratorio: far crescere abbastanza biomassa di lievito in buone condizioni fisiologiche da inoculare in una cotta di birra. A questo punto il lievito è cresciuto fino a una dimensione tale da poter efficacemente competere con e superare altri organismi, quindi la maggior parte dei birrifici non fa altro che bollire il mosto da utilizzare per la propagazione. Un tipico aumento graduale in un birrificio potrebbe essere:
Di solito il laboratorio propaga i ceppi ale e lager alla stessa temperatura, tra i 20 e i 25 °C, ma spesso il birrificio abbasserà gradualmente la temperatura di propagazione dei ceppi lager, cosicché essi siano pronti per le temperature di fermentazione lager. Alcuni birrifici continueranno ad aumentare progressivamente la propagazione con un fattore di 10, mentre altri utilizzano incrementi sempre più piccoli, come in Figura 5.3. Questo processo può impiegare da cinque a quindici giorni e necessiterà dell’utilizzo di vari recipienti, da uno a quattro. La maggior parte dei birrifici preferisce puntare a ottenere da 100 milioni a 200 milioni di cellule per millilitro per la propagazione, corrispondenti a due-quattro volte tante cellule per millilitro quante ve ne sono in una fermentazione, anche se potrebbero far propagare il lievito fino a 300 milioni o più di cellule per millilitro. Molti birrai credono che spesso far crescere il lievito fino a una conta troppo alta provochi fermentazioni anormali.

Figura 5.3: Tipici passaggi e temperature per la propagazione in birrificio di ceppi ale e lager.

Come detto in precedenza, Christian Hansen sviluppò il primo metodo di coltura pura del lievito nel 1883, e molti sistemi di propagazione correnti utilizzano ancora questa tecnologia, chiamata Carlsberg flask. Il volume è piccolo, in genere dai 25 ai 50 litri, e questo è il primo passaggio in birrificio dopo il laboratorio. Il birraio riscalda il mosto all’interno del recipiente per sanitizzarlo, riducendo al minimo eventuali potenziali contaminazioni. Quando il mosto si è raffreddato, il birraio lo inocula con del lievito puro e aggiunge aria o ossigeno.
Un’azienda danese, la Scandi Brew (ora di proprietà di Alfa Laval), produce tuttora un recipiente chiamato “Carlsberg Flask”. Oggi li produce in acciaio inossidabile, e con dei raccordi per i trasferimenti verso l’interno e l’esterno in un ambiente igienico. Di solito costano tra i 5.000 e gli 8.000 dollari (4.000-7.000 euro).
I sistemi di propagazione più grandi hanno in genere da uno a quattro recipienti, con un impianto per l’ossigenazione. Scandi Brew di Alfa Laval, Frings e Esau & Hueber sono tre fornitori molto conosciuti. I loro sistemi partono da 100.000 dollari, fino a 150.000 dollari per un sistema di 10 ettolitri di capacità, che si può inoculare in fermentatori dai 100 ai 150 ettolitri. Tutti e tre i sistemi producono alta ossigenazione e alta conta cellulare. Poiché i livelli di ossigenazione possono provocare schiuma, è possibile utilizzare prodotti antischiuma per ridurne al minimo la formazione, o acquistare un antischiuma meccanico.
DOV’È IL LIEVITO?

Un birrificio ha comprato una coltura di lievito da White Labs da inoculare in 11,7 hl. Il piano era di cominciare con 11,7 hl e poi aumentarli gradualmente fino a 585 hl. Controllando la conta cellulare il giorno seguente, il birrificio ha scoperto che era solo di 400.000 cellule per millilitro. Dov’era il lievito? Il birrificio ha passato la settimana successiva a cercare di far crescere più lievito, ma si è poi scoperto che il lievito c’era già: era nella schiuma. In seguito, dopo aver mescolato il contenuto del serbatoio, la conta cellulare è passata da 6 milioni per millilitro a 35 milioni per millilitro.
Ciò avviene spesso con i ceppi di lievito ale. Un birraio raccoglie il lievito dal fondo del serbatoio e non ne trova molto. Se non riuscite a trovare il lievito sul fondo, controllate la parte superiore. Potreste dover travasare la birra per arrivare al lievito e, se la propagazione è ancora in corso, rimescolatelo con la birra. È sempre una buona idea controllare la densità della birra e utilizzare la diminuzione di densità come modo per monitorare il successo della propagazione.
Questi sistemi utilizzano un processo di fermentazione in batch: il birraio aggiunge tutto il mosto nel serbatoio in una volta sola, e la crescita del lievito è limitata al volume di quel mezzo. Esso è differente dal processo fed-batch, che i produttori utilizzano per creare per lo più lievito secco, lievito per la panificazione e lievito per scopi farmaceutici.
Nel processo fed-batch, l’operatore inocula il lievito in un terreno a bassa densità (generalmente a 2 °P). Il lievito comincia a crescere, e il livello di glucosio è così basso che si evita l’effetto Crabtree (vedi pag. 39). Quando il lievito esaurisce il carbonio (lo zucchero), il sistema ne introduce altro a una velocità minore. Il sistema misura l’immissione di carbonio per mantenere la fase di crescita. Non è così semplice come pompare lentamente lo zucchero all’interno; il processo deve monitorare i livelli di ossigeno disciolto o di etanolo per assicurarsi che il carbonio sia sempre limitato, altrimenti diventa un processo Crabtree normale. Se i livelli di ossigeno disciolto aumentano, allora il lievito non sta consumando tutto l’ossigeno disponibile perché la sua crescita è rallentata. Se comincia ad aumentare l’etanolo, il lievito non è più in crescita aerobica. In entrambi i casi, il sistema deve diminuire l’afflusso della fonte di carbonio.
I birrai dovrebbero utilizzare un processo fed-batch? Si utilizzano attrezzi molto costosi, e gli impianti devono essere sempre a posto per assicurare la limitazione di carbonio, altrimenti i benefici vanno sprecati. C’è un chiaro vantaggio nel produrre più lievito per serbatoio, ma la maggior parte dei birrai è preoccupata che esso non si comporti allo stesso modo durante la fermentazione. I lieviti prodotti in un processo fed-batch sono in uno stato metabolico diverso da quello dei lieviti raccolti da un processo di fermentazione in batch. La preoccupazione dei birrai è che ciò potrebbe portare ad anormalità della fermentazione e a un diverso insieme di composti di sapore. Forse sarebbe possibile utilizzare un processo fed-batch se il lievito si sottoponesse a un’ulteriore fase in batch alla fine. Certamente, questo comporterebbe ulteriori attrezzature, spese e tempi.
Molti birrai hanno cercato di adottare il processo fed-batch, ma pochi lo utilizzano. Una volta fu chiesto a David Quain, co-autore di Brewing Yeast & Fermentation e guru del lievito dei birrifici Bass e Coors, se avesse mai utilizzato un processo fed-batch. La sua risposta: “Non c’è posto nella birrificazione per il fed-batch” (conversazione personale con Chris White).
PROPAGAZIONE PER HOMEBREWER
Per gli homebrewer la propagazione è piuttosto semplice, perché non serve così tanto lievito come in un birrificio commerciale; essenzialmente si fa tutto in laboratorio. La sfida più grande per la maggior parte degli homebrewer è soddisfare i requisiti igienici. La crescita in laboratorio, a partire da provette o piastre, è la stessa dei birrifici commerciali. Tuttavia, al posto di propagare il lievito fino a 10 litri, potreste fermarvi a due, da utilizzare direttamente nella vostra cotta.
La maggior parte degli homebrewer non svolge tutto il processo di propagazione dalle provette. Al contrario, effettua la fase di propagazione finale, facendo crescere una coltura adatta alla cotta casalinga. Gli homebrewer chiamano questo processo “starter”. All’inizio prerogativa degli homebrewer più esperti, lo starter è diventato una tecnica popolare tra molti homebrewer nel corso degli anni passati.
Uno starter è un piccolo volume di mosto che il lievito utilizza come fase iniziale di moltiplicazione e per prepararsi a fermentare una cotta di birra. Lo scopo dello starter è quello di creare abbastanza lievito sano per la fermentazione della birra in condizioni ottimali. La preoccupazione primaria nella preparazione di uno starter dovrebbe essere sempre la salute del lievito e poi, in secondo piano, la crescita cellulare. Molti birrai spesso si concentrano erroneamente solo sulla crescita cellulare a scapito della salute del lievito. È molto meglio avere un numero inferiore di cellule giovani e molto sane piuttosto che un grande numero di cellule deboli. Dovreste sempre fare uno starter se sospettate che la carica vitale del lievito possa essere bassa. Per esempio, se avete un pacchetto di lievito liquido che è stato trasportato per molti giorni nel caldo estivo, dovreste eseguire uno starter.
Non dovreste mai fare uno starter se non potete eseguirlo in un ambiente igienizzato o se non potete fornire un nutrimento adeguato al lievito. Se riuscite a produrre una cotta di birra non contaminata, allora dovreste essere in grado di portare a termine uno starter con successo.
Inoltre, anche se potreste trovare semplice far crescere più lievito, non lasciatevi trasportare. Un inoculo eccessivo di lievito potrebbe provocare un profilo di fermentazione tutt’altro che ideale (per esempio bassi o inaspettati livelli di esteri, sentori di autolisi del lievito e scarso mantenimento del cappello di schiuma) rispetto a un tasso di inoculo appropriato.
Un altro caso in cui non è necessario fare uno starter è con il lievito secco. Acquistare più lievito secco è economico, e solitamente meno costoso, più semplice e più sicuro rispetto a produrre un grosso starter. Molti esperti sostengono che fare uno starter con lievito secco riduca le riserve cellulari che il produttore ha cercato di inserire nel prodotto. Per il lievito secco eseguite una reidratazione appropriata con acqua del rubinetto, non fate uno starter.
Fare uno starter
È facile fare uno starter. È come una piccola cotta di birra, il cui scopo è la crescita e la salute del lievito, e non la bevibilità. Avrete bisogno di un recipiente pulito e sanitizzato in grado di contenere lo starter e lasciare dello spazio libero al di sopra, fogli di alluminio, estratto di malto secco, nutrimento per il lievito e acqua. Nel preparare il mosto per lo starter, dovrete bilanciare la salute del lievito, la sua crescita e la praticità. Gli starter fatti a una densità troppo bassa danno come risultato una crescita minima. Non è affatto pratico eseguire più passaggi durante lo starter a causa di un mosto a densità bassa, ed è anche più probabile introdurre una contaminazione. Tuttavia, non dovete neanche produrre uno starter ad alta densità. Più alta è la densità, più pressione farà sul lievito. I birrai non dovrebbero credere al mito che il lievito si acclimati a una fermentazione ad alta densità se si è eseguito uno starter ad alta densità. Generalmente, quando si ha la responsabilità della salute del lievito, è meglio mantenere la densità del mosto per lo starter tra 1,030 e 1,040 (tra 7 e 10 °P). Se state cercando di far riprendere un lievito stressato, come quando fate crescere una coltura di lievito da una birra condizionata in bottiglia o da una vecchia provetta, utilizzate un mosto per lo starter a densità inferiore, circa 1,020 (5 °P). Gli starter a bassa densità non stressano il lievito ma causano una crescita minore. Gli starter ad alta densità invece provocano una grande crescita ma sono molto stressanti per il lievito.
Il modo migliore per produrre piccole cotte di mosto per lo starter è usare una misurazione decimale, utilizzando un rapporto 10 a 1. Aggiungete 1 grammo di estratto di malto secco per ogni 10 millilitri di volume finale del mosto. Per esempio, per produrre due litri di mosto per lo starter, aggiungete acqua a 200 grammi di estratto di malto fino a ottenere un volume totale di 2 litri. Aggiungete 0,6 millilitri di nutrimento per lievito, fate bollire per 15 minuti, raffreddate a temperatura ambiente, trasferite in un recipiente sanitizzato e aggiungete il lievito.
Se utilizzate una beuta fatta di vetro borosilicato (come il Pyrex o il Bomex) è anche più semplice. Mettete l’estratto di malto e l’acqua nella beuta, coprite con un foglio di carta d’alluminio, aggiungete il nutrimento e mettete la beuta direttamente sul fornello. Lasciate bollire lentamente per 15 minuti, fate raffreddare e poi aggiungete il lievito. Se volete usare mosto sterile, potete utilizzare una pentola a pressione per preparare il mosto, al posto di farlo bollire. Seguire questo processo base dà come risultato il tipo di crescita mostrato in Figura 5.5 (pag. 130). Tuttavia, è molto semplice aumentare il livello di crescita del lievito aggiungendo ossigeno e agitando.
Se avete a disposizione ossigeno puro, potreste aggiungerne una dose all’inizio del vostro starter. Otterrete un lievito molto più sano e molta più crescita cellulare se, durante il processo, fornirete una piccola fonte continua di ossigeno. Esso è fondamentale per la crescita del lievito, e alla lunga non ossigenare il lievito può avere un impatto negativo sulla sua salute. Il lievito utilizza l’ossigeno per sintetizzare gli acidi grassi insaturi e gli steroli, che sono fondamentali per la creazione di una sana membrana cellulare e per una buona crescita della cellula. In presenza di ossigeno, il lievito cresce rapidamente. Senza ossigeno, cresce molto più lentamente e raggiunge una massa totale di cellule inferiore.
Figura 5.4: Starter su una piastra agitante fatta in casa. Foto per gentile concessione di Samuel W. Scott.

Esistono diversi modi per aggiungere ossigeno: agitazione intermittente, agitazione continua, una piastra agitante, ossigeno puro o una pompa d’aria con filtro sterile. La piastra agitante costituisce il metodo più efficace, poiché fornisce un buono scambio di gas, mantiene il lievito in sospensione ed elimina l’anidride carbonica; tutto questo aumenta la crescita del lievito (circa il doppio o il triplo del lievito rispetto a uno starter non agitato) e ne migliora la salute. Tuttavia, bisogna prestare attenzione a due cose quando si utilizza una piastra agitante. La prima è che alcune piastre possono generare abbastanza calore da portare lo starter a una temperatura dannosa per il lievito, specialmente se utilizzate in un ambiente caldo. Una piccola piastra agitante che abbiamo testato ha aumentato la temperatura di 3 °C rispetto all’ambiente, quindi è meglio che teniate in considerazione questo incremento quando realizzate lo starter. La seconda cosa da ricordare è che il fatto che la piastra attiri aria nel liquido può far sì che la temperatura dello starter rispecchi i cambiamenti di temperatura dell’aria circostante. Grandi fluttuazioni di temperatura nella stanza provocheranno grandi sbalzi di temperatura nello starter, con pessimi risultati. Quando utilizzate una piastra agitante, non chiudete il recipiente dello starter con un gorgogliatore. Un foglio di alluminio sanitizzato, un tappo di cotone o di schiuma traspirante è tutto ciò che vi serve. I batteri e il lievito selvaggio non possono strisciare, e una copertura non tesa permetterà un migliore scambio di gas. Su Internet potete trovare informazioni su come costruirvi la vostra piastra agitante economica, e diversi negozi di materiale per homebrewer vendono alcuni modelli a prezzi ragionevoli.
Se non possedete una piastra agitante, agitare lo starter il più possibile fa una grande differenza per la crescita e la salute del lievito. Per questa ragione, alcuni homebrewer in Australia hanno cominciato a utilizzare bottiglie di bibite gassate in plastica da 2 litri, con le quali è possibile far evacuare l’eventuale anidride carbonica in esse contenuta rimuovendo il tappo e schiacciandole, poi inserendo aria fresca in sostituzione. (Dovrete lavorare in un ambiente senza polvere per evitare di farla entrare, poiché contiene lievito selvaggio e batteri.) Le bottiglie sono anche un recipiente comodo per agitare lo starter. I nostri test hanno mostrato che un’agitazione vigorosa dello starter ogni ora dà come risultato circa il doppio del numero di cellule create utilizzando uno starter non agitato.
Anche l’aria continua da una pompa con un filtro sterile può dimostrarsi efficace. I problemi maggiori consistono nella capacità di controllare il flusso d’aria per evitare una schiuma eccessiva e l’evaporazione dello starter. In questo caso, l’agitazione è altrettanto efficace dell’aerazione intermittente con una pompa. Se potete rendere l’aerazione sterile, senza troppa schiuma, e riuscite a mescolare continuamente l’intero volume del mosto da starter, allora essa può dimostrarsi tanto efficace quanto una piastra agitante. Il lievito lavora meglio quando l’impianto dello starter rilascia continuamente l’anidride carbonica prodotta, quando è mantenuto in sospensione e distribuito equamente nella soluzione e quando ha accesso a ragionevoli quantità di ossigeno.
Ogni volta che fate uno starter, tenete a mente i quattro principali fattori che influiscono sulla crescita e la salute del lievito: nutrimento, temperatura, zuccheri e pH. Le sostanze nutritive fondamentali includono ossigeno, zinco, aminoacidi e azoto. L’ossigeno è spesso ignorato dai birrai, tuttavia esso è fondamentale per la sopravvivenza e la crescita del lievito e tende a essere il fattore più limitativo per la maggior parte degli starter.
Quasi tutti si chiedono se devono aggiungere luppoli agli starter. A un livello di circa 12 IBU o più, i luppoli aggiungono protezione dai microbi. L’azione antimicrobica è il risultato di un trans-isoumulone, un componente degli alfa-acidi isomerizzati, che permette ai composti del luppolo di “invadere” i batteri gram-positivi e rallentare l’assorbimento cellulare delle sostanze nutritive (Fernandez e Simpson, 1993). Anche se i batteri acido-lattici sono gram-positivi, alcuni ceppi sono resistenti al luppolo; ecco spiegato come riescono a contaminare la birra. Nonostante l’aggiunta di luppolo conferisca attività antimicrobica, è discutibile la misura in cui esso sia d’aiuto, poiché gli alfa-acidi isomerizzati influiscono negativamente anche sulla carica vitale del lievito. Forse è meglio avere meno materiale nello starter, con meno spese e meno passaggi di cui preoccuparsi. Se volete affidarvi al luppolo per mantenere pura la propagazione, dovreste allora rivedere il vostro processo.
Utilizzate un mosto con solo malto per gli starter. Lo zucchero nello starter deve essere maltosio, non zucchero semplice. Il lievito cresciuto esclusivamente con zuccheri semplici smette di produrre l’enzima che gli permette di rompere il maltosio. Poiché il mosto per la birra è principalmente maltosio, fermentarlo con del lievito cresciuto solo con zuccheri semplici produrrebbe una birra non appropriatamente attenuata.
Il pH di uno starter deve essere intorno a 5, ma se non siete in grado di verificarlo, non preoccupatevi. Tipicamente, il mosto ha un pH compreso tra 4 e 6, quindi, utilizzando un estratto di malto di buona qualità e un’acqua non estrema, il pH dovrebbe andare bene. Se la vostra fonte d’acqua ha un pH molto alto, potreste utilizzare almeno una parte di acqua distillata o osmotizzata per i vostri starter.
Quando aggiungete il lievito allo starter, fatelo in una zona al riparo da correnti d’aria e cercate di mantenere i contenitori aperti per il più breve tempo possibile. Il design delle confezioni di White Labs evita che il lievito sia a contatto con le superfici esterne della fiala. Tuttavia, è possibile che il lievito selvaggio e i batteri trasportati dalla polvere si depositino sulla sporgenza vicino alla parte superiore, quindi è meglio sanitizzare la parte superiore della fiala per evitare che della polvere depositata cada nello starter. Dopo aver agitato la fiala per liberare il lievito all’interno, lasciatelo riposare per qualche minuto, e aprite lentamente la fiala per evitare una eccessiva produzione di schiuma.
Le confezioni di Wyeast non necessitano di essere “colpite” prima di effettuare uno starter, ma ciò non fa certo male, poiché il lievito non si trova nella piccola parte che fate scoppiare, ma nella confezione principale. In ogni modo, consigliamo di rompere il pacchetto interno. Il liquido in esso contenuto è una fonte di nutrimento e zucchero di alta qualità, e aiuta a togliere il lievito dalla confezione principale. Anche se la possibilità di contaminazione al momento di versare il lievito è molto bassa, dovreste sanitizzare l’esterno del pacchetto prima di aprirlo, così come le forbici che utilizzerete per tagliarlo.
Starter più caldi (fino a 37 °C) equivalgono a una crescita del lievito più rapida, ma esistono dei limiti pratici all’aumento della temperatura, e il lievito lager tende a essere particolarmente sensibile alle alte temperature. Utilizzare temperature elevate per la propagazione influisce negativamente sulla carica vitale e la stabilità del lievito che ne risulta. Un altro problema della crescita molto rapida o eccessiva sta nel fatto che essa può dar vita a membrane cellulari più deboli dovute a concentrazioni minori di acidi grassi insaturi. Al contrario, uno starter troppo freddo provoca una crescita minore e più lenta, quindi sconsigliamo di far propagare il lievito al freddo. In genere è consigliabile mantenere gli starter tra i 18 e i 24 °C. Alcuni birrai preferiscono mantenere gli starter con lievito lager a temperature leggermente inferiori e quelli con lievito ale a temperature leggermente superiori, ma una temperatura attorno ai 22 °C dà un buon equilibrio di salute e propagazione efficace sia per i lieviti lager sia per gli ale.
Alcuni aspettano a inoculare fino a quando il lievito consuma tutti gli zuccheri contenuti nel mosto per lo starter e si deposita. A questo punto versano il mosto esausto e inoculano solo il lievito nella loro cotta di birra. Questo metodo è particolarmente vantaggioso quando si utilizzano grandi starter soggetti ad aerazione continua o alla piastra agitante. La parte liquida dello starter, in questo caso, spesso non ha un buon sapore, quindi bisognerebbe evitare di aggiungerla alla birra. Se la dimensione dello starter è superiore al 5% del volume della birra, lasciate prima depositare il lievito e successivamente inoculate solo quello. Se utilizzate questo metodo, assicuratevi che il lievito si sia completamente depositato prima di eliminare il mosto esausto: conservare il lievito nello stesso recipiente per altre 8-12 ore dopo che ha raggiunto la densità finale gli permette di accumulare riserve di glicogeno. Separare il mosto esausto dal lievito troppo presto scarta selettivamente gli individui della popolazione di lievito meno flocculanti e più attenuanti; potreste quindi ritrovarvi con un inoculo di lievito che non attenuerà completamente la birra. Lasciate dunque che la propagazione nello starter termini il ciclo di fermentazione prima di eliminare il liquido.
Altri preferiscono inoculare lo starter non appena è completata la fase di crescita, quando il lievito è ancora al culmine della sua attività. Alcuni credono che questo sia il momento ottimale per utilizzare il lievito per la fase successiva dello starter o per fermentare una cotta di birra. Pensano che il lievito non debba più uscire dalla fase di latenza, assicurando così una sua più rapida attività nella birra. Se inoculate uno starter al culmine della fermentazione, è meglio mantenerlo entro i 3 e i 6 °C dalla temperatura del mosto del batch principale. Inoculare uno starter molto caldo e attivo in un mosto freddo può stordire le cellule, e con i ceppi lager ciò potrebbe influenzare l’attenuazione e la flocculazione e aumentare la produzione di acido solfidrico. Anche se è possibile raffreddare la temperatura lentamente col tempo, spesso si vanificherebbe l’unico motivo per cui si inocula al culmine della fermentazione. Ogni volta che il lievito avverte un grande calo di temperatura, rallenta e si deposita, quindi se volete inoculare al culmine dell’attività, è meglio mantenere lo starter a temperature vicine a quelle di fermentazione già dal principio. Entrambi i metodi hanno benefici e svantaggi, ma l’inoculo al culmine della fermentazione è l’unico da utilizzare se state cercando di riattivare una fermentazione bloccata o far diminuire l’attenuazione di una birra di qualche punto, altrimenti la presenza dell’alcol e il basso livello di zuccheri impedirebbero al lievito di uscire dalla latenza per fermentare ciò che rimane. Inoculando lievito già al culmine della sua attività, le cellule continueranno a consumare gli zuccheri rimanenti.
La maggior parte degli starter a questa specifica densità, temperatura e tasso di inoculo raggiunge la massima densità cellulare entro 12-18 ore. Bassi tassi di inoculo e temperature basse possono estendere quel periodo fino a 36 ore o più, ma il grosso della crescita dovrebbe sempre essere completo entro 24 ore.
Qual è la dimensione migliore per uno starter?
La cosa più importante da sapere riguardo alla dimensione dello starter è che il tasso di inoculo influisce sulla velocità di crescita. In altre parole, il “tasso di inoculo” dello starter ha un grosso effetto sulla quantità di nuove cellule di lievito create durante qualsiasi propagazione. Non è tanto il volume dello starter a essere importante, quanto il numero di cellule aggiunte in relazione a quel volume. Con un tasso di inoculo troppo alto otterrete una crescita minima, con un tasso troppo basso non starete facendo uno starter, ma solo una fermentazione della birra. Proprio come il tasso di inoculo influenza la crescita in una birra, il che è importante per il sapore della birra, esso influenza anche la crescita in uno starter, nonostante in questo caso il sapore non conti.
Idealmente, il lievito deve crescere in un volume abbastanza ampio di mosto per assicurarne la salute ottimale e ottenere una quantità decente di crescita. Olau Nielsen ha introdotto il concetto di fattore di rendimento, ossia la misura della crescita cellulare rispetto alla quantità di estratto (zuccheri) consumato (Nielsen, 2005). Si tratta di un numero utile per paragonare l’efficacia dei metodi di propagazione.
Fattore di rendimento = (milioni/ml cellule finali → milioni/ml cellule iniziali) / diminuzione densità °P

Per esempio, se inoculate uno starter da 1 litro con 100 miliardi di cellule, avrete 100 milioni di cellule per millilitro. Se lo starter cresce fino a 152 miliardi di cellule, avrete 152 milioni di cellule per millilitro alla fine. Iniziando con un mosto a 9 °P e finendo con 2 °P di zucchero al termine dello starter, ciò significa che il lievito ha utilizzato 7 °P di zucchero.
Fattore di rendimento = (152 – 100) / 7 = 7,4

Più efficientemente cresce il lievito, più alto è il fattore di rendimento. Un fattore superiore a venti indica crescita aerobica, mentre un numero inferiore è tipico della fermentazione anaerobica. La maggior parte degli homebrewer che fanno starter non raggiunge mai quel livello di crescita, che richiede un controllo molto preciso degli zuccheri e dell’ossigeno nel corso dell’intero ciclo. Non preoccupatevi, per un homebrewer o un piccolo birrificio non è fondamentale ottenere tutta la crescita possibile; sono molto più importanti la salute del lievito e il mantenimento della purezza di una coltura. Tuttavia, è utile comprendere quando non cresce molto lievito, quando la crescita è al massimo e quando state solo facendo della birra.
Un fattore che rende difficile per gli homebrewer ottenere un buon rendimento è che spesso essi fanno uno starter partendo da una grande popolazione di lievito. In media una confezione di lievito liquido per homebrewer contiene circa 100 miliardi di cellule. Con quel tipo di coltura, avete bisogno di uno starter di grosse dimensioni per ottenere una crescita sostanziale.
Abbiamo condotto degli esperimenti utilizzando 100 miliardi di cellule di lievito White Labs WLP001 in starter di dimensioni diverse. Abbiamo utilizzato contenitori dello stesso materiale e con lo stesso rapporto altezza/larghezza. Non abbiamo aggiunto ossigeno e non abbiamo agitato gli starter, e tutti erano alla stessa temperatura di 21 °C e alla densità di 1,036 (9 °P). La densità finale, al termine dello starter, era 1,008 (2 °P).

Figura 5.5: Effetto del tasso di inoculo sul fattore di rendimento per velocità di propagazione tipiche, partendo da 100 miliardi di cellule.

Osservate l’effetto dello starter piccolo. Un’alta concentrazione di lievito in una piccola quantità di mosto provoca una crescita molto ridotta. Lo starter da 500 millilitri è cresciuto a malapena, solo una frazione di raddoppiamento: fondamentalmente il lievito non può crescere a meno che ogni cellula abbia abbastanza zucchero e sostanze nutritive per dividersi. Anche se le cellule non si moltiplicano molto quando il tasso di inoculo è alto, esso può comunque giovare alle cellule esistenti. L’assorbimento di zucchero, sostanze nutritive e ossigeno, e la produzione di composti come gli steroli, migliorano la salute cellulare. Raramente gli starter hanno un lato negativo; anche se la crescita cellulare è ridotta, esso aiuta a revitalizzare il lievito per la fermentazione attivandone il metabolismo. In questo modo la fermentazione comincia più velocemente.
Figura 5.6: Curva del fattore di rendimento per tassi di inoculo.

Se voleste ottenere un fattore di rendimento maggiore con lo starter da 800 millilitri, avreste bisogno di un tasso di inoculo minore. Quando il tasso di inoculo scende, il fattore di rendimento sale. Nel nostro esempio, quando il tasso di inoculo scende a 67 milioni/ml (100 miliardi di cellule in 1,5 litri di mosto) avviene una crescita significativa. Il fattore di rendimento ci può mostrare come parametri di propagazione diversi influenzino il nostro processo. Potremmo registrare il rendimento per l’ossigeno, la densità specifica, lo zinco, l’agitazione o vari altri fattori. Se tracciamo il grafico del rendimento del nostro esempio, in rapporto al tasso di inoculo, vediamo una curva che indica quale tasso di inoculo è il più efficace. Infine, quando il volume dello starter aumenta, il fattore di rendimento diminuisce. Infatti, quando il volume si avvicina a quello delle fermentazioni vere e proprie, il rendimento cala significativamente.

Figura 5.7: Effetto del tasso di inoculo sul fattore di rendimento per le tipiche fermentazioni della birra, partendo da 100 miliardi di cellule.

Inoculare il lievito a tassi di fermentazione della birra provoca crescita, duplicazioni e sviluppo di sapore proprio come in una birra. Inoculare a tassi usati per la propagazione provoca crescita e sviluppo di sapore tipico della propagazione. Ciò non significa che non esiste ulteriore crescita per gli starter di dimensioni maggiori e a tassi di inoculo inferiori, ma c’è un limite alla possibilità di crescita e duplicazione delle cellule. Infine, quando il tasso di inoculo raggiunge circa 4 milioni/ml, il tasso di crescita si stabilizza. Infatti, senza ulteriori sforzi, i 100 miliardi di cellule non diventeranno più di 600 miliardi di cellule. Senza una fermentazione aerobica raggiungerete il limite della capacità del lievito di duplicarsi, indipendentemente dalla quantità di mosto presente.
Figura 5.8: Un esperimento simile utilizzando lo stesso ceppo di lievito, tasso di inoculo, densità e temperatura dello starter delle Figure 5.5 e 5.7. Mostra i risultati di 100 miliardi di cellule in starter di dimensioni sempre maggiori, fino alla tipica dimensione di una cotta da homebrewer. Una curva mostra come il numero di duplicazioni e crescita possibile diventi limitato man mano che il tasso di inoculo si abbassa.

Ciò non significa che, per la propagazione del lievito, dovete sempre scegliere il tasso di inoculo con il miglior rapporto costo-efficacia, specialmente se siete homebrewer. Se ciò che state facendo necessita di molteplici passaggi per la crescita del lievito e di molteplici trasferimenti, prestate attenzione, poiché a ogni trasferimento potreste potenzialmente introdurre livelli superiori di contaminazione.
Ricordate il nostro esempio sul tasso di inoculo per homebrewer? Volevamo un totale di 180 miliardi di cellule per la nostra cotta di birra da 20 litri a 12 °P. Se facessimo uno starter secondo le caratteristiche in Figura 5.5, avremmo bisogno di una confezione di lievito liquido (100 miliardi di cellule) in uno starter da 1,5 litri. Certamente, utilizzando parametri diversi, il risultato varierà, e l’unico modo per sapere per certo quante cellule avete ottenuto dalla propagazione è contarle. Tuttavia, è possibile stimare, con un ragionevole grado di accuratezza, il numero di cellule finali partendo da un tasso di inoculo specifico, in una data propagazione. La Figura 5.9 mostra la crescita di lievito prevista utilizzando uno starter semplice e delle confezioni di lievito liquido.
Figura 5.9: Dimensione dello starter necessaria per far crescere un dato numero di cellule. I numeri nella griglia rappresentano il numero di confezioni di lievito liquido (– 100 miliardi di cellule) da aggiungere a uno starter. Per esempio, per la crescita di circa 400 miliardi di cellule, fate uno starter da 4 litri utilizzando 2 confezioni o uno starter da 9 litri utilizzando una confezione.

Se utilizzate una piastra agitante, o scuotete lo starter, o lo ossigenate, il rendimento sarà maggiore. Un modo semplice per determinare la quantità appropriata di lievito per la vostra cotta e la dimensione dello starter è il Calcolatore di Tasso di Inoculo gratuito disponibile sul sito www.mrmalty.com.
Starter graduali
Come abbiamo visto in precedenza, c’è un limite alla quantità di crescita possibile da una data propagazione. Potete aumentare la dimensione, ma ciò non vi assicura di ottenere più lievito. Per far crescere grandi volumi di lievito, dovete trasferire i risultati della propagazione in un altro volume di mosto. Potete utilizzare un volume maggiore di lievito per questo nuovo passaggio, o potete raccogliere una porzione di lievito per farlo crescere ancora, conservando quello rimanente. Secondo una famosa regola generale, ogni passaggio dovrebbe consistere in un volume esattamente dieci volte superiore a quello del passaggio precedente, ma questa non è una regola ferrea. Avete molta libertà per quanto riguarda la dimensione dei vari passaggi. Certamente, il rapporto tra le dimensioni può incidere sulla salute del lievito e sulla quantità della crescita cellulare. Dimensioni troppo piccole necessiteranno di più passaggi, più trasferimenti e quindi più lavoro. Ogni trasferimento, ogni pasto, ogni trattamento dello starter aumentano il rischio di contaminazione. Al contrario, dimensioni troppo grosse potrebbero non far crescere il lievito. Quando il tasso di inoculo dello starter scende al di sotto di un certo livello, la curva di crescita si appiattisce (Figura 5.8, pag. 131). In questo modo si spreca il mosto, a meno che lo starter non sia effettivamente una cotta di birra. In generale, dovreste puntare a un aumento da cinque a dieci volte la dimensione del passaggio precedente, ma non dimenticate le considerazioni pratiche del trattamento, della sanitizzazione e della crescita cellulare.
Ecco un esempio semplice di come preparare uno starter graduale. Partite dal presupposto che vogliate far crescere una confezione di lievito lager liquido fino ad avere un numero sufficiente di cellule per inoculare 19 litri di mosto lager a una densità di 1,048 (11,9 °P). Iniziate con circa 100 miliardi di cellule, ma volete che crescano fino a 337 miliardi. Tenete a mente che il tasso di inoculo influenza la quantità di crescita possibile. In questo caso, avrete bisogno di circa 6 litri di mosto per lo starter. Se foste limitati da una dimensione minore per la vostra propagazione, dovreste realizzare più passaggi per la crescita del lievito. Ecco un esempio con uno starter di massimo 2 litri:
1. Preparate uno starter con 200 g di estratto di malto secco, aggiungendo acqua fino a raggiungere 2 litri di volume finito.
2. Aggiungete la fiala di lievito e lasciatelo crescere da 24 a 48 ore.
3. Ora dovreste avere poco più di 200 miliardi di cellule. Avete creato l’equivalente di un’altra fiala di lievito. Abbassate la temperatura finché tutto il lievito si è depositato ed eliminate il mosto esausto.

Se doveste aggiungere altri 2 litri di mosto, non raddoppiereste il lievito fino a 400 miliardi di cellule. Ricordate l’effetto dato dall’aumento del tasso di inoculo. Se aggiungeste altri 2 litri, creereste solo circa 100 miliardi di cellule. Questo vi porta abbastanza vicino ai 337 miliardi desiderati, utilizzando meno dei 6 litri di mosto di cui avreste avuto altrimenti bisogno. Questo avviene poiché i rendimenti diminuiscono con bassi tassi di inoculo in starter di grandi dimensioni; iniziereste a produrre birra piuttosto che lievito. Tuttavia, gli starter di grandi dimensioni sono più sicuri perché richiedono meno trasferimenti.
Come comportarsi nel caso in cui aveste un contenitore che vi permette di fare uno starter da 1 litro solo?
1. Preparate uno starter con 100 grammi di estratto di malto secco, aggiungendo acqua fino a raggiungere 1 litro di volume finito.
2. Aggiungete la fiala di lievito e lasciate crescere da 24 a 48 ore.
3. Ora dovreste avere circa 150 miliardi di cellule. Avete creato 50 miliardi di nuove cellule.
4. Abbassate la temperatura fino a quando tutto il lievito si è depositato ed eliminate il mosto esausto.

Qui ci si confonde. Se aggiungeste un altro litro di mosto, non creereste altri 50 miliardi di cellule, ma solo 18 miliardi. Ricordate l’effetto dell’aumento del tasso di inoculo (Figura 5.5, pag. 130)? Avete raggiunto un tasso di inoculo iniziale che produce meno crescita. Se doveste raccogliere il lievito cresciuto e poi aggiungere 1 litro di mosto, fareste crescere più lievito.
LAVORARE CON IL LIEVITO SECCO
Mentre la maggior parte dei produttori di birra per il commercio reidrata il lievito secco prima dell’inoculo, molti homebrewer lo spargono semplicemente sul mosto. Forse l’hanno letto in un libro, o l’esperto locale a cui si rivolgono ha detto loro che la reidratazione non è necessaria. Tecnicamente la birra fermenta se inoculate abbastanza lievito non reidratato, ma in questo modo non date al lievito la possibilità di fare la miglior birra possibile. Saltare la reidratazione uccide circa metà delle cellule inoculate. Oltre ad avere solo la metà del lievito necessario, le cellule morte iniziano subito a decomporsi, influenzando il gusto della birra. Perché qualcuno dovrebbe consigliare di saltare la reidratazione? Per la stessa ragione per cui si eviterebbe lo starter: il processo non sarebbe igienico o danneggerebbe la salute del lievito. Anche se reidratate il lievito, lo potete facilmente uccidere se non monitorate la temperatura dell’acqua. Se il processo di reidratazione introduce quantità significative di batteri o di lievito selvaggio, forse fareste meglio a non effettuare questi passaggi extra finché non riuscirete a padroneggiare il processo in un ambiente igienico. In situazioni del genere un esperto potrebbe consigliare di saltare la reidratazione e aggiungere semplicemente più lievito per compensare la perdita di cellule vitali.
Ogni ceppo di lievito ha il suo processo di reidratazione ottimale, ma il processo base è il seguente:
1. Riscaldate il lievito secco fino alla temperatura ambiente.
2. In un contenitore sanitizzato, preparate una quantità di acqua a 41 °C equivalente a 10 volte il peso del lievito (10 ml/g di lievito).
3. Spargete il lievito secco sull’acqua, cercando di evitare la formazione di grossi grumi secchi. Lasciate riposare per 15 minuti, poi mescolate dolcemente.
4. Quando il lievito si è ricostituito, mescolate dolcemente ancora una volta per formare una crema, e lasciate riposare per altri 5 minuti.
5. Portate la temperatura del lievito, attentamente e lentamente, entro 8 °C dalla temperatura del mosto.
6. Inoculate la crema risultante nel fermentatore, idealmente il più in fretta possibile.

Controllare la temperatura è la parte più importante del processo. La temperatura di reidratazione varia generalmente tra i 35 e i 41 °C, nonostante alcuni produttori suggeriscano un intervallo di temperatura inferiore. La temperatura ideale per ogni lievito secco può variare, e dovreste cercare di scoprire presso il produttore quale sia la temperatura ottimale per i loro prodotti.

Figura 5.10: Reidratare il lievito secco. Foto per gentile concessione di Samuel W. Scott.

