L'astensione, la retorica e il centrosinistra

da Polisblog.it

Rocco Albanese dice su Commo che “il governo Renzi sta letteralmente smantellando l’Italia in un contesto di (apparente) unanimismo servile, che fa sembrare mosche bianche le voci critiche.”

Io credo che invece stia smontando, più semplicemente, il PD e il centrosinistra, almeno quello che ne resta.

Giovanna Cosenza scrive un post, nel quale fa una sorta di teoria della mente dei renziani (trascrivendo quasi esattamente quello che i renziani pensano  e, soprattutto, vedono quando guardano il loro leader; perchè a loro piace che gli venga riconosciuta la familiarità con Berlusconi e il successivo processo di superamento. Come in un buon percorso di apprendimento, dove il legame col proprio maestro viene sciolto con la sua uccisione  -se incontri un Buddha per strada uccidilo, diceva Siddharta), dove dice che Renzi “è proprio bravo”  con un “tanto di cappello”.

E’ bravo perché è “più capace di interpretare le emozioni, i pensieri e gli umori dell’italiano e dell’italiana media”, perché “parla a tutti/e in generale” invece di parlare all’elettorato di centrosinistra.

Parlare a tutti, in politica,  significa “parlare per tutti”, ovvero fare gli interessi di tutti quelli per cui si parla, ed è comunque una vecchia favola retorica alla quale nessuno ha mai creduto e che non sta in piedi né logicamente né praticamente.

Per ascoltare/parlare a tutti, un pover’uomo, dovrebbe mettere su un sistema di ascolto tale da non farsi sfuggire assolutamente nulla, neanche i bisbigli in percentuali minori; poi dovrebbe inventarsi un altro sistema per poter instaurare un dialogo uno-a-uno per scambiarsi le opinioni e infine mettere insieme tutti gli interessi, riuscire a rappresentarli senza creare contro-interessi. La storia non ha conosciuto sistemi del genere e il futuro non promette niente di simile. Forse solo qualche capo religioso riesce a parlare a nome di tutti i suoi fedeli ma niente di più.  Una soluzione parziale a questa aporia è stata certamente la democrazia ateniese che si poneva l’obiettivo di amministrare “non già per il bene di poche persone, bensì di una cerchia più vasta” (nemmeno la maggioranza).

Ma chi l’ha detto che Renzi volesse ascoltare tutti o un’ampia cerchia di loro? Ha tifato per l’astensione a un referendum proprio per non ascoltare nessuno; si è addirittura vantato e rivendicato come una vittoria personale quella pratica di astensione.

Se avesse voluto ascoltare la maggioranza delle persone, avrebbe invitato tutti a votare; avrebbe insistito, aumentato il tempo dell’informazione, magari intensificato tutte le tecniche comunicative, pur di riuscire ad avere una più ampia cerchia di voci.  Invece si è adoperato affinché quella maggioranza non emergesse, barando poi sull’intercettazione del sentimento dei più che invece non si sono espressi.

E’ vero, c’è una tendente disaffezione al voto, ma è illogico e insensato per un capo di governo (e un ex capo dello Stato) tifare per il non voto.

Ora resta da capire con chi e per chi parla Renzi. Non è interessato ad ascoltare la maggioranza, non parla con e per la sinistra, gli rimane la desta e il solito centro.

Se Renzi parla e ascolta la destra (centro) come capo del governo ma è anche segretario di un partito di (centro) sinistra, la cosa si semplifica e si chiarisce: Renzi sta compiendo un’azione riformatrice non tanto del paese quanto della struttura ideologica del proprio partito. In soldoni, sta ricostruendo, mattone su mattone, il corpo politico della vecchia Democrazia Cristiana scacciando e piegando tutto ciò che resta della vecchia sinistra.

Tutto qui e il resto sarà futuro prossimo.

#4D e il texas lucano

notriv1Molti sono convinti che trivellare l’Italia serve a soddisfare il nostro fabbisogno energetico ed economico e che questo viene fatto in modo “sostenibile”.  Maria Rita D’Orsogna che ha girato l’Italia “petrolizzata e petrolizzanda ” dice di no, che questa non è una soluzione.

Renzi, invece, è convinto che questa sia l’unica soluzione e a luglio,  ha detto: “non estraiamo petrolio in Basilicata per paura di quattro comitatini”.

