Le ragioni di un SI

siPartiamo dal fatto che  i partiti, normalmente, si distaccano dai loro programmi elettorali non appena entrano a far parte del governo.

Per alcuni (più di qualcuno) basta anche solo sedersi su una sedia del parlamento.

Io lo ricordo benissimo quando Serracchiani a Monopoli manifestava in piazza contro le trivellazioni, ed era soltanto il 2012. Solo qualche anno prima, per le elezioni del 2008, il PD aveva parlato di “rottamare il petrolio”  e organizzava le “giornate del sole“.

E’ ovvio che poi si prova un certo fastidio nel sopportare  l’idea che tutti gli italiani si esprimano su alcune materie, come quella delle perforazioni per la  ricerca ed estrazione di idrocarburi, per esempio.

Renzi fa addirittura di più e sposa completamente la causa dei petrolieri  concedendo loro la facoltà di avvalersi di un doppio regime legislativo per l’ottenimento dei titoli.

Perchè il referendum di domenica è un voto politico?

Perchè serve per esprimere un parere sulla strategia energetica italiana; serve a bloccare l’arroganza di un governo che si batte sfacciatamente per gli interessi delle lobbies del petrolio anteponendole a quelli dei territori e alla salute delle persone.

Il governo non ha voluto l’election day e ha stabilito, in tutta fretta, la data del referendum (spendendo circa 350 milioni in più) solo per ridurre i tempi dell’informazione e della comunicazione elettorale e, soprattutto, per non tirare la volata contraria al referendum istituzionale su cui Renzi ha dichiarato di giocarsi la poltrona.

Poi non è vero, come sottolinea Roberta Radich del Movimento NoTriv, “che non estraendo petrolio dobbiamo dipendere dall’estero, perché comunque vi dipendiamo lo stesso dal momento che il petrolio e il gas estratti entro le 12 miglia rappresentano rispettivamente l’1 e il 2 per cento del fabbisogno. Solo progredendo con le energie rinnovabili verrà diminuita la dipendenza dall’energia estera.”

Infine c’è anche la questione delle quote annuali (franchigie) sulle quali non si pagano royalty. Ovvero, se una compagnia estrae un quantitativo di gas e di petrolio pari o inferiore alle franchigie stabilite per legge (in terra: 20mila tonnellate di petrolio e 25 milioni di metri cubi di gas; in mare: 50mila di petrolio e 80 milioni di gas) non deve versare le royalty allo Stato. Quindi il rallentamento del flusso di estrazione e l’allungamento dei tempi fino a esaurimento dei giacimenti, serve a far risparmiare i soldi delle royalty ma anche quelli per i costi di dismissione, non smantellando le piattaforme ‘zombie’ che restano abbandonate alla ruggine nei nostri mari. Si consideri che la quantità di petrolio e di gas estratti annualmente vengono semplicemente “autocertificate” dai concessionari senza nessun tipo di controllo.

#4D e il texas lucano

notriv1Molti sono convinti che trivellare l’Italia serve a soddisfare il nostro fabbisogno energetico ed economico e che questo viene fatto in modo “sostenibile”.  Maria Rita D’Orsogna che ha girato l’Italia “petrolizzata e petrolizzanda ” dice di no, che questa non è una soluzione.

Renzi, invece, è convinto che questa sia l’unica soluzione e a luglio,  ha detto: “non estraiamo petrolio in Basilicata per paura di quattro comitatini”.

Eccoli  i comitatini: 62 sindaci e 10 mila cittadini tra studenti, agricoltori della Val d’Agri (la zona dove su 15 ettari si passerà da  80 mila barili a 154 mila al giorno), comitati “No Triv” di diversi paesi e tanti cittadini comuni tutti  a chiedere un impegno della Regione Basilicata nel ricorrere contro lo “Sblocca Italia” dinanzi alla Corte costituzionale.  Ed erano tutti lì, il 4 dicembre, sotto la sede del consiglio regionale di Basilicata fino alla sera.

Il Consiglio del renziano Marcello Pittella (figlio del senatore socialista di Lauria e fratello di Gianni, il capogruppo del PSE a Strasburgo) invece approva questa mezza misura: “impugnare l’articolo 38 qualora non vengano ripristinate le prerogative delle Regioni”; che tradotto vuol dire “vedi Renzi che non ti siamo contro, per favore vienici incontro….  almeno un pochino”.

Mentre i lucani, fuori dai cancelli della Regione, gridano un no secco alle trivellazioni, il presidente Pittella parla di soldi, della quota di Ires (un 30% in più) che le compagnie petrolifere dovranno versare nelle casse pubbliche.  Il presidente texano, che è un medico, invece che preoccuparsi della salute e dell’inquinamento del territorio,  parla di incremento della card  (quell’elemosina partorita qualche ano fa) e di interventi strutturali importanti per la regione.  I maligni pensano anche che l’ottenimento del titolo di capitale europea della cultura 2019 per Matera, sia già stato il pre-accordo Pittella-Renzi proprio sulla questione  petrolio.  Il movimento, e i molti sindaci di centro sinistra,  continuano a ricordare, invece, i danni che il petrolio ha già prodotto sul territorio lucano in tutti questi anni (idrocarburi nei laghi e acque radioattive).