Non cercate di reidratare il lievito in acqua fredda: il calore è fondamentale per la cellula durante i primi momenti di ricostituzione della sua fragile membrana cellulare. Temperature inferiori fanno sì che, durante la reidratazione, molte sostanze cellulari fuoriescano dalla cellula, danneggiandola permanentemente. Alla temperatura ottimale di reidratazione, è possibile ristabilire il 100% delle cellule. Una temperatura troppo bassa può provocare la morte di più del 50% della popolazione. Dovreste misurare la temperatura dell’acqua nel recipiente per la reidratazione appena prima di aggiungere il lievito. La temperatura dell’acqua può abbassarsi significativamente se il recipiente è più freddo dell’acqua.
L’acqua del rubinetto filtrata funziona bene per la reidratazione. Idealmente, il contenuto di minerali dovrebbe variare tra 250 e 500 parti per milione. Durante i primi momenti di reidratazione, la cellula non è in grado di regolare cosa passa attraverso la membrana. Alti livelli di zuccheri, sostanze nutritive, acidi del luppolo o altri composti possono penetrare liberamente all’interno delle cellule, danneggiandole. Ecco perché aggiungere il lievito secco direttamente al mosto provoca percentuali così alte di cellule morte e danneggiate. C’è chi raccomanda di aggiungere estratto di malto o zucchero all’acqua, ma noi consigliamo invece di utilizzare prodotti come GO-FERM o GO-FERM PROTECT di Lallemand, creati appositamente per la reidratazione del lievito secco. Essi forniscono una selezione di micronutrienti biodisponibili nel momento in cui il lievito si comporta come una spugna. Il risultato alla fine della reidratazione è un lievito più sano e meglio preparato alla fermentazione.
Quando il lievito ha raggiunto una consistenza cremosa, portate la sua temperatura entro gli 8 °C dalla temperatura del mosto. Evitate grandi differenze di temperatura, che potrebbero causare la produzione di mutanti petite da parte del lievito (pag. 203). Potete regolare la temperatura con intervalli di circa 3 °C aggiungendo piccole quantità di mosto al lievito, concedendo ogni volta qualche minuto al lievito per abituarsi. Potreste anche mescolare dolcemente dopo ogni aggiunta di mosto, per assicurarvi che la temperatura sia la stessa in tutto il recipiente. Quando il lievito è pronto, aggiungetelo subito al mosto. A temperature calde, le cellule di lievito consumano velocemente le loro riserve di energie.
GESTIONE DEL LIEVITO
Il fatto che i birrai possano prendere un sottoprodotto della produzione di birra, conservarlo e riutilizzarlo per fermentazioni successive è unico. Ciò è possibile perché il lievito è ancora vivo e sano dopo la maggior parte delle fermentazioni. Nel vino, il livello di alcol dopo la fermentazione è talmente alto che il lievito non è riutilizzabile. Nella maggior parte delle produzioni di birra, il livello di alcol presente dopo la fermentazione è relativamente basso e il lievito non muore, come accade invece nella produzione di vino. In effetti, i birrifici commerciali fermentano la maggioranza delle loro cotte con lievito raccolto. Il problema per molti di loro non è se riutilizzare il lievito, ma il modo in cui devono conservarlo e mantenerlo in salute per le future produzioni. Molti homebrewer non hanno mai nemmeno preso in considerazione la possibilità di riutilizzare il lievito, ma in realtà non è così difficile come si può credere.
La gestione del lievito comprende le pratiche migliori per la sua lavorazione. L’aspetto più importante è mantenere una coltura pura. Un bravo birraio:
• Evita le correnti d’aria.
• Lavora in un ambiente sterile o utilizza una fiamma libera durante i trasferimenti.
• Riduce al minimo il travaso da un continente all’altro.
• Utilizza fogli di alluminio o altre coperture igieniche.
• Utilizza spray con alcol al 70% o altri sanitizzanti appropriati.
• Pulisce appena ne ha l’opportunità.
RACCOLTA DEL LIEVITO
Come abbiamo detto, è pratica comune nella produzione commerciale raccogliere il lievito per il riutilizzo. In genere i birrai raccolgono il lievito una volta terminata la fermentazione, ma non solo. In alcuni casi, è possibile raccogliere il lievito che inizia a flocculare presto, prima che la fermentazione sia completa al 100%, per separare la birra dal lievito che si potrebbe decomporre per autolisi. Il lievito che floccula in anticipo contiene più cellule morte e più sedimenti. Solitamente il lievito raccolto prima viene eliminato dal birraio o utilizzato come nutrimento, ma non viene utilizzato per il reinoculo perché a ogni utilizzo provocherebbe un’attenuazione sempre minore.
Ci sono due posti nel fermentatore nei quali il lievito si ammassa in quantità sufficienti per essere raccolto: il fondo e la parte superiore. Tutti i ceppi di lievito, a un certo punto, raggiungono il fondo del fermentatore, se hanno abbastanza tempo e, nella maggior parte dei casi, è più semplice raccogliere il lievito dal fondo. Non è sempre possibile effettuare la raccolta dalla parte superiore, poiché non tutti i ceppi si raccolgono lì e non tutti i fermentatori sono progettati per permettere la raccolta dalla parte superiore (chiamata top cropping).
TOP CROPPING
I ceppi ale sono anche conosciuti come lieviti ad alta fermentazione, ossia che fermentano nella parte superiore. Durante la fermentazione, la superficie idrofoba delle cellule di lievito ale fa sì che gli agenti flocculanti del lievito aderiscano alla CO2 e risalgano verso la superficie della birra. In passato, i birrai che utilizzavano ceppi ale raccoglievano sempre il lievito scremando la parte superiore della fermentazione. È probabile che questo sia il motivo per cui un birrificio poteva riutilizzare il lievito per secoli. Purché i birrai mantenessero una buona igiene e raccogliessero lievito molto sano dalla parte superiore, le birre conservavano la loro qualità.
Oggigiorno la norma è la raccolta dal fondo, con l’utilizzo di fermentatori cilindro-conici che semplificano la pulizia e la raccolta del lievito dal fondo. Tuttavia, la qualità del lievito sul fondo non è così alta come in quello raccolto con il top cropping, che è risalito verso la parte superiore in un momento della fermentazione in cui aveva alta carica vitale e vitalità ed era relativamente libero da sedimenti. Quando il lievito precipita sul fondo di un fermentatore conico si mischia con lievito morto, sedimenti e batteri. Il periodo di tempo che impiega per depositarsi sul fondo aggiunge ulteriore stress al lievito, che è sottoposto alla pressione idrostatica nei fermentatori alti. In queste condizioni si accumulano più velocemente mutazioni e cellule morte, quindi oggi i birrifici riutilizzano il lievito in media da cinque a dieci generazioni prima di cominciare con una nuova coltura.
Anche se esistono alcune eccezioni specifiche per ceppo, in generale più un ceppo è flocculante, più è grande la sua tendenza a risalire verso la superficie durante la fermentazione. Dopo le prime 12 ore di fermentazione, molti ceppi ale risalgono in superficie e fermentano dalla parte superiore della birra per tre o quattro giorni durante il culmine della produzione di CO2. Durante questo periodo il birraio può raccogliere il lievito dalla parte superiore del fermentatore; oltre a ottenere un ottimo raccolto, il tempo dall’inoculo alla raccolta è molto più rapido, poiché non è necessario aspettare che il lievito si depositi sul fondo prima di riutilizzarlo. Lo svantaggio sta nell’esporre la birra all’ambiente esterno. Se avete una stanza per la fermentazione sanitizzata e controllata, allora tecniche come il top cropping e la fermentazione aperta possono apportare molti benefici. Anche il modello del fermentatore costituisce un fattore importante per la raccolta dalla parte superiore. I fermentatori aperti larghi e piatti rendono semplice la raccolta con secchi o pale o, su scala minore, con una tazza o un cucchiaio largo. I fermentatori chiusi, con delle piccole aperture, richiedono attrezzi speciali per “aspirare” il lievito dalla superficie della birra. Nonostante pochi birrifici al di fuori della Gran Bretagna, al giorno d’oggi, effettuino il top cropping, il processo sta guadagnando un piccolo ma appassionato seguito tra i birrifici artigianali e gli homebrewer, perché con le giuste condizioni rappresenta una tecnica di gestione del lievito di successo ed efficace.
Potete raccogliere il vostro lievito preferito dalla parte superiore del fermentatore? Anche se è possibile farlo per la maggior parte dei ceppi ale, il livello di successo non dipende solo dal lievito, ma anche dall’attrezzatura utilizzata, dal tempismo e dalla forma del fermentatore. Per esempio, l’English Ale di White Labs (WLP002) è un lievito molto flocculante, che appare grumoso anche prima della fermentazione. È ottimo per il top cropping su piccole cotte casalinghe, ma nel caso degli alti fermentatori cilindro-conici dei birrifici commerciali, in molti hanno affermato che non riesce a creare un cappello di schiuma abbastanza sostanzioso per effettuare il top cropping con successo, ma al contrario può solo essere raccolto dal fondo del fermentatore. Forse ciò è dovuto alle dimensioni delle bolle, alla pressione idrostatica o ad altri fattori, ma è importante ricordare che l’ambiente gioca un ruolo tanto importante quanto il ceppo di lievito.
È possibile raccogliere anche molti ceppi lager dalla parte superiore, se il birrificio possiede i fermentatori adatti. Il Sudwerk Restaurant & Brewery di Davis, in California, ha iniziato la produzione nel 1989 con fermentatori aperti provenienti dalla Germania. Nel 1998 ha cambiato la maggior parte di essi in fermentatori cilindro-conici, conservandone solo quattro aperti. I mastri birrai raccolgono con successo il lievito dalla parte superiore utilizzando una pala in acciaio inox dopo due giorni di fermentazione.
Altri ceppi ale adatti per il top cropping sono i lieviti di tipo belga e i ceppi weizen tedeschi, che sono soliti fermentare nella parte superiore e non sono molto flocculanti. Per questo non sono adatti per la raccolta dal fondo: quando li si raccoglie dal fondo del fermentatore, si raccolgono solo le cellule più flocculanti. Dopo pochi reinoculi, la popolazione di lievito tende a diventare più flocculante, precipitando sul fondo piuttosto che rimanere in sospensione. Ma, a meno che non vogliate produrre una kristallweizen, questa non è una caratteristica desiderabile. Con il top cropping è possibile ottenere molte generazioni di quei ceppi unici modificando minimamente i livelli di flocculazione e attenuazione.
TEMPI E TECNICHE DI TOP CROPPING
Il secondo o il terzo giorno di fermentazione, il lievito da top cropping sarà risalito verso la parte superiore. Se un ceppo è adatto, forma uno strato spesso sopra alla birra in fermentazione ed è pronto per essere raccolto. Il lievito resta sulla superficie per gran parte della fermentazione, ma la maggior parte dei ceppi non è abbastanza forte da rimanere in superficie fino al termine della fermentazione.
A questo punto potete raccogliere il lievito scremandolo dalla superficie. La superficie dello strato di lievito ha un alto contenuto di proteine: dovrete quindi scartare il primo prelievo dalla superficie. Il secondo, il terzo o i successivi contengono solitamente il lievito migliore da riutilizzare. Per raccogliere il lievito potete utilizzare vari attrezzi. In passato, i birrai passavano una tavola di legno sulla superficie del fermentatore aperto e piatto. Oggigiorno, i birrifici che raccolgono dalla parte superiore dei fermentatori aperti utilizzano l’acciaio inossidabile. Potete usare praticamente qualsiasi cosa per raccogliere il lievito, come pale, badili, secchi, o altro. Qualsiasi cosa utilizziate per questa tecnica, assicuratevi che sia pulita e sanitizzata prima di ogni utilizzo e che il trasferimento dalla superficie al contenitore per la conservazione avvenga nel modo più igienico possibile.
Quando lavorate con fermentatori larghi, assicuratevi che ci sia una piattaforma di lavoro stabile e sicura. Per volumi di lievito maggiori, potreste prendere in considerazione di utilizzare una pompa volumetrica centrifuga o una pompa peristaltica. Utilizzare una pompa è comodo, perché potete portare il tubo di carico al di sotto dello strato superficiale ricco di proteine e raccogliere il lievito più pulito e preferibile proprio al di sotto. Spostate il tubo lungo la superficie, aspirando il lievito. Lo scarico della pompa dovrebbe riversarsi in un contenitore pulito e sanitizzato. Un secchio in acciaio inox con un coperchio allentato funziona bene.
Su piccola scala, come per esempio la fermentazione di 25 litri di birra in un secchio di plastica o in un piccolo fermentatore conico in acciaio inox con coperchio rimovibile, il birraio può semplicemente rimuovere il coperchio e prelevare il lievito utilizzando un cucchiaio largo in acciaio inox. Tenete a mente che quando rimuovete il coperchio, la birra è soggetta al lievito selvaggio e ai batteri trasportati dalla polvere. Quando lavorate con un fermentatore con un’apertura ristretta, come una damigiana in vetro o in plastica, dovete inventarvi un metodo di aspirazione del lievito dalla superficie. Alcuni birrai hanno utilizzato con successo un tappo con due buchi o un tappo per damigiana, immettendo aria sterile o CO2 in un buco e inserendo una canna da travaso o un tubo rigido nell’altro buco da utilizzare per l’aspirazione (Figura 5.11). Il tubo per l’aspirazione si immette in un contenitore sanitizzato. Quando si immerge il tubo nel lievito, la pressione della CO2 creata dalla fermentazione espelle il lievito attraverso il tubo fino al recipiente di raccolta. Alcuni birrai pressurizzano il recipiente con ulteriore CO2 per una raccolta più veloce, ma ciò può essere più pericoloso, persino fatale, a meno che il birraio sappia esattamente cosa sta facendo e sia estremamente prudente. Ogni volta che lavorate con un contenitore pressurizzato, esiste una possibilità di esplosione e, conseguentemente, di gravi ferite. Utilizzate sempre pressioni molto basse e controllate con precisione, e assicuratevi che i tubi non si blocchino mai.
Figura 5.11: Strumento per il top cropping da homebrewer. Foto per gentile concessione di Samuel W. Scott.

Il lievito raccolto dalla parte superiore durante la fermentazione è molto attivo, quindi assicuratevi di utilizzare un recipiente di raccolta che possa rilasciare la pressione in eccesso senza esplodere. Inoltre, se avete intenzione di conservare lo slurry, degassatelo periodicamente, in quanto l’accumulo di CO2 può uccidere velocemente il lievito.
RACCOLTA DAL FONDO
La maggior parte degli homebrewer e dei birrai negli Stati Uniti raccoglie il lievito dal fondo del fermentatore. Anche se stanno producendo una ale utilizzando lieviti adatti al top cropping, raramente raccolgono il lievito dalla parte superiore. È un peccato, poiché quella tecnica può assicurare un raccolto di lievito eccellente per la cotta successiva.
La raccolta dal fondo ha acquisito popolarità perché è semplice effettuarla con le attrezzature utilizzate oggigiorno. La maggior parte dei birrifici commerciali usa fermentatori cilindro-conici, che sono chiusi nella parte superiore. All’interno del fermentatore, il lievito potrebbe risalire verso la superficie quando fermenta, ma il birraio non potrebbe accedervi. Alla fine tutto il lievito inizia a depositarsi e a compattarsi nel fondo conico del fermentatore, dove il birraio può aprire una valvola per scaricare il lievito. Tuttavia, tutta questa comodità ha un costo: l’alta percentuale di sedimento nel lievito, la pressione idrostatica a cui esso è sottoposto, la presenza contemporanea di lievito buono e debole e, spesso, l’inadeguato raffreddamento del cono.
Se la raccolta dal fondo è così negativa, allora, perché farla? Be’, in alcuni casi il lievito non si raccoglie nella parte superiore del fermentatore, ma è comunque capace di produrre il profilo desiderato di una birra. In altri casi, il design dell’attrezzatura obbliga alla raccolta dal fondo. In questi casi, è necessario ottimizzare i tempi e il processo di raccolta del lievito dal fondo per assicurare una qualità ottimale alla birra.
TEMPISTICHE E TECNICHE DI RACCOLTA DAL FONDO
Nella maggior parte dei birrifici commerciali, è importante raccogliere il lievito il più velocemente possibile. Quando la fermentazione è completa, il lievito inizia a consumare tutte le sue riserve e si decompone. L’ambiente e la salute del lievito giocano un ruolo importante sulla velocità di esaurimento delle riserve e di scomposizione delle cellule. Con i grandi fermentatori cilindro-conici, dove il lievito è stipato nel cono, la decomposizione può essere molto veloce. Il momento migliore per raccogliere il lievito dal fondo del serbatoio è uno o due giorni dopo aver iniziato il raffreddamento. In queste condizioni, aspettare anche solo altre 24 ore può abbassare la carica vitale del lievito anche del 50%. Ciò avviene in contrasto diretto con i fermentatori più piccoli, da homebrewer. Con il lievito sano distribuito sul fondo ampio di un secchio o una damigiana in una birra di media forza, la carica vitale del lievito diminuisce più lentamente. Ciononostante, è sempre meglio raccogliere il lievito il prima possibile, sempre rispettando i bisogni della birra.
Figura 5.12: Strati di lievito in un fermentatore conico dopo il deposito.

Il problema principale dei fermentatori cilindro-conici è l’accumulo di calore, per cui è meglio avere una camicia di raffreddamento sul cono. È ancora meglio avere un dispositivo di controllo della temperatura separato per la camicia sul cono, per impostare una temperatura inferiore per il lievito rispetto alla birra. Il lievito è un isolante sorprendentemente buono, e la sua temperatura al centro del cono può essere anche di 5 °C più alta rispetto al set point sulla camicia di raffreddamento (Lenoel et al., 1987). Il lievito da raccogliere è proprio quello al centro del cono, poiché esso non è né il più né il meno flocculante, attenua pienamente e non ha eccessive cicatrici di distacco. Tenere il lievito da raccogliere a una temperatura superiore non aiuta a preservarne la carica vitale.
Questo gradiente di temperatura non è un problema con fermentatori come damigiane, secchi e fermentatori commerciali dal fondo circolare, poiché hanno un fondo largo e relativamente piatto. Il lievito si deposita in uno strato più ampio e sottile che tende a dissipare meglio il calore e fa sì che più lievito resti a contatto con la birra. Anche se varia a seconda del ceppo, un homebrewer che comincia con un lievito di alta qualità di solito non si deve preoccupare dell’autolisi per un considerevole periodo di tempo. La decomposizione del lievito nel fermentatore medio da homebrewer è minima, anche dopo due o tre settimane a temperature di fermentazione, e anche più a lungo se è raffreddato. Certamente, se si vuole riutilizzare il lievito, è sempre meglio raccoglierlo tra le 8 e le 12 ore dal completamento della fermentazione.
Raccogliere il lievito da un fermentatore conico è relativamente semplice. Per prima cosa, assicuratevi che il serbatoio abbia una pressione superiore di anidride carbonica adeguata o qualche altro metodo per compensare il volume perso, come uno sfogo. Sanitizzate la valvola sul fondo, e fate i collegamenti appropriati per portare il lievito nel recipiente di raccolta. Aprite la valvola ed eliminate il primo terzo del lievito. Mentre scaricate il lievito dal fermentatore, noterete che quello iniziale è pieno di sedimenti. Questo è il lievito più flocculante: cellule che sono morte presto, che non attenuano pienamente, e cellule con altri tratti indesiderati. Proseguendo con lo scarico, lo slurry acquisterà un colore più chiaro e, a seconda del ceppo, potrebbe acquisire una consistenza cremosa. Questo è generalmente il secondo terzo della massa di lievito ed è la porzione considerata come la migliore per il reinoculo. Si tratta del lievito con meno cicatrici da distacco, con attuazione media e poche mutazioni. Una volta raccolto il lievito per il riutilizzo, il terzo rimanente può essere eliminato. L’ultima porzione di lievito è quello più lento, e potrebbe essere poco flocculante, eccessivamente opaco ed eccessivamente attenuante.
Se il fermentatore possiede un braccio per il travaso, potete utilizzare quello per raccogliere il lievito desiderato. Ruotate il braccio finché si trova all’interno dello strato di lievito ideale, raccogliete il lievito, poi scaricate il resto tramite lo scolo sul fondo. Senza un fermentatore conico, non è così semplice raccogliere il magico strato medio di lievito, ma potete comunque raccogliere del buon lievito. Quando lavorate con grandi fermentatori, per prima cosa travasate la birra, poi utilizzate una pala per rimuovere lo strato superiore di lievito e raccogliete lo strato preferito dal mezzo. Anche se i fermentatori con il fondo circolare o piatto hanno spesso valvole di scarico, utilizzarle per rimuovere il lievito tende a mischiare i vari strati.
Quando si lavora con fermentatori da homebrew come secchi e damigiane, l’unica opzione consiste nel raccogliere l’intero strato di lievito e poi cercare di separare quello buono da quello scarso. Una volta che la fermentazione è completa, fate depositare il lievito, alla temperatura di fermentazione o a una più fredda. Trasferite la birra con un sifone sanitizzato in un fusto o un secchio per l’imbottigliamento, lasciando circa 1 litro di birra con il lievito. Se non volete lasciare indietro neanche un po’ di birra, potete aggiungere dell’acqua sterile una volta completato il travaso. Più liquido è presente nel fermentatore, più semplice è rompere lo strato di lievito, ma richiede anche un contenitore per la raccolta più grande.
Agitate il fermentatore per liberare il lievito dal fondo. Potrebbe essere necessario agitare molto energicamente per far diventare lo strato solido di lievito uno slurry. Passate l’apertura del fermentatore con una soluzione di alcol al 70%. Se state utilizzando una damigiana di vetro, potete anche flambare velocemente l’apertura. Versate lo slurry risultante in un recipiente sterile, o perlomeno sanitizzato. I contenitori in plastica sterilizzabile in autoclave con un’ampia apertura sono i migliori. Se utilizzate un contenitore di vetro, non chiudetelo in modo troppo stretto; piuttosto, utilizzate la carta d’alluminio o un tappo allentato, per evitare di frantumare il contenitore se il lievito accumula pressione.
Prima di utilizzare il lievito raccolto, dovrete risciacquarlo per eliminare il sedimento e le cellule morte. Consultate la sezione sul “Risciacquo” (pag. 153) per maggiori dettagli.
Nel mondo dell’homebrewing, il concetto di “fermentazione secondaria” è stato abbastanza famoso per qualche anno. Si credeva che travasare la birra da un fermentatore a un altro avrebbe separato la birra dal lievito sul fondo del fermentatore, prima che esso si decomponesse causando sentori sgradevoli nella birra, e l’avrebbe resa limpida più velocemente. Entrambi questi punti non sono completamente validi. In una cotta da homebrewer, con il lievito sano distribuito sul fondo del fermentatore a fondo largo, il rischio di sentori da autolisi nella birra è basso, a meno che non l’abbiate lasciato al caldo per un paio di settimane dopo la fermentazione. Nonostante la durata del lievito dipenda dal ceppo, ogni ceppo dovrebbe durare almeno per una settimana. Certamente, non dovreste lasciare la birra sul lievito più a lungo del necessario, ma aspettare qualche giorno in più affinché diventi limpida non dovrebbe essere un problema. Se avete intenzione di produrre birre acide o effettuare un dry hopping, aggiungere frutta o invecchiare in botti di quercia (qualsiasi cosa richieda una birra senza lievito o tempi di conservazione lunghi), allora vale la pena di trasferire la birra in un recipiente pulito. Anche la seconda teoria, secondo la quale la birra diventa limpida più velocemente dopo il travaso, è illogica. A meno che in qualche modo la flocculazione aumenti dopo il travaso, il tempo impiegato dalla birra per diventare limpida dovrebbe aumentare, non diminuire. Il travaso rimescola le particelle che si stavano depositando lentamente sul fondo della birra. Se mai, esso rallenta il processo. Inoltre, ricordate che un’ampia superficie di lievito sul fondo del fermentatore non è inerte, ma ha un impatto sulla maturazione del sapore della birra. Rimuovere la birra da questo lievito può rallentare l’assorbimento di composti come l’acetaldeide e il diacetile.
Perché è possibile che questo travaso secondario renda più difficile raccogliere il lievito migliore per il riutilizzo? Se effettuate il trasferimento mentre c’è ancora lievito in sospensione e raccogliete il lievito depositato, selezionate le cellule più flocculanti di tutta la popolazione, che sono anche quelle meno attenuanti e meno attive. Un riutilizzo successivo può causare una attenuazione della birra diversa dalle previsioni. Se invece eliminate quel lievito e aspettate a raccogliere quello del secondo contenitore, state selezionando le cellule meno flocculanti e più attenuanti. Riutilizzare questa parte di popolazione può portare a birre nelle quali il lievito non si deposita mai. Se volete riutilizzare il lievito, pensate a quale tipo di pressione selettiva state effettuando sulla vostra popolazione di lievito. Una raccolta anticipata o ritardata seleziona le caratteristiche che determinano il comportamento del lievito.
CONSERVAZIONE E MANTENIMENTO DEL LIEVITO
Il lievito è un organismo vivente, ed è al culmine della salute quando si ciba di zuccheri del mosto. Quando la fermentazione è terminata, le cellule flocculano per poi depositarsi sul fondo del fermentatore ed entrare in uno stato dormiente. A questo punto, il lievito al di sotto della birra è stabile. Molti concordano sul fatto che, purché non si tratti di una birra ad alta gradazione alcolica, il luogo migliore per conservare il lievito è al di sotto della birra che esso ha fermentato. Ciò significa che la conservazione migliore avviene nel fermentatore? No, dovreste sempre rimuovere il lievito dalla birra una volta compiuto il suo lavoro. Anche se effettuate la raccolta dalla parte superiore del fermentatore per riutilizzare il lievito, dovrete comunque rimuoverlo dalla birra alla fine della fermentazione.
CONTENITORI PER LA CONSERVAZIONE
Idealmente, dovreste utilizzare subito il lievito raccolto, per concedere poco tempo alle cellule per indebolirsi e morire e ai batteri per crescere. Tuttavia, produrre una birra lo stesso giorno della raccolta del lievito non è sempre possibile, poiché potreste non avere tutto il necessario. Un metodo comune per conservare il lievito nei birrifici sono i fusti per bevande gassate in acciaio inox da 18 litri: sono facilmente reperibili, la dimensione è comoda per molti birrifici, è possibile modificarne il coperchio a seconda delle necessità e, siccome sono fatti per lo più in acciaio inossidabile, è possibile pulirli e sanitizzarli utilizzando le attrezzature già in loro possesso. Tuttavia, anche se i fusti per bevande funzionano bene, non sono i contenitori ideali per la conservazione del lievito, poiché hanno due difetti significativi: presentano piccole parti e guarnizioni che possono ospitare batteri, sono difficili da pulire alla perfezione e i coperchi non fanno sfogare la pressione finché essa non raggiunge un livello molto alto. L’anidride carbonica può accumularsi velocemente in uno slurry di lievito, e anche una pressione bassa come 20 PSI può dimostrarsi fatale per il lievito. È necessario lasciare aperta la valvola della pressione (coperta con carta d’alluminio) o aprire il coperchio e agitare il fusto una volta al giorno per liberare manualmente la pressione in eccesso.
Un contenitore migliore potrebbe essere un secchio di acciaio inox con un coperchio che si adatta al bordo del secchio, per impedire alle particelle trasportate dall’aria di raccogliersi nei punti in cui rischiano di cadere all’interno quando il birraio lo apre. A volte gli homebrewer ne trovano delle versioni più piccole all’interno dei negozi di articoli di casalinghi ben forniti. Il vantaggio di questo tipo di contenitori di conservazione è che sono fatti anch’essi in acciaio inossidabile e liberano facilmente la CO2 in eccesso. Purché il coperchio non sia troppo pesante o sigillato con un dispositivo di chiusura, l’accumulo di pressione è minimo. Lo svantaggio consiste nel fatto che questi recipienti possono essere difficili da conservare o trasportare, ed è molto più semplice far cadere accidentalmente il coperchio, con la possibilità di contaminare il lievito.
Un birrificio può utilizzare altri contenitori per conservare il lievito. Alcuni birrai evitano la plastica, che si graffia facilmente ospitando batteri, ma in realtà essa può rivelarsi una buona scelta. Assicuratevi di utilizzare plastica per uso alimentare di alta qualità, come polietilene o polipropilene, e utilizzate il recipiente esclusivamente per la conservazione del lievito. Il vantaggio della plastica è che lascia vedere una sezione trasversale dello slurry, così da poter valutare la condizione e la quantità di lievito già con la vista. Per esempio, se avete dello slurry molto fluido, non saprete quanto usarne nella cotta successiva senza contare le cellule con un microscopio. Utilizzando un contenitore di plastica trasparente o semitrasparente per conservare il lievito, potete vedere quanto ne precipita e inoculare di conseguenza. Certamente, se utilizzate dei secchi in plastica con coperchi che li sigillano, dovrete creare uno sfogo come fareste se utilizzaste dei fusti.
Per gli homebrewer, i contenitori da mezzo, 1 o 2 litri in polipropilene con un’ampia apertura hanno il vantaggio di essere poco costosi e sterilizzabili in un’autoclave. Molti homebrewer utilizzano i barattoli di vetro per le conserve. Sono economici, facili da sanitizzare, ed è molto più semplice vedere lo slurry contenuto rispetto alla plastica. Tuttavia, l’inconveniente maggiore è il vetro, che è così facilmente infrangibile. Sotto pressione, può diventare molto pericoloso. Se utilizzate un contenitore con un coperchio avvitabile, lasciatelo allentato. Avvitate il coperchio solo di un paio di giri, il che permette alla pressione di uscire ma allo stesso tempo è sufficientemente chiuso da non cadere. Potreste comunque avere un’ulteriore protezione coprendo la parte superiore del contenitore con un foglio di carta d’alluminio.
Qualsiasi contenitore utilizziate, tuttavia, fate in modo che sia esclusivamente utilizzato per il lievito. Usate un contenitore diverso per ogni ceppo ed etichettateli in modo chiaro. Conservate il lievito in una zona pulita e refrigerata. Se potete, evitate di utilizzare la dispensa o il frigorifero di casa, poiché qualunque curioso aprirebbe un contenitore con la scritta “NON APRIRE”. Un frigorifero dedicato, anche se usato, è un buon investimento.
Un passaggio importante che molti dimenticano è la documentazione: registrate tutto e tenete degli archivi. Dovreste prestare particolare attenzione alle temperature e ai tempi di fermentazione, alla flocculazione e all’attenuazione da birra a birra, e conservare quelle informazioni con il lievito raccolto. Non dimenticate di registrare dati sulle qualità sensoriali della birra, sulla fonte di lievito, il numero di generazione, la temperatura e il periodo di conservazione ecc. Fidatevi: se non lo farete, vi dimenticherete di che lievito si tratta e di quando l’avete raccolto e se la birra era stata appropriatamente attenuata.
SCADENZA
Tutti i birrai chiedono: “Quanto a lungo posso conservare il mio lievito prima che sia troppo tardi per riutilizzarlo?”. La risposta dipende da molti fattori. Spesso ci domandano: “Ho raccolto questo lievito ‘x’ settimane fa dalla nostra pale ale. Va bene riutilizzarlo oggi?” Per riuscire ad avere un’idea generale della condizione del lievito dovete essere in grado di rispondere a domande come queste:
• Qual era la condizione del lievito al momento della raccolta?
• È stato raccolto dalla parte superiore o dal fondo del fermentatore?
• Quali birre ha fermentato in precedenza?
• A quale ceppo appartiene?
• Quali erano le condizioni di conservazione?

La verità è che non c’è un modo per scoprire la reale condizione del lievito e la sua capacità di fermentare un’altra birra senza testarne la carica vitale, effettuare la conta cellulare e valutarne la purezza (consultate la sezione “Il vostro semplice laboratorio del lievito” per ulteriori dettagli su come eseguire questi test). Certamente, in un ambiente commerciale dove sono in gioco molti soldi, vale la pena di testare la carica vitale e la purezza di ogni inoculo prima del riutilizzo. Un homebrewer può assumersi un rischio maggiore, in quanto la perdita di una cotta di birra non ha un costo così elevato, anche se il costo emotivo può essere alto. Più a lungo si conserva del lievito, maggiore è l’importanza di testarlo per assicurarsi che sia abbastanza sano e attivo per la fermentazione. La carica vitale e la salute del lievito si abbassano con la conservazione e, più a lungo si conserva il lievito, più diminuiscono la carica vitale e la salute. Allo stesso tempo, eventuali batteri presenti hanno la possibilità di crescere, specialmente in ambienti caldi.
Molti altri fattori influenzano la carica vitale di un inoculo di lievito. Per esempio, essa è influenzata negativamente da alti livelli di alfa-acidi isomerizzati. Molti birrai amano sostenere che il forte amaro del luppolo protegga una birra dalle contaminazioni batteriche. Questo è vero fino a un certo punto: l’azione di rivestimento dei composti del luppolo attorno alle membrane cellulari impedisce ad alcuni batteri di replicarsi, tuttavia, vale lo stesso ragionamento per il lievito. Il lievito raccolto da birre molto amare avrà livelli minori di carica vitale. Anche l’alcol può costituire un problema per il lievito. L’alcol è tossico per il lievito e, più alto è il livello di alcol in una birra, maggiore sarà il suo impatto sulla salute e la felicità del lievito. Tutte queste condizioni nuocciono alla salute del lievito raccolto, ma ancora più importante è il periodo intercorso tra il reinoculo e la conservazione. Non importa quanto sano sia il lievito raccolto, potrebbe velocemente diventare inutilizzabile con una gestione e una conservazione inadatte.
Spesso i birrai chiedono: “Qual è il tempo medio di conservazione migliore per il lievito?”. La risposta dipende da molti fattori. Se riutilizzerete in fretta il lievito, e il contenuto alcolico della birra con cui è mescolato è di circa il 5-6% del volume o meno, allora è meglio separare il lievito dall’alcol. Alcuni suggeriscono di utilizzare del mosto fresco, altri acqua distillata sterile. Il problema del mosto è che fornireste anche cibo per gli eventuali batteri presenti, ed è meglio che il lievito sia dormiente durante la conservazione, piuttosto che attivo.
Conservate al freddo il lievito raccolto, tra 1 e 2 °C, e riutilizzatelo idealmente entro uno-tre giorni. La maggior parte dei birrifici su piccola scala non segue questa regola, specialmente se deve gestire ceppi molteplici per diversi prodotti. In pratica, quando si parte da un lievito ragionevolmente sano, una settimana di conservazione è accettabile per tutti i ceppi, e molti anche dopo due settimane di conservazione hanno abbastanza carica vitale per un reinoculo diretto. Dopo questo punto diventa tutto molto incerto, con alcuni ceppi che mantengono la carica vitale più a lungo di altri. In generale, i ceppi ale puliti si comportano molto bene, come i lieviti lager, mentre i ceppi fruttati e altamente flocculanti sono leggermente meno stabili e i peggiori sembrano essere i lieviti weizen tedeschi. Dopo quattro settimane, la carica vitale del lievito si attesta intorno al 50% o meno. In teoria, sarebbe sconsigliabile inoculare del lievito la cui carica vitale è scesa al di sotto del 90%.
SCADENZA DEL LIEVITO SECCO

Il lievito secco è solo dormiente, non è morto o inerte. Conservarlo a temperature fredde prolunga molto la sua scadenza. Conservato a 24 °C, il lievito secco perde circa il 20% di carica vitale all’anno. Conservato a temperature di refrigerazione di 3 °C perde solo il 4% di carica vitale all’anno.
Verso la fine della fermentazione, il lievito cerca di produrre una riserva di glicogeno da portare con sé attraverso i tempi magri a venire e da utilizzare come energia per la duplicazione e la fermentazione futura. Man mano che il lievito viene conservato, consuma lentamente le riserve di glicogeno per restare in vita. La carenza di glicogeno indebolisce la parete cellulare e la rende più predisposta alla rottura. Le temperature fredde ritardano questo processo, e un altro vantaggio è anche il ritardo della crescita batterica. Tuttavia, non si deve congelare il lievito, poiché i cristalli di ghiaccio romperebbero le pareti cellulari. Le cellule rotte riverserebbero il loro contenuto nello slurry, fornendo sostanze nutritive per la moltiplicazione dei batteri. È inevitabile la rottura di alcune cellule, quindi il metodo di raccolta e conservazione del lievito deve essere il più possibile libero da contaminazioni. Per essere certi che un ceppo sia utilizzabile, dovreste valutarne la carica vitale, la vitalità e la possibile contaminazione dopo la conservazione e prima dell’uso.
In ogni caso, è sempre meglio il lievito fresco. Il lievito reinoculato lo stesso giorno della raccolta è il massimo. Dovreste conservare il lievito tra 1 e 2 °C e utilizzarlo entro sette giorni. Considerate 14 giorni come il massimo periodo di conservazione del lievito, eliminando gli slurry più vecchi.
RIUTILIZZARE IL LIEVITO
I birrai hanno sempre riutilizzato (reinoculato) il lievito, molto prima che scoprissero che esso era il responsabile della produzione di birra. In effetti, il continuo riutilizzo del lievito ha portato alla notevole varietà genetica dei ceppi per birra, e alla loro adeguatezza alla produzione brassicola. Con particolare attenzione alla raccolta e al riutilizzo, un birraio dovrebbe ottenere da cinque a dieci generazioni di lievito di alta qualità da ogni coltura iniziale. La chiave per riutilizzare il lievito con successo è raccoglierlo al momento ottimale per quel ceppo e inocularlo a una conta cellulare o un peso cellulare liquido costante. La costanza aiuta a identificare i problemi prima che diventino importanti.
Nella produzione di birra, la fermentazione della prima generazione di un lievito preso dal laboratorio impiega di solito da uno a tre giorni in più per terminare rispetto a un reinoculo di lievito sano. La nuova coltura di laboratorio deve adattarsi al nuovo ambiente; il passaggio dalla coltura di laboratorio alla coltura per la fermentazione impiega un paio di generazioni. La maggior parte dei produttori di birra riferisce che il lievito si ambienta e si comporta meglio a partire dalla terza generazione. Uno dei motivi principali sta nel fatto che quando si riutilizza il lievito, lo si fa con più cellule, ottenendo una fase di latenza più breve e una fermentazione generale più veloce. La coltura di laboratorio spesso contiene meno cellule, ma la carica vitale e la vitalità tendono a essere molto più alte. I birrai reinoculano con più cellule per due motivi: il primo è che il lievito raccolto e confezionato ha spesso una carica vitale inferiore rispetto a una coltura di laboratorio, specialmente se il lievito viene raccolto dal fondo del fermentatore; il secondo motivo è la possibilità di una contaminazione, poiché il lievito raccolto è raramente tanto pulito quanto una coltura di laboratorio. Dato che raramente esistono ambienti sterili in un birrificio, l’inoculo può avere una quantità di batteri e di lieviti selvaggi maggiore a ogni inoculo successivo. Inoculando una conta cellulare più elevata, la fermentazione procede più rapidamente, ma ciò incide sul sapore. I grandi birrifici mischiano spesso una birra di prima generazione con altre cotte per mantenere sapori costanti, ma la maggior parte dei birrifici più piccoli considera le differenze di sapore dalle birre di prima generazione entro i limiti della tolleranza.
I birrai riutilizzano il lievito non solo per risparmiare tempo o denaro, ma anche per creare bevande alcoliche migliori e più interessanti. Molti ricercatori sostengono che il riutilizzo del lievito sia iniziato nel XII secolo, ma sembra improbabile che si sia fatta birra per 7.000 anni senza riutilizzarlo; forse nessuno l’ha mai documentato. L’unicità del lievito per birra di oggi indica una pratica di riutilizzo molto più antica. Quanto tempo ci vuole per addomesticare del lievito selvaggio e farlo diventare lievito per birra? Devono esserci volute migliaia di anni di reinoculi. Michael Lewis, professore di birrificazione presso l’Università della California di Davis, disse una volta che sarebbe stata una tesi interessante per uno studente determinare quanto tempo sia necessario per addomesticare del lievito per birra (conversazione personale con Chris White). Se dovessimo iniziare con del lievito raccolto da una pianta del cortile, quante generazioni servirebbero a quel lievito selvaggio per assumere le caratteristiche del lievito per birra odierno? Forse lo scopriremo un giorno quando qualcuno accetterà il suggerimento di Lewis per una tesi di laurea ma, per ora, dobbiamo limitarci a formulare un’ipotesi ragionevole.
Sembra sensato credere che le civiltà antiche scoprirono che una parte della birra migliore fosse prodotta durante le seconde e terze generazioni di lievito, poiché esso ha attraversato un processo di selezione naturale nel quale sono sopravvissute le cellule più forti. A quei tempi, la prima birra decente di un birraio era prodotta probabilmente quando scopriva di poter far ripartire la fermentazione riutilizzando parte della birra dalla sua ultima cotta, anche se non aveva alcuna conoscenza del lievito vivo.
Quindi, quante volte un birraio può riutilizzare un inoculo di lievito? La vita di una coltura di lievito dipende in parte dalle condizioni di birrificazione e dal ceppo coinvolto. Per esempio, un birraio che utilizzi i fermentatori moderni può generalmente riutilizzare i ceppi ale da otto a dieci volte e i ceppi lager da tre a quattro. Gli alti serbatoi in acciaio inox con fondi conici rendono più semplice la raccolta del lievito, ma mettono pressione sul lievito, riducendo il numero di riutilizzi. Oggigiorno, anche se non riutilizziamo il lievito per centinaia di generazioni grazie alle attrezzature moderne, vogliamo comunque ottenere la miglior birra possibile riutilizzandolo.
Nonostante molti produttori credano che alla terza generazione il loro lievito sia al meglio, alcuni potrebbero scoprire che esso smette di lavorare. Spesso, il problema risiede in tecniche non appropriate di raccolta o conservazione. Non diciamo che non possa essere il lievito in sé il problema: se la coltura di lievito non era sana o stabile già dalle propagazioni in laboratorio, può dar vita a problemi in seguito, durante la fermentazione. Ecco perché i laboratori devono stare molto attenti nella propagazione del lievito. Devono prestare molta attenzione alla selezione, alle condizioni di crescita, al tempo di propagazione e alla purezza in seguito alla propagazione. Quando un laboratorio non rispetta i bisogni del lievito, la fermentazione può procedere normalmente alla prima generazione, ma darà vita a problemi solo un paio di generazioni più tardi. Il lievito lavora bene per generazioni, ma difetti o una potenziale debolezza nelle procedure di manipolazione del lievito all’interno del birrificio possono mostrarsi solo dopo qualche fermentazione. Non esiste un solo insieme di buone pratiche, e sono molti i birrai che fanno un buon lavoro, altrimenti molti birrifici avrebbero problemi molto più frequenti e gravi. Tuttavia, i problemi relativi al lievito dopo molte generazioni sono spesso dovuti a qualcosa di cui il birraio è responsabile, come il periodo o le condizioni di conservazione, o le tecniche di raccolta.
Anche gli homebrewer possono riutilizzare il lievito con risultati eccellenti, e per alcuni stili di birra il reinoculo è l’unico modo per fermentarli correttamente. Molti homebrewer riutilizzano il lievito non tanto per risparmiare denaro, ma piuttosto perché il reinoculo e una fermentazione appropriata possono fare la differenza tra una birra buona e una ottima. Certamente, se non fate estrema attenzione alle basi della sanitizzazione, raccolta, tempo di conservazione e tassi di inoculo, il riutilizzo del lievito avrà le stesse possibilità di dar vita a un fallimento quante quelle di dar vita a un successo.
La grande maggioranza degli homebrewer fa un passo falso con la carenza di igiene. Essi credono che la loro tecnica sia impeccabile, quando in realtà non è affatto all’altezza. In molti casi, la differenza tra una birra buona o cattiva è solo la sanitizzazione (questo si applica anche a molti birrifici artigianali ai primi passi). Non date la colpa al lievito, all’attrezzatura o alla ricetta se il problema è l’igiene. Anche se credete che non sia quello il problema, cominciate a rivedere le vostre procedure igieniche e prestate estrema attenzione ai dettagli.
Anche la tecnica di raccolta è problematica per molti homebrewer. Raccogliere il lievito troppo presto o raccogliere solo quello altamente flocculante sono errori comuni. Altri homebrewer scartano il grosso del lievito effettuando un “travaso alla fermentazione secondaria” e poi raccolgono solo il lievito meno flocculante e più attenuante, ottenendo una coltura che al riutilizzo successivo non flocculerà affatto. Pensate alla pressione selettiva che ponete sul lievito quando lo raccogliete per riutilizzarlo (vedi la sezione “Raccolta del lievito” alle pagg. 137-140).
Anche il periodo di conservazione è fondamentale, ma anche questo è un terreno sul quale molti homebrewer inciampano. È molto facile ritardare la birrificazione di una o due settimane quando non lo si fa di lavoro. Ricordate che il lievito è un organismo vivente: lasciarlo morire di fame per un mese o più non è il modo migliore di trattarlo. Se volete riutilizzarlo, sforzatevi di brassare entro due settimane o prima. Il lievito e la birra lo apprezzeranno.
Alcuni homebrewer hanno adottato la pratica di trasferire la birra da un fermentatore alla fine della fermentazione e poi aggiungere mosto nuovo sullo strato di lievito. Questa è una pratica sbagliata. Può creare una buona birra? Certo che sì. Creerà la migliore birra possibile? Certo che no. Il lievito alla fine della fermentazione non è sano. Sono presenti moltissime cellule morte, così come tutta la materia dall’autolisi e parti di luppolo dal mosto precedente. Dovete raccogliere il lievito, osservarne la popolazione, rimuovere con il risciacquo le cellule morte e tutto ciò che non è lievito, e poi riutilizzare solo la quantità appropriata di cellule nella cotta successiva. Non siate pigri. Pulite e sanitizzate sempre il fermentatore tra le cotte e assicuratevi sempre di inoculare il numero giusto di cellule per la birra che state producendo. La crescita del lievito è importante per il gusto della birra, e inoculare una quantità maggiore di cellule (specialmente con troppo sedimento) può avere un effetto negativo.
In teoria si dovrebbe riutilizzare solo il lievito che abbia una carica vitale maggiore del 90%, ma la maggior parte dei produttori compensa la carica vitale inferiore utilizzando una maggiore quantità di slurry. Questo potrebbe avere successo, ma potrebbe anche portare a fermentazioni problematiche. La salute generale del lievito potrebbe essere scarsa, quindi lo slurry potrebbe non produrre la gamma di composti di sapore e aroma prevista e attenuare in modo scorretto, nonostante la quantità di lievito aggiunta. Per controllare la carica vitale, un birraio ha bisogno di un microscopio, ma anche in sua mancanza è possibile effettuare comunque un semplice e breve test. Cominciando il giorno prima di brassare, aggiungete 10 millilitri di slurry denso di lievito in 1 litro di mosto. Fate attenzione all’inizio della fermentazione: controllate se la fermentazione comincia con un periodo di latenza normale per quel ceppo (da 4 a 12 ore). Se il periodo di latenza è maggiore rispetto a quanto osservato nelle fermentazioni precedenti con quel ceppo, potete provare a compensare aggiungendo altro lievito. Certamente, utilizzando questo approccio influirete anche sul carattere della fermentazione. Riutilizzare una coltura a bassa carica vitale aumenta il numero di cellule morte o morenti, che possono influire sul carattere della birra. Se il test mostra un periodo di latenza molto lungo (più di 24 ore), è meglio effettuare una nuova coltura piuttosto che aggiungere altro lievito per compensare. Dovreste sempre tenere a portata di mano del lievito sano e inutilizzato nel caso in cui incontriate un problema con il lievito che intendete utilizzare.
Un’altra buona pratica consiste nel monitorare il pH degli slurry che conservate. Se misurate un aumento di più di 1,0 nel pH dal momento della raccolta del lievito, esso indica una morte cellulare significativa, e dovreste gettare lo slurry.
Per controllare la presenza di contaminazioni, dovete disporre lo slurry su una piastra di Petri in un terreno specializzato da tre a cinque giorni prima della birrificazione. Dovreste analizzare lo slurry per batteri aerobi, anaerobi e lieviti selvaggi. Dei tre, i batteri anaerobi sono i più difficili da eradicare per un birraio. I batteri anaerobi più comuni sono i batteri lattici Lactobacillus e Pediococcus. Se la conta batterica supera 1 per millilitro, e i lieviti selvaggi sono più di 1 per 0,1 millilitro, non dovreste birrificare con quella coltura di lievito. Descriviamo le procedure per effettuare questi test nella sezione “Garanzia della qualità del lievito e della birra” (pag. 188).
Se avete conservato il lievito per due settimane o più, ma ai test risulta pulito, potrebbe essere utile rivitalizzarlo prima di utilizzarlo. Consultate la sezione sulla “Rivitalizzazione” (pag. 153) per ulteriori dettagli.
CARICA VITALE E VITALITÀ
Come fanno i birrai a misurare la qualità del lievito? Essi utilizzano due termini per parlare della salute del lievito: carica vitale e vitalità. Usiamo il termine carica vitale per riferirci al lievito vivo o morto, e la esprimiamo con una percentuale di cellule vive nella popolazione. Se ogni cellula nella coltura è viva, parliamo di carica vitale al 100%. Se metà della coltura è viva, essa ha una carica vitale del 50%.
Abbiamo menzionato precedentemente che, per motivi di sapore, non dovreste riutilizzare lo stesso lievito a meno che la sua carica vitale sia del 90% o superiore. È importante notare che alcuni metodi per valutare la carica vitale sono imprecisi quando essa è inferiore al 90%, quindi la carica vitale di una coltura vecchia potrebbe essere dubbia. Che cosa ci dice la carica vitale sulla condizione delle cellule di lievito in una popolazione? Ci dice se il lievito è sano? No, ci dice solo se il lievito è vivo o morto.
Se vogliamo conoscere la condizione del lievito, dobbiamo guardare la vitalità, una misura dell’attività metabolica del lievito. Se una coltura di lievito è molto sana, forte e pronta per la fermentazione, diciamo che ha un’alta vitalità. Se le cellule sono vecchie, stanche, affamate, e non sono in grado di effettuare una buona fermentazione, diciamo che hanno una bassa vitalità. Essa è legata alle prestazioni durante la fermentazione, per la quale è necessario un lievito ad alta vitalità. Nonostante sia possibile superare una carica vitale non ideale con un aumento di quantità di lievito, non è possibile farlo con cellule a bassa vitalità. Prima di utilizzarle, dovreste sforzarvi di farle ritornare sane.
I metodi per la valutazione della carica vitale e della vitalità cellulare ruotano attorno a tre principi generali: perdita della capacità di duplicazione, perdita dell’attività metabolica e danno cellulare. Descriveremo le procedure per la valutazione di carica vitale e vitalità nel capitolo “Il vostro semplice laboratorio del lievito”, ma è importante introdurre il concetto anche qui poiché dovete valutare la salute del lievito al momento del reinoculo. A seconda del livello di salute del lievito, potreste aver bisogno di inoculare più lievito all’inizio della fermentazione, ossigenare di più o magari effettuare uno starter o una propagazione per rivitalizzare le cellule.