Eccoli  i comitatini: 62 sindaci e 10 mila cittadini tra studenti, agricoltori della Val d’Agri (la zona dove su 15 ettari si passerà da  80 mila barili a 154 mila al giorno), comitati “No Triv” di diversi paesi e tanti cittadini comuni tutti  a chiedere un impegno della Regione Basilicata nel ricorrere contro lo “Sblocca Italia” dinanzi alla Corte costituzionale.  Ed erano tutti lì, il 4 dicembre, sotto la sede del consiglio regionale di Basilicata fino alla sera.

Il Consiglio del renziano Marcello Pittella (figlio del senatore socialista di Lauria e fratello di Gianni, il capogruppo del PSE a Strasburgo) invece approva questa mezza misura: “impugnare l’articolo 38 qualora non vengano ripristinate le prerogative delle Regioni”; che tradotto vuol dire “vedi Renzi che non ti siamo contro, per favore vienici incontro….  almeno un pochino”.

Mentre i lucani, fuori dai cancelli della Regione, gridano un no secco alle trivellazioni, il presidente Pittella parla di soldi, della quota di Ires (un 30% in più) che le compagnie petrolifere dovranno versare nelle casse pubbliche.  Il presidente texano, che è un medico, invece che preoccuparsi della salute e dell’inquinamento del territorio,  parla di incremento della card  (quell’elemosina partorita qualche ano fa) e di interventi strutturali importanti per la regione.  I maligni pensano anche che l’ottenimento del titolo di capitale europea della cultura 2019 per Matera, sia già stato il pre-accordo Pittella-Renzi proprio sulla questione  petrolio.  Il movimento, e i molti sindaci di centro sinistra,  continuano a ricordare, invece, i danni che il petrolio ha già prodotto sul territorio lucano in tutti questi anni (idrocarburi nei laghi e acque radioattive).

Insomma l’art.38 aggiunge il paradosso di non poter amministrare in casa propria.  Più o meno come se all’ora di pranzo arrivi in casa un operaio e, senza alcun permesso e senza neanche suonare il campanello, inizi a perforare il pavimento del salotto in cerca di giacimenti.  Questo è quanto impone Renzi alle regioni e ai comuni.  Poi di salute (aumento significativo del numero di malattie croniche e oncologiche nell’area delle perforazioni) neanche a parlarne.

I consiglieri regionali invece sorridono e mentre qualcuno ricorda che, in fondo, la vitalità media è aumentata, qualcun altro afferma che la cacca delle mucche  inquina più del petrolio.

In tutto questo, il più grande partito lucano, il PD (che qui più che altrove è la continuazione storica di quella DC che ha dominato fin dall’inizio),  è chiuso in se stesso e  pensa soltanto ai propri equilibri interni; e forse ha ragione Angela Mauro su L’Uffington Post quando dice che le ragioni di queste scelte devono essere ricercate proprio nello “scollamento tra politica e cittadini, tra il Pd di Matteo Renzi e la base“.

All’inizio c’era una fievole speranza in vista della forte linea critica proveniente da una parte del centro sinistra: era contrario all’art.38  il deputato PD Vincenzo Folino, autosospesosi tempo fa dal partito, come lo era il presidente del consiglio regionale Piero Lacorazza che sbandierava ai quattro venti la sua contrarietà per poi optare per la soluzione morbida.  Così come pensa bene di votare a favore della soluzione Pittella anche il consigliere di SEL Giannino Romaniello, mentre tutto il suo partito è sotto le regione con le bandiere  e gli striscioni (subito dopo il voto esce o viene espulso dal partito).

Votano contro, con ovvie e decise differenze, il Movimento 5 stelle che da anni si batte per lo stop alle trivellazioni e Forza Italia e Fratelli d’Italia che sembrano aver dimenticato le scelte lungimiranti del passato have a peek at these guys.

Mancano all’appello i sindacati che sospendono il loro giudizio dimostrando  di non poter divergere troppo dal partito-regione  altrimenti gli viene preclusa quella caratteristica, tutta sindacale, di essere il trampolino privilegiato di quei segretari che si lanciano in politica. Ma, come ha dimostrato lo sciopero sociale del 14 novembre, anche le vertenze sono sempre meno strumento sindacale e la giornata del 4 dicembre, con i suoi 10 mila giovani in piazza, ce ne da ampia conferma.