Insomma l’art.38 aggiunge il paradosso di non poter amministrare in casa propria.  Più o meno come se all’ora di pranzo arrivi in casa un operaio e, senza alcun permesso e senza neanche suonare il campanello, inizi a perforare il pavimento del salotto in cerca di giacimenti.  Questo è quanto impone Renzi alle regioni e ai comuni.  Poi di salute (aumento significativo del numero di malattie croniche e oncologiche nell’area delle perforazioni) neanche a parlarne.

I consiglieri regionali invece sorridono e mentre qualcuno ricorda che, in fondo, la vitalità media è aumentata, qualcun altro afferma che la cacca delle mucche  inquina più del petrolio.

In tutto questo, il più grande partito lucano, il PD (che qui più che altrove è la continuazione storica di quella DC che ha dominato fin dall’inizio),  è chiuso in se stesso e  pensa soltanto ai propri equilibri interni; e forse ha ragione Angela Mauro su L’Uffington Post quando dice che le ragioni di queste scelte devono essere ricercate proprio nello “scollamento tra politica e cittadini, tra il Pd di Matteo Renzi e la base“.

All’inizio c’era una fievole speranza in vista della forte linea critica proveniente da una parte del centro sinistra: era contrario all’art.38  il deputato PD Vincenzo Folino, autosospesosi tempo fa dal partito, come lo era il presidente del consiglio regionale Piero Lacorazza che sbandierava ai quattro venti la sua contrarietà per poi optare per la soluzione morbida.  Così come pensa bene di votare a favore della soluzione Pittella anche il consigliere di SEL Giannino Romaniello, mentre tutto il suo partito è sotto le regione con le bandiere  e gli striscioni (subito dopo il voto esce o viene espulso dal partito).

Votano contro, con ovvie e decise differenze, il Movimento 5 stelle che da anni si batte per lo stop alle trivellazioni e Forza Italia e Fratelli d’Italia che sembrano aver dimenticato le scelte lungimiranti del passato have a peek at these guys.

Mancano all’appello i sindacati che sospendono il loro giudizio dimostrando  di non poter divergere troppo dal partito-regione  altrimenti gli viene preclusa quella caratteristica, tutta sindacale, di essere il trampolino privilegiato di quei segretari che si lanciano in politica. Ma, come ha dimostrato lo sciopero sociale del 14 novembre, anche le vertenze sono sempre meno strumento sindacale e la giornata del 4 dicembre, con i suoi 10 mila giovani in piazza, ce ne da ampia conferma.

Cittadino patentato un po' più inquinato

Probabilmente in ritardo (ma forse ancora in tempo) il buon Antonio ingrandisce con lente bifocale un argomento da agenda lucana: la “card–carburante” che il buon governo mette a disposizione dei lucani a mo’ di risarcimento per le devastazioni ambientali causate dalle trivellazioni petrolifere.

Il rimborso di circa €90,00 dovrà essere richiesto a Poste Italiane ma soltanto da coloro che esibiscano la patente!!!

Sorvolando, come fa Antonio, sull’esigua entità del rimborso (quasi ovunque in Italia ammonta a 30 euri mentre in Basilicata sarebbe di 90) e anche sul fatto, non meno importante, che una buona parte di questi soldi sono maggiorati da un prezzo “inutilmente” pagato a Master Card e a Poste Italiane (proprio come accadde con la fallimentare carta dei poveri); mi pare urgente invece, sottolineare il concetto di cittadinanza che è insita in questa decisione, ovvero: secondo questo governo è cittadino (lucano) non chi risulta tale da una carta di identità o documento simile rilasciato dal comune di residenza ma semplicemente da un permesso di guida. In sostanza è come se ci dicessero: andate a votare con la patente e non con il certificato elettorale.

E’ questa, a mio avviso, l’aberrazione più totale: l’innovativa riscrittura di una regola di acquisizione della cittadinanza che, probabilmente, concederà d’ora innanzi la Motorizzazione Civile.

Di modi per distribuire questi rimborsi ve ne sarebbero stati a migliaia, a partire dal fatto di presentarsi con una carta di identità da qualche parte o vederseli recapitare a casa, così come vengono recapitate le tasse, direttamente dal comune o da quei solerti uffici esattori che per 2 lire ti bloccano l’auto. Insomma chi conosce è sa chi sia cittadino è il comune che sa a chi spedire un assegno non trasferibile e non Poste Italiane.

Ma il concetto resta uno solo e cioè una inutile furberia elettoral-populista che con questo stratagemma prende 2 piccioni con una fava: risparmiare su una buona fetta di popolazione (minorenni, anziani e non patentati) e far intascare un po’ di soldi a Poste Italiane e a Master Card.

Cosa resta da fare a noi poveri cittadini?

Rifiutare la carta organizzando e motivando pubblicamente il rifiuto attraverso la costituzione di comitati “cittadino” che diano risalto all’evento. E se non lo si fa adesso…. quando?

Altrimenti domani si va a votare con la patente!