Figura 5.13: Metodi per valutare la carica vitale e la vitalità.

Verificare le cellule di lievito con coloranti vitali è lo standard per la valutazione della carica vitale. La colorazione vitale testa l’integrità della membrana cellulare e l’abilità della cellula di ridurre o estrudere la tintura e rimanere incolore. La sostanza standard per la valutazione della carica vitale del lievito dagli anni Venti è stato il blu di metilene. Tuttavia, i ricercatori si chiedono se questo sia il metodo migliore, data la sua scarsa riproducibilità e la sua imprecisione con cariche vitali inferiori al 90%. Alcuni ricercatori hanno introdotto altre tinture, quale il violetto di genziana, come colorazione alternativa migliore, mentre altri hanno provato a modificare il metodo con il blu di metilene aggiungendo citrato per aumentarne la precisione.
Potrebbero esserci dei casi in cui misurate una carica vitale superiore al 90% nel vostro inoculo, ma la fermentazione prosegue lentamente. Come è possibile? È possibile che un inoculo abbia un’alta carica vitale ma effettui una fermentazione debole. Non dimenticate che il lievito può avere una carica vitale alta ma una vitalità bassa. Se la condizione fisiologica (vitalità) del lievito è scarsa, vi ritroverete probabilmente con una fermentazione scarsa. Sfortunatamente, la maggior parte dei test di vitalità è costosa, dispendiosa in termini di tempo, discussa e complicata. Un metodo grossolano per determinare se un lievito è attivo è inocularne una porzione (al tasso appropriato) in una fermentazione di laboratorio. Se essa avviene entro il tempo previsto, allora è più che probabile che il lievito abbia la vitalità sufficiente per una cotta di birra.
Rivitalizzazione
Se i test rivelano che il vostro lievito ha una bassa vitalità dopo la conservazione, potete rivitalizzarlo con del mosto fresco. In genere, non consigliamo di rivitalizzare il lievito impoverito da scarse condizioni di conservazione o da una lunga conservazione. Un birrificio commerciale dovrebbe sempre ottenere una coltura di lievito fresca ad alta vitalità. Certamente, un homebrewer è più libero se è pronto ad accettare risultati non proprio ideali. Per rivitalizzare una coltura di lievito:
1. Potete cominciare il processo la mattina del giorno in cui brassate. Per prima cosa, determinate di quanto lievito avrete bisogno per l’inoculo e ponetelo in un contenitore appropriato, come un recipiente in acciaio inox.
2. Lasciate che la temperatura del lievito salga fino a 21-24 °C. Se dovete applicare calore, evitate temperature troppo alte o non uniformi.
3. In un ambiente asettico aggiungete mosto sterile (o quanto più vicino possibile), ad alta densità (1,080, 20 °P) a un tasso di 0,50 millilitri per ogni 10 millilitri di volume di slurry di lievito. Per esempio, dovreste aggiungere 10 millilitri di mosto a 200 millilitri di slurry.
4. Mantenete la temperatura tra i 21 e i 24 °C per 4-12 ore senza ossigenare o agitare.
5. Il lievito vivo e attivo dovrebbe rendere lattiginoso il mosto. Le cellule morte o altre sostanze estranee dovrebbero precipitare sul fondo del contenitore. Travasate la parte attiva e lattiginosa nel mosto, lasciando indietro le cellule precipitate sul fondo.

RISCIACQUO
La domanda che si fanno molti homebrewer è: “Come faccio a selezionare solo il lievito migliore se raccolgo l’intero contenuto del fermentatore?”. La risposta sta nel risciacquo del lievito. Anche se non può sostituire completamente la selezione ideale praticata con una paletta, può aiutare a eliminare il sedimento, le cellule morte e l’alcol dal vostro lievito.
Il risciacquo può essere utile anche in ambienti commerciali, specialmente per il lievito raccolto da una birra ad alta densità. Il lievito non si conserva bene in un ambiente con un elevato contenuto alcolico. Anche se, in genere, è preferibile non riutilizzare il lievito da birre ad alta densità (al di sopra di 1,070), alcuni birrifici belgi e piccoli birrifici commerciali non hanno altra scelta, poiché la loro intera produzione si limita a quelle birre!
Una volta raccolto il lievito, ponetelo in un contenitore sterile o sanitizzato abbastanza grande da contenere la parte solida composta dal lievito e almeno quattro volte tanta acqua sterile. I contenitori alti e stretti permettono una separazione migliore. Maggiore è il rapporto tra acqua e parte solida, più semplice sarà separare il lievito. Aggiungete acqua fredda sterile alla parte solida, ma conservate circa il 10% di spazio libero nel contenitore. Lo spazio libero aiuta a rompere i grumi di lievito e a mischiare il lievito con l’acqua. Chiudete il contenitore e agitate vigorosamente. L’idea è di rompere i grumi. Dopo qualche minuto di scuotimento, riponete il contenitore e lasciate depositare il lievito e i sedimenti. Dopo pochi minuti vedrete un piccolo strato di cellule morte, lievito marrone e pezzetti di luppolo depositarsi sul fondo. Lo strato sopra di esso dovrebbe essere quello più grosso, uno strato cremoso di lievito e acqua. Se aspettate ancora un po’, si formerà uno strato ulteriore sulla superficie, composto per lo più da acqua con le cellule più leggere, proteine e altre sostanze. Quando vedete la stratificazione, solitamente entro 10 minuti, eliminate lo strato acquoso superiore, travasate lo strato centrale di lievito buono in un altro contenitore sterile o sanitizzato ed eliminate lo strato inferiore. Se il lievito sembra sempre avere quantità eccessive di sedimenti, potete ripetere il processo quante volte è necessario. Tuttavia, evitate di strapazzare troppo il lievito senza un motivo. Più trasferimenti farete, maggiore saranno il contatto con altri contenitori, l’esposizione ad agenti contaminanti trasportati dall’aria e la quantità di batteri e lieviti selvaggi che possono contaminare il vostro inculo.

Figura 5.14: Risciacquo di un inoculo di lievito relativamente pulito. Cominciando da uno slurry raccolto che si è depositato (sinistra), eliminare la birra, aggiungere acqua sterile, agitare vigorosamente e poi lasciare riposare da 10 a 15 minuti. Uno strato di materiale estraneo si forma sulla parte superiore, e sotto di esso un grosso strato di lievito pulito (centro). Sul fondo si depositano uno strato di cellule morte, pezzetti di luppolo e altri sedimenti (destra). Eliminate lo strato superiore e inoculate lo strato centrale nel mosto.

LAVAGGIO
Il lavaggio è molto diverso dal risciacquo. Nel risciacquo del lievito si diluisce lo slurry per incoraggiare una migliore stratificazione del sedimento e del lievito, permettendo di separarli. Nel lavaggio si effettua un’acidificazione o si utilizzano altri mezzi chimici per ridurre il numero di batteri attivi senza danneggiare troppe cellule di lievito. Il lavaggio acido ha effetti diversi su ceppi diversi, e riduce le prestazioni e la carica vitale del lievito. Consigliamo di ripartire con una coltura fresca quando vi ritrovate con un inoculo contaminato.
Il lavaggio acido non rimuove completamente i batteri. Non si tratta di una soluzione completa, e non dovreste farvi affidamento per pulire un inoculo contaminato. Consideratelo solo come una misura preventiva contro piccole quantità di batteri. Spesso è meno efficace contro i batteri acido-lattici ed è inefficace contro i lieviti selvaggi e la muffa. Dopo uno o due reinoculi, il numero di batteri può raggiungere ancora una volta livelli che influiscono negativamente sul sapore.
Questi sono i passaggi per effettuare il lavaggio acido:
1. Portate il lievito tra 2 e 4 °C e mantenete quella temperatura per tutto il processo.
2. Determinate quanto lievito vi serve per la fermentazione e mettetelo in un contenitore adatto, come un recipiente in acciaio inox. Cominciate la procedura di lavaggio acido 120 minuti prima dell’inoculo del lievito.
3. Aggiungete acido fosforico a uso alimentare, mescolando bene, finché il pH dello slurry è compreso tra 2,0 e 2,5. Mantenete il lievito a questo pH da 60 a 90 minuti, mescolando continuamente.
4. Versate l’intera miscela nel fermentatore, per nutrire il lievito con il mosto il prima possibile.

Aggiungere lievito freddo al mosto caldo può scatenare uno shock termico, ma è importante mantenere il lavaggio acido al freddo, altrimenti il lievito ne sarebbe danneggiato. Già un lavaggio acido correttamente eseguito causa danni al lievito, ma lasciar aumentare la temperatura amplifica l’impatto sulle cellule.
I lavaggi acidi si effettuano da molto tempo, ma recentemente è stato sviluppato un lavaggio alternativo e più efficace con diossido di cloro. La maggior parte dei birrifici utilizza DioxyChlor di Birko o Star-Xene di Five Star. Alcuni negozi specializzati vendono compresse di diossido di cloro, una forma comoda per gli homebrewer. Indipendentemente dal prodotto che utilizzate, dovreste sempre seguire le istruzioni del produttore per il lavaggio del lievito. Ecco una procedura generale:
1. Anche in questo caso, lavorando a una temperatura compresa tra 2 e 4 °C, acidificate l’acqua a un pH di 3 utilizzando un acido per uso alimentare.
2. Aggiungete DioxyChlor o Star-Xene all’acqua acidificata. Il vostro obiettivo è una concentrazione da 20 a 50 ppm di clorito di sodio una volta mescolato con lo slurry di lievito che state trattando.
3. Dopo 15 minuti, aggiungete lo slurry di lievito che volete inoculare, mescolando bene.
4. Fate riposare per almeno 30 minuti.
5. Versate l’intera miscela nel fermentatore.
TRASPORTARE IL LIEVITO
Per la maggior parte dei birrai, un fattore fondamentale a cui pensano raramente è: “Cosa succede al lievito durante il passaggio dal laboratorio al birrificio?”. Quando lascia il laboratorio, il lievito è vivo e sano, ma durante il trasporto inizia a deteriorarsi e a morire. Il trasporto impiega tempo, a volte possono verificarsi dei ritardi, che non sono mai una buona cosa per una coltura viva. Anche la temperatura è importante durante il trasporto: temperature calde accelerano il processo metabolico del lievito e temperature molto basse possono congelare le cellule. Tutto questo rende critico il trasporto del lievito fino al luogo di produzione della birra, e vale per i birrifici di ogni dimensione, sia che il lievito provenga da un laboratorio interno sia che arrivi da terzi.
I grandi birrifici affrontano la questione in vari modi. Anheuser-Busch, per esempio, conserva e fa crescere tutto il suo lievito in un unico luogo, in parte per scopi di sicurezza, e spedisce il lievito liquido ai birrifici satellite in tutto il mondo. Altri grandi birrifici propagano il lievito in diversi stabilimenti, eliminando il problema del trasporto ma creando il potenziale per una variazione di qualità del lievito a seconda dello stabilimento.
I laboratori di propagazione del lievito lo inviano a molteplici clienti in tutto il mondo, rendendo il trasporto non solo un aspetto critico dell’attività commerciale, ma anche un’incredibile seccatura, a volte. Il successo del trasporto del lievito dipende da molti fattori, inclusa la velocità della spedizione, l’attraversamento dei confini internazionali, le leggi dei vari stati e la velocità di logoramento del lievito, che dipende dal ceppo e dalla salute iniziale.
Se dovete spedire il lievito, seguite questi passaggi per garantire la possibilità di un trasporto di successo. Partite dal lievito più sano possibile. Il lievito con grandi riserve di glicogeno lo utilizzerà per resistere alle difficoltà della spedizione. Lasciare il lievito nella fase di propagazione o di fermentazione per ulteriori 8-12 ore dopo il raggiungimento della densità finale permetterà al lievito di ricostituire le sue riserve di glicogeno.
Cercate di spedire la minore quantità di cellule possibile e fate in modo che sia il destinatario a far crescere il lievito. Meno cellule spedite, più economici saranno l’imballaggio e la spedizione. È possibile spedire provette o piastre di Petri, perché il lievito ha una fonte di nutrimento disponibile con cui sostenersi durante il viaggio, il peso totale è minimo ed è improbabile che avvengano delle perdite. Isolate bene le vostre spedizioni dai cambiamenti di temperatura. Quando fa caldo, aggiungete abbastanza buste di ghiaccio istantaneo o chimico per mantenere la temperatura più bassa possibile durante il trasporto. È meglio evitare di utilizzare il ghiaccio secco, perché potrebbe congelare il lievito. Come potete immaginare, tenere al freddo un grande slurry può rivelarsi problematico: la massa termica più grande aiuta lo slurry a restare freddo, ma dense concentrazioni di lievito possono creare velocemente calore interno.
Poiché la temperatura è un problema molto grande nella spedizione del lievito, potreste includere un indicatore tempo-temperatura o un indicatore di congelamento nel contenitore del lievito, in modo da indicare quali temperature la coltura ha sperimentato durante il trasporto. Gli indicatori tempo-temperatura mostrano per quanto tempo la coltura è rimasta a una temperatura superiore al punto di controllo. Gli indicatori di congelamento mostrano temperature basse per un periodo di tempo stabilito, quindi potete vedere se è stato sufficiente per congelare il lievito. Il vantaggio di questi indicatori, che costano pochi euro, è che vi diranno se la coltura è dubbia prima di perdere una cotta di birra. Se la lettura è positiva, dovreste valutare la salute e la carica vitale della coltura prima dell’uso.
Consigliamo di imballare tutte le colture di lievito in contenitori infrangibili. È meglio la plastica, perché l’acciaio inox può ammaccarsi, avere delle perdite ed è più pesante da spedire. Sigillate l’apertura del contenitore per il trasporto e mettetelo all’interno di un sacchetto di plastica per raccogliere perdite involontarie durante la spedizione. Utilizzate il metodo di trasporto più rapido possibile. Se il trasportatore lo permette, attaccate gli adesivi “Coltura viva” e “Tenere al riparo da calore e congelamento” sul pacco. Se avete intenzione di trasportare regolarmente il lievito con il vostro veicolo, allora potrebbe valere la pena di investire in una ghiacciaia termoelettrica “autoraffreddante” da 12 volt. Anche solo 30 minuti a temperature elevate, infatti, come in un’auto parcheggiata al sole, possono ridurre la carica vitale del lievito.
IL VOSTRO SEMPLICE LABORATORIO DEL LIEVITO

QUALITÀ DAL PRINCIPIO
Sia che facciate birra per voi stessi o per la vendita a migliaia di clienti, di sicuro volete produrre la migliore birra possibile. Quando la Sierra Nevada Brewing Company costruì il suo primo birrificio nel 1980 non aveva molti soldi né attrezzature sofisticate. Il birrificio produsse solo una piccola quantità di birra il primo anno, ma una cosa sulla quale non lesinò fu la qualità: l’azienda aveva un laboratorio già dall’inizio (Grossman, 2009).
Molti piccoli birrifici credono che un laboratorio sia troppo avanzato o non necessario all’apertura, e si dicono che lo aggiungeranno in seguito. Ma quando? Quando raggiungono i 3.000, 10.000, 100.000 ettolitri di produzione? Sierra Nevada comprese che se avesse prestato attenzione alla qualità fin dal principio, avrebbe prodotto una birra migliore. Agli inizi, il birrificio misurava la contaminazione e l’assorbimento di ossigeno, ma li utilizzava come base per aggiungere nuovi passaggi di controllo della qualità man mano che cresceva. Ora Sierra Nevada ha tre laboratori e reinveste continuamente in personale esperto e attrezzature di fascia alta.
Negli anni, molti birrifici agli inizi hanno affermato di voler produrre una birra buona come la Sierra Nevada Pale Ale, ma raramente ce la fanno. Perché? Uno dei motivi è che non effettuano il rigido controllo della qualità di Sierra Nevada.
Allestire un laboratorio e sviluppare un robusto programma di controllo della qualità non deve per forza essere complicato. Infatti, alcune pratiche di laboratorio molto semplici migliorano drasticamente la qualità della birra senza un grosso dispendio di tempo e denaro.
ALLESTIRE IL LABORATORIO
Il laboratorio di un birrificio ha due branche principali: microbiologia e analisi analitica. La microbiologia nel laboratorio di un birrificio si concentra sulla coltura di lievito e sulla qualità del lievito e della birra. L’analisi analitica esamina gli ingredienti e la birra finita mediante parametri come freschezza, livelli di luppolo, colore della birra e altro. La maggior parte dei grandi birrifici ha già perfezionato la parte di microbiologia e dedica sempre più spazio e personale di laboratorio all’analisi analitica, per assicurarsi di mantenere ogni cotta e ogni confezione di birra sempre costante. Una volta padroneggiati i bisogni microbiologici del vostro birrificio, la costanza dipende dall’analisi analitica.
I birrifici artigianali e gli homebrewer tendono a concentrarsi maggiormente sulla microbiologia, perché ha più impatto sulle loro birre. I clienti accettano una certa variabilità delle birre artigianali a seconda della cotta, ma non le imperfezioni dovute alla microbiologia. Il controllo su di essa può essere più difficoltoso quando si produce birra in ristoranti, cucine, magazzini all’aperto o cortili.
CONSIDERAZIONI AMBIENTALI
L’ambiente di un laboratorio per il lievito è fondamentale per produrre colture di qualità e ridurre il rischio di introdurre agenti contaminanti. L’aspetto più importante è creare uno spazio con aria pulita. Un laboratorio avanzato spesso è allestito come una camera bianca: isolata, l’aria viene immessa attraverso sistemi di filtrazione HEPA o ULPA che rimuovono i microrganismi trasportati dall’aria ed esercitano una pressione positiva, che non fa entrare l’aria non filtrata. Le cappe a flusso laminare offrono una protezione simile su scala minore, fornendo un banco di lavoro continuamente immerso in aria pulita. Tuttavia, se non potete usare una camera bianca o una cappa a flusso laminare, potete comunque prendere delle misure per migliorare la vostra attrezzatura di laboratorio.
Molti birrifici artigianali e homebrewer non hanno uno spazio dedicato per il laboratorio. Anche se non è l’ideale, è spesso possibile trovare uno spazio a casa o nel birrificio e renderlo accettabile. Il laboratorio può essere praticamente ovunque, purché conosciate i possibili agenti contaminanti e possiate controllarne le fonti. Correnti d’aria, ventilatori accesi, pensili polverosi e piani di lavoro sporchi sono tutte minacce alle tecniche di coltura pura. Tutte le superfici del laboratorio dovrebbero essere abbastanza pulite da mangiarci sopra e libere da tutto ciò che potrebbe intralciare il lavoro. Non deve essere sempre senza polvere, poiché potete pulire la zona con alcol isopropilico al 70% prima di lavorare, ma prestate attenzione, perché dovrete anche lavorare con una fiamma libera.
Prima di tirare fuori le colture e mettervi al lavoro, assicuratevi di aver rimosso tutte le fonti di correnti d’aria. I ventilatori e l’aria condizionata possono trasportare agenti contaminanti nell’area di lavoro. Chiudete le finestre e spegnete ventilatori, riscaldamento centralizzato e aria condizionata. Tuttavia, nonostante abbiate eliminato il movimento dell’aria, i batteri e i lieviti selvaggi precipitano costantemente. Per neutralizzarli accendete una fiamma, come una lampada ad alcol o un becco di Bunsen, e lavorate vicino alla corrente ascensionale creata (Figura 6.1). Questa è una barriera economica ed efficace che spinge i batteri e i lieviti trasportati dall’aria verso l’alto e lontano dalle colture e dai mezzi sterili.
Figura 6.1: La corrente ascensionale di un becco di Bunsen crea un’area di lavoro pulita.

Il fuoco è molto utile, perché può uccidere i microrganismi per contatto. Passare l’apertura di un recipiente di vetro attraverso una fiamma uccide i microbi presenti sull’apertura e tutto intorno a essa. Dovreste abituarvi a flambare sia il coperchio sia l’apertura di un contenitore subito dopo averlo aperto e subito prima di richiuderlo.
Prestate attenzione quando lavorate con una fiamma libera, e non esagerate: è sufficiente qualche passata veloce attraverso la fiamma. Le provette e le beute sono spesso fatte di Pyrex o Bomex e resistono al calore, ma state attenti ad altre parti di vetro e plastica e alle vostre dita!
Certo, bisogna fare altre considerazioni sul modo in cui concepite lo spazio e il lavoro di laboratorio. Assicuratevi di avere una luce adatta, perché gran parte del lavoro che svolgerete avrà a che fare con piccole colture. Non fate entrare in contatto capelli e vestiti con l’area di lavoro e le fiamme libere. Un camice da laboratorio della giusta misura non è solo un accessorio di moda, ma evita che i materiali del laboratorio entrino in contatto con i vestiti, e che le sostanze sui vestiti non entrino nell’area di lavoro. Il laboratorio dovrebbe essere allestito in una zona nella quale c’è un minimo passaggio di persone, vibrazioni e rumori. Il passaggio di persone genera correnti d’aria e fa sollevare la polvere dalle superfici. Le vibrazioni e i rumori rendono difficoltoso il lavoro. Temperature troppo alte o basse non rendono solo scomodo il lavoro, ma rendono anche difficile lavorare con certi mezzi.
Ricapitoliamo gli aspetti importanti dello spazio del laboratorio:
• Pulizia generale.
• Flusso d’aria assente o molto basso.
• Passaggio di persone, rumori e vibrazioni minimo.
• Indossate vestiti appropriati e mantenete i capelli raccolti.
• Luce e temperature dell’ambiente adeguate.
• Pulite le superfici prima di iniziare a lavorare.
• Create un ambiente senza microbi all’interno dello spazio di lavoro.

SICUREZZA DEL LABORATORIO
Durante il trattamento e il trasferimento di colture di lievito vive, spesso le tecniche di lavoro igieniche richiedono l’uso di fiamme e/o sostanze chimiche. Prestare particolare attenzione alla sicurezza non va solo a beneficio del lievito, ma anche di chi lavora nel laboratorio. Una mancanza di attenzione alla sicurezza in laboratorio può portare velocemente a infortuni o anche alla morte. Se non siete sicuri di come lavorare in sicurezza, non dovreste iniziare il lavoro.
Nel birrificio e in laboratorio utilizziamo comunemente molti agenti chimici per sanitizzare i contenitori e le attrezzature prima di un trasferimento di coltura. Questi includono iodophor, soluzioni clorurate o bromurate, soluzioni di acido peracetico e alcol (isopropanolo o etanolo). Per gli stessi motivi per cui queste sostanze sono efficaci sanitizzanti, esse possono essere pericolose per gli esseri umani. È importante seguire le istruzioni sulle etichette per utilizzare questi agenti chimici in modo sicuro e per assicurarne la massima efficacia come sanitizzanti. Considerate i punti seguenti:
• Utilizzate solo prodotti chimici appropriatamente etichettati. Leggete le etichette o le schede di sicurezza (SDS) per comprendere gli effetti sulla salute dei sanitizzanti utilizzati in laboratorio. Alcuni sono pericolosi se inalati, altri possono causare effetti irritanti o corrosivi a occhi e pelle. Assicuratevi di avere una ventilazione adeguata e di utilizzare protezioni personali. Tenete delle copie delle SDS per tutti i prodotti.
• Leggete le etichette per evitare di mischiare sostanze chimiche incompatibili ed evitate di conservarle in contenitori che non sono compatibili. Se trasferite una parte di una sostanza in un contenitore secondario, assicuratevi di etichettare il contenitore in modo appropriato, per evitare confusione e permettere la separazione di materiali incompatibili.
• Seguite le istruzioni del produttore per la diluizione. Utilizzare alcune sostanze chimiche non diluite può essere più pericoloso, potrebbe non aumentarne l’efficacia e può incrementare i costi.
• Smaltite in modo appropriato i contenitori e le soluzioni sanitizzanti usate. I metodi variano a seconda delle normative locali.

L’impiego di liquidi infiammabili richiede alcune considerazioni speciali:
• Assicuratevi di tenere i contenitori di liquidi in un luogo separato dal materiale di lavoro. È fondamentale avere un magazzino adeguato quando si lavora con grossi volumi.
Assicuratevi di avere estintori adeguati pronti all’uso in zone dove utilizzate o conservate liquidi infiammabili. Dovete conoscere la procedura di attivazione dell’estintore prima dello scoppio di un incendio.
• Lavorate su una superficie chiusa e ignifuga senza armadi bassi o altro materiale infiammabile al di sopra.
• È preferibile utilizzare contenitori metallici per il trattamento e la conservazione della maggior parte dei liquidi infiammabili, poiché possono essere tenuti a terra per evitare scariche statiche durante il trasferimento dei liquidi e non sono soggetti agli effetti di un incendio esterno.
• Assicurate una ventilazione adeguata quando utilizzate liquidi infiammabili. Ciò aiuta a proteggere l’utente dall’inalazione di vapori e riduce la probabilità di accumulare vapori che possono creare un’atmosfera infiammabile.
• Fonti di innesco, come scintille o fiamme libere, non dovrebbero essere presenti nel luogo in cui utilizzate i liquidi infiammabili. Dovete prestare particolare attenzione all’utilizzo concomitante di fiamma per sterilizzare e sanitizzanti liquidi infiammabili.
• Eliminate o diminuite la presenza di materiali combustibili come tende, tovaglie, carta assorbente per il banco del laboratorio, fazzoletti imbevuti, contenitori per rifiuti ecc.
• Conservate e smaltite in modo appropriato i materiali utilizzati per lavorare con o per pulire liquidi infiammabili. Gli stracci imbevuti di solvente infiammabile o le salviette di carta in un cestino costituiscono un serio rischio d’incendio.

Dovete utilizzare dei dispositivi di protezione quando maneggiate materiali pericolosi. Tenete in considerazione i seguenti punti:
• Non lesinate sui dispositivi di sicurezza appropriati.
• Gli occhiali di protezione da agenti chimici evitano il contatto degli occhi con i liquidi. I soli occhiali di sicurezza, anche con schermi laterali, non offrono la stessa protezione dagli schizzi di liquidi.
• Lo scopo di uno schermo facciale è proteggere le altre parti del viso oltre agli occhi. Quando utilizzate uno schermo facciale, dovete comunque avere una ulteriore protezione per gli occhi.
• Esistono guanti in molte taglie, lunghezze e materiali.
• I guanti di lattice non sono efficaci contro solventi come gli alcoli.
• I guanti in nitrile o in neoprene sono la scelta migliore per lavorare con sanitizzanti liquidi infiammabili e a base d’acqua.
• Ispezionate regolarmente i guanti per assicurarvi che non siano forati.
• I guanti dovrebbero essere della misura giusta: non troppo larghi e non troppo stretti.
• Si consiglia una copertura per il corpo resistente alle sostanze chimiche, come un grembiule apposito, per maneggiare grandi quantità di sostanze chimiche.

Che si tratti di un ambiente da homebrewer o commerciale, dovrebbe sempre esserci a portata di mano una fonte di acqua corrente. In caso di contatto di una sostanza chimica con la pelle o gli occhi, la maggior parte dei produttori consiglia di risciacquare l’area interessata per 15 minuti con acqua corrente fresca. In un ambiente commerciale o industriale, dovrebbero essere presenti fontanelle lavaocchi e docce di sicurezza, appropriatamente collaudate e mantenute. Nell’ambiente domestico si dovrebbe avere a disposizione, per tale scopo, un lavandino, una doccia o un tubo da giardino. Leggete sempre le precauzioni di sicurezza per i materiali che utilizzate, definite un piano di emergenza e tenete a portata di mano le attrezzature per realizzarlo prima di cominciare a lavorare. Rivolgetevi sempre a un medico dopo qualsiasi incidente che abbia comportato l’esposizione a sostanze chimiche.
Lavorare in un ambiente sicuro significa saper riconoscere e anticipare i rischi, saperli evitare o eliminare, e avere un piano di azione nel caso in cui la situazione vada fuori controllo.
ATTREZZATURE DI LABORATORIO
Allestimento del laboratorio
• Bilancia, a tripli gioghi o elettronica, per lavorare su pesi inferiori al grammo.
• Carta o navicelle per pesate.
• Agitatore orbitale o piastra agitante con ancorette magnetiche.
• Forno a microonde.
• Torcia a gas propano.
• Becco di Bunsen con fonte di gas, lampada ad alcol o torcia a gas propano.
• Ansa da inoculo per trasferire piccole quantità di cellule da un terreno all’altro. Disponibili sterilizzate monouso o sotto forma di un anello di filo metallico fatto di acciaio inossidabile, nichel-cromo, platino o altro filo. Si sterilizzano gli anelli metallici flambandoli prima di ogni trasferimento e raffreddandoli immergendoli in acqua sterile o ponendoli in contatto con una superficie di agar prima di raccogliere una colonia. Le anse sono disponibili in varie misure e spessori del filo. I fili più sottili si scaldano e si raffreddano più velocemente di quelli più spessi. Alcuni hanno anse di dimensioni diverse a ciascuna estremità del manico. In generale, si utilizzano le anse più larghe per le piastre di Petri e le anse più piccole o i fili per le provette.
• Rastrelliere per provette.
• Provette con tappi avvitabili (in vetro e sterili per monouso, 16 × 120 mm, 16 × 150 mm).
• Piastre di Petri sterili (100 × 15 mm e 60 × 15 mm).
• Beute (50 ml, 100 ml, 250 ml, 500 ml, 1 l).
• Flaconi in vetro Pyrex (500 ml e 1 l).
• Cilindri graduati (100 ml, 500 ml).
• Becher graduati (1 l).
• Tappi in spugna o cotone traspirante.
• Pipette sterili (1 ml, 10 ml).
• Pipette Pasteur in vetro o pipette di trasferimento sterili.
• Bulbo per pipetta o pipettatore.
• Termometro da laboratorio.
• Tamponi.
• Parafilm, una pellicola utilizzata in laboratorio per impedire a piastre e provette di asciugarsi.
• Fogli di alluminio.
• Abbigliamento (camice da laboratorio, copriscarpe, cuffie per capelli, maschera facciale, protezione per gli occhi).
• Guanti di nitrile.
• Occhiali di sicurezza.
• Guanti anticalore.
• Autoclave o pentola a pressione, utilizzate per sterilizzare l’attrezzatura e i terreni usati per la coltura.
• Nastro indicatore di sterilizzazione.
• pHmetro o strisce indicatrici di pH (il pH richiede soluzioni di calibrazione e soluzioni per la pulizia e la conservazione).
• Microscopio (obiettivi da immersione in olio 10X, 40X e 100X con oculari 10X o 16X).
• Vetrini portaoggetti. Vetrini coprioggetti.
• Olio di immersione.
• Kit di pulizia delle lenti.
• Agar. Utilizzato per solidificare i terreni di coltura nelle provette e nelle piastre. L’agar per il laboratorio non è molto costoso ma, se avete un budget ristretto, va bene anche la polvere di agar venduta nei negozi di alimenti biologici.
• Terreno di coltura (mosto sterilizzato a base di malto, densità 1,040).
• Incubatrice (commerciale o improvvisata come una scatola di polistirolo styrofoam con un pannello riscaldante e una ventola per computer).
• Bagno ad acqua (commerciale o alternative come scalda-salviettine per bambini o riscaldatore per acquari).
• Estintore.
• Kit di primo soccorso.
• Fontanella lavaocchi.
• Schede di sicurezza (SDS) di tutti i prodotti utilizzati.
Rilevazione delle contaminazioni
• Apparecchio di filtrazione a membrana.
• Membrane filtranti (dimensioni dei pori 0,45 micron per i test, 0,2 micron per filtrare in modo sterile).
• Cuscinetti per membrane.
• Pompa a vuoto (può essere una pompa manuale economica).
• Pinze metalliche.
• Spatola metallica.
• Terreni selettivi per esperimenti (vari, a seconda del test).
• Spruzzette per isopropanolo e acqua.
• Piastre di Petri sterili (100 × 15 mm).
• Sacchetti o contenitori sterili di campionamento.
• Agar.
• Terreno di coltura (mosto sterilizzato a base di malto, densità 1,040).
• Spatole per distribuzione di cellule.
• Kit per colorazione di Gram (richiede microscopio, vetrini portaoggetti e coprioggetti).
• Camera anaerobica (o recipienti anaerobici in un grande contenitore ermetico). Nonostante esistano terreni anaerobici, una camera anaerobica è il metodo preferito per i test regolari sull’individuazione di organismi anaerobi.
Conta cellulare, carica vitale, vitalità
• Blu di metilene (facoltativo: acido citrico, soluzione tampone di glicina 0,1 M a pH 10,6, violetto di metile 3RAX).
• Emocitometro con vetrino copri oggetti.
• Pipetta.
• Provette di coltura con tappo a vite per effettuare diluizioni seriali.
• Microscopio (oculari 10X, obiettivi da immersione in olio 10X, 40X, 100X).
• Soluzione per pulizia delle lenti e strofinacci adeguati.
• Contatore manuale.
• pHmetro.
• Acqua deionizzata.
• Provetta conica per centrifuga da 50 ml.
• Ancoretta per agitatore conica.
• Soluzione glucosio al 20%.
Conservazione e propagazione del lievito
• Agar.
• Terreno di coltura (mosto sterilizzato a base di malto, densità 1,040).
• Agitatore o piastra agitante.
• Beute (50 ml, 100 ml, 250 ml, 500 ml, 1 l, 2 l).
• Provette con tappo a vite (16 × 120 mm, di vetro e monouso sterili).
• Piastre di Petri sterili (100 × 15 mm).
• Pipette sterili (1 ml, 10 ml).
• Bulbo per pipetta o pipettatore.
• Centrifuga, provette per microcentrifuga da 1,5 ml, glicerolo e una piccola ghiacciaia (per congelare le colture).
• Olio minerale sterile.
Prove di fermentazione
• Terreno di coltura (mosto sterilizzato a base di malto, densità 1,040).
• Flaconi in vetro Pyrex (500 ml e 1 l).
• Beute (50 ml, 100 ml, 250 ml, 500 ml, 1 l).
Cilindri graduati.
• Pipette sterili (1 ml, 10 ml).
• Bulbo per pipette o pipettatore.
• Agitatore o piastra agitante.

