Molti sono convinti che trivellare l’Italia serve a soddisfare il nostro fabbisogno energetico ed economico e che questo viene fatto in modo “sostenibile”. Maria Rita D’Orsogna che ha girato l’Italia “petrolizzata e petrolizzanda ” dice di no, che questa non è una soluzione.
Renzi, invece, è convinto che questa sia l’unica soluzione e a luglio, ha detto: “non estraiamo petrolio in Basilicata per paura di quattro comitatini”.
Eccoli i comitatini: 62 sindaci e 10 mila cittadini tra studenti, agricoltori della Val d’Agri (la zona dove su 15 ettari si passerà da 80 mila barili a 154 mila al giorno), comitati “No Triv” di diversi paesi e tanti cittadini comuni tutti a chiedere un impegno della Regione Basilicata nel ricorrere contro lo “Sblocca Italia” dinanzi alla Corte costituzionale. Ed erano tutti lì, il 4 dicembre, sotto la sede del consiglio regionale di Basilicata fino alla sera.
Il Consiglio del renziano Marcello Pittella (figlio del senatore socialista di Lauria e fratello di Gianni, il capogruppo del PSE a Strasburgo) invece approva questa mezza misura: “impugnare l’articolo 38 qualora non vengano ripristinate le prerogative delle Regioni”; che tradotto vuol dire “vedi Renzi che non ti siamo contro, per favore vienici incontro…. almeno un pochino”.
Mentre i lucani, fuori dai cancelli della Regione, gridano un no secco alle trivellazioni, il presidente Pittella parla di soldi, della quota di Ires (un 30% in più) che le compagnie petrolifere dovranno versare nelle casse pubbliche. Il presidente texano, che è un medico, invece che preoccuparsi della salute e dell’inquinamento del territorio, parla di incremento della card (quell’elemosina partorita qualche ano fa) e di interventi strutturali importanti per la regione. I maligni pensano anche che l’ottenimento del titolo di capitale europea della cultura 2019 per Matera, sia già stato il pre-accordo Pittella-Renzi proprio sulla questione petrolio. Il movimento, e i molti sindaci di centro sinistra, continuano a ricordare, invece, i danni che il petrolio ha già prodotto sul territorio lucano in tutti questi anni (idrocarburi nei laghi e acque radioattive).
Insomma l’art.38 aggiunge il paradosso di non poter amministrare in casa propria. Più o meno come se all’ora di pranzo arrivi in casa un operaio e, senza alcun permesso e senza neanche suonare il campanello, inizi a perforare il pavimento del salotto in cerca di giacimenti. Questo è quanto impone Renzi alle regioni e ai comuni. Poi di salute (aumento significativo del numero di malattie croniche e oncologiche nell’area delle perforazioni) neanche a parlarne.
I consiglieri regionali invece sorridono e mentre qualcuno ricorda che, in fondo, la vitalità media è aumentata, qualcun altro afferma che la cacca delle mucche inquina più del petrolio.
In tutto questo, il più grande partito lucano, il PD (che qui più che altrove è la continuazione storica di quella DC che ha dominato fin dall’inizio), è chiuso in se stesso e pensa soltanto ai propri equilibri interni; e forse ha ragione Angela Mauro su L’Uffington Post quando dice che le ragioni di queste scelte devono essere ricercate proprio nello “scollamento tra politica e cittadini, tra il Pd di Matteo Renzi e la base“.
All’inizio c’era una fievole speranza in vista della forte linea critica proveniente da una parte del centro sinistra: era contrario all’art.38 il deputato PD Vincenzo Folino, autosospesosi tempo fa dal partito, come lo era il presidente del consiglio regionale Piero Lacorazza che sbandierava ai quattro venti la sua contrarietà per poi optare per la soluzione morbida. Così come pensa bene di votare a favore della soluzione Pittella anche il consigliere di SEL Giannino Romaniello, mentre tutto il suo partito è sotto le regione con le bandiere e gli striscioni (subito dopo il voto esce o viene espulso dal partito).
Votano contro, con ovvie e decise differenze, il Movimento 5 stelle che da anni si batte per lo stop alle trivellazioni e Forza Italia e Fratelli d’Italia che sembrano aver dimenticato le scelte lungimiranti del passato have a peek at these guys.
Mancano all’appello i sindacati che sospendono il loro giudizio dimostrando di non poter divergere troppo dal partito-regione altrimenti gli viene preclusa quella caratteristica, tutta sindacale, di essere il trampolino privilegiato di quei segretari che si lanciano in politica. Ma, come ha dimostrato lo sciopero sociale del 14 novembre, anche le vertenze sono sempre meno strumento sindacale e la giornata del 4 dicembre, con i suoi 10 mila giovani in piazza, ce ne da ampia conferma.