DI CHE TIPO DI LABORATORIO HA BISOGNO IL MIO BIRRIFICIO?
Quanto dovreste investire in un laboratorio per il vostro birrificio? Questo può essere semplice (meno di un centinaio di euro) o complesso (molte migliaia). La somma da investire dipende non solo da ciò che si vuole ottenere, ma anche dalle dimensioni della vostra attività, dalla vostra filosofia, e così via. I grandi birrifici non hanno scelta se vogliono avere successo, mentre i birrifici su scala minore che hanno molto più controllo sulla distribuzione, come per esempio i brewpub che non distribuiscono al di fuori del ristorante, hanno più flessibilità. Gli homebrewer hanno la massima flessibilità, perché non vendono la birra e hanno il totale controllo su chi la berrà. Eppure, sorprendentemente, molti homebrewer sembrano più interessati ad allestire un laboratorio e a controllare la qualità della birra rispetto a tanti piccoli birrifici commerciali. Il fatto è che molti piccoli birrifici nel mondo non hanno una certezza formale di qualità. Spesso le operazioni dei piccoli birrifici sono gestite da una sola persona, e il birraio crede che non ci sia abbastanza tempo per effettuare l’analisi della qualità. Ciò significa che produrranno una cattiva birra? Non necessariamente. La bellezza della birrificazione sta nel fatto che se seguite buone pratiche e se siete birrai abili, potete brassare una birra buona e costante. Certamente, se non testate i vostri prodotti, alcuni problemi possono passare inosservati prima di essere riconosciuti, e il primo segnale del fatto che qualcosa è andato storto arriva solo dopo che i clienti si sono lamentati o le vendite sono calate.
Le misure per assicurare la qualità hanno conseguenze importanti per la bontà della birra e la soddisfazione del cliente. Produrre una birra di bassa qualità o una birra che diventa scadente poco dopo la distribuzione colpisce negativamente le vendite e la crescita. Continuando così, si arriverebbe a minacciare la sopravvivenza del proprio birrificio. Considerate il valore della reputazione del birrificio e paragonatelo al costo per allestire un laboratorio modesto.
Quindi da dove si parte? Qualsiasi birrificio, anche il più piccolo, dovrebbe effettuare test di base sul mosto e sulla fermentazione forzata. Sono semplici, economici, facili e vi possono dire molto sia sulla fase calda sia sulla fase fredda del vostro birrificio. Potete aggiungere altri test semplici ed economici, come il test del diacetile e gli esperimenti sulla fermentazione.
Un’altra pratica utile ed economica è l’analisi sensoriale, che può spaziare dal semplice assaggio regolare di birra seguito dall’annotazione di appunti o includere un gruppo formale di esperti. Indipendentemente dalla complessità, dovreste sempre considerare l’assaggio in modo serio, non solo come una scusa per bere birra. Dovreste progettare un programma sensoriale che sia coerente e regolare, come per esempio provare tutte le birre nei serbatoi alle 10 di mattina di ogni giorno feriale. Abbiamo visto molti casi in cui un problema si è sviluppato in un fermentatore ma, senza controlli costanti, sono andati persi molti altri lotti di birra. Senza un programma di assaggio regolare, i birrai spesso sono troppo occupati per ricordarsi di provare le birre e pensare alla loro qualità.
Effettuare conte cellulari e controllare la carica vitale e la vitalità del lievito è il passo successivo. Non è nulla di molto costoso o difficile da realizzare. Il tempo richiesto per effettuare questi tipi di test su un inoculo di lievito è minimo, specialmente se paragonato al tempo investito per produrre una cotta di birra.
Qualsiasi birrificio che confeziona e distribuisce la birra dovrebbe, perlomeno, controllare la birra, l’acqua, i fermentatori e le altre attrezzatura alla ricerca di possibili contaminazioni, e dovrebbe ideare e rispettare una procedura regolare di prelievo di campioni, incluse bottiglie o fusti e zone del birrificio.
I birrifici che confezionano i propri prodotti dovrebbero anche effettuare sempre il test per i dichetoni vicinali (VDK, che includono il diacetile), poiché il precursore è insapore. Una volta che la birra raggiunge il mercato, il diacetile può apparire quando il precursore si ossida. Anche se l’economico esame per il diacetile è un buon primo passo, non è in grado di identificare la quantità presente. Il test per i dichetoni vicinali richiede o un apparecchio per la distillazione e uno spettrofotometro o un gascromatografo, quindi il birrificio deve decidere se investire nell’attrezzatura o inviare i campioni a un laboratorio.
Da qui il laboratorio può crescere, effettuando misurazioni dell’ossigeno (sul mosto e sulla birra finale), monitorando e mantenendo la salute del lievito, avviando nuove propagazioni quando necessario e conducendo ancora più analisi sulla birra.
Non ci sono limiti a ciò che il laboratorio può ottenere, ma ogni birrificio dovrebbe cercare di effettuare al suo interno almeno alcuni test fondamentali. Anche se potrebbe richiedere un investimento di tempo, sperimentare sul posto significa essere in grado di ottenere informazioni rapidamente per prendere decisioni fondamentali sulla qualità della birra.
STERILIZZAZIONE
Molti birrai, quando utilizzano il termine “sterilizzare”, spesso lo fanno in modo scorretto (Figura 6.2). Quando brassiamo, raramente sterilizziamo qualcosa; in genere, puliamo e sanitizziamo. Tuttavia, il laboratorio richiede un livello maggiore di purezza, e qui abbiamo bisogno di sterilizzare. Non vogliamo far crescere una coltura di lievito solo per scoprire che sono cresciuti anche batteri e lieviti selvaggi. Una cosa da tenere a mente è che non è possibile sanitizzare o sterilizzare qualcosa che non sia pulito. Un laboratorio di successo è pulito: dovete adottare dei protocolli e delle procedure che vi obblighino a mantenere pulizia e igiene nel laboratorio e nel birrificio.

Figura 6.2: Livelli di igiene.

CALORE UMIDO
Il metodo di sterilizzazione più comune è il calore: umido, secco o fiamma. Spesso il metodo migliore è determinato dall’oggetto da sterilizzare. Uno degli strumenti migliori per la sterilizzazione è l’autoclave, che utilizza il vapore sotto pressione per raggiungere temperature tra i 121 e i 134 °C. Come minimo, un oggetto necessita di essere tenuto per 15 minuti a 121 °C o per 3 minuti a 134 °C per essere sterilizzato. Il tempo viene calcolato da quando la camera di sterilizzazione e gli oggetti in essa contenuti hanno raggiunto la temperatura desiderata, quindi il tempo complessivo sarà maggiore del tempo necessario alla sterilizzazione. Alcuni oggetti, come i liquidi o gli oggetti densi o ingombranti, possono richiedere tempi di sterilizzazione più lunghi per garantire il raggiungimento della giusta temperatura e il tempo minore.
Per il laboratorio ordinario di un piccolo birrificio è necessario sterilizzare solo su piccola scala, il che è possibile anche in una pentola a pressione. Potete utilizzarla per gli attrezzi di laboratorio di piccola scala, come oggetti o terreni per piastre, provette e propagazione del lievito. Le pentole a pressione sono l’ideale per l’utilizzo da parte degli homebrewer, poiché sono economiche e facili da usare. Le autoclavi vere e proprie sono disponibili in diverse misure, e generalmente sono tanto più costose quanto più grandi e automatizzate. Il vantaggio delle autoclavi più grosse sta nelle camere di sterilizzazione più grandi, permettendo di sterilizzare più oggetti in una volta sola. Spesso sono automatizzate o hanno dei cicli di raffreddamento speciali che rendono possibile l’esecuzione di più cicli con poco sforzo. Quando scegliete un’autoclave, pensate a quale sia l’oggetto più grande che dovrete sterilizzare e fate la vostra scelta in base a ciò.
Per una sterilizzazione efficace, il vapore deve entrare in ogni minimo angolo. Un’autoclave troppo piena non sarà molto efficace. Se utilizzate un’autoclave semplice o una pentola a pressione, dovrete sfiatare manualmente l’aria all’interno della camera all’inizio del ciclo. È importante preparare appropriatamente gli oggetti che dovranno entrare nell’autoclave: tutti i contenitori a tenuta d’aria devono avere il coperchio semiaperto, poiché potrebbero implodere o esplodere in seguito ai cambiamenti di pressione dell’autoclave. Inoltre, se sterilizzate dei liquidi, alla fine del ciclo è meglio non sfiatare rapidamente l’autoclave, poiché il liquido bollirebbe velocemente fuoriuscendo dai contenitori. Dovete pulire bene tutti gli oggetti, poiché lo sporco riesce a proteggere gli organismi. Se la vostra autoclave ha un contatore o un quadro, annotate i dati di ogni ciclo o includetene una stampata in tutti gli altri documenti, come i diari giornalieri del laboratorio. Potete anche utilizzare del nastro cambia-colore per segnare gli oggetti prima della sterilizzazione in autoclave. È un metodo pratico e indica visivamente e velocemente che un oggetto è sterile. Tuttavia, abituatevi a rimuovere il nastro dopo ogni uso, cosicché non si possa pensare in seguito che un recipiente non sterile sia invece sterilizzato.
Calore secco
Il calore secco è un’altra opzione di sterilizzazione degli oggetti, ma richiede maggiore calore e tempi più lunghi, che spesso sono inadatti per certi materiali. Il calore secco richiede almeno due ore a 160 °C per la sterilizzazione di un oggetto. Sono necessari più calore e tempi più lunghi per trasferire abbastanza energia termica per inattivare ogni organismo presente. Il contatto con il vapore è molto più efficace nel trasferimento dell’energia necessaria. Avete mai messo per sbaglio la mano su una pentola di acqua bollente? O in un forno a 100 °C? Se l’avete fatto, allora saprete quanto più caldo sia il vapore sulla vostra pelle, a causa dell’energia contenuta nell’acqua evaporata. Quando il vapore si ritrasforma in liquido sulla pelle, rilascia una tremenda quantità di calore.
Tuttavia, il calore secco ha dei vantaggi. Per chi ha un budget ristretto, la sterilizzazione secca ha il vantaggio del costo e della possibilità di essere effettuata su grandi oggetti, poiché potete usare un comune forno da cucina. In questo caso, però, tenete in considerazione che l’impostazione della temperatura può essere molto imprecisa. Ogni volta che utilizzate un forno da cucina, usate anche un buon termometro da laboratorio. Certamente, ciò che risparmiate in denaro sui costi per le attrezzature viene spesso perso nel tempo ulteriore richiesto per ogni ciclo di sterilizzazione. È possibile diminuire i tempi utilizzando forni ventilati o temperature maggiori.
INCENERIMENTO
Alcuni oggetti non richiedono una sterilizzazione completa. Per esempio, quando utilizzate un’ansa da inoculo, sterilizzate esclusivamente la lunghezza del filo, e non la maniglia. In laboratorio, il flambaggio è il metodo prescelto per le anse da inoculo e i fili dritti, ma in teoria potreste utilizzarlo su qualsiasi oggetto piccolo che non venga distrutto dalla fiamma. Quando flambate un’ansa o un filo dritto, passateli dalla punta alla maniglia e poi ancora fino alla punta, assicurandovi che la porzione sotto la fiamma diventi rossa. Se c’è molto materiale sul filo che passate direttamente nella fiamma, esso può “scoppiettare” quando il liquido all’interno bolle. Oltre a presentare un rischio per l’utente, ciò può far volare il materiale su altre superfici, il che non è una buona tecnica asettica. È una buona idea pulire il filo metallico prima del flambaggio, oppure all’inizio tenere l’ansa al di sopra della fiamma, affinché gli eventuali materiali su di essa si secchino, e poi passarla nella fiamma. Una volta flambata, potete raffreddare l’ansa mettendola a contatto con il terreno sterile prima di prendere del lievito o un altro tipo di campione.
Un’altra pratica che implica l’uso della fiamma consiste nell’immergere o nello strofinare l’oggetto in una soluzione di alcol al 70% e successivamente infiammare l’alcol per eliminarlo. Questo metodo lascia meno residui rispetto al flambaggio. Tuttavia, dovete prestare estrema attenzione quando lavorate con alcol e fiamma libera, poiché i risultati potrebbero essere mortali.
TINDALIZZAZIONE
Spesso i birrai neofiti pensano di poter sterilizzare qualcosa bollendolo per 15 minuti. Bollire un oggetto in acqua o far bollire un liquido per 15 minuti uccide la maggior parte dei batteri in forma vegetativa e può inattivare i virus, ma non è efficace contro molte spore batteriche e fungine.

Figura 6.3: Prima di ogni trasferimento, per sterilizzare l’ansa da inoculo flambatela finché non diventa rossa.

La bollitura non sterilizza, ma può uccidere molti dei microbi che preoccupano i birrai. Se avete più tempo che soldi a disposizione, potete provare la tindalizzazione, un processo nel quale si fa bollire per 20 minuti al giorno, poi ancora il giorno successivo, e così via finché non avrete bollito il liquido per quattro volte. Il periodo di incubazione tra ogni bollitura dà alle spore resistenti al calore la possibilità di germinare, e la bollitura successiva le eliminerà. Sfortunatamente questo metodo non sterilizza l’acqua, poiché il mezzo bollito deve supportare la crescita degli organismi. Piuttosto, acquistate una buona pentola a pressione.
COLLAUDARE L’AUTOCLAVE
Poter sterilizzare i terreni di coltura è una funzione cruciale in laboratorio. È importante che il laboratorio controlli periodicamente che l’autoclave funzioni correttamente. Il modo più comune di farlo consiste nell’utilizzare un indicatore biologico, di solito un organismo (in una capsula di vetro) che sia molto difficile da uccidere, e dopo un ciclo di sterilizzazione si controlla che sia andato a buon fine.
Materiali
• Indicatore biologico in capsula Attest 3M (o prodotto simile)
• Autoclave o pentola a pressione
Procedura
1. Mettere la capsula con l’indicatore biologico Attest 3M in un flacone prova di terreno di coltura. Potete anche inserire la capsula in uno qualsiasi degli oggetti che sterilizzerete in autoclave.
2. Avviate il ciclo completo dell’autoclave.
3. Quando il ciclo è concluso, aspettate finché il manometro indica 0 psi o bar e sfiatate attentamente l’autoclave. Lasciate raffreddare il contenuto per almeno 10 minuti.
4. Rimuovete attentamente l’indicatore biologico dal flacone di liquido e/o da dove l’avete inserito.
5. Controllate se l’etichetta della provetta dell’indicatore cambia colore da rosa a marrone o quello che il produttore ha specificato.
6. Piegate delicatamente la capsula per rompere l’interno e rilasciare il liquido. Fate lo stesso con una provetta di controllo etichettata e non sterilizzata in autoclave.
7. Mettete gli indicatori biologici in un’incubatrice a 56 °C.
8. Esaminate la provetta con l’indicatore a 8, 12, 24 e 48 ore per eventuali cambiamenti di colore. Un cambiamento di colore verso il giallo indica crescita batterica.
9. Confrontate la provetta con il controllo non sterilizzato in autoclave in ogni momento. La capsula deve rimanere del suo colore originale, che indica che il ciclo ha ucciso i batteri.
10. Dopo aver controllato i risultati, gettate tutto il materiale utilizzato per il collaudo.
COLTURA DEL LIEVITO
Ogni volta che lavorate con del lievito vivo, lavorate con una coltura. Quando fermentate una cotta di birra, la potete considerare come una coltura di lievito. Quando fate propagare il lievito, state producendo una coltura di lievito. Tuttavia, molti utilizzano questo termine per indicare i piccoli passaggi che compiono con provette e piastre prima della propagazione.
Ricordate che isolare e propagare il lievito da una colonia di piccole dimensioni richiede condizioni e terreni di coltura sterili. Perciò, dovrete acquistare dei terreni presterilizzati o vi servirà una pentola a pressione o un’autoclave.
PIASTRE E PROVETTE
I laboratori utilizzano sempre piastre e provette quando lavorano con batteri e lievito. Tradizionalmente, i laboratori usavano piastre di Petri in vetro, mentre oggi la maggior parte dei laboratori utilizza piastre di Petri monouso presterilizzate in plastica, acquistabili in confezioni da 20 pezzi ciascuna.
Sono disponibili in varie dimensioni, da 60 a 120 mm di diametro. Abbiamo scoperto che un diametro di 100 mm è pratico per la maggior parte delle lavorazioni. Le piastre e le provette contengono agar, una sostanza gelatinosa che si liquefa a temperature superiori a 42 °C e forma un gel al di sotto dei 37 °C. Una volta solidificata, il lievito o altri organismi possono crescere sulla sua superficie.
Figura 6.4: Da una piastra opportunamente strisciata otterrete la crescita di colonie isolate a partire da una singola cellula. Foto per gentile concessione di Samuel W. Scott.

Piastre e provette contengono lo stesso materiale, ma quello nelle provette ha una durata più lunga, perché la provetta ha un tappo a vite e non si secca velocemente. I tappi muniti di guarnizioni sigillano meglio di quelli senza, prolungando la scadenza. Dovreste sigillare i tappi senza guarnizioni con del nastro in vinile (elettrico o isolante) o del Parafilm. Una piastra non sigillata ha una scadenza breve, specialmente se conservata in condizioni di bassa umidità. È possibile prolungare la durata di una piastra avvolgendo del nastro in vinile o del Parafilm attorno alla sua circonferenza. Il nastro in vinile è molto più economico ed è disponibile in diversi colori, che potreste utilizzare per codificare il vostro lavoro. Un altro vantaggio di sigillare le piastre con il nastro in vinile è che tiene insieme la piastra, riducendo la possibilità di contaminazione quando la si maneggia.
Una provetta (chiamata anche provetta a becco di clarino) può durare fino a un anno, ma dovreste produrre nuove colture ogni quattro o sei mesi per evitare mutazioni. Una provetta contiene la coltura madre, che dovrebbe restare pura perché poco utilizzata. Quando una provetta viene contaminata, si perde la coltura madre. È possibile quindi creare dei rimpiazzi o nuove colture da vecchie provette seguendo tecniche di trasferimento sterili.
La piastra rappresenta la vostra coltura di lavoro; fornisce anche un’indicazione della purezza del lievito, poiché altri microrganismi oltre al lievito che contamineranno la birra potrebbero crescere sulla piastra come colonia visibile. Ciò vi permette di identificare la presenza di possibili agenti contaminanti senza un microscopio ad alta potenza. Certamente, questo metodo non vi garantirà la purezza della coltura, ma se vedete più di un tipo di colonia, allora potete star certi che la coltura non è pura. Se identificate crescite estranee sulla piastra, allora essa è contaminata e dovreste buttarla.
CONSERVAZIONE A LUNGO TERMINE

Potete utilizzare anche altre tecniche di conservazione per proteggere le colture nel tempo. I laboratori commerciali e universitari usano colture surgelate come colture madre permanenti, ma questo va oltre ai mezzi dei piccoli birrifici o degli homebrewer. Alcuni homebrewer sostengono di essere riusciti a congelare le colture in un freezer comune; ciononostante, il periodo di conservazione di una coltura in questo modo potrebbe non essere più lungo di quello di una provetta ben preparata. Ciò dipende molto dalla tecnica e dal ceppo. È anche possibile conservare una provetta sott’olio, che era il metodo utilizzato dai laboratori prima del congelamento ed è una opzione adeguata in un piccolo birrificio. In Figura 6.5 elenchiamo la durata stimata di ogni metodo. La differenza tra durata massima e durata attendibile è il tasso di mutazione. Anche se è possibile conservare una coltura al caldo per molti anni e avere cellule vive, ciò non rappresenta lo scopo della conservazione a lungo termine del lievito. Quello che cercate è una coltura senza mutazioni: più al caldo conservate una coltura, più essa cresce e maggiore è il tasso di mutazione. Calore, ossigeno e disponibilità di sostanze nutritive aumentano l’incidenza di mutazioni, ed è proprio questo che impedisce alla maggior parte di questi metodi di essere vere e proprie opzioni di conservazione a lungo termine. L’essiccazione non è un buon metodo, poiché lo stesso processo potrebbe introdurre mutazioni.
Figura 6.5: Riassunto dei metodi di conservazione del lievito. Il problema con la conservazione a lungo termine non è la carica vitale, ma il mantenimento di una coltura libera da mutazioni.

PREPARARE PROVETTE E PIASTRE DI AGAR
È possibile acquistare provette e piastre già preparate, ma diffidate di quelle economiche. Testate tutte le piastre e provette che acquistate o producete incubando un campione casuale. Se c’è crescita, allora tutte le piastre o le provette di quel lotto sono sospette. Se siete seri riguardo al lavoro in laboratorio, consigliamo di imparare a preparare da voi le piastre. Col tempo recupererete l’investimento iniziale per le attrezzature e le scorte, e il carico di lavoro non è eccessivo.
Per preparare le piastre si utilizza un 1-2% di agar mischiato ad altri materiali che forniscono nutrimento al lievito o altre speciali proprietà al terreno di coltura: 10-20 grammi di agar in 1 litro di liquido. Le provette richiedono un terreno leggermente più solido. Più agar si utilizza, più il terreno si solidifica. Alcuni laboratori preferiscono lavorare con una superficie più morbida, mentre altri ne preferiscono una più solida. Per la coltura e la crescita del lievito per birrificazione, è meglio utilizzare uno zucchero a base di malto sia per il terreno solido utilizzato su piastre e provette sia per il brodo liquido utilizzato per la propagazione di una coltura.
È possibile acquistare praticamente ogni terreno sotto forma di polvere premiscelata, oppure potete miscelare da voi. Il processo di base consiste nel miscelare la polvere con acqua distillata o mosto, riscaldare fino allo scioglimento, sterilizzare e poi versare nelle piastre utilizzando una tecnica asettica. Per preparare delle provette il procedimento è lo stesso, ma prima verserete il terreno sciolto e poi lo sterilizzerete.
Ecco il processo per la creazione del vostro terreno. In questa procedura si preparano sia piastre sia provette:
1. Preparate 1 litro di mosto a densità 1,040, senza luppolo e con le sostanze nutritive che volete aggiungere, come Servomyces. Fate bollire il mosto fino alla coagulazione delle proteine in eccesso (hot break), raffreddate e filtrate il materiale coagulato.
2. Preparate 15 grammi di agar in polvere e spargetelo sulla superficie del mosto. Lasciate che la polvere si idrati per qualche minuto, senza mescolare, finché l’agar non appare pienamente reidratato.
3. Mescolate o agitate la miscela, poi riscaldatela in un forno microonde o su un fornello a fuoco basso per far sciogliere l’agar e lasciate bollire per qualche minuto fino a che l’agar si è completamente disciolto (controllate il fondo per vedere se ci sono grani trasparenti di agar).
4. A questo punto potete pipettare la soluzione nelle provette adatte. Aggiungete abbastanza soluzione affinché, se la provetta viene inclinata, la soluzione fornisca una superficie di lavoro sufficientemente grande, ma l’agar deve trovarsi a qualche centimetro di distanza dall’apertura della provetta. È meglio provare prima con dell’acqua per determinare l’angolo e il volume necessario per provetta. In genere, l’angolo di inclinazione sta tra i 20 e i 35 gradi, ma non è fondamentale. Una volta determinata la quantità necessaria di terreno, potete cominciare a riempire le provette con una pipetta. Non preoccupatevi di lavorare in ambiente sterile in questo momento, perché le provette verranno poi sterilizzate in autoclave. Riponete i tappi allentati sulle provette, mettete le provette in verticale in una rastrelliera portaprovette e mettetela nell’autoclave.
5. Trasferite la restante soluzione di agar in un contenitore adatto con il tappo allentato, o coprite con dei fogli di alluminio, e riponetelo in autoclave per la sterilizzazione col vapore.
6. Dopo la sterilizzazione, lasciate raffreddare la miscela quanto basta per maneggiarla e per poterla versare facilmente.
7. Estraete le provette e inclinatele per creare lo slant, il tappo deve stare all’estremità superiore.
8. Se riuscite a tenere il recipiente comodamente con la mano nuda, portatelo alla guancia. Dovreste sentire caldo, ma non una sensazione spiacevole. A questo punto l’agar sta per solidificarsi, e dovete quindi agire velocemente. Se cercate di versare la miscela troppo fredda, formerà dei grumi e non si disporrà sulle piastre. Se la versate troppo calda, le piastre mostreranno una condensa eccessiva sotto il coperchio.
9. Preparate le piastre sterili con i coperchi chiusi.
10. Lavorando sotto una cappa o utilizzando una tecnica asettica, rimuovete velocemente in successione il foglio di alluminio o il coperchio dal recipiente, inclinate il coperchio di una delle piastre e versate la soluzione (in genere circa 15-20 ml) in ogni piastra.
11. Noterete che si forma della condensa sui coperchi. Una volta che le piastre si sono raffreddate e l’agar si è solidificato, potete impilarne diverse, avvolgerle con un elastico e ribaltarle. Non avvolgetele con Parafilm o nastro adesivo in vinile fino a quando la condensa non si disperde. Riponetele in una zona calda (27 °C) per uno o due giorni, e la condensa dovrebbe evaporare.
12. Le piastre e le provette, a questo punto, sono pronte all’uso. Avvitate i tappi delle provette prima di conservarle. Se volete che le piastre non si secchino durante la conservazione, avvolgete un pezzo unico di nastro adesivo in vinile attorno al bordo o avvolgete tutta la piastra con del Parafilm per sigillarla.
13. Conservate le provette capovolte in un contenitore chiuso.
STRISCIARE UNA PIASTRA
Strisciare una piastra di agar è un metodo rapido e semplice per isolare il lievito e controllarne la purezza. Per strisciare una piastra, immergete un’ansa da inoculo sterile in una fonte di lievito e passatela sulla superficie di agar seguendo uno schema, con l’obiettivo di tenere le ultime cellule abbastanza lontane tra loro affinché una singola cellula abbia sufficiente spazio per crescere in una colonia isolata. Selezionando solo tra le colonie che hanno un aspetto normale, cresciute da cellule singole, inizierete una coltura pura.
Procedura
1. Per cominciare, pulite l’area e accendete una lampada ad alcol o un becco di Bunsen.
2. Mettete la piastra coperta vicino alla fiamma, con la superficie di agar da strisciare rivolta verso il basso. Conservate sempre le piastre con la parte riempita di agar in alto e la superficie da strisciare rivolta verso il basso. In questo modo le sostanze trasportate dall’aria non si depositeranno sulla superficie delle piastra.
3. Prendete un’ansa sterile monouso, o sterilizzate la vostra ansa sulla fiamma.
4. Mentre tenete l’ansa nell’area pulita vicino alla fiamma, aprite lo slant o un’altra fonte di lievito e passate l’apertura attraverso la fiamma.
5. Inserite l’ansa da inoculo nello slant, e toccate la superficie di agar per raffreddare l’ansa. Con l’ansa toccate semplicemente la colonia di lievito, non riempite l’anello. Bisogna prendere una piccola quantità di lievito. Estraete l’ansa, avendo cura di mantenerla all’interno dell’area pulita attorno alla fiamma, ma non troppo vicina alla fiamma per non danneggiare il lievito.
6. Ripassate velocemente l’apertura dello slant sulla fiamma e chiudetela.
7. Posate lo slant e prendete la parte di piastra con l’agar, capovolgendola solo all’interno dell’area pulita vicino alla fiamma.
8. Passate la punta dell’ansa avanti e indietro molte volte in una piccola sezione. Flambate l’ansa. Ruotate la piastra di 90 gradi e strisciate l’ansa attraverso la sezione appena passata e strisciate una nuova sezione. Girate ancora la piastra e ripetete lo striscio. L’obiettivo è depositare inizialmente le cellule sulla piastra, poi portare poche cellule su un’altra area, allontanando sempre più le cellule tra loro. Se riuscite a vedere il lievito sulla piastra, allora ne avete preso troppo dalla provetta. Dovete distribuire sulla superficie solo poche cellule, invisibili a occhio nudo. Troppo lievito in una zona rende impossibile la crescita e la selezione da una cellula singola, che è il vostro scopo (Figura 6.6).
9. Rivolgete la parte di piastra con la superficie di agar verso il basso e posatela sul coperchio.
10. Fate crescere la piastra per due-tre giorni a temperatura ambiente (22 °C), con la parte riempita di agar in alto e la superficie di agar rivolta verso il basso. Nella prima zona in cui avete strisciato l’ansa crescerà una densa coltura di lievito, che si assottiglierà sempre più sugli ultimi strisci. Se il processo non ha creato colture isolate, dovreste ripeterlo su una nuova piastra.
11. Quando avete sufficiente crescita, sigillate i bordi della piastra con del nastro isolante in vinile e refrigerate.

Figura 6.6: Strisciare, poi ruotare fino a distribuire cellule singole sulla piastra con il passo 4.

STRISCIARE UNO SLANT
Per creare nuovi slant, ossia provette nelle quali l’agar è solidificato inclinato, avete bisogno solo di una minima quantità di lievito da trasferire sulla superficie di agar, quindi potrebbe essere più efficace utilizzare un’ansa piccola. Quando selezionate il lievito per uno slant, sceglietelo da una colonia di lievito pura; una piastra può fornire una fonte pura di lievito. Su una piastra adeguatamente preparata, le colonie crescono a partire da una cellula singola. Prima di selezionare la colonia da utilizzare per lo slant, dovreste ispezionarle tutte per assicurarvi che non abbiano uno strano colore, o siano trasparenti, oppure abbiano una forma strana. Se il perimetro della colonia non è omogeneo, regolare e continuo, non utilizzate quella colonia.
Procedura
1. Pulite un’area e accendete una lampada ad alcol o un becco di Bunsen. Ricordate di seguire la tecnica sterile, flambare tutte le aperture e lavorare velocemente nell’area pulita creata dalla fiamma libera.
2. Scegliete un’ansa sterile monouso o sterilizzate la vostra ansa passandola nella fiamma.
3. Aprite la piastra o un’altra fonte di lievito.
4. Appoggiate l’ansa alla superficie di agar per raffreddarla. Utilizzate l’ansa per prelevare del lievito da una colonia pura sulla piastra. Avrete bisogno solo di una quantità di lievito della dimensione di uno spillo.
5. Riponete la piastra e prendete lo slant.
6. Aprite lo slant, inserite l’ansa da inoculo e strisciate il lievito secondo una linea a serpentina fino al centro della superficie di agar. Non c’è bisogno di rompere la superficie di agar o di strisciare tutta la superficie. Inserire meno cellule nella provetta, dando loro spazio e nutrimento per la crescita, può estendere la durata della provetta. Una piccola quantità dura a lungo, quindi usate molto poco lievito.
7. Flambate di nuovo e chiudete lo slant. Lasciate il tappo allentato durante la crescita, così le colonie dovrebbero apparire dopo due o tre giorni a 22 °C.
8. Quando la crescita è completa, avvitate il tappo, e lo slant è pronto per la conservazione al freddo.

Se volete acquisire una coltura originale da una birra in bottiglia, per prima cosa strisciatela su una piastra. Se ottenete colonie pure, allora potrete creare uno slant a partire da quella piastra. Tuttavia, quella birra potrebbe contenere più di un ceppo di lievito, o persino lievito selvaggio. Dovrete produrre diversi slant, selezionando da diverse colonie. Dovrete anche eseguire delle fermentazioni di prova su piccola scala con quel lievito prima di lasciare un’intera cotta nelle mani di una coltura sconosciuta. Per creare uno slant di riserva o per effettuare un trasferimento tra due slant, immergete velocemente la vostra ansa nel lievito sulla superficie del terreno nel primo slant e depositatelo su quello del secondo.
Procedura
1. Disponete due slant su una rastrelliera.
2. Allentate entrambi i tappi.
3. Prendete e aprite lo slant con la fonte, flambatene l’apertura, prelevate il lievito, tappate e riponete sulla rastrelliera.
4. Prendete e aprite lo slant di destinazione, mantenendo l’ansa all’interno dell’area sterile.
5. Flambate l’apertura e depositate il lievito sulla superficie.
6. Richiudete in modo allentato e lasciate a 22 °C.
7. Rimettete lo slant originale in frigorifero con il tappo avvitato e sigillato. Fate crescere il nuovo campione, e riponetelo in frigo soltanto quando, sulla superficie di agar, appare una goccia bianca e cremosa di lievito.
STAB
Gli stab sono utili per gli organismi che lavorano meglio in condizioni anaerobiche, come alcuni batteri. Uno stab consiste in una provetta parzialmente riempita di agar, profondo circa 3 centimetri e lasciato solidificare verticalmente. Per inoculare uno stab, infilate un ago o un’ansa nel centro dell’agar finché non raggiunge il fondo della provetta. Estraete poi l’ansa o il filo e chiudete la provetta. Se fate fatica a spingere l’ansa fino al fondo dello stab, probabilmente avete utilizzato troppo agar nel vostro terreno di coltura.
IMMERSIONE IN OLIO
L’immersione in olio estende la durata degli slant. Prima che la conservazione di colture congelate diventasse popolare, questo era il metodo che un laboratorio avrebbe utilizzato per la conservazione a lungo termine del lievito. L’idea è quella di ricoprire la superficie dello slant con olio minerale sterile, cosicché rimanga sempre sott’olio e senza ossigeno. La durata aumenta fino a un minimo di due anni, nonostante sia stato riportato che alcuni campioni di Saccharomyces abbiano conservato la loro carica vitale per 14 anni a temperatura ambiente. Di certo, la carica vitale non garantisce l’assenza di mutazioni. Più al caldo avviene la conservazione, maggiore è l’incidenza di mutazioni, quindi conservate le vostre colture al freddo (3 °C).
Procedura
1. Dopo aver inoculato e incubato gli slant, aggiungete uno strato di olio minerale sterile.
2. Conservate intorno a 3 °C.
IMMERSIONE IN ACQUA
Conservare il lievito in acqua, piuttosto che nella birra, sta diventando sempre più popolare. La conservazione in acqua distillata sterile induce il lievito in uno stato dormiente, e alcuni resoconti suggeriscono che il lievito possa essere conservato in questo modo per anni senza essere refrigerato. In genere bisognerebbe utilizzare questo metodo solo con piccole quantità di lievito, da propagare poi in laboratorio. Tuttavia, è possibile che il metodo funzioni anche con slurry più grandi. Alcuni birrifici lo stanno sperimentando. La chiave consiste nell’utilizzare acqua distillata e lavarvi lo slurry di lievito varie volte per rimuovere ogni traccia di birra.
Procedura
1. Aggiungete da 2 a 3 millilitri di acqua distillata a una provetta con tappo a vite, e sterilizzatela in autoclave o nella pentola a pressione. Raffreddate fino a temperatura ambiente prima dell’uso.
2. Utilizzando un’ansa sterile, trasferite una colonia da una piastra all’acqua. Avrete bisogno solo di una piccola quantità di lievito, circa della dimensione della testa di un fiammifero. Evitate di prelevare parti di terreno di coltura solido.
3. Avvitate bene il tappo. Se non è provvisto di guarnizione, avvolgetelo con del nastro isolante in vinile oppure avvolgete tutta la provetta con del Parafilm per sigillarla.
4. Potete conservare queste provette a temperatura ambiente per mesi, anche se il congelamento potrebbe estenderne la durata ancora più a lungo.
CONGELAMENTO
Potreste aver sentito che le banche del lievito conservano i loro lotti congelati a –80 °C, e che possono conservare del lievito adeguatamente congelato per un tempo indeterminato. Nonostante la conservazione a –80 °C sia il modo migliore per prevenire le mutazioni, è anche possibile conservare il lievito a –20 °C e ottenere risultati migliori della conservazione a temperature da frigorifero. L’evidenza aneddotica suggerisce che è possibile raggiungere tempi di conservazione fino a cinque o più anni con una mutazione minima. La difficoltà sta nel fatto che i risultati possono variare a seconda della salute del lievito al momento del congelamento, del ceppo di lievito, del controllo della temperatura e di molte altre condizioni di conservazione. Il vostro scopo è di prendere il lievito al massimo della sua salute e conservarlo a –20 °C con minimi danni.
Migliore è la condizione del lievito al momento del congelamento, migliore è la sua condizione allo scongelamento. Raccogliete il lievito per la conservazione da una propagazione di laboratorio pulita. Sarebbe meglio utilizzare lievito nel pieno della salute, con una grande riserva di glicogeno e trealosio. Infatti, l’abilità delle cellule di tollerare il congelamento è correlata ai livelli di glicogeno e trealosio cellulare (Kandror et al., 2004).
Più elevata è la temperatura del freezer, minori saranno la durata e la stabilità della coltura. È importante che una volta congelato il lievito non lo facciate scongelare. Se non avete un congelatore da –80 °C, avrete bisogno di un freezer affidabile, ben isolato e non frost-free. Potete utilizzare anche un freezer frost-free, ma ha un ciclo di riscaldamento per prevenire l’accumulo di brina. Una volta congelate le colture, mettetele all’interno di una borsa termica in polistirolo e riponetela nel freezer. Questo vi aiuterà a stabilizzare eventuali fluttuazioni di temperatura e ad allungare la durata.
Dovrete aggiungere qualche tipo di crioprotettore al lievito prima di congelarlo, come il glicerolo. I crioprotettori come il glicerolo lavorano impedendo la lisi osmotica. Solitamente, man mano che il terreno di coltura attorno alle cellule si congela, c’è sempre meno acqua liquida attorno alla superficie della cellula, il che crea un gradiente osmotico. Questo estrae l’acqua dalla cellula per osmosi e uccide la cellula. L’aggiunta di un crioprotettore impedisce il verificarsi di questo fenomeno.
Può essere complicato congelare del buon lievito che non muoia dopo lo scongelamento. Alcuni laboratori congelano i microrganismi molto velocemente utilizzando azoto liquido, anche se non tutti considerano questa procedura necessaria o benefica quando si lavora con il lievito, e ripongono le colture solo nel freezer a –80 °C. Alcuni homebrewer hanno utilizzato bagni di ghiaccio secco ed etanolo o bagni di ghiaccio secco e acetone per congelare rapidamente i loro campioni prima di riporli in freezer.
Utilizzare un freezer no-frost causa sbalzi di temperatura che congeleranno e scongeleranno la coltura ripetutamente causando danni alle cellule. Con la conservazione a –20 °C può essere utile aumentare la quantità di crioprotettore utilizzato, cosicché la coltura non diventi totalmente solida. In questo modo si hanno i benefici delle basse temperature ma si evita la perdita di carica vitale causata dal congelamento e dai cicli ripetuti di congelamento e scongelamento. Inoltre, anche l’aggiunta di 1 grammo per litro di acido ascorbico, un antiossidante che previene l’ossidazione dei lipidi sulla membrana, può migliorare la carica vitale (Sidari e Caridi, 2009).
Materiali
• Glicerolo sterile.
• Soluzione YPD (Yeast Extract Peptone Dextrose)
• Crioprovette sterili o provette per microcentrifuga con tappo a vite
• Centrifuga
• Pipette sterili
• Pipettatore meccanico
• Freezer
• Scatola di polistirolo (per la conservazione a –20 °C)
• Acido ascorbico (per la conservazione a –20 °C)
Procedura per la conservazione a –80 °C
1. Prelevate una coltura e fatela crescere in 10 millilitri di terreno per 48 ore. La crescita si completa prima, ma il lievito accumula riserve di glicogeno dopo la crescita.
2. Spostate i 10 millilitri di coltura in un ambiente a 4 °C, e mantenetela in quel luogo per altre 48 ore, per incoraggiare il lievito a produrre trealosio.
3. Sotto la cappa sterile o vicino a un fiamma portate di nuovo in sospensione la coltura da 10 millilitri e trasferitene 1 millilitro in una provetta sterile per microcentrifuga da 1,5 ml. Etichettate la provetta con il nome del ceppo, numeratela e datatela.
4. Centrifugate le provette per 3-4 minuti. Rimuovetele attentamente e riponetele in una rastrelliera sotto la cappa.
5. Eliminate attentamente il liquido, mantenendo il grumo di lievito sul fondo.
6. Aggiungete alla provetta 1 millilitro di una soluzione composta al 15% da glicerolo e all’85% da YPD e riportate delicatamente in sospensione il lievito con una pipetta sterile.
7. Chiudete bene il tappo, avvolgete con Parafilm e riponete in freezer a –80 °C in contenitori adeguati.
8. Per rianimare il lievito, selezionate una porzione della coltura con la punta di una pipetta e mettetela su una piastra, oppure scongelate l’intera coltura tenendola in mano (con una guanto) finché non raggiunge la temperatura ambiente, poi aggiungerla a 100 millilitri di brodo di crescita liquido.
Procedura per la conservazione a –20 °C
Potete seguire la stessa procedura della conservazione a –80 °C, ma seguendo questa procedura modificata potrebbe essere possibile aumentare notevolmente la carica vitale risultante.
1. Seguite i punti da 1 a 5 della procedura per la conservazione a –80 °C.
2. Preparate una soluzione al 50% glicerolo e al 50% YPD.
3. Aggiungete alla soluzione 1 grammo per litro di acido ascorbico.
4. Aggiungete 1 millilitro di soluzione nella provetta e riportate delicatamente in sospensione il lievito con una pipetta sterile.
5. Chiudete bene, avvolgete con Parafilm, riponete le provette capovolte in una piccola ghiacciaia di polistirolo e poi mettete la ghiacciaia nel freezer.
6. Per rianimare il lievito, selezionate una porzione della coltura con la punta di una pipetta e mettetela su una piastra, oppure scongelate l’intera coltura tenendola in mano (con una guanto) finché non raggiunge la temperatura ambiente, poi aggiungerla a 100 millilitri di brodo di crescita liquido.
SELEZIONARE LE COLONIE
Un’adeguata selezione delle colonie è una parte vitale della coltura del lievito. È qui che comincia tutto, e se non prestate abbastanza attenzione alla scelta delle colonie, potreste potenzialmente provocare la propagazione di lievito non sano. Per cominciare, prendete una piastra con agar e lasciatela riscaldare naturalmente fino a temperatura ambiente. Questo è lo stesso principio che utilizzate quando inoculate il lievito nel mosto fresco. Dovete sempre assicurarvi che il lievito sia approssimativamente alla stessa temperatura del terreno di crescita, il che previene shock termici per il lievito. Dopo che la piastra con la coltura ha raggiunto la temperatura ambiente, esaminate attentamente le colonie di lievito. Osservate la piastra da entrambi i lati in una zona bene illuminata. Selezionate mentalmente le colonie che volete far crescere. Esaminate la superficie dell’agar per individuare eventuali colonie dall’aspetto insolito o zone ammuffite. A volte la muffa appare come una sostanza trasparente che si estende disordinatamente sulla piastra, dunque può essere difficile da vedere. Altre volte, invece, è evidente e sembra una crescita pelosa, all’apparenza simile a quella che cresce su pane, formaggio e frutta. Altre volte ancora, la muffa è un insieme delle due. Se notate della muffa sulla piastra, ricominciate con un’altra piastra. Se, per qualche motivo, volete comunque utilizzare quella piastra, selezionate attentamente una colonia ed effettuate uno striscio su una nuova piastra.
È più difficile identificare i batteri, poiché possono apparire come colonie di lievito all’inizio, ma solitamente diventano più traslucidi e a volte colorati. Le colonie lucide sono spesso indice di un’infezione batterica, mentre di frequente le colonie deformi sono composte da lieviti selvaggi. Le colonie di lievito cresciute da una cellula singola sono dischi rotondi e pannosi di colore biancastro o lattiginosi di colore marrone carta da pacchi, con una punta al centro. Ceppi diversi mostreranno diverse morfologie e consistenze, perciò dovreste acquisire familiarità con la uniformità e l’aspetto dei ceppi con cui lavorate per notare più facilmente eventuali cambiamenti. In generale, evitate tutte le crescite dall’aspetto anormale.
Se stabilite che la vostra piastra è libera da agenti contaminanti, il prossimo passo è scegliere quali colonie trasferire. Nella maggior parte dei casi, dovrete scegliere più di una colonia per avviare la coltura, per mantenere la diversità genetica. Ogni colonia contiene almeno 1 milione di cellule, tutte generate dalla stessa cellula madre. Ciò significa che qualsiasi mutazione abbia subito la cellula, aberrante o altro, è presente in tutte le cellule figlie. Quando cominciate a far crescere una coltura, dovrete avere una buona quantità di varietà genetica. In teoria, le cellule di lievito più forti sopravvivranno e prolifereranno nell’ambiente che fornite loro, e la coltura derivante sarà più sana e con maggiore carica vitale. Le cellule di lievito attuano molte divisioni cellulari in un breve periodo di tempo, il che accelera il processo di selezione naturale. Con il lievito, la selezione naturale avviene in pochi giorni di propagazione, al contrario di altre specie che potrebbero richiedere secoli.

Figura 6.7: Esaminate le colonie sulla piastra o sullo slant prima del trasferimento. Lavorate all’interno della zona pulita della fiamma. Selezionate solo le colonie che sono separate dalle loro vicine.

Consigliamo di selezionare circa dieci colonie individuali. In altre parole, scegliete dieci colonie che potete facilmente distinguere come colonie individuali che non hanno bordi in comune con altre colonie. Ciò aiuta ad assicurare che la colonia non sia carente di sostanze nutritive durante la crescita. Le colonie che condividono un bordo con altre colonie di lievito sono in competizione diretta per le sostanze nutritive. Il loro accesso alle sostanze nutritive necessarie è limitato a quello che il lievito riesce a strappare ai suoi vicini. Questa non è una situazione di crescita ideale per le cellule di lievito, ed è meno probabile che le colonie che crescono senza competizione siano fisicamente carenti.
Anche la dimensione di una colonia rispetto a un’altra è una parte importante dei criteri di selezione. Le colonie che scegliete non dovrebbero essere né troppo grandi né troppo piccole, ma sappiate che quando le colonie sono vicine tra loro tendono a essere più piccole. Tuttavia, una colonia troppo piccola rispetto alle altre su una piastra indica mutanti respiratori. I mutanti respiratori sono cellule che presentano una mutazione alle vie respiratorie e non possono utilizzare l’ossigeno. Questo fa sì che esse creino colonie più piccole, poiché non riescono a utilizzare le sostanze nutritive allo stesso modo delle cellule normali. Queste cellule non riescono a crescere tanto rapidamente o a competere per le sostanze nutritive, e faticheranno a metabolizzare gli zuccheri e le sostanze nutritive che si trovano nel mosto. Ciò porta a tutta una sorta di problemi durante la fermentazione, come una fermentazione lenta o fiacca o un’attenuazione incompleta, così come a bassi livelli di crescita del lievito.
Dovreste anche sospettare delle colonie troppo grandi. Esse possono avere quelle dimensioni perché si sono fuse con un’altra colonia o perché coprono una colonia di mutanti respiratori che hanno sopraffatto. Inoltre, queste colonie più larghe non sono così sane, perché hanno esaurito la riserva nutritiva intorno a loro e utilizzato tutte le proprie risorse. Le cellule di lievito in queste colonie si sono divise più volte rispetto alle cellule delle colonie di media grandezza e sono più deboli. La dimensione effettiva delle colonie dipende da molte variabili. Generalmente dovrete scegliere tra le colonie tra i 3 e i 5 mm di grandezza, ma fatevi guidare dall’esperienza. Fate attenzione alle colonie che selezionate e a quali risultati ottenete da una propagazione cresciuta da esse. Documentate tutto (le foto sono una buona idea), e utilizzate quelle informazioni quando analizzate i dati dai vostri gruppi di assaggio.
INIZIARE LA PROPAGAZIONE DA UNA PIASTRA
Per propagare il lievito da una piastra dovrete selezionare un numero di colonie da una piastra e trasferirle su un terreno liquido sterile. Potete scegliere la quantità di liquido che pensiate sia meglio, ma noi consigliamo tra i 10 e i 25 millilitri. Questo è un volume pratico per le provette facilmente reperibili. Preparate in anticipo il vostro terreno sterile utilizzando fiale in plastica per il trasporto. Sono disponibili in varie dimensioni, a partire dai 10 millilitri in su. Una buona dimensione per il primo passaggio da una piastra è un contenitore da 30-50 millilitri. Quando iniziate la propagazione di una coltura che avete conservato da lungo tempo o di lievito raccolto da una bottiglia di birra, l’utilizzo di un terreno a densità minore pone meno stress osmotico sulle cellule. Una densità specifica di 1,020 è una buona scelta. Dopo la prima crescita, potete passare a un terreno più concentrato, come 1,040 SG.
1. Per cominciare, pulite un’area di lavoro e accendete una lampada ad alcol o un becco di Bunsen. Ricordate di seguire la tecnica sterile, flambare tutte le aperture e lavorare velocemente all’interno dell’area pulita creata dalla fiamma libera.
2. Identificate le colonie da raccogliere.
3. Prendete un’ansa monouso sterile o sterilizzate la vostra ansa passandola sulla fiamma.
4. Lavorando rapidamente nell’area pulita attorno alla fiamma, aprite la piastra e mettete a contatto l’ansa con la superficie di agar per raffreddarla. Utilizzate l’ansa per prelevare una colonia dalla piastra. In questo caso, cercate di prelevare l’intera colonia, ma evitate di scavare nell’agar o di toccare le colonie circostanti.
5. Riponete la piastra e prendete la provetta per il trasporto.
6. Aprite la provetta, flambate l’apertura, inserite l’ansa da inoculo nel terreno liquido e liberate il lievito agitando l’ansa. Ripetete l’operazione fino a quando avete raccolto diverse colonie.
7. Chiudete la provetta. Potete lasciare il tappo allentato mentre le colonie crescono, oppure potete forare il tappo con un filo metallico caldo e coprire il foro con un quadrato di Parafilm.
8. Mettete la provetta in verticale su un agitatore, se ne avete uno. Ciò aiuta a ossigenare e a mischiare il lievito con il terreno. Mantenete la coltura a 22 °C per uno o due giorni.
9. Quando la crescita è completa, la coltura è pronta per il successivo passaggio di propagazione.

La coltura potrebbe apparire leggermente torbida, e infine un sedimento bianco di lievito comparirà sul fondo, dandovi certezza della crescita della coltura. Molti birrai chiedono quante cellule sono presenti a questo punto. Anche se possiamo fare una stima di quante cellule possano essere presenti, è molto meglio effettuare una conta cellulare. Piccole differenze nel processo possono creare grandi variazioni nelle conte cellulari a questo punto. Dovreste contare per capire cosa potete aspettarvi dal processo. In frigorifero, i risultati di questa fase si manterranno fino a sette giorni, ma è meglio trasferirli subito al passaggio successivo.
La dimensione successiva consigliata è dieci volte il volume precedente, da 100 a 250 millilitri. Se volete ridurre i passaggi, potete aumentare il volume fino a un multiplo di venti, ma inizierete a raggiungere un livello minore di resa. Dovreste anche dare al lievito 48 ore invece di 24 se volete eseguire questi passaggi più ampi. In teoria, dovreste utilizzare beute e terreni sterili per tutte le fasi, fino a quando trasferirete la coltura nella vostra birra. Un semplice metodo di sterilizzazione delle beute consiste nel coprirle con un tappo di carta di alluminio e metterle nel forno a 177 °C per due ore. Potete preparare le beute giorni prima, evitando poi di aprire il tappo in alluminio. Se non potete sterilizzare con calore umido o secco la vostra attrezzatura, utilizzate acqua bollente per pastorizzare il tutto. Se scegliete la sanitizzazione con agenti chimici, in seguito dovreste poi risciacquare tutto con acqua sterile o bollita, specialmente durante le fasi più piccole della propagazione. Grandi quantità di sanitizzante residuo possono incidere sulla crescita della coltura. Se non avete un terreno presterilizzato da aggiungere alla beuta, potete utilizzare un terreno bollito ancora caldo. In entrambi i casi, coprite rapidamente la parte superiore con della carta di alluminio, creando un tappo allentato che si estenda lungo i fianchi per circa 76 mm. Quando il terreno è a temperatura ambiente, potete aggiungere la coltura ottenuta nel passaggio precedente.
Agitate la provetta per riportare in sospensione il lievito nella soluzione. Svitate lentamente il tappo, poiché ora potrebbe esserci della pressione all’interno della provetta, se non avete praticato un foro di sfogo. Flambate l’apertura della provetta e della beuta e svuotate rapidamente il contenuto della prima nella seconda. Coprite di nuovo con il tappo in alluminio e agitate la beuta o mettetela su una piastra agitante o su un agitatore, se ne avete uno, per ossigenare e mischiare il lievito alla soluzione. Mantenete a 22 °C per uno o due giorni interi prima dell’uso. Dovreste vedere attività entro 12-24 ore.
Potete ripetere il processo con dimensioni sempre maggiori fino a quando raggiungete la dimensione necessaria al birrificio o alla vostra cotta di birra fatta in casa.
Ecco alcuni consigli per ottenere una coltura di successo:
• Rivedete l’intero processo e tenete tutto ciò che vi serve a portata di mano prima di aprire qualsiasi contenitore.
• Lavorate entro 7 cm dalla fiamma ogni volta che siete impegnati con le colture, per massimizzare la protezione fornita.
• Allentate i tappi prima di effettuare un trasferimento, di modo che siano più facili da aprire.
• Ogni volta in cui trasferite colture o terreni da un contenitore all’altro, flambatene le aperture.
• Effettuate i trasferimenti in modo rapido, lasciando le provette e le piastre aperte per il minor tempo possibile.
• Agitate sempre il lievito all’interno della soluzione prima di ogni trasferimento, poiché solitamente potrebbe attaccarsi al fondo.
• L’ossigenazione migliora la crescita e la salute del lievito, così come il mescolamento. Agitare o mescolare migliora la crescita cellulare.
• Scrivete sempre date e nomi sulle colture utilizzando un pennarello indelebile. È un incubo avere delle provette senza etichetta.
• Non congelate le piastre o le provette. Conservatele in frigorifero.
• Avvolgete le piastre con della pellicola trasparente, Parafilm o nastro isolante per prevenire l’essiccazione prematura. Assicuratevi di aver chiuso bene i tappi delle provette prima di riporle in frigorifero.
• Non andate nel panico. Divertitevi. Male che vada, dovrete ricominciare dall’inizio.
MANTENERE UNA COLLEZIONE DI LIEVITI
Il modo migliore per conservare una collezione di lieviti è a –80 °C, ma per la maggior parte dei birrifici non è molto pratico. La conservazione a temperature maggiori provoca una deriva genetica nel tempo. Più al caldo conservate le colture, più il lievito cresce e più velocemente avviene la deriva.
Molti homebrewer neofiti della coltura del lievito sognano di conservare ogni ceppo che trovano. Sfortunatamente, ogni ceppo occupa spazio e aggiunge un piccolo carico di lavoro per confermare periodicamente che la coltura non abbia deviato troppo durante la conservazione e per effettuare di nuovo la coltura per un altro periodo di conservazione. Se avete tempo e voglia, potete conservare quanti ceppi volete, ma molti homebrewer scoprono che è meglio conservare solo le colture che non è semplice sostituire. Tenendo meno ceppi, è più probabile che effettuiate più spesso una nuova coltura, ottenendo così nel tempo una coltura più sana e meno mutata.
Per creare una collezione di lieviti dai ceppi raccolti, per prima cosa purificate e testate le colture che andrete a conservare. I ceppi di lievito da campioni di birra o fermentazioni devono essere purificati ed esaminati. Il metodo consigliato per la purificazione consiste nel piastrare molte volte su piastre con terreni a base di mosto. Possono essere necessarie molte ripetizioni di propagazione e test per ottenere un lievito libero da agenti contaminanti.
Quando avete ottenuto una piastra che credete sia una coltura pura, prelevate dieci colonie individuali ed effettuate dieci fermentazioni di prova. In questo modo cercate di valutare la diversità della piastra per essere sicuri di avere una coltura pura. Se i campioni delle fermentazioni di prova danno gli stessi risultati per tutti i parametri (per esempio velocità, attenuazione, flocculazione, sapore e aroma), allora il vostro lavoro è finito. Se i risultati sono differenti, dovete determinare quale ceppo o ceppi dovreste conservare e lavorare per purificare la coltura. Un buon passaggio successivo consiste nell’isolare le colonie dalle fermentazioni di prova che rappresentano il comportamento ideale del lievito.
Avendo purificato la vostra coltura, potete utilizzare una qualunque delle tecniche descritte in questo capitolo per la conservazione. Forse la combinazione migliore per facilità d’uso e tempo di conservazione consiste negli slant o negli slant immersi in olio. Anche il congelamento è un’altra possibilità, nonostante potrebbe non funzionare allo stesso modo per tutti.
CATTURA DEL LIEVITO
Siamo sicuri di non essere gli unici a portare con noi qualche provetta sterile per trasferimenti da 50 millilitri, caso mai trovassimo un lievito che vogliamo portarci a casa. Nella vita di un bevitore di birra, ci sono moltissime opportunità per raccogliere ceppi di lievito interessanti.
ON THE ROAD
Quando siete in giro, dovete essere un po’ più spartani di quanto non siate nel laboratorio. Portate con voi qualche provetta, magari qualche tampone sterile confezionato individualmente, e un accendino economico a butano. Se trovate una superficie che potrebbe ospitare un lievito o dei batteri interessanti, prendetene un campione con il tampone e rimettetelo nell’involucro. Se il tampone è abbastanza corto, potete metterlo in una delle provette per evitare che si secchi. Se credete che userete molti tamponi, potreste mettere qualche millilitro di acqua sterile in ogni provetta.
Se vi imbattete in una birra in bottiglia con del sedimento, raccogliete il lievito come fareste in laboratorio, facendo girare il sedimento, flambando le aperture e trasferendolo rapidamente nella provetta. Quando siete a casa, piastrate i contenuti per poter valutare la purezza e l’uniformità dei campioni.
Anche se ci sono molte storie sul prelievo di campioni di nascosto nei vari birrifici mentre si è in giro, ciò non è considerato un comportamento appropriato. Per prima cosa chiedete, anche se pensate che riceverete un rifiuto.
BIRRA IN BOTTIGLIA
La maggior parte del sedimento della birra può essere una buona fonte di lievito. Tuttavia, spesso si possono ottenere dei risultati imprevedibili, a seconda della birra, e dovreste sempre valutarne la purezza prima di utilizzarlo per la fermentazione di una cotta di birra. È molto difficile cercare di recuperare del lievito da una birra filtrata o pastorizzata. Anche se una birra filtrata può contenere del lievito, è difficile coltivarne quantità così piccole. Se siete determinati, la filtrazione a membrana di una o più bottiglie potrebbe dare abbastanza cellule vive per avviare una coltura. Se la birra è pastorizzata, le possibilità di riuscita sono estremamente scarse. Anche se ci fossero delle cellule nella birra, molto probabilmente sarebbero morte.
L’alcol, la pressione (CO2), la temperatura, i trattamenti, le contaminazioni e il tempo sono tutti contro la sopravvivenza del lievito e la possibilità di farne una coltura a partire da una bottiglia. Man mano che il lievito si deposita in una bottiglia di birra, esso priva lentamente la birra di qualsiasi oligominerale, oligoelemento e di alcuni zuccheri residui. Quando il lievito rimane senza sostanze nutritive, inizia a cibarsi delle cellule di lievito morte. Se misuraste il pH di una birra rifermentata in bottiglia nel tempo, notereste che esso aumenta man mano che le cellule muoiono e rilasciano composti alcalini nella birra.
Oltre alla morte delle cellule, il lievito vivo può mutare. Le mutazioni avvengono quando frammenti di DNA del lievito cambiano posizione. Nonostante il lievito per la birra sia abbastanza resistente alle mutazioni, queste si possono accumulare nel tempo fino a diventare evidenti nella popolazione del lievito. Di conseguenza, non dovreste sempre aspettarvi che il lievito raccolto da una birra in bottiglia si comporti esattamente come ha fatto durante la cotta originaria. È molto difficile ottenere un lievito di qualità per uso commerciale da una birra rifermentata in bottiglia, ma potete ottenere del buon lievito diverso da utilizzare in qualche cotta casalinga.
Il processo di coltura del lievito da una bottiglia è semplice quando si lavora con una birra non filtrata o rifermentata in bottiglia.
1. Tenete la bottiglia in frigorifero per una settimana per ottenere un buon sedimento di lievito sul fondo.
2. Rimuovete la bottiglia dal frigorifero, sanitizzate tutta la parte superiore della bottiglia, specialmente la zona del bordo, e tenete a portata di mano un recipiente sterile per la raccolta del lievito. Lavorate sul piano del laboratorio in un ambiente pulito.
3. Rimuovete il tappo dalla bottiglia con un apribottiglie sanitizzato, flambate l’apertura della bottiglia e versate attentamente la bottiglia in un bicchiere, che potrete bere una volta conclusa la procedura.
4. Smettete di versare quando vi avvicinate al sedimento, fate girare la birra rimanente per smuovere il lievito, flambate di nuovo l’apertura della bottiglia e versate all’interno del contenitore sterile di raccolta.
5. Se la birra con cui state lavorando ha una miscela di lieviti, avete due opportunità: potete far crescere la coltura così com’è e birrificare con essa o metterla su una piastra e cercare di capire quali colonie rappresentano la miscela esatta che cercate di copiare.
6. Se lavorate con un ceppo singolo, piastratelo e utilizzate le tecniche di laboratorio contenute in questo libro per purificare e testare il ceppo.
GARANZIA DELLA QUALITÀ DEL LIEVITO E DELLA BIRRA
Questa sezione tratta di alcuni dei test più comuni per la valutazione della qualità di lievito e birra, che costituiscono la maggior parte dei test sul lievito di cui avete bisogno. Benché la scienza della valutazione della qualità della birra si estenda ben oltre la verifica della presenza di contaminazioni e diacetile, queste costituiscono un buon punto di partenza per un nuovo laboratorio. Una volta padroneggiate le basi, il laboratorio può crescere ed effettuare ulteriori test di controllo della qualità della birra.
Idealmente, un birraio vuole zero unità formanti colonie (UFC) di questi organismi quando effettua i test di laboratorio della sua birra. Si discute sul livello al quale iniziano i problemi di sapore, ma approssimativamente con 100 UFC per categoria si parla ancora di birra “pulita”. La questione, con numeri ancora inferiori, è che la presenza di anche poche UFC può crescere rapidamente fino a diverse centinaia di UFC, da qui il desiderio di mantenere i risultati di laboratorio sulle UFC sempre a zero.
Figura 6.8: Organismi comuni che deteriorano la birra.

Negli ultimi dieci anni, la White Labs ha testato circa il 10% di tutta la birra artigianale statunitense per ricercare organismi responsabili del deterioramento della birra. L’80% dei campioni testati presentava zero UFC in tutti e tre i test, mentre il 20% aveva livelli che variavano tra una UFC e migliaia, con una distribuzione equa di batteri anaerobi, batteri aerobi e lieviti selvaggi. Anche se non è una certezza, potremmo ipotizzare che un quinto della birra che quei birrifici avevano prodotto in quei dieci anni necessitava di miglioramenti delle procedure di pulizia e sanitizzazione.

Figura 6.9: Test di laboratorio comuni per identificare eventuali contaminazioni.

Un campione di lievito può avere un grado variabile di salute e di purezza. L’unico modo per conoscere la qualità del lievito è effettuare un’analisi di laboratorio per ricercare eventuali contaminazioni, fare una conta cellulare e valutarne la salute.
Per testare eventuali contaminazioni, avrete bisogno di piastrare lo slurry su un terreno apposito da tre a cinque giorni prima dell’uso. Anche se può sembrare ovvio controllare lo slurry di lievito per la presenza di batteri aerobi e anaerobi e di lieviti selvaggi, dovreste anche testare l’acqua, il mosto e le attrezzature del birrificio. Dei tre tipi di organismi, i batteri anaerobi sono i più comuni nello slurry di lievito per la birra, e sono i più difficili da eliminare. I batteri anaerobi più comuni sono i batteri acido-lattici, Lactobacillus e Pediococcus.
METODI DI PIASTRATURA
Quando si ricercano contaminazioni, la fonte e la concentrazione del campione determinano il metodo d’esame.
Quando si lavora con birra filtrata o acqua, il metodo migliore è la filtrazione a membrana di un campione di 100 millilitri cresciuto su piastra. Quando la concentrazione di organismi è bassa, la filtrazione a membrana permette di esaminare un volume maggiore. Piastrare pochi millilitri di birra già filtrata o acqua senza filtrazione a membrana darebbe risultati molto incerti, e probabilmente non trovereste alcuna contaminazione.
Quando lavorate con birra non filtrata, birra rifermentata in bottiglia o birra all’interno di fermentatori, la conta del lievito è molto superiore e spesso la filtrazione a membrana non funziona, poiché si ostruirebbe facilmente. In questo caso, il metodo migliore è l’inclusione su piastra, dato che che si possono campionare fino a 10 millilitri in una piastra da 100 millimetri.
Quando lavorate con slurry di lievito, i tipici test consistono nel prelevare un campione di 10 millilitri, diluirlo in rapporto 1:100 con acqua sterile e utilizzare il metodo di spatolamento o di inclusione e un terreno adatto. (Se le conte batteriche sono maggiori di 1 per millilitro, e il lievito selvaggio è superiore a 1 per 0,1 millilitro, non dovreste utilizzare lo slurry di lievito.)
Filtrazione a membrana
Il modo migliore per farsi un’idea della qualità della propria birra o acqua è la filtrazione a membrana di circa 100 millilitri. Gli impianti per la filtrazione a membrana hanno un costo variabile. Il costo iniziale per un impianto riutilizzabile è di circa 100 dollari, e necessita dell’uso di un’autoclave per la sterilizzazione, ma se prevedete di fare molti test, un impianto riutilizzabile è più economico. Alcune aziende come la Nalgene producono unità monouso sterili già equipaggiate con una membrana filtrante e un cuscinetto. Le unità monouso costano circa 8 dollari l’una.
Materiali
• Campione da 100 ml di birra o acqua
• Impianto per la filtrazione a membrana
• Pompa a vuoto (le pompe manuali o quelle per l’aspirazione di acqua sono opzioni economiche)
• Cuscinetto filtrante (diametro 47 mm)
• Membrana (dimensione dei pori 0,45)
• Piastre con terreno
• Spatola o pinza in metallo
• Prodotto antischiuma
• Incubatrice (camera anaerobica se si ricercano batteri anaerobi)
Procedura
1. Togliete le piastre con il terreno appropriato (fare riferimento alla Figura 6.10 per le scelte dei terreni selettivi) dal luogo di conservazione a freddo e lasciatele riscaldare fino alla temperatura ambiente.
Figura 6.10: Tipico regime di esami in un birrificio.

2. Assemblate l’impianto di filtrazione a membrana sotto una cappa a flusso laminare o vicino a un becco di Bunsen.
a. Se state lavorando con un impianto riutilizzabile, utilizzate pinze sterilizzate e mettete un cuscinetto sterile e la membrana in cima alla base del filtro. Se state usando un filtro a membrana reticolata, posate la membrana con il reticolo rivolto verso l’alto.
b. Se state lavorando con un campione di birra carbonata, potreste aggiungere qualche goccia di prodotto antischiuma alla parte inferiore dell’unità filtrante.
c. Riposizionate attentamente la parte superiore del filtro sulla base.
3. Per ogni campione, versate 100 millilitri di birra nell’imbuto superiore (graduato) dell’unità filtrante. Contrassegnate il coperchio dell’unità filtrante con il tipo di campione.
4. Rimettete il coperchio sull’imbuto superiore.
5. Agganciate la pompa a vuoto all’unità filtrante e accendetela. Lasciate che il campione liquido si sposti dalla parte superiore dell’unità alla base inferiore.
6. Spegnete la pompa e sganciatela attentamente. Rimuovete la membrana filtrante con pinze sterilizzate e mettete la membrana (non il cuscinetto) con il reticolo verso l’alto direttamente sopra al terreno scelto. Cercate di appiattire la membrana il più possibile ed evitate di intrappolare bolle d’aria al di sotto. Potete rimuovere e riapplicare la membrana se necessario. Rimettete il coperchio sulla piastra ed etichettatela con il nome del campione e la data.
7. Ripetete la procedura con tutti gli altri campioni. Dovreste utilizzare una nuova unità filtrante per ogni campione. Per assicurare che il processo e l’attrezzatura siano integri e sterili, potreste effettuare dei controlli con acqua sterile.
8. Una volta che tutti i campioni sono completi, capovolgete le piastre e mettetele in un’incubatrice. Potete controllarne la crescita ogni giorno. Solitamente ci vogliono da tre a cinque giorni in incubatrice per l’enumerazione delle colonie.
Inclusione su piastra
Il metodo di inclusione su piastra consiste nel mischiare un campione (tipicamente da 1 a 10 ml) con il terreno quando questo è ancora abbastanza caldo da essere liquido, ma non così caldo da uccidere gli organismi che volete far crescere. Una volta che il terreno si solidifica, la piastra viene capovolta e incubata.
Ci sono alcuni punti a cui prestare attenzione durante l’inclusione su piastra. L’errore più comune consiste nel mischiare il campione e il terreno prima che quest’ultimo si sia raffreddato a sufficienza, uccidendo alcuni o tutti i batteri e, in questo modo, alterando il risultato. Un altro problema comune è non mischiare il campione a sufficienza con il terreno. Se non mescolate abbastanza la miscela, non avrete una distribuzione equa delle colonie, rendendo difficoltosa una conta accurata. Dovreste anche evitare di mischiare un campione molto freddo con il terreno, poiché potrebbe abbassare la temperatura a tal punto da far solidificare il terreno attorno alle gocce di campione.
Materiali
• Campione di birra
• Piastre di Petri sterili
• Terreno in forma liquida ferma, 45-50 °C
• Pipetta
• Incubatrice (camera anaerobica se si ricercano batteri anaerobi)
Procedura
1. Preparate il terreno appropriato e assicurate la corretta temperatura (fare riferimento alla Figura 6.10, pag. 190, per la scelta dei terreni).
2. Pipettare una parte del campione sulla piastra. Potete testare campioni da 1 a 2 millilitri in piastre da 60 millimetri e fino a campioni da 10 millilitri in piastre da 100 millimetri. Se la concentrazione degli organismi è alta, potrebbe essere necessario preparare una diluizione del campione per ottenere una conta accurata.
3. Versate il terreno ancora liquido nella piastra fino a una profondità di almeno diversi millilitri mentre fate girare la piastra per distribuire equamente il campione. In alternativa, potete mischiare il campione e il terreno in una beuta e poi versare il tutto in una piastra.
4. Aspettate che il terreno si solidifichi e capovolgete la piastra.
5. Mettete in un’incubatrice (anaerobica se necessario), la parte con il terreno rivolta verso l’alto, a 30 °C per tre giorni.
6. Registrate i risultati, includendo numero, tipo, dimensione e colore delle colonie osservate. Alcuni batteri possono crescere sulla superficie, mentre altri formeranno colonie lenticolari all’interno dell’agar. Per campionare le colonie sommerse infilzate l’agar con un’ansa.
Spatolamento su piastra
Il metodo di spatolamento su piastra consiste nel diluire il campione e poi trasferirne una piccola quantità sulla superficie di una piastra con agar; poi si distribuisce equamente il campione con gli eventuali organismi sull’intera superficie con una spatola. Questa tecnica è limitata alla quantità di liquido che la superficie di agar può assorbire in un ragionevole periodo di tempo, generalmente non più di 0,1 millilitro su una piastra da 100 millimetri.
Materiali
• Campione di slurry di lievito
• Piastre con terreno
• Pipetta sterile
• Spatola di vetro
• Sorgente di fiamma
• Alcol isopropilico al 70% in un becher abbastanza profondo da sommergere l’estremità della spatola
7. Incubatrice (camera anaerobica se ricercate batteri anaerobi)
Procedura
1. Diluite il campione per fornire una concentrazione appropriata di organismi. Potreste avere bisogno di preparare molte diluizioni per ottenere colonie appropriatamente separate per la conta. Pipettate 0,1 millilitro del campione al centro della superficie di agar.
2. Rimuovete la spatola dal bagno alcolico e passatela brevemente attraverso la fiamma, facendo bruciare l’alcol. Se tenete la bacchetta troppo a lungo nella fiamma, diventerà calda e potrebbe bruciarvi la mano. Fate raffreddare all’aria la spatola nella zona intorno alla fiamma o toccate la superficie di agar lontano dal campione.
3. Distribuite il campione sulla superficie di agar con la spatola. Muovete la spatola avanti e indietro da cima a fondo attraverso la piastra per diverse volte. Diversamente dallo striscio con un’ansa per isolare colonie, dovete ripassare molte volte sulla superficie per distribuire il campione il più uniformemente possibile. Ruotate la piastra di 90 gradi e ripetete. Ruotate la piastra di 45 gradi e ripetete. Non sterilizzate la spatola quando girate la piastra.
4. Rimettete il coperchio sulla piastra e attendete diversi minuti fino a quando il liquido dal campione viene assorbito nell’agar. Fermate bene il coperchio e capovolgete la piastra, la parte con il terreno rivolta verso l’alto, prima di metterla nell’incubatrice.
5. Incubate (in modo anaerobico se necessario), con la parte con il terreno rivolta verso l’alto, a 30 °C per tre giorni.
6. Registrate i risultati, includendo numero, tipo, dimensione e colore delle colonie osservate.
Piastre di verifica
I laboratori utilizzano le piastre per produrre colture di lievito e per la verifica di contaminazioni di campioni liquidi, ma esse sono utilizzabili anche per esaminare l’ambiente del birrificio. È possibile porre piastre aperte in giro e ispezionare eventuali crescite per determinare quanto sia pulita o sporca l’aria in una zona particolare. Chiamiamo queste piastre “piastre di verifica”. Ecco un esempio di dove possono essere utili.
Un birrificio ha segnalato fuoriuscita di birra da alcune delle bottiglie, che sembrerebbe dovuta a una contaminazione da lievito selvaggio, ma non ha testato completamente le bottiglie. Abbiamo disposto delle piastre di controllo in molte aree della zona di produzione e imbottigliamento e alcune al di fuori. Come per molti piccoli birrifici, la maggior parte delle porte restava aperta tutto il giorno (comprese le porte avvolgibili). Inoltre, gran parte dei piccoli birrifici non dispone le proprie linee di imbottigliamento in una camera pulita separata, quindi è soggetta all’ambiente esterno. Le piastre disposte all’esterno hanno mostrato enormi livelli di lieviti selvaggi, così come quelle all’interno. I tamponi prelevati dalle bottiglie vuote e le colture della birra hanno mostrato la contaminazione con gli stessi lieviti selvaggi dell’ambiente esterno.
Materiali
• Piastre con WLN e WLD (vedi la sezione sui terreni Wallerstein, pagg. 214-215)
• Incubatrice.
Procedura
1. Fate riscaldare le piastre con WLN e WLD.
2. Tenete da parte una serie di piastre di controllo. Non apritele, poiché servono per testare la sterilità delle piastre.
3. Etichettate una piastra con WLN e una con WLD per ogni area da testare e indicate la data.
4. Ponete le piastre etichettate con WLN e WLD nel birrificio, nella zona di fermentazione, in laboratorio, nell’area di inoculo del lievito, nella zona di imbottigliamento ecc., senza coperchi e con la superficie esposta.
5. Lasciate aperte le piastre per 60 minuti.
6. Dopo 60 minuti, chiudete e raccogliete tutte le piastre, incluse quelle di controllo, e mettetele nell’incubatrice con la parte con il terreno rivolta verso l’alto, a 30 °C per tre giorni.
7. Registrate i risultati, includendo numero, tipo, dimensione e colore delle colonie osservate.
Utilizzare un tampone
Questo è un test più diretto rispetto alle piastre di verifica. Al posto di controllare ciò che cade sulla piastra dall’aria, si passa un tampone di cotone sterile su un’area, lo si trasferisce su una piastra e si vede cosa cresce. È un modo molto efficace per controllare l’interno di tubi, serbatoi, guarnizioni e scambiatori di calore.
Materiali • Piastre con terreni
• Tamponi sterili
• Incubatrice
Procedura
1. Fate riscaldare le piastre a temperatura ambiente.
2. Etichettate le piastre con la zona tamponata e la data. Utilizzate piastre con WLD e SDA per ricercare i batteri. Utilizzate piastre con LCSM o altre piastre per lieviti selvaggi per ricercare questi ultimi.
3. Prendete un tampone di cotone sterile e strisciate una piastra. Etichettate questa piastra “Controllo”. Questo assicura che i tamponi siano sterili e il terreno sia buono.
4. Prendete un altro tampone di cotone sterile e tamponate l’area da testare.
5. Strisciate le piastre appropriatamente etichettate.
6. Lo stesso tampone può essere strisciato su due o più piastre se si utilizzano diversi tipi di terreni.
7. Riporre in un’incubatrice, il lato con il terreno rivolto verso l’alto, a 30 °C per tre giorni.
8. Registrate i risultati, includendo numero, tipo, dimensione e colore delle colonie osservate.
Prelevare un campione da un serbatoio
Spesso la birra che volete testare è ancora nel fermentatore, e bisogna ottenere un campione pulito per evitare falsi valori nel laboratorio. È importante che tutto il personale prelievi i campioni utilizzando lo stesso metodo. Una mancanza di attenzione alla pulizia e alla sanitizzazione può condurre a sperimentazioni microbiche incostanti e fermentatori contaminati.
Il metodo è semplice: lavorare il più asetticamente possibile. È importante preparare i materiali prima di iniziare la raccolta. Rimuovete eventuali gioielli dalle mani e dagli avambracci e lavatevi accuratamente. Se possibile, indossate guanti in lattice e utilizzate isopropanolo sulle mani guantate. Per migliori risultati, lavorate in prossimità di una fiamma. Potete utilizzare una fiamma a gas portatile per sterilizzare il punto di campionamento. Lavorate il più rapidamente possibile una volta aperto il contenitore sterile.
Materiali
• Recipienti di raccolta sterili contrassegnati con il tipo e la data di campionamento
• Tamponi per il campionamento in cotone o spugna
• Isopropanolo al 70% o salviettine asettiche
• Fiamma a gas portatile
Procedura
1. Tenete a portata di mano una bottiglia sterile ed etichettata per la raccolta, con il tappo svitato (ma non ancora rimosso).
2. Pulite l’interno del rubinetto con un tampone imbevuto di isopropanolo. Ripetete l’operazione finché non è perfettamente pulito. Utilizzate una salviettina antisettica o dell’isopropanolo per pulire la parte esterna del rubinetto.
4. Se possibile, flambate il rubinetto con la fiamma portatile.
5. Aprite la valvola e fate scorrere circa 0,33 litri di birra prima di raccoglierla nella bottiglia sterile. Raccogliete un minimo di 120 millilitri per un esame microbico completo. Chiudete bene il tappo.
6. Ripetete la procedura di pulizia dopo la raccolta del campione, e portate i campioni in laboratorio per l’esecuzione dei test, che potrebbero includere filtrazione a membrana o piastratura.
Test del mosto forzato
Il test del mosto forzato è un modo semplice e molto efficace per controllare che la fase calda del processo di fermentazione sia pulita. Dopo aver raffreddato il mosto, raccoglietene una piccola quantità prima dell’inoculo del lievito. Potete prelevare diversi campioni a ogni passo del processo, per aiutare a isolare eventuali problemi nella fase fredda. Una volta ottenuti i campioni, incubateli per vedere se crescono eventuali contaminazioni. Se la crescita avviene presto, dopo uno o due giorni, sapete che c’è stato un problema di contaminazione. Ecco una procedura molto semplice.
Materiali
• Recipiente sterile per la raccolta del mosto
• Incubatrice o ambiente caldo
• Agitatore (facoltativo)
Procedura
1. Raccogliete in modo asettico il campione di mosto dal fermentatore prima dell’inoculo del lievito.
2. Riponete nell’incubatrice a 30 °C per tre giorni, su un agitatore se ne avete uno.
3. Ispezionate alla ricerca di torbidità, bolle, odori sgradevoli, già a partire dal primo giorno.
4. Fate riferimento alla Figura 6.11 per i risultati.

Figura 6.11: Risultati del test del mosto forzato.

Potete anche controllare la stabilità del mosto con il lievito, per vedere se l’inoculo o il processo di inoculazione hanno introdotto eventuali contaminazioni.
Materiali
• Recipiente sterile per la raccolta del mosto
• Soluzione di cicloesimide
• Incubatrice o ambiente caldo
• Agitatore (facoltativo)
Procedura
1. Raccogliete in modo asettico un campione di mosto dal fermentatore, dopo l’inoculo di lievito.
2. Aggiungete 1 millilitro di soluzione di cicloesimide per 100 millilitri di campione. Contrassegnate chiaramente il campione come velenoso.
3. Riponete nell’incubatrice a 30 °C per 3 giorni, su un agitatore se ne avete uno.
4. Ispezionate alla ricerca di torbidità, bolle, odori sgradevoli, ma non assaggiate, perché è velenoso.
5.Fate riferimento alla Figura 6.11 per i risultati e confrontateli con quelli del mosto non inoculato.
6. Gettate il campione in modo sicuro e adeguato.

Potete effettuare gli stessi test sulla birra confezionata per controllare la stabilità del vostro processo di confezionamento. Se imbottigliate la birra, tenete da parte un paio di bottiglie a 30 °C e ispezionate le loro condizioni nel tempo. Potete anche trattare alcuni campioni con cicloesimide, ma prestate estrema attenzione per evitare che qualcuno assaggi la birra per caso.
TEST DI FERMENTAZIONE FORZATA
Dovreste prendere in considerazione di effettuare un test di fermentazione forzata (chiamato anche test di attenuazione forzata) per ogni birra. Una volta che il mosto è stato ossigenato, inoculato, ed è pronto per la fermentazione, prelevatene un campione in modo asettico. Prendete un campione grande a sufficienza per effettuare almeno un test di densità specifica e qualsiasi altra prova vogliate fare. Forzerete la fermentazione in modo che raggiunga l’attenuazione massima attraverso temperatura alta e mescolamento costante. Il risultato solitamente consiste in una densità finale leggermente inferiore rispetto a quella della fermentazione principale; per questo motivo, in passato questo esame veniva chiamato test del limite di attenuazione (LA).
Materiali
• Recipiente sterile per la raccolta del mosto
• Incubatrice o ambiente caldo
• Agitatore o piastra agitante (facoltativo)
Procedura
1. Raccogliete in modo asettico un campione di mosto dal fermentatore, dopo l’inoculo di lievito.
2. Riponetelo su una piastra agitante o su un agitatore, se ne avete uno, a 27 °C.
3. Quando termina ogni attività, controllate la densità specifica: si tratta della densità minima, il limite di attenuazione possibile con la combinazione di quel lievito e quel mosto.

Questa fermentazione di prova dovrebbe raggiungere la densità finale più rapidamente della fermentazione principale. Potete quindi usare tale informazione per aiutarvi a prendere delle decisioni sulla fermentazione principale. Se essa sembra arrestarsi presto, saprete già quale livello di attenuazione era possibile. Se avete bisogno di aggiustare la temperatura della fermentazione principale sulla base di una percentuale di attenuazione, saprete quale livello rappresenta il 100% di attenuazione.
TEST DEL DIACETILE
I grandi birrifici misurano i livelli di diacetile mediante gascromatografia (o come livelli di dichetoni vicinali totali con uno spettrofotometro). Questi metodi vanno oltre le possibilità di molti piccoli birrifici e della maggior parte degli homebrewer, ma esiste un modo semplice e non quantitativo per vedere se la birra ha potenziale diacetile. I precursori del diacetile si trasformano in diacetile con l’ossidazione. Potete forzare questa conversione in laboratorio, utilizzando il calore e l’ossigeno per trasformare in breve tempo i precursori insapori presenti nella birra in diacetile.
Materiali
• Due bicchieri
• Carta di alluminio
• Bagno di acqua calda
• Bagno di acqua fredda
• Termometro
Procedura
1. Riscaldate l’acqua tra 60 e 71 °C.
2. Raccogliete la birra nei bicchieri e copriteli con carta di alluminio.
3. Riponete un bicchiere nel bagno di acqua calda, mentre mantenete l’altro a temperatura ambiente.
4. Dopo 10 o 20 minuti togliete la birra dal bagno caldo e raffreddatela alla stessa temperatura dell’altro campione. Un bagno di acqua fredda è utile per il raffreddamento.
5. Rimuovete la carta di alluminio e annusate ogni campione. Se avvertite il carattere burroso del diacetile in uno dei due o in entrambi i campioni, sapete che quella birra contiene i precursori del diacetile.
Figura 6.12: Risultati del test del diacetile.

Se il diacetile è presente, non travasate né confezionate la birra. Lasciatela con il lievito e continuate a controllare ogni giorno. Aumentare la temperatura della birra di qualche grado incrementerà la velocità di assorbimento del diacetile. Se avete già travasato la birra, potrà esservi di aiuto aggiungere krausen o lievito in maggiore attività fermentativa.
METODO AD AMPIO SPETTRO PER I DICHETONI VICINALI (VDK)
Se avete accesso a uno spettrofotometro, questo metodo vi permetterà di quantificare i livelli di diacetile nella birra.
Reagenti
a. Soluzione di naftolo. Dissolvete 4 grammi di naftolo (C10H7OH) in 100 millilitri di isopropanolo, 99,6%. Aggiungete circa 0,5 grammi di carbone vegetale e agitate la miscela per circa 30 minuti, poi filtrate. Conservate il filtrato al buio in un flacone color ambra.
b. Soluzione di KOH e creatina. Dissolvete 0,3 grammi di creatina in 80 millilitri di soluzione (acquosa) di KOH al 40% e filtrate. Conservate refrigerata in un contenitore di polietilene.
c. Soluzione di diacetile per la conservazione. Preparate una soluzione acquosa contenente 500 milligrammi per litro. Conservate refrigerata in un flacone color ambra.
d. Soluzione di diacetile pronta all’uso. Preparatela subito prima dell’uso diluendo 1 millilitro di soluzione per la conservazione in 100 millilitri di acqua; concentrazione 5,0 milligrammi per litro.
Impianto
• Colorimetro o spettrofotometro
• Sistema di distillazione, preferibilmente interamente in vetro
• Matracci volumetrici, 10 ml
• Cilindri graduati, 50 ml
• Mantello riscaldante per matracci
Calibratura
Preparate una curva standard da 0,5, 1,0, 1,5, 3,0 e 4,0 millilitri di soluzione di diacetile pronta all’uso in matracci volumetrici da 10 ml. Aggiungete acqua a sufficienza da portare il volume in ogni matraccio approssimativamente a 5,0 millilitri. Utilizzate 5 millilitri di acqua per il reagente bianco. Sviluppate i colori come descritto nel punto 2 qui sotto.
Procedura
1. Distillate 100 millilitri di birra decarbonata in un cilindro graduato da 50 millilitri contenente 5 millilitri di acqua. Raccogliete circa 15 millilitri di distillato e diluite con l’acqua fino a 25 millilitri. Pipettate un’aliquota di 5 millilitri in un matraccio volumetrico da 10 millilitri.
2. Sviluppo del colore. Aggiungete 1 millilitro di soluzione di naftolo (reagente a) a ogni matraccio e mescolate. Aggiungete 0,5 millilitri di soluzione di KOH e creatina (reagente b) a non più di 4 o 5 matracci alla volta. Riempite fino al segno e agitate vigorosamente per esattamente 1 minuto. Lasciate riposare e misurate l’assorbanza a 530 nm rispetto al reagente bianco tra 5 e 6 minuti dopo l’agitazione. Ripetete questa procedura fino a quando tutti i campioni sono stati misurati.
3. Tracciate il grafico dei valori di assorbimento per gli standard in milligrammi di diacetile per litro. Leggete le incognite dal grafico e calcolate il contenuto di diacetile della birra.
PROVE DI FERMENTAZIONE
Lo scopo di una prova di fermentazione in laboratorio consiste nell’imitare la fermentazione in birrificio su una scala molto più piccola: 1,5 litri è una dimensione che funziona bene. Questo test permette a un birraio di sperimentare con un nuovo ceppo di lievito, o con molteplici ceppi, non solo l’attenuazione ma anche la velocità di fermentazione e i composti di sapore. Potete effettuare diverse prove in una sola volta senza che risulti troppo scomodo. Raccogliete 1,5 litri di mosto caldo (bollito e luppolato come al solito), per ogni prova che volete condurre, in un grande contenitore sterile. Raffreddate il mosto alla temperatura di fermentazione desiderata, poi ossigenate secondo i normali standard del vostro birrificio. Potete anche aggiungere al mosto una piccolissima quantità di antischiuma sterilizzato per evitare la fuoriuscita di schiuma. Trasferite 1,5 litri di mosto ai contenitori per la fermentazione utilizzando tecniche asettiche.
Ora siete pronti per inoculare il lievito ai corretti tassi di inoculo. È fondamentale che utilizziate tassi di inoculo il più accurati possibili, poiché le fermentazioni su piccola scala sono più inclini agli errori nei tassi di inoculo. Così come con tutte le fermentazioni, in laboratorio o per la produzione principale, dovreste registrare e monitorare le temperature di fermentazione dal momento dell’inoculo alla fine. Inoltre, tenete un registro dei valori giornalieri della densità di ogni fermentazione per sette giorni. Il controllo della temperatura è il parametro più importante da perfezionare; altrimenti, la birra prodotta con la fermentazione di prova non avrà lo stesso sapore di quella della fermentazione principale. Tracciare un grafico dei valori della densità nel tempo fornisce un confronto visivo dell’attenuazione tra le varie fermentazioni. Oltre a ciò, potete analizzare la birra risultante per altri elementi, come i composti amaricanti e di sapore. Il metodo in laboratorio utilizza volumi abbastanza ampi per permettere misurazioni giornaliere della densità e anche analisi post-fermentazione.
FABBISOGNO D’OSSIGENO DEL CEPPO DI LIEVITO
I vari ceppi di lievito hanno differenti fabbisogni di ossigeno. Alcuni sono stimolati da bassi livelli di ossigeno disciolto, mentre altri ne richiedono alti livelli per raggiungere la giusta attenuazione (Jakobsen e Thorne, 1980). Ceppi di lievito molto flocculanti tendono ad avere una elevata richiesta di ossigeno (osservazioni della White Labs). Anche se scoprite che il vostro ceppo di lievito ha un basso fabbisogno di ossigeno durante la fermentazione, il livello di ossigeno disciolto può influenzare la sua capacità di sopravvivere alla conservazione e il numero di generazioni che è possibile riutilizzare. Un altro punto da tenere a mente è che esiste una correlazione tra il fabbisogno di ossigeno e il tipo di propagazione necessario. Per esempio, i ceppi di lievito con un fabbisogno maggiore hanno bisogno di più ossigeno durante la propagazione per portare a termine con successo una fermentazione. Dovreste effettuare questo test sui ceppi che utilizzate per determinare il fabbisogno di ossigeno di ciascuno. È meglio ripetere il test almeno sei volte, selezionando il lievito da generazioni e condizioni di conservazione diverse.
Materiali
• Misuratore di ossigeno disciolto
• Piastra agitante
• Strumenti per fermentazione di prova
Procedura (Modificata da Jakobsen e Thorne, 1980)
1. Per ogni ceppo di lievito, allestite quattro fermentazioni di prova.
2. Ossigenate ciascuna delle quattro prove rispettivamente a 0, 2, 5 e 10 ppm.
3. Inoculate il lievito a un tasso di 10 milioni/millilitro di mosto, come è solito nelle fermentazioni di prova.
4. Misurate la densità ogni 24 ore per sette giorni.

• Supponete che la prova con 10 ppm sia la misura dell’attenuazione al 100%, oppure effettuate un test del limite dell’attenuazione. Il livello di ossigenazione, che porta a un’attenuazione del 50% in due giorni, determina se il lievito ha un fabbisogno di ossigeno basso, medio o alto. Potete anche svolgere questo test in modo non quantitativo, senza prove di fermentazione, variando i livelli di ossigeno disciolto in cotte diverse.
• Basso, lievito stimolato da meno di 5 ppm.
• Medio, lievito stimolato da 5 ppm.
• Alto, lievito stimolato da 10 ppm o più.
Figura 6.13: Risultati del test per il fabbisogno di ossigeno.

Non esistono indicazioni assolute sul modo in cui questi livelli di fabbisogno di ossigeno pareggino la quantità di ossigeno di cui un ceppo necessita in preparazione alla fermentazione di una cotta di birra, ma il procedimento sopra descritto può darvi una buona idea di cosa sperimentare. Se state testando un ceppo ad alto fabbisogno, assicuratevi di ossigenare adeguatamente. Se state invece sperimentando con un ceppo a basso fabbisogno, forse diminuire i livelli di ossigeno disciolto farebbe sviluppare il profilo di sapore desiderato.
• Alto fabbisogno, provate 10-14 ppm
• Medio fabbisogno, provate 10 ppm
• Basso fabbisogno, provate 7-10 ppm
TEST DELLO IODIO PER IL GLICOGENO
Il lievito utilizza il glicogeno come riserva di carboidrati, più o meno allo stesso modo in cui gli esseri umani utilizzano i grassi. Il lievito accumula il glicogeno verso la fine della fermentazione, poiché è affamato per la mancanza di zucchero.
Il lievito utilizza il glicogeno per vivere durante la conservazione e dipende dalle sue riserve di glicogeno nel momento in cui viene aggiunto al mosto. Quando inoculate il lievito nel mosto, esso sfrutta il glicogeno per il metabolismo. I lieviti con buone riserve di glicogeno cominciano a fermentare più rapidamente. Esistono metodi complicati (enzimatici) e semplici (colore dello iodio misurato mediante spettrofotometro) per quantificare la quantità di ossigeno presente.
Materiali
• Spettrofotometro con spettro visibile.
• Cuvette da 1 cm
• Pipette
Procedura (Quain e Tubb, 1983)
1. Tenete i campioni di lievito in ghiaccio per prevenire la scomposizione del glicogeno durante l’analisi.
2. La concentrazione di lievito dovrebbe essere 4 milligrammi per millilitro di peso secco, o 20-25 milligrammi per millilitro di peso umido.
3. Mischiate il reagente iodio fresco/ioduro di potassio utilizzando acqua distillata (iodio 1 mg/ml in 10 mg/ml di ioduro di potassio).
4. Sospendete il lievito nel reagente e misurate subito l’assorbanza a una lunghezza d’onda di 660 nm.
5. Utilizzate lievito non macchiato come bianco.
6. Ottenete la concentrazione di glicogeno in mg/ml (x). L’assorbanza è proporzionale alla concentrazione di glicogeno.
x = (y – 0,26)/1,48, dove y è l’assorbanza.

Se non possedete uno spettrofotometro, potete stimare visivamente il glicogeno. Il reagente macchierà le cellule ricche di glicogeno (approssimativamente 1 mg/ml) di marrone molto scuro e le cellule povere di glicogeno (0,1 mg/ml) di giallo.
TEST DEI MUTANTI RESPIRATORI (PETITE)
Una delle mutazioni più comuni del lievito per birrificazione consiste nei mutanti respiratorio-deficienti, conosciuti anche come mutazioni petite. Questa mutazione modifica la capacità del lievito di respirare. Il risultato è che le cellule di lievito crescono ma restano molto piccole sulle piastre aerobiche (da qui il nome di mutanti petite). Se le mutazioni si accumulano a più dell’1% della popolazione di lievito, il risultato può consistere in scarse prestazioni durante la fermentazione e problemi di sapore fenolico e diacetile.

Figura 6.14: Test dei mutanti respiratori (petite). Le colonie che si colorano di rosa o rosso sono normali. Le colonie che non cambiano colore sono respiratorio-deficienti.

Materiali
• Piastre di agar a base di malto
• Agar
• 2 bottiglie di vetro sterili da 250 ml
• Acqua distillata
• Trifeniltetrazolio cloruro (TTC)
• NaH2PO4 (anidro, 120,0 g/mol) Na2HPO4 (anidro, 141,96 g/mol)

NOTA: Indossate sempre guanti, occhiali e schermo facciale quando lavorate con il TTC.

Procedura
1. Diluite il campione di lievito a 500-1.000 cellule/millilitro. Piastrate 0,1 millilitro di questa soluzione su una piccola piastra con agar a base di malto. Per la riproducibilità, preparate cinque piastre per ogni campione di lievito.
2. Lasciate incubare le piastre per due o tre giorni a 27 °C.
3. Preparate le soluzioni di copertura:

Soluzione A
Mettete in una bottiglia sterile da 500 ml:
• 1,26 g di NaH2PO4
• 1,16 g di Na2HPO4
• 3 g di agar
Riempite con acqua distillata fino al livello di 100 millilitri, mescolare il contenuto e lasciare il tappo allentato.

Soluzione B
Mettete in un’altra bottiglia da 500 ml:
• 0,2 g di TTC
Riempite con acqua distillata fino al livello di 100 millilitri, mescolare il contenuto e lasciare il tappo allentato.
4.Sterilizzate in autoclave o mettete nella pentola a pressione ogni soluzione a 121 °C per 15 minuti. Combinate le due soluzioni quando raggiungono circa 55 °C.
5. Ricoprite ogni piastra con circa 10 millilitri della soluzione con TTC, assicurandovi che le colonie siano completamente coperte. Lasciate incubare le piastre da 1 a 3 ore a 27 °C e registrate subito i risultati. Lasciare le piastre in incubazione più a lungo o riporle al freddo per contarle in seguito faranno ossidare il TTC compromettendo i risultati del test.
6. Le colonie che si colorano di rosa o rosso sono normali. Le colonie che non cambiano colore sono respiratorio-deficienti.
7. Contate il numero di colonie colorate e non per determinare la percentuale di mutanti respiratori nella coltura. Un livello accettabile è meno dell’1%.
TERRENO DI COLTURA CON DESTROSIO, PEPTONE ED ESTRATTO DI LIEVITO (YPD O YEPD)
Potete preparare l’YPD come brodo o come terreno solido. Lo utilizzerete per piastre e provette in alcune procedure dei test, nonostante possiate utilizzare anche terreni a base di malto. Per la coltura e la propagazione, dovrete utilizzare un terreno a base di malto al posto dell’YPD (vedi la sezione “Coltura del lievito”, pagg. 172-187). L’YPD non contiene maltosio, quindi non è un terreno appropriato per la crescita del lievito per la fermentazione.
Materiali
• Estratto di lievito
• Agar
• Peptone
• Acqua distillata
• Destrosio
• Bottiglia sterile
Procedura per la soluzione
1. Pesate 10 grammi di estratto di lievito, 20 grammi di peptone e 10 grammi di destrosio in una bottiglia sterile.
2. Aggiungete acqua distillata per arrivare a 1 litro.
3. Chiudete bene il tappo e agitate bene il contenuto.
4. Allentate il tappo, coprite con carta di alluminio e scrivete la data e il tipo di mezzo sul contenitore.
5. Sterilizzate in un’autoclave o una pentola a pressione a 121 °C per 15 minuti.
6. Lasciate raffreddare il mezzo prima dell’uso.
7. In alternativa, potete aggiungere destrosio sterile dopo la sterilizzazione in autoclave per evitare la scomposizione dei carboidrati.
Procedura per il terreno solido
1. Pesate 10 grammi di estratto di lievito, 20 grammi di peptone, 20 grammi di destrosio e 20 grammi di agar in una bottiglia sterile.
2. Aggiungete acqua distillata per arrivare a 1 litro.
3. Chiudete bene il tappo e agitate bene il contenuto. Allentate il tappo e passate al microonde per sciogliere i solidi, prestando attenzione a evitare che il mezzo in ebollizione trabocchi. State attenti a maneggiare la bottiglia, in quanto sarà molto calda.
4. Una volta sciolto l’agar, coprite il tappo con carta di alluminio e scrivete la data e il tipo di mezzo sulla bottiglia.
5. Sterilizzate in un’autoclave o una pentola a pressione a 121 °C per 15 minuti.
6. Lasciate raffreddare il mezzo fino a circa 55 °C prima di usarlo per le piastre.
TEST SUI BATTERI
Il numero di organismi dannosi capaci di distruggere la birra è, in realtà, molto basso, ma i loro effetti possono essere spaventosi. A causa della presenza di resine del luppolo (che si comportano come agenti antibatterici), del basso pH, delle alte temperature di cottura, dell’etanolo e della fermentazione anaerobica, la birra rappresenta un ambiente ostile con risorse limitate per la maggior parte degli organismi. Tuttavia, c’è qualche organismo che prospera nella birra. Nonostante nessuno di questi possa causare morte o gravi malattie, possono danneggiare molto la birra.
Lactobacillus: il più comune batterio nocivo per la birra. I lactobacilli sono resistenti ai composti chimici del luppolo e agiscono in condizioni anaerobiche. Abbondano nelle nostre bocche e sui grani, e questo è uno dei motivi per cui non dovreste macinare il malto dove la polvere può raggiungere la fase fredda del processo. Prove della presenza di lactobacilli sono un’aspra acidità simile al latte avariato e possibili sentori di diacetile. Solitamente provocano una torbidità simile a quella del lievito non flocculante.
Pediococcus: talvolta si trovano nelle fasi finali della produzione di birra, specialmente nelle lager. Possono essere simili ai lactobacilli e producono acidità, sentori di diacetile e a volte viscosità e aspetto simile a filamenti.
B. coagulans e B. stearothermophilus: questi microrganismi meno conosciuti possono causare deterioramento del mosto quando viene lasciato per lunghi periodi a temperature elevate (da 65 a 80 °C) e possono creare alti livelli di acido lattico.
Batteri acetici: Acetobacter e Gluconobacter agiscono principalmente in condizioni aerobiche e ossidano l’etanolo in anidride carbonica e acqua, dando origine all’aceto.
Obesumbacterium proteus: questi batteri sono in grado di tollerare vari livelli di pH (da 4,4 a 9) ma sono poco resistenti ai composti del luppolo. Sono i responsabili di dimetil solfuro, dimetil disolfuro, diacetile e alcoli superiori. Producono sentori di vegetali o verdure cotte.
Zymomonas: questi batteri possono fermentare il glucosio o il fruttosio in etanolo e produrre acetaldeide e acido solfidrico, che può produrre un aroma di uova marce nella birra finita.
TERRENO UBA
L’agar universale per birra (in inglese Universal Beer Agar, UBA) è un terreno che contiene sostanze nutritive e agar. Durante la preparazione vi si aggiunge birra, il che lo rende, a quel che si dice, più simile di ogni altro terreno all’ambiente naturale di una birra. Utilizzando la birra per preparare il terreno, questo diventa più selettivo per i microrganismi che si sono adattati alla presenza dei composti della birra, come luppoli e alcol. Ciò riduce la possibilità di falsi positivi da organismi che non danneggiano la birra. Potete anche aggiungere cicloesimide (1 mg/l) per sopprimere la crescita del lievito quando testate degli slurry alla ricerca di contaminazioni batteriche.
Materiali
• Terreno UBA
• Acqua distillata
• Birra
• Cicloesimide (facoltativo)
• Autoclave o pentola a pressione
• Beuta da 500 ml
• Tappo in spugna o cotone
Procedura
1. Pesate 5,5 grammi di UBA nella beuta.
2. Aggiungete 75 millilitri di acqua distillata (e cicloesimide, se volete sopprimere la crescita del lievito). Chiudete con un tappo in spugna o in cotone, portate il contenuto a ebollizione e lasciate bollire per 1 minuto agitando costantemente per dissolvere il tutto.
3. Mentre il terreno è caldo, aggiungete 25 millilitri di birra senza sgasarla.
4. Sterilizzate in autoclave a 121 °C per 10 minuti. Temperature e durate maggiori sono dannose per il terreno.
5. Dopo la sterilizzazione in autoclave potete utilizzare il terreno per piastre da inclusione quando raggiunge 45-50 °C, oppure potete versare da 12 a 15 millilitri di terreno in piastre di Petri e farlo solidificare. Potete utilizzare le piastre solidificate per altre sperimentazioni.
6. Conservate le piastre inutilizzate in frigorifero e tenetele al riparo dalla luce. La durata delle piastre così preparate è approssimativamente di una settimana, e di due mesi per il terreno conservato in bottiglia.
7. Una volta che i campioni sono piastrati, chiudete e capovolgete le piastre. Riponetele in un’incubatrice a 30 °C, in un ambiente anaerobico per identificare i batteri dannosi per la birra, oppure in un ambiente aerobico per rilevare i batteri che danneggiano il lievito e il mosto.
8. Esaminate giornalmente le piastre per tre giorni alla ricerca di crescita. Selezionate colonie identiche e tipiche per una ulteriore identificazione mediante colorazione di Gram o altri metodi.
TERRENO HLP
Il terreno HLP (Hsu’s Lactobacillus Pediococcus), come suggerisce il nome, si utilizza per testare la presenza di batteri acido-lattici Gram-positivi dei generi Lactobacillus e Pediococcus. L’HLP contiene cicloesimide, che uccide il lievito ma permette la crescita di batteri anaerobi. Inoculare il mezzo quando è ancora allo stato liquido (45 °C) lo fa solidificare attorno al campione, creando un ambiente anaerobico. L’HLP, inoltre, elimina tutto l’ossigeno presente al suo interno. Anaerobi, resistenti al calore e al luppolo, i lactobacilli e i pediococchi sono i più comuni microrganismi che danneggiano la birra. Ciò rende l’HLP uno dei terreni più popolari utilizzati dai laboratori dei birrifici.
Materiali Terreno HLP
• Acqua distillata
• Agar
• Pipette sterili
• Pipettatore meccanico
• Provette sterili per colture da 16 × 150 mm con tappo avvitabile
• Beuta da 500 ml
• Tappo in spugna o cotone
• Incubatrice
Procedura
ATTENZIONE: Indossate occhiali protettivi, guanti e schermo facciale quando pesate l’HLP.
1. Pesate 7 grammi di terreno HLP e 2 grammi di agar. Mischiate con 100 millilitri di acqua distillata nella beuta.
2. Chiudete la beuta con un tappo di spugna o cotone permeabile.
3. Portate a ebollizione e mescolate frequentemente il contenuto per sciogliere completamente l’HLP.
4. Fate raffreddare sotto una cappa o su un banco da laboratorio. Se volete utilizzare la miscela in un momento successivo, fatela raffreddare fino a temperatura ambiente e poi conservatela al freddo per non più di due settimane.
5. Se volete utilizzare subito la miscela, misurate la temperatura per assicurarvi che sia correttamente a 45 °C prima di versarla nelle provette.
6. Pipettate 1 millilitro di campione in esame in una provetta sterile da 16 × 150 mm con tappo avvitabile. Contrassegnate ogni provetta con il numero di campione e la data.
7. Trasferite 17 millilitri di terreno HLP in ogni provetta e chiudete bene i tappi.
8. Capovolgete dolcemente per due volte per distribuire uniformemente il campione nella provetta.
9. Riponete le provette in un’incubatrice a 30 °C per 48 ore.
10. Effettuate una conta preliminare. I lactobacilli appaiono come colonie bianche dalla forma di lacrima capovolta, mentre i pediococchi appaiono come colonie bianche sferiche.
11. Rimettete in incubatrice a 30 °C per altre 24-48 ore.
12. Effettuate una conta finale.
TERRENO SDA
Potete utilizzare l’agar SDA (Schwarz Differential Agar), conosciuto anche come LMDA (Lee’s Multi-Differential Agar), per rilevare la presenza di batteri aerobi e/o anaerobi. L’SDA contiene carbonato di calcio (CaCO3) per aiutare l’identificazione di batteri che producono acido, verde di bromocresolo per differenziare le caratteristiche delle colonie in base al colore e, facoltativamente, cicloesimide per impedire la crescita del lievito. I batteri acetici (Acetobacter, Gluconobacter) mostrano un alone intorno alle colonie e appaiono di colore blu-verdastro nella parte inferiore. Siccome questi organismi sono spesso resistenti agli effetti negativi di alcol, acido e luppoli, la birra è per loro un terreno ospitale. Torbidezza, aspetto filamentoso e sentori sgradevoli sono i risultati anche di una piccola quantità di contaminazione da Acetobacter o da Gluconobacter.
Potete utilizzare lo stesso terreno in condizioni anaerobiche per rilevare Lactobacillus e Pediococcus. Le colonie di lactobacilli mostrano un alone e appaiono bianche giallognole con centro verde scuro e parte inferiore gialla. I pediococchi crescono più lentamente degli altri organismi. Appaiono più piccoli con un piccolo alone.
Materiali
• Terreno SDA
• Cicloesimide (facoltativo)
• Acqua distillata
• Autoclave o pentola a pressione
• Pipette sterili
• Pipettatore meccanico
• Piastre di Petri sterili
• Beuta da 500 ml
• Tappo in spugna o cotone
• Incubatrice
Procedura
1. Pesate 8,3 grammi di SDA in una beuta da 500 ml.
2. Aggiungete 100 millilitri di acqua distillata e il 10% di cicloesimide se volete sopprimere la crescita del lievito. Chiudete con un tappo in spugna o cotone e portate il contenuto a ebollizione per 1 minuto agitando continuamente per far sciogliere il contenuto.
3. Sterilizzate in autoclave a 121 °C per 10 minuti. Temperature e durate maggiori sono dannose per il terreno.
4. Dopo la sterilizzazione in autoclave, girate frequentemente la beuta mentre si raffredda per mantenere in sospensione il CaCO3, ma evitate la formazione di schiuma.
5. Quando il terreno ha raggiunto i 45 °C, versatene 12-15 millilitri in piastre di Petri sterili e fatelo solidificare. Per assicurare una distribuzione uniforme di CaCO3, evitate di muovere le piastre dopo aver versato il terreno.
6. Se c’è della schiuma sulla superficie, flambatela con un becco di Bunsen o rompete le bolle.
7. Quando le piastre si sono solidificate, capovolgetele e lasciatele asciugare una notte in incubatrice a 30 °C. Evitate di asciugarle a temperature superiori o più a lungo del necessario.
8. Diluite il campione da esaminare a una concentrazione compresa tra 100 e 900 cellule batteriche per millilitro. Il vostro scopo è di avere circa 25-50 colonie per piastra. Potreste preparare varie diluizioni per migliorare le possibilità di avere la giusta concentrazione.
9. Pipettate 0,1 millilitro di campione su una piastra con SDA e distribuitelo con una spatola cellulare sterile.
10. Chiudete e capovolgete le piastre. Riponetele in un’incubatrice a 30 °C in un ambiente anaerobico per rilevare batteri dannosi per la birra o in un ambiente aerobico per rilevare batteri dannosi per il lievito e il mosto.
11. Anche se alcune colonie si formano presto, ci vogliono da quattro a sette giorni perché le colonie batteriche si sviluppino abbastanza per riuscire a identificare l’organismo.
TERRENO MACCONKEY
Il MacConkey è un terreno differenziale che seleziona i batteri Gram-negativi (come Escherichia coli) e inibisce la crescita dei batteri Gram-positivi mediante cristalvioletto e sali biliari. Contiene due additivi che lo rendono differenziale: rosso neutro (un indicatore del pH) e lattosio (un disaccaride).
Materiali
• Terreno MacConkey
• Acqua distillata
• Autoclave o pentola a pressione
• Piastre di Petri sterili
• Beuta da 500 ml
• Tappo in spugna o cotone
• Incubatrice
• Campione di birra o acqua da 100 ml
• Impianto per filtrazione a membrana
• Pompa a vuoto
• Cuscinetti filtranti (diametro 47 mm)
• Membrana (dimensione pori 0,45 micron)
• Spatola o pinze di metallo
• Incubatrice
Procedura
1. Pesate 5 grammi di agar MacConkey nella beuta.
2. Aggiungete 100 millilitri di acqua distillata. Chiudete con un tappo in spugna o cotone e portate il contenuto a ebollizione per 1 minuto agitando costantemente per far sciogliere il contenuto.
3. Sterilizzate in autoclave a 121 °C per 15 minuti.
4. Quando il terreno raggiunge 45 °C, versatene 12-15 millilitri in ciascuna piastra di Petri e fatelo solidificare.
5. Seguite il processo per la filtrazione a membrana del campione da 100 millilitri.
6. Capovolgete la piastra e mettetela in un’incubatrice a 30 °C. Potete controllare ogni giorno la piastra per eventuali crescite. Di solito sono necessari da tre a cinque giorni nell’incubatrice per l’enumerazione delle colonie. Le colonie che fermentano il lattosio appaiono rosse o rosa. Altri batteri formano colonie incolore.
COLORAZIONE DI GRAM
Lo scienziato danese Hans Christian Gram inventò la colorazione di Gram nel 1884 cercando di favorire la tassonomia dei batteri. La colorazione di Gram permette di separare batteri non identificati in due gruppi: Gram-positivi e Gram-negativi. Nonostante tale separazione possa non essere significativa nella classificazione dei batteri, ha una grande importanza nei laboratori dei birrifici. Sei dei circa diciotto batteri contaminanti della birra più comuni sono Gram-positivi. Anche se ciò non fornisce una identificazione definitiva dei batteri, è uno strumento utile nel restringere il campo dei possibili organismi che rovinano la birra. La procedura di colorazione di Gram è costituida da un colorante primario, un agente di cattura, un agente decolorante e un contro-colorante. Le cellule Gram-positive trattengono la colorazione del cristalvioletto e appaiono viola. Le cellule Gram-negative non trattengono la colorazione del cristalvioletto e trattengono invece la contro-colorazione rosa della safranina. Nonostante sia le cellule Gram-positive sia quelle Gram-negative assorbano entrambe la colorazione del cristalvioletto, solo le cellule Gram-positive riescono a trattenerla. L’agente decolorante distrugge parzialmente la parete cellulare delle cellule Gram-negative, inibendone la capacità di trattenere la colorazione del cristalvioletto e permettendo invece alla safranina di attecchire.
Oltre al contributo nell’identificazione batterica, la colorazione di Gram aumenta la definizione della struttura e del pattern cellulare. È possibile integrare la colorazione di Gram con altri test, come la reazione della catalasi e dell’ossidasi, per identificare il microbo in questione.
Materiali
• Vetrini
• Bottiglia per il risciacquo riempita d’acqua
• Cristalvioletto
• Iodio di Gram Alcol etilico al 95%
• Safranina
Preparare uno striscio
1. Utilizzando un’ansa da inoculo, trasferite una goccia di coltura sul vetrino. Se la coltura contiene troppi batteri, lo striscio sarà troppo denso e sarà praticamente impossibile ottenere una buona colorazione.
2. La quantità appropriata di batteri sarà un punto di materiale a malapena visibile sull’ansa.
3. Diffondete la goccia fino a un diametro di circa 18 mm e lasciatela seccare all’aria.
4. Tenete il vetrino con delle pinze o una molletta, e ponetelo sopra una fiamma dolce per un paio di secondi. Muovete il vetrino sulla fiamma per evitare punti caldi. Questo aiuta a far aderire la coltura al vetrino senza bruciarla causando cambiamenti morfologici.
Procedura
1. Preparate uno striscio batterico della coltura in questione.
2. Utilizzando delle pinze o una molletta per tenere il vetrino, sommergete lo striscio con circa cinque gocce di cristalvioletto e aspettate 60 secondi.
3. Eliminate la colorazione e, molto delicatamente, risciacquate sotto al rubinetto o con una bottiglia da risciacquo. Dovete solo lavare via la colorazione in eccesso, non rimuovere lo striscio dal vetrino. Non risciacquate eccessivamente.
4. Bagnate il vetrino con circa cinque gocce di iodio di Gram per 60 secondi.
5. Eliminate lo iodio e risciacquate.
6. Decolorate aggiungendo gocce di alcol etilico al 95% sullo striscio finché la soluzione non è trasparente. Se aspettate troppo a lungo o risciacquate troppo, rimuoverete troppa colorazione dalle cellule. Questo è uno dei passaggi più importanti. Se ottenete sempre risultati Gram-negativi anche quando colorate batteri Gram-positivi, significa che risciacquate troppo.
7. Non appena diventa trasparente, risciacquate immediatamente con acqua.
8. Bagnate il vetrino con circa cinque gocce di contro-colorante safranina per 30 secondi.
9. Eliminate il contro-colorante e risciacquate.
10. Scuotete il vetrino per eliminare l’acqua in eccesso o tamponate dolcemente con della carta assorbente e lasciate asciugare all’aria.
11. Esaminate al microscopio. I Gram-positivi sono blu o viola e i Gram-negativi sono rosa o rossi.
TEST SUI LIEVITI SELVAGGI
Proprio come i batteri, potete ricercare i lieviti selvaggi con terreni specializzati, nonostante sia più difficile individuare i secondi rispetto ai primi. I lieviti selvaggi si comportano più come il lievito per birra, ed è quindi complesso individuare una piccola contaminazione da lieviti selvaggi all’interno di una grande popolazione di lievito per birra. Tuttavia, è importante fare questo sforzo, poiché i lieviti selvaggi possono creare sentori di plastica, fenolici e di cerotto. Esistono diversi tipi di terreno che potete utilizzare per ricercare i lieviti selvaggi.
LWYM O LCSM
Il terreno per lieviti selvaggi di Lin (Lin’s Wild Yeast Medium, LWYM) utilizza il cristalvioletto per inibire la crescita del lievito per birra permettendo invece la crescita del lievito selvaggio Saccharomyces. Se volete individuare un lievito selvaggio non Saccharomyces, allora utilizzate il terreno di solfato rameico di Lin (Lin’s Cupric Sulfate Medium, LCSM), che sfrutta il solfato rameico per permettere la crescita di lievito selvaggio non Saccharomyces. Piastrando su uno di questi due terreni, è possibile determinare se nel vostro lievito per birra sono presenti lieviti selvaggi. Alcuni ceppi di lieviti per birra mostreranno comunque delle microcolonie sui terreni per lieviti selvaggi, quindi è importante conoscerne la morfologia tipica ed essere consapevoli di eventuali differenze anormali.
Materiali
• LWYM o LCSM
• Acqua distillata
• Pipette sterili
• Pipettatore meccanico
• Provette sterili di coltura da 16 × 150 mm
• Beuta da 500 ml
• Tappo in spugna o in cotone
• Incubatrice
• Autoclave o pentola a pressione
Procedura
1. Misurate 4 grammi di LWYM o LCSM in 100 millilitri di acqua distillata in una beuta da 500 ml.
2. Aggiungete 1 millilitro di soluzione di cristalvioletto (LWYM) o di soluzione di solfato rameico (LCSM).
3. Fate sciogliere il terreno portando a ebollizione. Girate di frequente.
4. Sterilizzate in autoclave o nella pentola a pressione a 121 °C per 15 minuti.
5. Versate in tutte le piastre sterili 12-15 millilitri di terreno e lasciatelo solidificare.
6. Tenete in frigorifero le piastre con LWYM per 24-48 ore prima dell’utilizzo, ma usatele entro cinque giorni. Potete utilizzare le piastre con LCSM immediatamente o riporle in frigorifero, ma usatele entro tre giorni.
7. Diluite il lievito ad approssimativamente 5 milioni di cellule per millilitro. Pipettate 0,2 millilitri di campione diluito sul terreno LWYM o LCSM. Distribuite la coltura sulla superficie utilizzando una spatola per cellule sterile.
8. Riponete in un’incubatrice e mantenete a 28 °C da quattro a sei giorni. Potete supporre che ogni colonia distinta (ignorate le microcolonie) che si forma possa essere lievito selvaggio.
TERRENI CON LISINA
Il terreno con lisina utilizza la L-lisina per fornire agli organismi una fonte di azoto. La maggior parte del lievito Saccharomyces non può utilizzare la lisina come unica fonte di azoto, il che lo rende lisina-negativo. Molti altri ceppi di lievito (non Saccharomyces) utilizzano la lisina-N e crescono su terreni con lisina, il che li rende lisina-positivi.
Materiali
• Acqua distillata
• Estratto di lievito
• Lisina monocloridrato
• Agar
• Beuta da 500 ml
• Piastre di Petri sterili da 100 × 15 mm
• Pipette sterili
• Spatola sterile per cellule
• Autoclave o pentola a pressione
• Membrana filtrante sterile
Procedura
1. Sciogliete 2,35 grammi di estratto di lievito in 100 millilitri di acqua distillata e filtrate in modo sterile.
2. Aggiungete 0,5 grammi di lisina e 4,0 grammi di agar a 100 millilitri di acqua distillata e sterilizzate in autoclave a 121 °C per 15 minuti. Mentre è ancora liquido, aggiungete il liquido del passaggio precedente.
3. Raffreddate a 45-50 °C. Mischiate accuratamente 1 millilitro di campione con 12-15 millilitri di terreno con lisina su una piastra sterile e fate solidificare.
4. Diluite la coltura di lievito ad approssimativamente 5 milioni di cellule per millilitro. Pipettate 0,2 millilitri del campione diluito sulla piastra. Distribuite uniformemente sulla superficie utilizzando una spatola sterile per cellule.
5. Incubate a 27 °C da due a sei giorni e determinate il numero di lieviti selvaggi per millilitro del campione originale.
TERRENI DI COLTURA WALLERSTEIN
I terreni di coltura di Wallerstein Laboratories sono disponibili con e senza cicloesimide. Il terreno WLD (Wallerstein Laboratories Differential) contiene cicloesimide, che è un antibiotico che uccide la maggior parte del lievito per birra e delle muffe ma permette la crescita dei comuni batteri della birra. Il terreno WLN (Wallerstein Laboratories Nutrient) non contiene cicloesimide ed è non selettivo: permette la crescita di lievito per birra, lievito selvaggio, batteri e muffe. Sia il WLN che il WLD contengono l’indicatore verde di bromocresolo, che modifica il colore del terreno da blu a giallo o verde chiaro in presenza di batteri che secernono acidi.
È inoltre possibile incubare le piastre con il terreno Wallerstein sia in modo aerobico sia anaerobico. Le condizioni aerobiche aiuteranno a identificare i batteri acetici ed enterici, mentre le condizioni anaerobiche aiuteranno a identificare i lactobacilli e i pediococchi.
Materiali
• Acqua distillata
• Terreno WLN o WLD in polvere
• Beuta da 500 ml
• Piastre di Petri sterili da 100 × 15 mm
• Tappo in spugna o cotone
• Autoclave o pentola a pressione
Procedura
1. Pesate 8 grammi di terreno WLN o WLD e mettetelo in una beuta da 500 ml.
2. Aggiungete 100 millilitri di acqua distillata, tenete in ammollo per 10 minuti e poi girate per mescolare. Chiudete con un tappo di spugna o cotone e portate il contenuto a ebollizione per 1 minuto, agitando costantemente per farlo sciogliere.
3. Sterilizzate in autoclave a 121 °C per 15 minuti.
4. Lasciate raffreddare leggermente il terreno (per circa 20 minuti) prima di versarlo nelle piastre. In alternativa, una volta che il terreno si è raffreddato, potete chiudere il tappo ben saldo e conservare il terreno al freddo, per poi riscaldarlo e versarlo in un secondo momento.
5. Mentre il terreno si sta raffreddando, contrassegnate le piastre sterili con il tipo di terreno e la data.
6. Versate in ogni piastra sterile 12-15 millilitri di terreno e lasciatelo solidificare.
7. Diluite la coltura di lievito ad approssimativamente 5 milioni di cellule per millilitro. Pipettate 0,2 millilitri di campione diluito sulla piastra. Distribuite la coltura sulla superficie utilizzando una spatola sterile per cellule.
8. Riponete in un’incubatrice e mantenete per 48 ore in condizioni aerobiche a 30 °C per i batteri o in condizioni anaerobiche a 27 °C per il lievito.
9. Le colonie di batteri acido-lattici diventeranno più grandi in condizioni anaerobiche. Le colonie avranno lo stesso aspetto, ma saranno più piccole in un ambiente aerobico. Le colonie di Pediococcus appaiono verdi-giallastre e sono lisce, mentre le colonie di Lactobacillus appaiono verde oliva e possono essere lisce o ruvide.
10. Vedrete batteri acetici (Acetobacter, Gluconobacter) solo su piastre in condizioni aerobiche. Le colonie appariranno di colore blu-verde e saranno lisce. Anche il terreno circostante le colonie cambierà colore, a causa dell’acido prodotto dai batteri.
11. I batteri enterici (Citrobacter, Enterobacter, Klebsiella, Obesumbacterium) variano da blu-verde a giallo-verde e a volte sono semitrasparenti. Hanno una consistenza liscia e viscosa, ma il terreno intorno alle colonie non cambia colore, poiché i batteri non producono acidi.
DILUIZIONE SERIALE
Molte volte, durante il lavoro di laboratorio, avrete bisogno di una concentrazione specifica di cellule di lievito. Per esempio, è impossibile effettuare una conta cellulare senza prima ottenere la giusta concentrazione di lievito. Troppa o troppo poca, e non riuscirete a effettuare una conta accurata. Certamente, la quantità di diluizione necessaria dipende dalla concentrazione di partenza e dalla concentrazione finale desiderata. Se avete bisogno di eseguire una diluizione superiore a 1:10, è meglio effettuare una diluizione seriale per una maggiore accuratezza.
Materiali
• Provette sterili da 13 × 100 ml con tappo, contenenti 9 millilitri di acqua sterile
• Pipetta sterile
• Pompa per pipetta
Procedura
1. Disponete le provette in una rastrelliera per effettuare diluizioni seriali (a seconda del tasso di diluizione desiderato).
2. Etichettate il tasso di diluizione di ogni provetta e allentate i tappi.
3. Agitate il lievito e pipettate 1 millilitro di lievito nella provetta con 9 ml di acqua. Pompate la pipetta diverse volte nella provetta per mischiare il lievito e l’acqua. Ciò crea una diluizione 1:10.
4. Utilizzando la stessa pipetta, prelevate 1 millilitro di questo lievito diluito e inseritelo nella successiva provetta con l’acqua. Ciò crea una diluizione 1:100.
5. La diluizione successiva dà 1:1000, che costituisce la diluizione solita per la conta dello slurry di lievito.
6. Potete continuare con più diluizioni se necessario.
CONTA CELLULARE
Uno dei modi più comuni per contare il numero di cellule di lievito in una sospensione liquida si effettua con un microscopio e un emocitometro. È anche molto pratico, perché è possibile aggiungere delle tinture al campione di lievito e determinarne così allo stesso tempo la carica vitale.

Figura 6.15: Requisiti comuni di diluizione per varie fonti di lievito.

Prima di poter effettuare una conta cellulare, dovrete avere la corretta concentrazione di lievito. Troppo poche cellule in sospensione, e non ne vedrete abbastanza per una conta accurata. Troppe cellule in sospensione, e il campo d’azione dell’emocitometro sarà troppo affollato per ottenere una conta precisa. Alcune fonti di lievito richiedono più diluizioni di altre. Ecco una linea guida per la conta cellulare.
Materiali
• Microscopio con ingrandimento massimo 400X per la conta del lievito. Le caratteristiche necessarie sono illuminazione integrata, condensatore regolabile con controllo del diagramma di apertura, piano portaoggetti meccanico e lente binoculare. Senza piano portaoggetti meccanico con controlli sull’asse x/y, è quasi impossibile contare le cellule. Anche se un microscopio a contrasto di fase potrebbe essere migliore per rappresentare i piccoli dettagli, un molto meno costoso microscopio a campo chiaro è più che sufficiente per la conta cellulare.
• Emocitometro
• Vetrino portaoggetti per emocitometro (più spesso rispetto al vetrino portaoggetti standard)
• Pipette di vetro a punta fine
• Contatore manuale
• Pipette per trasferimenti
• Salviette Kimwipe (o simili)
• Soluzione di blu di metilene (se volete anche controllare la carica vitale)
Preparazione del campione
1. Il passaggio più critico di questa procedura è la preparazione di un campione appropriatamente diluito. Un campione altamente concentrato potrebbe essere troppo difficile da contare, mentre un campione molto diluito potrebbe dare risultati erronei. Avete bisogno di meno di 100 cellule per campo ottico (quadrato 5 × 5) a 400X. Assicuratevi di annotare il fattore di diluizione (vedi “Diluizione seriale”, pag. 216).
2. Quando preparate il campione potete utilizzare acqua distillata. Anche i grumi di lievito provocano imprecisioni. Se state lavorando con un ceppo altamente flocculante, provate prima ad agitarlo violentemente. Se i grumi non si disgregano, dovreste utilizzare una soluzione di H2SO4 allo 0,5% al posto di acqua distillata, oppure aggiungere EDTA (acido etilenaminotetraacetico), che si legherà al calcio permettendo al lievito di separarsi. Per utilizzare l’EDTA, centrifugate il lievito e rimuovete il liquido. Aggiungete poi lo stesso volume di una soluzione con EDTA (100 g/l, 0,268 M) e procedete normalmente.
3. Se state combinando la conta cellulare alla valutazione della carica vitale delle cellule, il passaggio di diluizione finale dovrebbe consistere nel mischiare 1 millilitro del campione di lievito con 1 millilitro di soluzione di blu di metilene. Mescolate e lasciate riposare per circa uno o due minuti prima di riempire la camera dell’emocitometro. Ancora una volta, controllate che il campione sia ben mischiato.
4. È essenziale che mescoliate bene il campione (senza introdurre bolle). Una volta che avete preparato la diluizione corretta, mischiate il campione capovolgendo e/o agitando per diversi minuti. Potreste dover far sfiatare il campione per evitare l’accumulo di pressione.
5. È importante che il campione contenga meno bolle d’aria possibile. Degassate, se possibile.
Procedura
1. Accertatevi che l’emocitometro sia pulito e asciutto prima dell’uso. Potete pulirlo con acqua. Se necessario, potete sfregare delicatamente la camera di conta con una salvietta senza lanugine (come le salviette Kimwipe), ma un appropriato risciacquo dopo ogni utilizzo dovrebbe evitarvi la pulizia della camera.
2. Posizionate un vetrino portaoggetti di modo che il vetro copra ugualmente entrambe le aree di conta.
3. Posizionate la punta di una pipetta di vetro nel liquido campione e lasciate che si riempia mediante azione capillare (il liquido è attirato automaticamente verso l’alto). Asciugate il liquido in eccesso dalla punta con della carta assorbente prima di riempire la camera dell’emocitometro. Posate delicatamente la punta della pipetta sul bordo della camera nel taglio inciso e dispensate (Figura 6.16). State attenti a non riempire troppo la camera; il campione non dovrebbe traboccare. Se la camera mostra bolle d’aria, ha aree asciutte (non è abbastanza piena) o il liquido trabocca, dovreste pulire l’emocitometro e ricominciare da capo.

Figura 6.16: Riempire l’emocitometro. Riponete attentamente l’emocitometro sul piano portaoggetti del microscopio. Cominciate con un basso ingrandimento per centrare l’emocitometro (Figura 6.20). Arrivate fino all’ingrandimento 400X, notando la distribuzione delle cellule di lievito nella camera. Se le cellule appaiono uniformemente distribuite, allora potete utilizzare il metodo breve di conta cellulare. Se le cellule appaiono raggruppate o formano grumi, dovreste utilizzare il metodo lungo di conta cellulare oppure preparare un altro campione. Se vi sembra di avere pochissime cellule o più di 100 cellule per griglia piccola da 5 × 5, allora dovete preparare un altro campione. Idealmente, dovrebbero esserci circa 50 cellule per griglia piccola da 5 × 5.
5. Conterete le cellule nei quadrati collocati al centro entro l’area di 1 mm2 tracciata sulla camera (Figura 6.17). Ciò è utile per stabilire un protocollo per tutte le conte cellulari.

Figura 6.17: Camera dell’emocitometro e griglia di conta ingrandita.

6. Per esempio, non contiamo le cellule che toccano o che stanno sulla linea di confine superiore e a destra, mentre contiamo quelle che toccano o stanno sulla linea di confine inferiore e a sinistra (Figura 6.21). Contiamo le gemme di cellule di lievito che emergono dalle cellule madri solo se la gemma è grande almeno la metà della cellula madre.
7. Se state effettuando verifiche della carica vitale, le cellule morte si colorano di blu, poiché non possono metabolizzare la tintura (Figura 6.22). Le cellule blu chiaro e le cellule che stanno formando gemme e che si colorano di blu non sono morte. Se state effettuando allo stesso tempo una conta cellulare e un test sulla carica vitale, è meglio contare tutte le cellule (sia morte sia vive) con il contatore a mano e registrare le cellule morte notate per iscritto o con un secondo contatore.
Metodo breve di conta, per cellule distribuite uniformemente
1. Contate le cellule all’interno dei 5 quadrati numerati (Figure 6.18 e 6.19).

Figura 6.18: Griglia di conta, numeri aggiunti.
Figura 6.19: Griglia di conta ingrandita, numeri aggiunti.

2. Ci sono 25 di queste griglie più piccole. Per stimare il numero totale di cellule nell’intera griglia moltiplicate per 5 le 5 griglie contate.
3. L’intera camera contiene una quantità precisa di liquido, 1/10.000 millilitri. Per calcolare quante cellule ci sarebbero in un millilitro, moltiplicate il numero totale di cellule nella griglia per 104 (o 10.000).
4. La formula è:
Cellule di lievito/millilitro = cellule contate × 5 × fattore di diluizione × 104

Per esempio, se aveste diluito il lievito di un fattore di 200 e contato 220 cellule nei 5 quadrati numerati, calcolereste:
Cellule di lievito/millilitro = 220 × 5 × 200 × 10.000 = 2.200.000.000 o 2,2 miliardi di cellule/millilitro

Figura 6.20: Intera camera di un emocitometro con 25 quadrati di conta ingrandita a 10X. Le cellule sono distribuite uniformemente ed è quindi possibile usare il metodo breve, contando solo cinque quadrati.
Figura 6.21: Le cellule di lievito sono facilmente visibili e contabili a 400X. I sedimenti appaiono come gocce, qui visibili nella parte superiore e al centro della griglia, colorate dalla tintura. Utilizzate lo stesso protocollo di conta (regole) per la conta di cellule o di altro. Non contate le cellule che toccano o che stanno sulla parte superiore e destra delle triple linee di confine. Contate invece le cellule che stanno sulle linee di fondo o a sinistra. Contate le gemme di lievito solo se sono grandi almeno la metà della cellula madre. In questa immagine contereste un totale di 69 cellule, con 1 cellula morta.

Figura 6.22: Le cellule morte si colorano di blu scuro. Le cellule che sono ancora chiare o di colore blu pallido sono ancora vive (a sinistra o al centro). Le cellule in gemmazione potrebbero colorarsi di blu scuro, pur essendo vive (al centro). Il loro metabolismo è infatti occupato con la crescita e non metabolizza la tintura.

Metodo lungo di conta, per cellule distribuite non uniformemente
1. Contate le cellule in tutti i 25 quadrati (Figure 6.18 e 6.19). Questo è il numero totale di cellule nell’intera griglia.
2. L’intera camera contiene una quantità precisa di liquido, 1/10.000 millilitri. Per calcolare quante cellule ci sarebbero in un millilitro, moltiplicate il numero totale di cellule nella griglia per 104 (o 10.000).
3.La formula è:
Cellule di lievito/millilitro = cellule contate × fattore di diluizione × 104

Per esempio, se aveste diluito il lievito di un fattore di 200 e contato 1.100 cellule all’interno dei 25 quadrati, calcolereste:
Cellule di lievito/millilitro = 1.100 × 200 × 10.000 = 2.200.000.000 o 2,2 miliardi di cellule/millilitro

Calcolo della carica vitale
La formula per calcolare la carica vitale:
% Carica vitale = (totale cellule contate – conta cellule morte) / totale contate × 100

Supponendo che abbiamo contato 35 cellule morte sulle nostre 1.100:
% Carica vitale = (1.100 – 35) / 1.100 × 100 = 96,8%

CARICA VITALE
Il metodo da tempo riconosciuto per la valutazione della carica vitale consiste nella colorazione con blu di metilene. Tuttavia, anche se il blu di metilene è il metodo maggiormente accettato nel campo, molti non lo considerano un test valido quando i valori scendono al di sotto del 90%, e alcuni preferiscono altre tinture, anch’esse descritte di seguito. Le condizioni alcaline (pH 10,6) del blu di metilene alcalino o del violetto di metilene alcalino fanno penetrare le tinture più rapidamente nella cellula e si dice che forniscano una valutazione più realistica della carica vitale del lievito. Consultate la sezione “Conta cellulare” (pagg. 216-221) per maggiori dettagli sulla conta e il calcolo della percentuale di carica vitale.
BLU DI METILENE (MB)
Il blu di metilene è disponibile in molte forme e qualità. Generalmente è sempre possibile acquistarlo grazie al prezzo e alla praticità d’uso. Per preparare una soluzione conservabile a partire dalla polvere:
1. Pesate 0,1 grammo di blu di metilene e mettetelo in un contenitore.
2. Aggiungete acqua distillata fino a un volume finale di 100 millilitri.
3. Fate girare la bottiglia per dissolvere la polvere.
4. Questa è una soluzione di blu di metilene allo 0,1%.

Fate o acquistate una soluzione conservabile di blu di metilene (0,1%). Quando diluite il lievito per la conta cellulare, aggiungete 1 millilitro di campione di lievito a 1 millilitro di blu di metilene come passaggio finale. Mischiate e lasciate riposare per almeno uno o due minuti prima di riempire la camera dell’emocitometro. Le cellule morte si colorano di blu scuro, poiché non possono metabolizzare la tintura (Figura 6.22). Le cellule di colore blu pallido e le cellule in gemmazione che si colorano di blu non sono morte.
BLU DI METILENE CITRATO (CMB)
1. Pesate 2 grammi di acido citrico e mettetelo in un contenitore.
2. Aggiungete all’acido citrico 10 millilitri di soluzione di blu di metilene allo 0,1%.
3. Aggiungete acqua distillata fino a raggiungere un volume totale di 100 millilitri. Questa è una soluzione allo 0,01%.
4. Diluite il campione di lievito con acqua sterile deionizzata fino a una concentrazione di 1 × 107 cellule per millilitro. Aggiungete 0,5 millilitri di questa sospensione a 0,5 millilitri di CMB e agitate dolcemente.
5. Contate le cellule al microscopio dopo due minuti. Contate le cellule blu scuro come cellule morte. Ripetete il test ancora due volte e fate una media dei risultati.
BLU DI METILENE ALCALINO (AMB)
1. Diluite la soluzione di blu di metilene (0,1%) dieci volte con una soluzione tampone di glicina 0,1 M a un pH di 10,6.
2. Aggiungete 0,5 millilitri di lievito in sospensione (1 × 107 cellule/ml) a 0,5 millilitri di soluzione colorante di blu di metilene alcalino.
3. Mescolate e incubate per 15 minuti a temperatura ambiente.
4. Contate le cellule al microscopio. Contate le cellule blu scuro come morte. Le cellule blu pallido e quelle non colorate sono vive. Ripetete il test ancora due volte e fate una media dei risultati.
VIOLETTO DI METILENE ALCALINO (AMV)
Preparate l’AMV utilizzando lo stesso metodo di preparazione dell’AMB, sostituendo il violetto di metilene 3RAX al blu di metilene. Considerate che le cellule morte mostrano una variazione qualsiasi del colore rosa. Effettuate il test tre volte e fate una media dei risultati.
CONTA CONVENZIONALE SU PIASTRA (SPC)
Un metodo che non prevede colorazione per calcolare la carica vitale è la conta convenzionale su piastra. Aggiungete una quantità nota di lievito su una piastra e contate le colonie che si generano. Per esempio, se piastrate esattamente 100 cellule dalle quali crescono 95 colonie, la carica vitale sarà al 95%. I laboratori utilizzano raramente questo metodo a causa dell’errore comunemente associato alla determinazione del numero di cellule piastrate.
Per effettuare questo test, diluite il lievito con acqua sterile deionizzata per ottenere una concentrazione di 1 × 103 cellule per millilitro. Pipettate 0,1 millilitro di soluzione di lievito diluito su tre o più piastre da 100 × 15 mm con agar nutritivo e distribuite uniformemente. Incubate le piastre a 27 °C per 42 ore. Contate le colonie individuali su ogni piastra e utilizzate questo numero per calcolare la carica vitale media come percentuale.
VITALITÀ
Non esiste un metodo standard per il calcolo della vitalità. L’industria brassicola continua a cercare un metodo veloce, semplice e riproducibile. Al momento, il metodo più popolare è il test del potere acidificante. L’idea è che il lievito attivo abbasserà il pH di un terreno (acidificandolo), quindi più rapidamente il lievito acidifica il terreno, maggiore sarà la sua vitalità.
TEST DEL POTERE ACIDIFICANTE (AP)
Materiali
• pHmetro
• Acqua deionizzata
• Provetta conica per centrifuga da 50 ml
• Ancoretta per agitatore conica
• Soluzione di glucosio al 20%
Procedura
1. Calibrate il pHmetro utilizzando il metodo dei due tamponi prima di ogni serie di analisi.
2. Regolate l’acqua deionizzata a un pH di circa 6,5.
3. Mettete 15 millilitri di acqua sterile deionizzata in una provetta conica per centrifuga da 50 ml contenente un’ancoretta conica per agitatore.
4. Monitorate il pH dell’acqua mentre agitate costantemente per cinque minuti.
5. Al termine dei cinque minuti, registrate il valore del pH (AP0) e aggiungete 5 millilitri di slurry di lievito risciacquato e concentrato (1 × 109 cellule/ml) alla provetta per centrifuga.
6. Agitate per 10 minuti e registrate il pH (AP10).
7. Aggiungete subito 5 millilitri di glucosio al 20%.
8. Agitate per 10 minuti e registrate il valore finale del pH (AP20). Il potere acidificante è la differenza tra i valori AP20 e AP0.
9. Ripetete il test per altre due volte e fate una media dei risultati.
DIFFERENZIARE IL LIEVITO ALE E LAGER
Potrebbero esserci delle volte in cui non sapete se un ceppo è di lievito ale o lager. Forse vi siete procurati un nuovo ceppo, o forse volete assicurarvi che non avete contaminato in modo incrociato una coltura ale e una lager. Potete differenziare i ceppi ale e lager con due metodi, ossia la capacità di crescita a 37 °C o la capacità di crescita con melibiosio.
CRESCITA A 37 °C
Il lievito lager ha una tolleranza di temperatura minore rispetto ai ceppi ale. Questi ultimi possono crescere a 37 °C, ma non il lievito lager.
Materiali
• Micropipetta
• Punte per pipette sterili
• Guanti
• Becco di Bunsen
• Accendino
• Spatola per cellule
• Piastre con YPD grandi
• Provette con 9 millilitri di acqua sterile
• Incubatrici
Procedura
1. Il primo passaggio varia a seconda del tipo di campione. Se il lievito è conservato su una piastra, mettete da 5 a 10 colonie in 9 millilitri di acqua sterile utilizzando tecniche asettiche. Se il campione di lievito è in una soluzione a base di malto, effettuate una diluizione 1:10 utilizzando tecniche asettiche.
2. Agitate la provetta per non far attaccare il lievito al fondo.
3. Dovrete preparare due piastre con YPD per ciascun campione di lievito: una per l’incubazione a 25 °C e una a 37 °C. etichettate le provette e le piastre con YPD con il nome e il numero del campione e la data.
4. Avvicinate i campioni e le piastre con YPD alla fiamma. Aprite il coperchio e pipettate 150 microlitri di diluizione di lievito su ogni piastra con YPD.
5. Distribuite la diluizione di lievito uniformemente sulla piastra (assicuratevi di utilizzare una spatola per cellule sterilizzata).
6. Ripetete la procedura per tutti i campioni.
7. Lasciate asciugare le piastre per circa un’ora. Mettete una piastra con YPD in un’incubatrice a 37 °C e l’altra in un’incubatrice a 25 °C per tre giorni.
8. Registrate i risultati della crescita, o della non crescita, a entrambe le temperature. Sia il lievito ale sia quello lager possono crescere a 25 °C, ma solo il lievito ale può crescere a 37 °C.

CRESCITA CON MELIBIOSIO
Il lievito lager può fermentare il carboidrato melibiosio, mentre il lievito ale non vi riesce. Molti produttori di birra citano la capacità di fermentare il raffinosio, che è uno zucchero composto da melibiosio e fruttosio.
Materiali
• Estratto di lievito
• Peptone
• Glucosio
• Acqua distillata
• Verde di bromocresolo
• Provette con tappo a vite (150 × 12 mm)
• Provette Durham (60 × 5 mm)
• Melibiosio
• Membrane filtranti, dimensione dei pori 0,45 μm
• Incubatrice
• Bilancia
• Autoclave
• Ansa da inoculo
• Pipette
• Isopropanolo
• Acqua sterile
Procedura
1. Preparate un brodo di fermentazione con estratto di lievito e peptone dissolvendo 4,5 grammi di estratto di lievito, 7,5 grammi di peptone e 30 millilitri di verde di bromocresolo in 1 litro di acqua distillata. Dispensatene 2 millilitri in ogni provetta da 150 × 12 mm con tappo a vite, ognuna contenente una provetta Durham capovolta da 60 × 5 mm. Sterilizzate in autoclave a 121 °C per 15 minuti.
2. Preparate una soluzione di melibiosio al 12% dissolvendo 12 grammi di melibiosio in 100 millilitri di acqua distillata. Filtrate la soluzione in modo sterile.
3. Preparate una soluzione di glucosio al 6% dissolvendo 6 grammi di glucosio in 100 millilitri di acqua distillata. Filtrate la soluzione in modo sterile.
4. Prendete le piastre di lievito.
5. Sanitizzate il piano del laboratorio e i guanti utilizzando l’isopropanolo. Preparate la fiamma.
6. Dovrete preparare tre provette per ogni ceppo da testare: melibiosio, glucosio e estratto di lievito-peptone.
7. Preparate le provette con brodo di fermentazione e melibiosio al 4%. Una alla volta, portate ogni provetta con brodo di fermentazione con estratto di lievito e peptone vicino alla fiamma. Pipettate 1 millilitro di soluzione di melibiosio al 12% nella provetta. Chiudete il tappo e tenete da parte.
8. Preparate le provette con brodo di fermentazione e glucosio al 2%. Portate ogni provetta con brodo di fermentazione con estratto di lievito e peptone vicino alla fiamma. Pipettate 1 millilitro di soluzione di glucosio al 6% nelle provette. Questo è il controllo positivo.
9. Preparate le provette con brodo di fermentazione. Portate ogni provetta con brodo di fermentazione con estratto di lievito e peptone vicino alla fiamma. Pipettate 1 millilitro di acqua sterile nelle provette. Questo è il controllo negativo.
10. Utilizzando un’ansa da inoculo sterile, prendete da 2 a 4 colonie (a seconda della dimensione) dalla piastra.
11.Prendete una provetta di ogni brodo di coltura e mettete attentamente le colonie all’interno del brodo. Flambate ogni volta l’ansa da inoculo prima di ritornare alla piastra a prelevare nuove colonie.
12. Mettete nell’incubatrice a 25 °C.
13. Controllate ai giorni 1, 2, 3 e 7. Registrate ogni cambiamento della tintura verso il giallo e la produzione di gas nella provetta Durham. Il controllo negativo (provetta con il brodo di fermentazione con estratto di lievito e peptone) non dovrebbe mostrare cambiamento di colore né produzione di gas. Il controllo positivo (provetta con brodo di fermentazione con glucosio) dovrebbe mostrare un distinto cambio di colore verso il giallo, indicativo di una produzione di acido, e produzione di gas nella provetta Durham. Se i controlli non mostrano questi risultati, allora il test è nullo.
14. Sono le provette con il brodo di fermentazione con melibiosio a indicare se il ceppo è di lievito ale o lager. Se c’è produzione di acido e di gas, allora potete presumere che il ceppo sia di lievito lager. Se non c’è alcuna indicazione di acido (colore giallo) e nessuna produzione di gas (intrappolato nella provetta Durham), allora potete presumere che il ceppo sia di lievito ale.
TERRENO CON X-ALFA-GAL
Questo è un altro metodo per testare il lievito in modo da capire se possiede la capacità di fermentare il melibiosio. Utilizzerete l’X-alfa-GAL (5-Bromo-4-cloro-3-indolil alfa-D-galattoside), che è un substrato cromogenico per l’alfa-galattosidasi, ossia l’enzima che permette a una cellula di utilizzare il melibiosio. Il lievito lager possiede attività alfa-galattosidasi, al contrario del lievito ale.
Materiali
• N,N-Dimetilformammide o dimetilsolfossido
• 5-Bromo-4-cloro-3-indolil alfa-D-galattoside (X-alfa-GAL)
• Glicerolo
• D-galattosio
• Estratto di lievito
• Bacto-peptone
• Agar
• Etanolo
• Provette
• Emocitometro
• Piastre di Petri
• Ansa da inoculo
• Micropipetta
• Punte per pipette sterili
• Guanti
• Fiala di reagente
• Beuta da 2 litri
• Acqua distillata
• Becco di Bunsen
• Spatola per cellule
• Piastre con YPD grandi
• Microscopio
Procedura
1. Preparate una soluzione conservabile di X-alfa-GAL dissolvendo 25 milligrammi di X-alfa-GAL con 1,25 millilitri di N,N-Dimetilformammide o dimetilsolfossido in una fiala di reagente. Conservate a 4 °C al buio.
2. Sterilizzate il banco di laboratorio e preparate la fiamma.
3. Etichettate ogni piastra di agar con YPD con il nome del campione di lievito e la data.
4. Pipettate 100 microlitri di soluzione X-alfa-GAL su ogni piastra di agar con YPD. Distribuite uniformemente utilizzando una spatola per cellule. Flambate la spatola tra ogni uso. Lasciate la piastra al buio da 30 a 60 minuti.
5. Determinate la conta cellulare del campione utilizzando un emocitometro e un microscopio.
6. Disponete le provette con 9 millilitri di acqua su una rastrelliera. Diluite il campione di lievito a 100-200 colonie per 100 microlitri.
7. Prendete una piastra con YPD e diluite il campione in prossimità della fiamma. Aprite la piastra con YPD, pipettate 100 microlitri e distribuite uniformemente utilizzando una spatola per cellule. Ripetete il processo per tutti i campioni di lievito, flambando la spatola tra ogni utilizzo.
8. Fate asciugare. Incubate le piastre al buio a 25 °C per 6 giorni.
9. Contate le colonie. Registrate il numero di colonie blu-verdi (lager) e il numero di colonie bianche (ale).
DIFFERENZIARE I CEPPI DI LIEVITO
COLONIA GIGANTE
È difficile distinguere i singoli ceppi di lievito ale o lager dall’apparenza. Una tecnica classica consiste nel far crescere il lievito fino a quando forma una colonia gigante. Nella piastratura normale, si fa crescere il lievito su piastra per circa due giorni, ma se lo si lascia crescere più a lungo, le colonie assumono un aspetto diverso. Si è scoperto che questo è un fenomeno che varia a seconda dei ceppi: ceppi diversi mostrano diverse morfologie di colonie giganti. Non si tratta di un metodo esatto, ma è possibile dire che due colonie giganti appartengono a ceppi diversi solo dal loro aspetto. Se si fotografano ceppi conosciuti dopo che hanno formato colonie giganti, è possibile utilizzare le immagini come riferimento successivo per agevolare l’identificazione di ceppi diversi (Figura 6.23).
Figure 6.23: Ceppi diversi mostrano differenti morfologie di colonia gigante.

Anche le mutazioni fanno assumere aspetti diversi alle colonie giganti, quindi questo può essere un metodo utile per assicurarsi che non si stiano verificando mutazioni in una popolazione di lieviti.
Materiali
• Coltura o slurry di lievito
• Acqua e provette sterili
• Pipette sterili
• Piastre con WLN
• Spatola per cellule
Procedura
Il seguente protocollo per colonie giganti è una versione modificata dei metodi tradizionali, che possono prevedere tempi di incubazione di 30 giorni e terreni specializzati. Questa versione necessita di 7 giorni di incubazione e di un terreno WLN.
1. Utilizzate diluizioni seriali per diluire il campione di lievito a 100 cellule per millilitro.
2. Sotto la fiamma, effettuate un trasferimento sterile di 30 microlitri dello slurry di lievito diluito al centro della piastra con WLN. L’obiettivo è quello di piastrare solo da 1 a 3 cellule.
3. Utilizzando una spatola per cellule sterilizzata, distribuite la coltura sulla piastra.
4. Riponete in un’incubatrice a 28 °C.
5. Fate crescere per 5-7 giorni fino alla formazione di colonie giganti.
VARIAZIONI MULTICEPPO
Il terreno WLN contiene verde di bromocresolo, una tintura che il lievito Saccharomyces assorbe ma non metabolizza normalmente. Inizialmente il terreno è blu-verde e diventa chiaro man mano che le colonie di lievito, sviluppandosi, assorbono la tintura. Ceppi diversi assorbono la colorazione in modi diversi, quindi è possibile utilizzare questa informazione per differenziare i ceppi all’interno della coltura.
Materiali
• Coltura o slurry di lievito
• Acqua e provette sterili
• Pipette sterili
• Piastre con WLN
• Spatola per cellule
Procedura
1. Utilizzate il metodo della diluizione seriale per diluire il campione di lievito a 500-1.000 cellule per millilitro.
2. Trasferite 0,1 millilitro di questa soluzione di lievito sulla piastra con WLN e distribuitela con una spatola per cellule sterilizzata.
3. Lasciate le piastre nell’incubatrice da 2 a 3 giorni a 27 °C.
4. Ispezionate attentamente le colonie per determinare il numero di ceppi presenti e le relative percentuali all’interno della coltura. Le differenze possono essere molto sottili, quindi potrete aver bisogno di utilizzare altri test per differenziare i ceppi. Se avete iniziato con due ceppi in quantità uguali, la coltura dovrebbe mostrare una miscela equa di due colonie con aspetto diverso. Se la coltura di ceppi mischiati ha cambiato composizione in modo sostanziale, dovreste produrre una nuova coltura.

RISOLUZIONE DEI PROBLEMI

A volte, nonostante i nostri migliori sforzi nel fare tutto correttamente, la fermentazione non funziona come pianificato. Crediamo che sia meglio che comprendiate perché un problema si sia verificato, quindi, invece di offrirvi solo una soluzione, in questo capitolo vi daremo dei consigli su come comprendere quale sia la causa dei comuni problemi di fermentazione.
FERMENTAZIONE LENTA, FERMA E INCOMPLETA
LA FERMENTAZIONE NON COMINCIA
Nella maggior parte dei casi è raro che una fermentazione non cominci mai, a meno che il birraio abbia fatto un grave errore. Solitamente, quando si pensa che la fermentazione non si avvierà mai, in realtà l’avvio è solo ritardato. Se state brassando una ale e sono passate meno di 18 ore dall’inoculo, o se state facendo una lager e sono passate meno di 36 ore, allora è davvero troppo presto per supporre che la fermentazione non sia iniziata. Se, alla fine, questa si avvia, dovreste riguardare le informazioni contenute in questo capitolo sulle fermentazioni che tardano a iniziare. Esistono diverse cause possibili per una fermentazione che non comincia proprio, ma le più comuni si concentrano attorno alla salute del lievito e alla temperatura del mosto. Se la grande maggioranza del lievito è morto, o se la temperatura è così bassa o così alta che il lievito non è stato in grado di cominciare, allora la vostra fermentazione potrebbe non iniziare. Prima di prendere ulteriori provvedimenti, ispezionate il fermentatore per individuare eventuali segni di un anello di schiuma sulla superficie della birra, ed effettuate misurazioni della densità e del pH. Non è raro che la fermentazione sia in realtà avvenuta in modo così rapido da passare inosservata agli occhi del birraio. Se la densità specifica della birra è diminuita, ma non a livelli di attenuazione normali, e se non vedete attività, allora consultate la sezione sulla fermentazione incompleta. Se la densità specifica resta la stessa del momento dell’inoculo, ma il pH è sceso da 0,5 a 0,8, allora è probabile che la fermentazione sia in corso, anche se potrebbero non esservi segni visibili. In questo caso potreste aver bisogno di rivedere le procedure per la determinazione dei tassi di inoculo, livelli di ossigeno e salute del lievito.
Se non c’è stato un cambio di densità o di pH nei tempi indicati, è il momento di inoculare altro lievito. Idealmente, dovreste inoculare lievito già attivo e al picco della fermentazione da un’altra cotta di birra. Se non disponete di quel tipo di lievito, allora potete utilizzare un altro slurry che avete conservato, una propagazione di laboratorio, una confezione di lievito liquido o del lievito secco reidratato. Se la fonte è la stessa dell’inoculo precedente, verificate la carica vitale del lievito prima di reinocularlo. Potete farlo semplicemente mettendo del lievito in un piccolo volume di mosto a una temperatura calda (27 °C) per vedere se fermenta. Dovrete anche ossigenare di nuovo il mosto. Non c’è bisogno di preoccuparsi di un’eventuale ossidazione e dell’aroma di stantio a questo punto, perché il danno è stato già fatto con la prima dose di ossigeno, se il lievito non l’ha consumato. Il secondo inoculo di lievito utilizzerà la seconda dose di ossigeno.
Quando avete avviato la fermentazione, determinate esattamente cosa è andato storto. Considerate le possibilità seguenti:
1. Il lievito era morto, o aveva carica vitale e vitalità molto basse prima dell’inoculo?
a. Avete controllato la salute del lievito?
b. Qual era la fonte del lievito?
c. Come era stato trasportato, conservato e maneggiato prima dell’inoculo? Congelare le confezioni, gli starter o gli slurry di lievito è più comune di quanto pensiate.
2. È stato il mosto a uccidere il lievito?
a. È possibile che la temperatura del mosto fosse più alta di 32 °C?
b. È possibile che il mosto si sia congelato a un certo punto?
c. Anche se improbabile, è possibile che il malto fosse contaminato da micotossine? Il malto conservato in zone calde e umide può raggiungere livelli inaccettabili. Consultate la sezione “Contaminazione del malto” a pag. 245.
d. È possibile che ci sia stata qualche altra fonte di contaminazione a livelli abbastanza alti da danneggiare o inibire il lievito?
3. È possibile che le condizioni siano state così sfavorevoli alla crescita del lievito che esso non sia proprio riuscito ad avviare la fermentazione?
a. Anche questo è molto raro, purché seguiate le linee guida generali e inoculiate lievito sano. Se gli date abbastanza tempo, il lievito farà qualche progresso.
b. La temperatura era troppo fredda? Temperature molto basse possono impedire al lievito di diventare attivo, specialmente se è stato prelevato in uno stato dormiente da un ambiente freddo e inoculato in un mosto freddo. A meno che non conosciate bene un ceppo e i suoi requisiti di temperatura, attenetevi alle temperature consigliate per un ceppo. Potreste non notare un piccolo calo di temperatura, ma il lievito è molto più sensibile agli sbalzi termici.
c. Avete fornito abbastanza ossigeno al lievito?
d. Il mosto conteneva abbastanza sostanze nutritive per il lievito? Utilizzare acqua distillata per la produzione di birra senza aggiungere sali minerali o produrre un mosto con grandi percentuali di zuccheri non derivanti da malto possono impedire la crescita del lievito.
4. Il sedimento ha intrappolato il lievito sul fondo del fermentatore? Ceppi inglesi molto flocculanti inoculati in mosti con grandi quantità di sedimento e luppoli possono non riuscire ad avviare la fermentazione. Provate a limitare la quantità di materia nel fermentatore. Se pensate che questa sia la causa, agitate il fermentatore ogni 15 minuti durante le prime ore dall’inoculo.

NESSUNA ATTIVITÀ DOPO “X” ORE
Prima di tutto, non andate nel panico. Molti birrai, specialmente homebrewer, danno grande importanza a una fase di latenza molto breve, spesso a scapito del gusto della birra. Ricordate che un livello e una velocità appropriati di crescita di lievito sono fondamentali per lo sviluppo del sapore della birra. Controllate i parametri seguenti:
1. Avete aspettato il giusto tempo? Una fase di latenza di dodici ore per una ale e più lunga per una lager è abbastanza normale. La temperatura inferiore della lager provoca un minore metabolismo del lievito.
2. Se si tratta di una lager, abbiate pazienza. Più freddo è il liquido, più anidride carbonica è necessaria prima che la birra raggiunga il punto di saturazione e comincino a formarsi le bolle che poi risalgono in superficie. Se il vostro fermentatore vi permette di vedere la superficie della birra, avvicinatevi a essa e puntate una torcia sulla birra a un angolo basso. Se si stanno formando delle bolle, vedrete uno scintillio sulla superficie.
3. Controllate la temperatura di fermentazione e assicuratevi di misurare la temperatura della birra con cura. Se sì, la temperatura è in un intervallo accettabile per il lievito? Provate ad aumentarla, specialmente se sono già passate 24 ore.

Una volta risolto il problema, determinate perché si è verificato:
1. Avete inoculato del lievito sano in una quantità appropriata per la cotta di birra?
2. Le procedure di propagazione e conservazione sono state efficaci nel favorire la salute del lievito e non solo la conta cellulare?
3. Avete fornito l’ossigeno, il tasso di inoculo e le sostanze nutritive di cui ha bisogno il lievito per una crescita e fermentazione appropriate?
4. Inoltre, considerate la temperatura iniziale del mosto. Anche se ci sono dei benefici nel cominciare a una temperatura di fermentazione leggermente inferiore e lasciarla aumentare nel corso del primo e secondo giorno, ciò è valido solo per il lievito molto sano in un mosto che fornisca nutrimento e livelli di ossigeno appropriati. Se non fornite queste condizioni, allora è meglio cominciare a una temperatura di fermentazione più calda.
5. Una mutazione nel lievito raccolto o propagato ha causato dei cambiamenti nel suo comportamento?

LA FERMENTAZIONE NON FINISCE
Le fermentazioni che non finiscono tendono ad avere diverse cause: scarsa salute iniziale del lievito, ambiente povero per il lievito, bassi tassi di inoculo o contaminazione. Prima di prendere provvedimenti, effettuate una misurazione della densità specifica e paragonatela ai risultati del test di fermentazione forzata (pagg. 198-199). Se la birra è a una densità inferiore rispetto al test, allora c’è una contaminazione batterica o da lieviti selvaggi. Molto probabilmente, la birra dovrebbe essere buttata, anche se potrebbe comunque essere bevibile per poco tempo, a seconda del tipo di organismo contaminante.
Se il valore della densità specifica è vicino o uguale al test, allora potrebbe trattarsi solo di un caso di interpretazione errata dell’evoluzione di anidride carbonica come fermentazione. Solo perché una valvola airlock, un gorgogliatore o un tubo di scarico gorgogliano molto lentamente, ciò non significa che la birra stia ancora fermentando. Se state riscaldando la birra, il punto di saturazione di CO2 cambierà ed essa uscirà dalla soluzione. Lo stesso vale per tutti i movimenti o le vibrazioni, che possono altresì causare il gorgoglìo di una soluzione saturata, proprio come succede quando si agita una bottiglia contenente una bevanda gassata.
Se la densità specifica è molto più alta del risultato del test, allora la fermentazione potrebbe sul serio stare progredendo lentamente. Se non avete fatto un test di fermentazione forzata, allora non potete essere certi che la birra non abbia raggiunto la densità finale appropriata per quel mosto. Anche se una ricetta potrebbe suggerire quale densità finale la birra dovrebbe raggiungere, questa dovrebbe comunque dipendere dal processo di produzione del mosto.
Se c’è ancora lievito attivo, aumentate la temperatura di fermentazione di minimo 3 °C per incrementare la velocità metabolica del lievito. Potreste anche rianimare il lievito o inoculare ulteriore lievito al picco della sua attività di fermentazione. Se ciò non aiuta, potete provare ad aggiungere anche più ossigeno. Consultate il paragrafo “Attenuazione” di questo capitolo (pagg. 240-242) per ulteriori idee.
LA FERMENTAZIONE SEMBRA INCOMPLETA
Fate riferimento al paragrafo “Attenuazione” di questo capitolo per la risoluzione dei relativi problemi (pagg. 240-242).
CAMBIAMENTI NELLA FLOCCULAZIONE
I cambiamenti nella flocculazione nelle colture di lievito possono avvenire velocemente e possono essere un indicatore di molte altre questioni sulla salute del lievito e di fermentazioni problematiche. Una delle cause più comuni di un cambiamento nella flocculazione è la pressione selettiva operata dal birraio. Se la raccolta e il riutilizzo del lievito favoriscono sempre il lievito più o meno flocculante, la popolazione del lievito si sposta velocemente verso un contenuto esclusivo di quelle cellule. Quando notate un cambiamento, sospettate di voi stessi come causa più probabile. La seconda causa più probabile di un cambiamento nella flocculazione è la mutazione del lievito. Le mutazioni aumentano tipicamente a ogni generazione e possono provocare cambiamenti fisiologici nel lievito che inibiscono la flocculazione. Per esempio, il lievito mutante respiratorio (mutante petite) è meno flocculante rispetto al lievito non mutato. Se il lievito contiene molti mutanti petite, allora il responsabile è solitamente il birraio.
Altre ragioni possibili di una scarsità di flocculazione includono alti livelli di zuccheri rimanenti nella birra, turbolenza insufficiente nel fermentatore durante la fermentazione (probabilmente a causa della forma del fermentatore o di una fermentazione poco vigorosa), e carenza di calcio. Il calcio gioca un ruolo fondamentale nella flocculazione delle cellule di lievito. Nonostante sia necessaria solo una minima quantità di calcio perché si verifichi la flocculazione (livelli inferiori a 10–8 molare potrebbero impedire la flocculazione), assicurarsi la presenza di almeno cinquanta parti per milione di calcio nell’acqua per la cotta preverrà problemi di flocculazione dovuti al calcio. Se create la vostra acqua a partire da acqua distillata o con un trattamento di osmosi inversa, questo potrebbe essere il problema.
Una delle ragioni per una flocculazione prematura del lievito potrebbe essere correlata al malto. Nonostante i ricercatori non abbiano ancora determinato la causa esatta, esiste un collegamento potenziale tra malto modificato in modo errato, orzo contaminato e flocculazione. Ricerche hanno dimostrato che la contaminazione fungina del malto può creare cofattori che si legano alle cellule di lievito e le fanno depositare sul fondo della soluzione prematuramente. Questo continua a essere il punto di interesse di molte delle ricerche attuali sulla birra correlate ai modelli di flocculazione.
Tenete a mente che anche temperature eccessivamente basse o alte possono influenzare la flocculazione.
SAPORI E AROMI
Possono esserci diverse cause alla base dei problemi di sapore e aroma della fermentazione, a partire dalla contaminazione fino al controllo della temperatura e molto altro. È importante conoscere e controllare tutti i parametri della fermentazione per ottenere una crescita e velocità di fermentazione costanti. Dovreste sapere quanto lievito state inoculando e quanta crescita avete ottenuto misurando la quantità di lievito alla fine della fermentazione. Questo è un grande passo in avanti verso la costanza della fermentazione.
CARATTERE FRUTTATO E ALCOLI SUPERIORI
La ragione più comune di alti livelli di alcoli brucianti ed esteri, specialmente per gli homebrewer, è un controllo insufficiente della temperatura. Per alcuni ceppi di lievito, una variazione termica di uno o due gradi può provocare grandi differenze nella produzione di sottoprodotti metabolici. Molti altri fattori influenzano la produzione di esteri e alcoli superiori, anche se voi ricercate un aumento o una diminuzione delle loro concentrazioni. Consultate la sezione “Ottimizzare il sapore della fermentazione” (pagg. 102-104) e specialmente la Figura 4.18, che mostra come i fattori della fermentazione influenzino questi composti di sapore e aroma.
ZOLFO
È importante assicurare una fermentazione vigorosa e lasciare che essa termini completamente prima di chiudere il fermentatore con un tappo. Alcuni birrai sigillano il fermentatore verso la fine del processo per carbonare la birra, intrappolando la CO2 rimanente. In questo modo però, essi intrappolano anche lo zolfo presente nella birra, che non se ne andrà se non con sforzi sovrumani. Ciò vale sia per la produzione di ale sia di lager. Sono necessarie circa 24 ore dopo la fermentazione alla temperatura di fermentazione perché l’evoluzione della CO2 rimuova tutto lo zolfo.
Se scoprite di avere una birra in fusto con molto zolfo, potete carbonare forzatamente la birra, poi eliminare la pressione una volta all’ora di giorno e ricarbonarla ogni sera. Dopo due o tre giorni, controllate ancora il carattere della birra. Se c’è ancora bisogno di ridurre lo zolfo, continuate finché esso non raggiunge livelli accettabili. Ricordate che con questo processo fate schiumare la birra, il che, protratto per molti giorni, può influenzare la persistenza del cappello di schiuma.
FENOLI
Alcuni ceppi di lievito per birra e la maggior parte dei lieviti nativi producono composti aromatici fenolici attraverso una reazione di decarbossilazione degli acidi fenolici che si trovano naturalmente nel malto, come l’acido ferulico.
Sentori fenolici involontari sono molto spesso la conseguenza di una contaminazione da lieviti selvaggi, che sia da lieviti nativi o una contaminazione incrociata da altri ceppi utilizzati nel birrificio. Generalmente, se la fonte è il lievito nativo, si verificherà anche una attenuazione eccessiva della birra. La contaminazione da lievito nativo tende anche a produrre un lievito molto pulverulento che si rifiuta di flocculare. In condizioni normali, la mutazione in lievito per birra non fenolico non dovrebbe essere un problema, anche se è un’altra possibile fonte di sentori fenolici sgradevoli, e indicherebbe che è tempo di fare una nuova coltura del lievito da inoculo. Spesso i birrai danno per scontato che la causa sia una mutazione, quando è più probabile che siano stati loro a introdurre del lievito fenolico in qualche punto del processo.
È anche possibile che siano altri organismi dannosi per il mosto a produrre composti fenolici. In generale, è una buona idea esaminare attentamente i processi di sanitizzazione e pulizia che utilizzate se incontrate dei fenoli non voluti nella birra.
Quando si lavora con del lievito che produce sentori fenolici, la quantità di composti fenolici che esso produce è correlata alla sua salute cellulare e alle velocità di crescita. In generale, i fattori che incrementano la crescita fanno aumentare anche la produzione di composti fenolici.
Ricordate che il cloro presente nell’acqua per la produzione di birra o introdotto mediante sanitizzanti o detersivi che contengono cloro si combinerà con i fenoli nel malto per creare clorofenoli che possono produrre potenti sentori e aromi di farmaco. Non confondete questo fatto con un problema del lievito.
ACETALDEIDE
L’acetaldeide è un passaggio intermedio nella produzione di etanolo. In una fermentazione sana che viene portata a compimento, il lievito assorbirà e convertirà l’acetaldeide. Esistono diverse ragioni per alti livelli di acetaldeide:
• Separazione prematura della birra dal lievito, prima che abbia completato la fermentazione.
• Ossidazione dell’etanolo dopo che la fermentazione è terminata.
• Conversione dell’etanolo in aceto per opera di batteri acetici, anche se essa è accompagnata da un ovvio carattere di aceto.
• Parametri di fermentazione che incoraggiano una fermentazione eccessivamente veloce, come un tasso di inoculo troppo elevato e alte temperature.
DIACETILE
Il diacetile è una parte naturale della fermentazione, e alcuni ceppi di lievito ne producono più di altri. Tuttavia, il lievito metabolizza naturalmente il diacetile in composti insapori durante la fermentazione attiva. Diversi fattori determinano la quantità di diacetile che rimane dopo la fermentazione:
• Una fermentazione incompleta può lasciare nella birra alti livelli di diacetile, a causa di un insufficiente periodo di contatto tra il lievito e il mosto che non ha permesso al lievito di assorbire il diacetile prodotto durante la fermentazione.
• Una temperatura più calda all’inizio della fermentazione, mentre il lievito sta crescendo, provoca livelli maggiori di precursori del diacetile. Se a questo fate seguire una fermentazione fiacca, abbassando le temperature, alla fine della fermentazione vi ritroverete con alti livelli di diacetile. Questo è uno schema comune a molti homebrewer: inoculare il mosto a una temperatura maggiore per compensare una bassa conta cellulare o una scarsa salute del lievito e poi permettere alla birra di fermentare a temperature minori man mano che l’attività del lievito cala. Un lievito sano, se ha a disposizione tempo e temperatura adeguati, alla fine della fermentazione avrà prodotto una birra con livelli di diacetile molto bassi.
• Ossigenazione insufficiente al momento dell’inoculo.
• Alcuni batteri producono diacetile. I batteri acido-lattici producono anche acido lattico, che a volte crea un gusto di burro rancido. Alcuni piccoli birrifici e tanti homebrewer trovano molte difficoltà nell’imbottigliare la birra in una maniera che elimini i batteri acido-lattici. Questo è uno dei motivi per cui un birrificio può imbottigliare una birra dal sapore fantastico, soltanto per farle sviluppare pressione, acidità e sentori di diacetile in sole otto settimane.

ACIDITÀ
La contaminazione batterica è la causa più comune di sapori e aromi acidi nella birra. Molto spesso ci si imbatte nei batteri acido-lattici o nei batteri acetici. I Lactobacillus in genere producono un carattere aspro e acido nella birra, mentre gli Acetobacter producono sentori di aceto. Ci sono altri organismi, come i Brettanomyces, che possono produrre acido acetico in condizioni specifiche.
Se la vostra birra si sta inacidendo, riguardate i test sulle contaminazioni nel capitolo sul laboratorio per determinare dove, nel vostro processo, avete introdotto gli organismi che rovinano la birra e, in tal modo, fare i giusti passi per risolvere il problema.
Eccessivamente dolce
Una formulazione sbagliata della ricetta è responsabile di molte birre troppo dolci, ma dove andate a cercare quando da una ricetta fidata vi ritrovate con una birra troppo dolce? Nella maggior parte dei casi, quando una birra è oltremodo dolce, il problema sta nell’attenuazione, ma se un test di fermentazione forzata mostra che non è l’attenuazione il problema, allora c’è qualche altra causa possibile.
Anche se potrebbe non causare una birra troppo dolce, una questione spesso ignorata dai birrai è che la superficie delle cellule di lievito durante la fermentazione influenza in modo significativo il livello di IBU. In genere, maggiore è la superficie cellulare totale, minore è la quantità di alfa acidi isomerizzati che resistono fino a birra finita. Il tasso di inoculo del lievito, il tasso di crescita del lievito, il ceppo, la salute, la generazione di inoculo e altri fattori danno come risultato un numero maggiore o minore di IBU nella birra finita. Il birraio dovrebbe cercare di avere sempre tassi di inoculo e di crescita costanti e un lievito in salute a ogni cotta di birra. Controllando questi fattori, le modifiche alle ricette hanno un impatto più controllato sul rapporto tra livello di amaro e dolcezza.
Un’altra spiegazione possibile è che, poiché alcuni alcoli hanno un carattere dolce, potrebbero essere loro a produrre i sentori dolci. Tuttavia, se questa è la causa, all’assaggio si ha una dolcezza iniziale che poi diminuisce; non si produce una dolcezza stucchevole. Se avvertite subito un sapore dolce che poi si affievolisce e lascia una sensazione più secca, allora esso è dovuto all’alcol.
La dolcezza stucchevole è indicativa di un’attenuazione insufficiente o di una ricetta mediocre. Le birre troppo dolci ma non stucchevoli potrebbero derivare da problemi nella ricetta o dall’assorbimento, da parte del lievito, di più composti amaricanti di quanto previsto. Per i problemi di attenuazione insufficiente, consultate il paragrafo “Attenuazione”.
ECCESSIVAMENTE SECCA
Così come con le birre troppo dolci, la formulazione sbagliata della ricetta è probabilmente uno dei problemi più comuni. Tuttavia, se avete seguito una ricetta fidata e vi ritrovate con una birra dal carattere troppo secco, allora c’è anche qualche altra possibilità. Ancora una volta, un test di fermentazione forzata è uno strumento utile per comprendere la fonte del problema. Spesso gli organismi batterici o altri contaminanti possono provocare una eccessiva attenuazione della birra.
Se il problema non sta in un’attenuazione eccessiva, allora potrebbe essere dovuto a:
• pH sbagliato durante la fase di mash e di sparging;
• cambiamenti nella composizione chimica dell’acqua? Spesso la fornitura idrica è diversa nelle varie stagioni.
• cambiamenti nella fornitura di malto.

Ricordate che in linea di massima la temperatura del mash non determina la dolcezza della birra. Gli zuccheri a catena più lunga non sono molto dolci. Se il lievito ha fermentato completamente una birra la cui temperatura di mash era elevata, allora la densità finale della birra potrà essere molto alta, ma il carattere generale può essere molto secco. Al contrario, una birra con una densità finale bassa può essere molto più dolce. Sono molti i fattori che influenzano il carattere finale della birra, come la superficie cellulare del lievito e gli alcoli prodotti durante la fermentazione.
Autolisi
Per la maggior parte degli homebrewer che lavorano con fermentatori a fondo ampio e un lievito sano, l’autolisi non dovrebbe essere un grosso problema. Alcuni ceppi sono soggetti all’autolisi più rapidamente di altri ma, in generale, se mantenete la birra e il lievito a temperature appropriate e raccogliete il lievito in un periodo di tempo ragionevole, non dovreste avere nessun problema di autolisi.
Lo stesso non si può dire per i birrifici commerciali che lavorano su una scala molto più ampia. I fermentatori molto alti che concentrano il lievito in uno stretto cono tendono ad aumentare la velocità di autolisi. Se il vostro impianto è così, assicuratevi di raffreddare adeguatamente il cono (o la parte superiore del fermentatore, se praticate il top cropping) e raccogliete il lievito appena possibile dopo che ha svolto il suo lavoro.
Un fattore che potrebbe colpire sia gli homebrewer sia i professionisti è confezionare la birra con quantità eccessive di lievito. È necessario solo 1 milione di cellule per millilitro per carbonare appropriatamente una birra. Inoltre, questa situazione produrrà livelli maggiori di sentori di autolisi nella birra.
CARBONAZIONE
MANCANZA DI CARBONAZIONE
Non serve troppo lievito per carbonare una birra. Tuttavia, per una carbonazione costante e tempestiva, dovrete usare lievito sano alla quantità appropriata a temperature costanti. Se lavorate con birre molto alcoliche, è meglio filtrare il lievito e reinocularne di fresco e attivo per la carbonazione in bottiglia.
• Utilizzate lievito fresco, se possibile.
• Assicuratevi di aver fornito il giusto quantitativo di zucchero, in base alla temperatura della birra. Fate riferimento ad “Appendice D: Tassi di priming e volumi di CO2” in Brewing Classic Styles di Jamil Zainasheff e John Palmer per delle tabelle utili alla determinazione della quantità di anidride carbonica presente in una data birra e alla quantità di priming richiesto.
• Conservate le bottiglie a temperature abbastanza calde per la carbonazione e lasciando dello spazio tra le bottiglie in modo che si gassino tutte allo stesso modo.
• Se sanitizzate le bottiglie con agenti chimici, misurate accuratamente la concentrazione di sanitizzante. Non tirate a indovinare quando mischiate delle soluzioni, e fate scolare per un tempo adeguato al prodotto che state usando. Concentrazioni eccessive di prodotti sanitizzanti possono influenzare la salute del lievito e la carbonazione.

CARBONAZIONE ECCESSIVA
La carbonazione eccessiva è il risultato di una birra con troppo zucchero al momento del confezionamento oppure della presenza di un organismo in grado di consumare i carboidrati complessi e produrre gas.
• Considerate la quantità di CO2 disciolta presente nella birra quando calcolate la quantità di zucchero. Fate riferimento ad “Appendice D: Tassi di priming e volumi di CO2” in Brewing Classic Styles di Jamil Zainasheff e John Palmer per delle tabelle utili alla determinazione della quantità di anidride carbonica presente in una data birra e alla quantità di priming richiesto.
• Il test di fermentazione forzata dovrebbe darvi delle buone indicazioni per capire se la birra ha attenuato completamente prima del confezionamento.
• Se il problema è una contaminazione, solitamente anche il sapore della birra cambierà assieme a una carbonazione eccessiva.

ATTENUAZIONE
Molte volte un birraio stabilisce le sue aspettative di attenuazione sulla base di una ricetta o dei valori dati per un particolare ceppo di lievito. Ciò potrebbe essere o non essere realistico. Indipendentemente da quello che fate per preparare il lievito alla fermentazione, il fatto è che la composizione del mosto è il punto fondamentale quando si tratta di far attenuare il lievito alla percentuale desiderata. Se effettuate un test di fermentazione forzata, saprete qual è il livello massimo di attenuazione che dovreste aspettarvi per quel mosto. Se i risultati indicano che la birra attenuerà solo fino a 1,020 (5 °P) con il lievito che state usando, allora aspettarsi che esso attenui fino a 1,012 (3 °P) non è realistico. Allo stesso modo, se la vostra cotta di birra scende al di sotto di 1,020 (5 °P), significa che c’è un problema di contaminazione da lieviti selvaggi o batteri. Se avete dei problemi di attenuazione, il test di fermentazione forzata è uno strumento utile.
ATTENUAZIONE BASSA
È comune per la fermentazione della cotta principale essere inferiore di uno o due punti sull’attenuazione massima mostrata dal test di fermentazione forzata. Maggiore è la densità iniziale, più lontano dalla massima attenuazione finirà la vostra birra, probabilmente. Se l’attenuazione della birra è molto inferiore alle aspettative, e avete eliminato la fermentescibilità del mosto come ragione, allora vi è stato un problema di fermentazione. Controllate se si sono verificate le seguenti possibilità:
• La temperatura di fermentazione era troppo bassa, e il lievito non era abbastanza attivo per completare la fermentazione. È anche importante evitare sbalzi di temperatura, specialmente all’inizio durante la fase di latenza e quando la fermentazione si avvicina alla fine. Il lievito è molto sensibile ai piccoli cambiamenti di temperatura. Quando comincia a rallentare la velocità di fermentazione, produce meno calore e, se la temperatura è troppo bassa, si fermerà o rallenterà bruscamente, rendendo così difficile raggiungere la densità finale.
• Il tasso di inoculo era troppo basso, quindi non c’erano cellule a sufficienza per completare la fermentazione. In questo modo, le cellule di lievito in soluzione devono lavorare più del solito per portare a termine il loro compito. Esse però diventano sovraccariche e stremate, e spesso si arrendono prima della fine. Il lievito nella fermentazione della birra raggiunge raramente una crescita superiore a tre o quattro volte.
• Anche un tasso di inoculo cronicamente troppo alto può provocare una scarsa attenuazione, anche nella prima generazione. Generalmente, la fermentazione comincerà in fretta e finirà in modo normale, ma le generazioni successive inizieranno a mostrare problemi di salute. La carica vitale declina nel tempo e la popolazione diventa fiacca, poiché la fermentazione produce meno cellule nuove.
• Una carenza di ossigeno all’inizio della fermentazione limita la crescita e incide sulla salute cellulare. Ricordate che le birre ad alta densità possono beneficiare di una dose ulteriore di ossigeno intorno alle 12 ore. Così come per i tassi di inoculo errati, l’impatto di una ossigenazione cronicamente insufficiente può essere più evidente nelle generazioni successive, perché il lievito non possiede i componenti appropriati per sintetizzare i lipidi necessari per la riproduzione e la crescita cellulare. Anche questo può contribuire a uno scarso rendimento quando si raccoglie il lievito.
• Anche le mutazioni del lievito possono influenzare l’attenuazione. Solitamente, il test di fermentazione forzata dovrebbe rivelare questi problemi, ma è possibile che la mutazione non influenzi il mosto esaminato, caldo e agitato, ma che abbia effetti sulla fermentazione principale.
• Una scarsa salute del lievito e la mancanza di sostanze nutritive fondamentali come lo zinco possono causare l’arresto della fermentazione prima di raggiungere la densità finale.
• Un mescolamento sbagliato nel fermentatore può provocare stratificazione e attenuazione insufficiente. Quando riempite il fermentatore a più riprese o diluite mosto altamente concentrato, dovete mescolare molto bene le due soluzioni. Un riempimento effettuato molto velocemente oppure far entrare il mosto dal fondo del fermentatore verso l’alto, e non il contrario, aiuteranno a mischiare le due soluzioni.
• Se riutilizzate il lievito e lo raccogliete troppo presto, potreste mettere pressione selettiva sulla popolazione, causando una bassa attenuazione. Il lievito che si deposita per primo è il meno attenuante; se il vostro processo di raccolta favorisce quelle cellule, allora l’inoculo diventerà sempre meno attenuante nel tempo. È anche possibile danneggiare la salute del lievito lasciandolo nella birra per lunghi periodo di tempo, il che può altresì influenzare l’attenuazione delle cotte future.

Ecco alcuni metodi comuni utilizzati dai birrai per cercare di aumentare l’attenuazione di una birra:
• Rianimare il lievito. Inserite attentamente anidride carbonica dal fondo del fermentatore oppure, nel caso di piccoli fermentatori da homebrewer, inclinatelo e agitate la birra. Questo dovrebbe riportare del lievito nella birra ed eliminare la CO2, che potrebbe inibire il lievito.
•Separare la birra dal lievito. Travasare la birra o eliminare il lievito dal fondo del fermentatore e reinocularlo nella parte superiore ha lo stesso effetto di rianimare il lievito, ma aggiunge anche dell’ossigeno e fa in modo che il lievito e gli zuccheri rimanenti nel mosto siano uniformemente mischiati.
• Aumentare la temperatura. Temperature maggiori aumentano l’attività del lievito. Entro limiti ragionevoli, questo è uno dei metodi migliori per aiutare il lievito a raggiungere la densità finale desiderata.
• Aggiungere altro lievito. Molti birrai chiedono se possono aggiungere del lievito per Champagne secco per finire la fermentazione. Chi dice che funziona probabilmente ha avuto a che fare con grandi quantità di zuccheri semplici rimanenti, poiché il lievito per Champagne non consuma gli zuccheri più complessi nel mosto. Potete aggiungere del lievito per birra, ma è difficile far ripartire una fermentazione che si è fermata. Una birra parzialmente fermentata non costituisce un ambiente favorevole per il lievito, poiché contiene alcol, non c’è più ossigeno e non ci sono abbastanza sostanze nutritive e zucchero. Aggiungete esclusivamente lievito al picco della sua attività. Aggiungete il lievito a una piccola porzione di mosto, lasciategli raggiungere un high krausen e poi versate il tutto nella birra. Se aggiungete abbastanza lievito al picco dell’attività, non dovreste aver bisogno di aggiungere ossigeno alla birra.
• Aggiungere enzimi. Se il problema era nella composizione zuccherina del mosto, spesso questo metodo aiuta. Tuttavia, se il problema è relativo alla fermentazione, non avrà alcun effetto.

ATTENUAZIONE ALTA
Se la vostra birra attenua di più del livello massimo mostrato dal test di fermentazione forzata, avete un problema di contaminazione. È essenziale che localizziate la fonte della contaminazione e la eliminiate. Far finta di niente non risolve il problema. Rivedete il capitolo sul laboratorio per maggiori informazioni su come testare il lievito e l’ambiente del birrificio.
PROBLEMI DI CONSERVAZIONE DEL LIEVITO
CARICA VITALE DEL LIEVITO BASSA O IN CALO
Un altro grave problema per i birrai è la carica vitale in diminuzione nello slurry di lievito raccolto. Ci sono due ragioni fondamentali per una perdita di carica vitale: il lievito non era in buona salute al momento della raccolta oppure le condizioni di conservazione erano tutt’altro che ideali.
Una scarsa salute al momento della raccolta condivide molte cause con la fermentazione lenta: inoculo eccessivo, bassi livelli di ossigeno disciolto e bassa carica vitale iniziale. Se la fermentazione è stata normale e vigorosa, allora il lievito alla fine della fermentazione dovrebbe essere sano. Ciononostante, le vostre azioni dopo la fermentazione potrebbero aver causato una perdita di carica vitale.
Se non raccogliete il lievito abbastanza rapidamente dal fermentatore, le cellule potrebbero subire un grande stress, dovuto all’alcol, al pH e alla pressione idrostatica. Per una salute ottimale, dovreste raccogliere il lievito ale 24 ore dopo la fine della fermentazione e il lievito lager entro tre-cinque giorni.
Molto spesso, quando i piccoli birrifici aumentano la dimensione del fermentatore, cominciano a notare problemi di carica vitale del lievito raccolto. Questo avviene perché più il fermentatore è grosso e alto, più elevato è lo stress osmotico sul lievito. Inoltre, mantenere fresco il lievito mentre si trova nel fermentatore può essere un problema. Spesso il raffreddamento del cono è inadeguato oppure, con il lievito top cropping, la parte superiore del fermentatore potrebbe non essere fredda a sufficienza, dando origine a temperature che possono stressare il lievito.
Se siete sicuri di aver raccolto del lievito sano, allora il problema sta nelle pratiche di conservazione del lievito.
DURATA INADEGUATA
Per prima cosa, assicuratevi di avere le giuste aspettative sulla durata di conservazione del lievito da riutilizzare per una fermentazione di qualità. Se il lievito è in buona salute alla fine di una fermentazione con densità e quantità di luppolo medie, allora solitamente è possibile conservare il lievito per due settimane e riutilizzarlo senza difficoltà. Dopodiché, i risultati saranno sempre molto variabili. Ricordate sempre i seguenti punti quando conservate il lievito:
• La pressione dell’anidride carbonica, anche solo una piccola quantità, è dannosa per il lievito durante la conservazione. La CO2 danneggia le pareti cellulari del lievito e può accumularsi facilmente durante la conservazione.
• Nella maggior parte dei casi, basse temperature di conservazione aumentano la durata del lievito, a meno che non lo congeliate accidentalmente. Un’ondata di freddo può far diminuire le temperature di conservazione al di sotto dello zero. Questo accade specialmente quando si utilizzano frigoriferi vecchi che potrebbero non stare al passo con la domanda durante il giorno. Man mano che la temperatura dell’ambiente diminuisce, così fa la temperatura del frigorifero. In questo caso, se c’è il rischio di congelamento accidentale, è meglio conservare il lievito a qualche grado in più.
• In alcuni casi, non dovreste riutilizzare il lievito da birre molto alcoliche o con alti livelli di IBU, che stressano il lievito e ne influenzano la carica vitale.
• Tenere il lievito nella birra per altre 8-12 ore dopo la fermentazione gli permette di accumulare le riserve di glicogeno prima della conservazione.
• Le attrezzature per la conservazione sono pulite e igieniche? Ciò comprende tenere il lievito lontano da sostanze chimiche contaminanti e da alti livelli di prodotti sanitizzanti che potrebbero danneggiare la salute del lievito.
PROBLEMI DI LAVAGGIO
Il problema più comune con il lavaggio acido o il lavaggio con il diossido di cloro consiste nel pH sbagliato o nella concentrazione sbagliata. Dovete misurare accuratamente il pH. Conviene investire in un pHmetro decente e nelle soluzioni di calibrazione per assicurarvi di misurare il pH corretto.
PROBLEMI DI RISCIACQUO
L’errore più comune commesso quando si risciacqua il lievito consiste nel non utilizzare un volume d’acqua sufficiente o nel non sapere in quale strato si trova il lievito. Se non utilizzate almeno tre o quattro volte tanta acqua quanta è la parte solida di lievito, lo slurry sarà troppo denso per permettere alle sostanze più pesanti di depositarsi sul fondo in un ragionevole periodo di tempo. Più fluido è lo slurry, migliore è la separazione.
Non scambiate lo strato più sottile sulla parte superiore per lievito. Potrebbero esserci alcune cellule, ma per lo più esso è composto da proteine e forse anche altro materiale cellulare leggero, che potete eliminare.
PROBLEMI DI TRASPORTO
La maggior parte dei problemi di trasporto si concentra attorno alla temperatura. Partite con il lievito più sano possibile, monitorate la temperatura e testate il lievito a destinazione.
PROBLEMI DI PROPAGAZIONE/STARTER
Se partite con una colonia sana di lievito e le fornite il giusto apporto di zucchero, sostanze nutritive, ossigeno e temperatura, la propagazione dovrebbe sempre procedere normalmente. I neofiti della propagazione spesso si chiedono perché non vedono bolle sulla superficie di un recipiente mescolato o agitato. La risposta è che l’agitazione serve a eliminare l’eventuale CO2 in eccesso quando si forma e quindi bolle grandi e visibili sono rare. Fate attenzione al colore e all’opacità della propagazione. Se diventa torbida, è avvenuto un aumento della popolazione. Ricordate i seguenti punti:
• Partite da una fonte di lievito sana. Se iniziate con una coltura mutata, la propagazione risultante potrebbe conservare quella mutazione. È possibile che le cellule non mutate prevalgano su quelle mutate, ma non c’è alcuna certezza. Se siete in dubbio, utilizzate le tecniche di coltura pura per cominciare da capo.
• Utilizzate solo fonti di zucchero con molto maltosio. Utilizzate una fonte a base di malto, che fornisce le sostante nutritive fondamentali per il lievito. Far crescere il lievito con zuccheri semplici gli impedirà di fermentare il maltosio.
• Ossigenate bene e fornite una miscela nutritiva appropriata che includa zinco.
• Propagate il lievito caldo, intorno ai 22 °C.
• Utilizzate una piastra agitante o un agitatore orbitale oppure agitate frequentemente il recipiente per eliminare la CO2 e aiutare a mescolare il lievito con gli zuccheri rimanenti.
CONTAMINAZIONE DEL MALTO
Il malto ha un gran numero di organismi sulla sua superficie, come i lactobacilli. La bollitura uccide la grande maggioranza di questi organismi, quindi non preoccupatevi. Tuttavia, ci sono muffe e funghi che potrebbero produrre delle micotossine resistenti alla bollitura. Questo è raramente un problema derivante dal fornitore di malto, quanto piuttosto da scarse condizioni di conservazione presso il birrificio. I climi caldi e umidi sono particolarmente problematici e possono causare una rapida crescita di muffa e alti livelli di micotossine. Anche se il mash elimina gran parte delle micotossine presenti, quelle che raggiungono la caldaia di bollitura non sono denaturate. Le micotossine come i tricoteceni (Flannigan et al., 1985) inibiscono la crescita del Saccharomyces cerevisiae, influenzando in questo modo l’attenuazione. Varie tossine possono inoltre interagire con la parete cellulare del lievito e danneggiare la flocculazione. Questo è esattamente ciò che le tossine fanno in natura: aiutare un organismo a prevalere sul lievito.
TABELLE DI RISOLUZIONE DEI PROBLEMI
PROBLEMI DI PRESTAZIONI
Figura 7.1: Un ‘•’ indica che il Fattore è una causa potenziale del problema. Un ‘+’ indica che il Fattore è la causa più comune del problema. *Molti fattori causano una scarsa salute del lievito, come carenza di minerali, inoculo eccessivo, poco ossigeno disciolto, mosto ad alta densità, elevata concentrazione di etanolo, raccolta del lievito ritardata, raffreddamento insufficiente del cono del fermentatore, accumulo di CO2 nel fermentatore, mescolamento incompleto nel fermentatore.

PROBLEMI DI SAPORE

Figura 7.2: Un ‘•’ indica che il Fattore è una causa potenziale del problema. Un ‘+’ indica che il Fattore causa un aumento e un ‘–’ indica una diminuzione. *Molti fattori causano una scarsa salute del lievito, come carenza di minerali, inoculo eccessivo, poco ossigeno disciolto, mosto ad alta densità, elevata concentrazione di etanolo, raccolta del lievito ritardata, raffreddamento insufficiente del cono del fermentatore, accumulo di CO2 nel fermentatore, mescolamento incompleto nel fermentatore.

PROBLEMI DI SAPORE (SEGUE)
Figura 7.3: Un ‘•’ indica che il Fattore è una causa potenziale del problema. Un ‘+’ indica che il Fattore causa un aumento e un ‘–’ indica una diminuzione. *Molti fattori causano una scarsa salute del lievito, come carenza di minerali, inoculo eccessivo, poco ossigeno disciolto, mosto ad alta densità, elevata concentrazione di etanolo, raccolta del lievito ritardata, raffreddamento insufficiente del cono del fermentatore, accumulo di CO2 nel fermentatore, mescolamento incompleto nel fermentatore.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il lievito di birra commercializzato viene venduto secco in bustina, oppure liquido. Il lievito liquido in generale e’ di migliore qualita’ e purezza (ma mi dicono che
ultimamente anche alcuni secchi danno ottimi risultati) e soprattutto nel formato liquido sono disponibili i lieviti *specifici* per ogni tipo di birra (ad es, se comprate il lievito Wyeast per Irish Stout si dice ufficiosamente che sia proprio quello usato dalla Guinness!). Sembra anche che veri lieviti per lager (quelli che lavorano a temperature sui 10C) siano disponibili solo in formato liquido.
Se il lievito liquido non vi interessa leggete almeno da Lo Starter.

USO DEL LIEVITO LIQUIDO

Il sacchetto della Wyeast contiene del liquido misterioso (micro-mosto? soluzione con nutriente?) e un ulteriore pacchettino interno. 4 o 5 giorni prima della data fatidica,
bisogna, senza aprire il sacchetto, localizzare con le dita la posizione del sacchetto interno e romperlo, per esempio schiacciando con il palmo della mano. Il sacchetto interno si rompe ed il lievito fuoriesce mixandosi al liquido. Il sacchetto comincera’ piano piano a espandersi, segno che internamente avviene una microfermentazione che permette alle poche cellule di lievito originali di moltiplicarsi; entro qualche giorno (si dice, circa, un giorno per ogni mese di vecchiaia del lievito) sara’ bello gonfiato. Un mio lievito Scottish era quasi scaduto e ha impiegato un po’ di giorni gonfiandosi poco poco, ma alla fine ha funzionato.
A questo punto, si apre il pacchetto, e la Wyeast dice che si potrebbe gia’ usare il contenuto, ma e’ opinione generale che sia meglio usare uno Starter.

LO STARTER

Il concetto dello Starter e’ applicabile in molte occasioni, quindi conviene farci l’abitudine.
Si tratta di preparare una microbirra, di mezzo litro circa, per darla in pasto al lievito, che nel fermentarla si moltiplichera’ ulteriormente. La microbirra si prepara facilmente senza luppolo, bollendo per pochi minuti mezzo litro d’acqua con 60-70 grammi di estratto secco o due/tre bei cucchiaiozzi di estratto liquido. Si bolle per 5-10 minuti, si lascia raffeddare fino verso 25C, ev. si misura la densita’ – meglio che sia tra 1040 e 1060 secondo me, ev. se e’ di piu’ si aggiunge acqua. Si mette questo mosto in
una bottiglia da litro o da 0.75 (se si e’ formato un po’ di fondo meglio cercare di non versarne troppo) e si aggiunge il lievito. Si chiude la bottiglia non ermeticamente, o con un gorgogliatore, oppure usando del cotone o ancora un pezzetto di stoffa bianca sterilizzato bollendolo per pochi minuti in un pentolino con acqua bollente  (quest’ultima idea e’ mia).
Tuuuuutto quello che andra’ a contatto con mosto e lievito va sterilizzato nel modo abituale che usiamo (varichina diluitissima, potassone, lanciafiamme, radiazioni nucleari :-)).
Con un po’ di pratica diventa un lavoretto semplice che si riesce a fare alla sera sparecchiando e preparandosi il caffe’.
Lo starter dopo qualche ora comincera’ a fermentare. Qualcuno preferisce portare a termine la fermentazione, togliere via la parte liquida (minibirra) e impiegare il sedimento di lievito che si e’ formato.
I piu’ (ed io fra quelli) pensano che sia meglio cogliere il momento in cui la fermentazione dello Starter e’ al max, cioe’ circa a meta’ strada (si chiama High Krausen) e pucciare tutto lo starter nel mosto della vera birra che abbiamo preparato. Io di solito faccio partire lo starter il venerdi’ sera; dopo 36 ore circa, cioe’ la domenica in cui faccio la birra, e’ pronto per l’uso, e lo verso nella birra quando questa e’ sotto i 25C. In questo modo non ho mai aspettato piu’ di 6 ore per veder cominciare vivacemente la fermentazione.
Se necessario, si possono fare piu’ step: primo starter piu’piccolo, in questo caso fermentazione completa, si caccia il liquido, si lascia il sedimento di lievito, si prepara un secondo starter piu’ grosso e cosi’ via…

RICICLAGGIO E COLTIVAZIONE DEL LIEVITO

Le mie tecniche sono estremamente semplici e un po’ rozze forse (a parte la 1° che e’ “approvata”) ma funzionano.

1) il modo piu’ sempice e’: fatta una birra, al momento di imbottigliarla, quando si e’ travasata nel tino rimane una grande quantita’ di sedimento di lievito… e’ il momento di preparare la birra successiva e, quando il mosto e’ raffreddato, versarlo direttamente nel tino… la fermentazione inizia quasi immediatamente! Se si vuol fare una birra molto forte, e’ il modo ideale per assicurarsi una fermentazione vigorosa e completa. Bisogna essere disposti nello stesso giorno a imbottigliare la birra precedente e preparare la successiva. Si possono “incatenare” diverse birre di fila – non troppe, max 5 o 6.

2) molto semplicemente, si riempiono alcuni vasetti sterilizzati con il lievito rimasto sul fondo del tino, da conservare ben chiusi in frigo, oppure

3) si riempiono alcune bottiglie (senza priming) con un po’ di birra torbida rimasta sul fondo, prendendo anche un bel po’ di lievito, anche qui conservare in frigo.

Quanto si conserva? Leggendo qua e la’ trovo un’apparente contraddizione. Si dice di utilizzare il lievito in vasetto dopo max 2-3 settimane, mentre il lievito da bottiglia si riutilizza anche dopo mesi, anni. Forse si intende che quello nel vasetto entro 2-3 settimane si puo’ usare direttamente nel mosto, mentre per quello in bottiglia, eliminata la parte liquida, si procede con uno starter…
Io nel dubbio faccio sempre lo starter (cosi’ sono sicuro che il lievito e’ OK, anzi lo assaggio anche!), di un solo step nel caso 2) e di due step nel caso 3), e non ho avuto problemi anche dopo mesi – persino dopo un anno e mezzo!

Variante della 3) proposta da altri: fare una specie di minibirra o grosso starter e imbottigliare una decina di bottigliette con la birra e tutto il lievito, appositamente
per crearsi una riserva di lievito tutto della stessa “generazione”

RICICLAGGIO DEL LIEVITO DA BIRRE COMMERCIALI

Dove credete che la Wyeast si sia procurata il suo lievito? Beh, la tecnica e’ uguale a quella per riutilizzare il proprio lievito come al punto 3), solo che si devono fare almeno 2 o 3 step di Starter. Il primo si puo’ effettuare direttamente nella bottiglietta stessa, con 20 cl scarsi di starter, per minimizzare i travasi. Bisogna aspettare spesso diversi giorni per vedere qualche segno di vita, e a volte non funziona affatto, oppure si riattiva un lievito selvaggio o non puro. Si consiglia anche di scegliere birre non troppo alcoliche, ed il piu’ fresche possibile; inoltre in certi casi bisogna pazientare per parecchio tempoprima di notare segni di attivita’ da parte del lievito.
Inoltre in molti casi (vedi weizen) il lievito in bottiglia non e’ quello della fermentazione primaria. Qui davvero le mie tecniche sono rozze o per lo meno semplificate. Non garantisco al 100% l’efficacia della tecnica, nel senso che dipende da tipo e freschezza del lievito; e neppure si puo’ scommettere sulla purezza assoluta del lievito ottenuto; puo essere utile a questo proposito un resoconto dei risultati che ho ottenuto finora.

I miei primi tentativi sono stati infruttuosi. Potrebbe essere dovuto al fatto che erano birre troppo alcooliche e il lievito si era “strinato”. Le birre erano:
Regal Xmas
Maudite 8.5% alc
La trappe Quadruple 10% alc
Westvleteren 12 11.3% alc

Poi ho provato con una Chimay tappo rosso (la meno forte) e dopo 3 o 4 settimane mi sono accorto che la mia cultura senza dare troppo nell’occhio era fermentata!, e nei successivi step il lievito era ben sveglio!
I lieviti “resuscitati” da me finora sono stati:
Chimay Tappo Rosso (7%), (gia’ usato per un “clone” della Tappo Blu: il lievito ha fermentato benissimo e il risultato… beh, a parte la ricetta non del tutto centrata, sara’ forse autosuggestione, ma il “marchio” Chimay io ce lo sento…)
Saison Dupont (6.5%) (gia’ usato, risultato ottimo)
Westvleteren 8 (9%) (gia’ usato, risultato ottimo)
Tickle Brain (8%) Burton Brewery
Bonne Esperance (8%)

Lo svantaggio di quanto sopra e’ che adesso, quando bevo una bella birra belga rifermentata in bottiglia, invece di assaporarla e basta in santa pace mi mi viene sempre la
tentazione di recuperare il lievito.

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LIEVITO

a cura di Carlo:carma@inrete.it

INTRODUZIONE

Credo sia utile avere, in un unico documento, caratteristiche, utilizzi ottimali e provenienze dei lieviti liquidi. Mi son limitato ad indicare i lieviti adatti ai vari stili di birra solo quando ne avevo esperienza diretta.
Ogni contributo/suggerimento/integrazione sara’apprezzatissimo!
Ho tralasciato i lieviti secchi o liofilizzati in quanto, non essendo ceppi puri o monoclonali non hanno cartterizzazioni specifiche. Una nota a parte merita il Saflager, l’unico lievito a “bassa fermentazione” esistente in forma liofilizzata.
E’ prodotto in Svizzera da una azienda che usa un procedimento di liofilizzazione particolare. E’ un’ottimo lievito e produce delle lager “vere”.
Unica, lieve pecca: sviluppa notevoli “sfridi” sulfurei…da cui, le prime volte, originano forti dubbi che il mosto sia in preda ad una strana infezione batterica. Basta avere pazienza, ed al termine della fermentazione, l’odore si attenua pur persistendo fino all’imbottigliamento.
In pochi giorni di “lagering” tutto si sistema. Basta saperlo 🙂

GLOSSARIO

FLOCCULAZIONE: Rappresenta la tendenza che hanno le cellule di lievito di riunirsi in colonie piu’o meno consistenti.
I lieviti ad alta fermentazione tendono a flocculare all’inizio della fermentazione e, lo sviluppo di anitride carbonica, li trasporta in alto da cui il tipico “cappello”di schiuma.
I lieviti a bassa tendono a riunirsi piu’tardi, quando gli zuccheri son stati quasi tutti consumati e vi e’una minore produzione di co2. Per questo tendono a depositarsi in fondo al fermentatore.

ATTENUAZIONE (apparente): ogni lievito riesce a metabolizzare tipi diversi di zucchero ed in differenti percentuali. Piu’ bassa e’la % di attenuazione piu’zuccheri NON saranno fermentati col risultato di gravita’finali maggiori, piu’ corposita’ minor grado alcoolico e maggior presenza di sapore di malto. L’attenuazione dipende dal non solo lievito ma anche (e soprattutto) dal tipo di mosto prodotto.

LIEVITI AD ALTA FERMENTAZIONE
(Saccharomyces cerevisiae)

LONDON ALE YEAST N. 1028

complesso,produce un gusto
Caratteristiche:vigoroso e pulito, con una
scarsa produzione di diacetile
Flocculazione: media
Attenuazione
apparente: 73/77%
Temperatura di
fermentazione: 15,5 – 22º C
Provenienza : Bass Worthington Whiteshield
ottimo per: English Pale Ale,
Note: Bitters, Brown Ale/Mild, English
Strong Ale,Porter, Dry Stout,
American Pale Ale

ENGLISH LONDON E.S.B. (ex London Ale II) N. 1968

Caratteristiche:carattere marcatamente fruttato
e maltato
Flocculazione: MOLTO alta
Attenuazione
apparente: 67/71%
Temperatura di
fermentazione: 17 – 22º C
Provenienza : Fuller’s
la flocculazione veramente
eccezionale lo rende adatto per
Note: Ales cask conditioned.
Puo’essere necessaria una
succesiva ossigenazione

IRISH ALE YEAST N. 1084

con un modesto residuo di
Caratteristiche:diacetile e fruttato.
Pulito, liscio, morbido dalla
piena corposità
Flocculazione: media
Attenuazione
apparente: 71/75%
Temperatura di
fermentazione: 16,5 – 22º C (ottimale 20° C)
Provenienza : Guinness
ottimo per: Dry Sout, Imperial
Note: Stout, Porter, Barley Wine,
Brown Ale/Mild, Scottish Ale

BRITISH ALE YEAST N. 1098

produce un gusto secco e pulito,
Caratteristiche:leggermente acidulo, fruttato e
ottimamente bilanciato
Flocculazione: media
Attenuazione
apparente: 73/75%
Temperatura di 18 – 22º C (fermenta bene anche
fermentazione: al di sotto dei 18° C
Provenienza : Whitbread

Note: ottimo per: English Pale Ale,
Bitters, English Strong Ale

LONDON ALE YEAST III N. 1318

produce un gusto fruttato, molto
Caratteristiche:delicato, ben bilanciato,
retrogusto leggermente dolce
Flocculazione: alta
Attenuazione
apparente: 71/75%
Temperatura di
fermentazione: 18 – 21º C
Provenienza : Young’s

Note: ottimo per: English Pale Ale,
Bitters, Brown Ale/Mild

SCOTTISH ALE YEAST N. 1728

Caratteristiche:produce un gusto lievemente
torbato/affumicato
Flocculazione: alta
Attenuazione
apparente: 69/73%
Temperatura di
fermentazione: 13 – 21º C
Provenienza : McEwan’s Export

Note: ottimo per: Scottish Ale,
Scottish Strong Ale, Barley Wine

BELGIAN STRONG ALE YEAST N. 1388

lievito con caratteristiche
molto intense, tolleranza
Caratteristiche:all’alcol medio-alta; gusto e
profumo fruttato, secco, con
finale aspro
Flocculazione: bassa
Attenuazione
apparente: 73/77%
Temperatura di
fermentazione: 18 – 24º C
Provenienza : Duvel (Moortgart)
Note: ottimo per cloni Duvel

BELGIAN ABBEY YEAST II N. 1762

lievito per birre ad alta
gradazione, produce un
Caratteristiche:particolare aroma per il
rilascio di etanolo; leggermente
fruttato con un retrogusto secco
Flocculazione: media
Attenuazione
apparente: 73/77%
Temperatura di
fermentazione: 18 – 24º C
Provenienza : Rochefor
Note: –

BELGIAN ALE N. 1214

lievito per birre d’abbazia
Caratteristiche:adatto a Dubbel, Tripel e Gran
Cru; alto residuo di esteri
Flocculazione: –
Attenuazione
apparente: 72/76%
Temperatura di
fermentazione: 14.5 – 20º C
Provenienza : Chimay
Note: –

TRAPPIST HIGH GRAVITY N. 3787

carattere fenolico e tolleranza
Caratteristiche:all’alcol fino a 12%; ideale per
la Biere de Garde; profilo
secco, ricco di esteri e maltato
Flocculazione: media
Attenuazione
apparente: 75/80%
Temperatura di
fermentazione: 18 – 25º C
Provenienza : Westmalle
Note: –

BELGIAN WITBIER YEAST N. 3944

dal carattere ricco, aspro e
fenolico, ottimo per produrre le
Caratteristiche:tipiche Birre belghe e le Gran
Cru;
ottima Tolleranza all’alcol
Flocculazione: media
Attenuazione
apparente: 72/76%
Temperatura di

fermentazione: 16 – 24º C
Provenienza : Hoegaarden/Celis White
Note: –

LIEVITI A BASSA FERMENTAZIONE
(Saccharomyces uvarum)

CALIFORNIA LAGER YEAST N. 2112

mantiene le caratteristiche
Caratteristiche:delle lager a temperature fino a
18 ºC; produce delle birre dal
gusto maltato e molto limpide
Flocculazione: alta
Attenuazione
apparente: 67/71%
Temperatura di
fermentazione: 14 – 20º C
Provenienza : Anchor Steam
Note: –

BOHEMIAN LAGER YEAST N. 2124

Caratteristiche:tradizionale lievito
cecoslovacco
Flocculazione: media
Attenuazione
apparente: 69/73%
Temperatura di
fermentazione: 8 – 12º C
Provenienza : Weihenstephan 34/70 ( EKU ?)
Note: –

MUNICH LAGER YEAST N. 2308

ceppo difficile, a volte
Caratteristiche:instabile ma capace di produrre
le migliori lager; morbido,
rotondo, dal corpo pieno
Flocculazione: media
Attenuazione
apparente: 73/77%
Temperatura di
fermentazione: 9 – 13º C
Provenienza : Wissenschaftliche Station 308
Note: –

BAVARIAN LAGER N. 2206

usato da molti produttori
Caratteristiche:tedeschi; gusto complesso,
rotondo, maltato e pulito
Flocculazione: –
Attenuazione
apparente: 73/77%
Temperatura di
fermentazione: 9 – 14º C
Provenienza : Weihenstephan 206
Note: –

CZECH PILS N. 2278

gusto classico: secco, pulito e
maltato; ottima scelta per
Caratteristiche:Pilsner e Bock; produce anitridi
solforose/solfidriche durante la
fermentazione che si disperdono
durante la maturazione
Flocculazione: –
Attenuazione
apparente: 70/74%
Temperatura di
fermentazione: 9 – 17º C
Provenienza : Pilsner Urquell-D
Note: –

WEIHENSTEPHEN WHEAT YEAST N. 3068

cultura di Saccaromicetus
Delbrueckii puro; unico lievito
Caratteristiche:ad alta fermentazione che
produce il carattere speziato
tipico delle Weizen
Flocculazione: bassa
Attenuazione
apparente: 73/77%
Temperatura di
fermentazione: 18 – 21º C
Provenienza : Weihenstephan 68
Note: –

GERMAN WHEAT YEAST N. 3333

Caratteristiche:profilo molto delicato; aspro,
frizzante e fruttato
Flocculazione: alta
Attenuazione
apparente: 70/76%
Temperatura di
fermentazione: 17 – 24º C
Provenienza : –
Note: –

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