Netstrike (HowTo e sciopero sociale)

pugno-redAccade in questi anni, in questi giorni, che un complesso mondo costituito da quasi 4 milioni di lavoratori “senza volto” (atipici o astabili che neanche i sindacati riescono a rappresentare o anche solo ad averne una visione d’insieme), rivendichi il proprio diritto di esistenza.
E capita che in tempi di crisi si faccia spazio quell’incapacità, tutta istituzionale, nel non saper rispondere alle richieste emergenti dalla società.  Anzi, solitamente, questa incapacità viene accompagnata da una “reazione” violenta, spesso di tipo preventivo, tendente a disarticolare le forme di associazionismo derivanti.
Questo mondo-altro, a un certo punto, decide di auto-riprodurre la propria identità attraverso la rappresentazione, anonima e dissenziente, del  malessere e del disagio.
La domanda che questi si rivolgono è:  chi l’ha detto che lo sciopero è una macchina di esclusivo appannaggio sindacale?
Ed ecco proclamato lo sciopero sociale del 14 novembre, con l’obiettivo di esprimere un secco, ma forte, no al Jobs Act di Poletti-Renzi e alla loro fabbrica della precarietà.
L’evento fa esultare Bascetta, su Il Manifesto,  intorno a una “coalizione di intel­li­genza” che, liberandosi dai modelli categoriali del neo­li­be­ri­smo, può riunire il lavoro dipen­dente alle “atti­vità senza nome e senza reddito“.
La cosa ancor più interessante, per chi come me ha sempre un occhio attento al digitale e ai social media, sono i podromi dello sciopero sociale: l’intenzione di occupare anche gli spazi della comunicazione impersonale che si sono moltiplicati nella società post moderna.
Anzi, per dirla con le parole di Eigen-Lab, “rovesciare il tavolo dello spazio di dibattito offerto e creato dai social networks per prenderlo dall’interno, per trasformarlo in spazio politico“.2014-10-10_165730
Con l’idea che  “batte il tempo dello sciopero sociale” ci sono già stati dei primi avvicinamenti ai social con prove tecniche di Tweetstorm.  Prove  che hanno portato il 10 ottobre, in preparazione e diffusione dello sciopero sociale, a lanciare  una “guerrilla tag”  con l’hashtag  #socialstrike  che ha scalato la classifica dei trending topic  e in soli 12 minuti ha raggiunto il secondo posto, per assestarsi al terzo per circa tre ore  (il primo posto sarà giustamente tenuto dall’hashtag sull’alluvione a Genova).
L’evento viene ripetuto nuovamente  il giorno prima dello sciopero sociale del 14 novembre con l’hashtag #incrociamolebraccia  e  anche questa volta si scala la classifica e si raggiunge la quinta posizione.
Insomma è importante che si stiano studiando i meccanismi che rendono più visibili gli argomenti in discussione attraverso la riappropriazione degli algoritmi che sono alla base dei social network.  L’operazione è immane e importante perché tende ad 10734005_1546081938965218_3448433219448854954_n-e1417027657349intaccare il potere di chi decide il valore dei contenuti che riempiono il web.  Occupare gli spazi e condizionare i contenuti vuol dire ribaltare i rapporti di forza all’interno dei social che per definizione dovrebbero avere un alto valore in basso.  Dunque, immaginare delle pratiche collettive di sciopero che attraversino la rete è la dimostrazione che un modo, per certi versi autoestraneizzatosi dai social,  può e vuole riappropriarsi di tutto quanto riversato, giorno per giorno, istante per istante, in questi colossi digitali di vita sociale .

E’ ovvio che tutto dovrà essere  migliorato, affinato, digerito e certamente nel prossimo futuro si riuscirà a mettere in piedi anche un vero e proprio NetStrike.
Di sicuro la strada è tracciata e le basi di un nuovo linguaggio comune sono state gettate.
Non resta che riempire di idee e contenuti quell’ipotesi di  “coalizione di intelligenza” di cui parlava Bascetta, anche attraverso la riunificazione dei movimenti che in tal senso già operano da anni, come lo storico Hacktivism, poi tutto il resto è il presente.

 

Cose di questo mondo [Civati]

civatiPippo Civati che è passato negli anni da “La sinistra e il PD da oggi in poi” a “Non mi adeguo”, oggi elabora una nuova tesi che appartiene, più che altro, alla teoria dei mondi possibili e cioè:  “potessi farlo liberamente, senza mettere in discussione i rapporti con il Pd, voterei no, ma proprio no“;  no, perché se “io non dovessi votare un governo che ha una legittimazione interna al Pd dovrei uscire dal partito“; “ma non esco io perché sarei la pira umana come Giordano Bruno“.
E’ quanto è stato detto davanti a mille civatiani in assemblea a Bologna.
Attenzione, per arrivare a questa ardita tesi Civati scomoda pure il “suo popolo” con un sondaggio on line sul suo blog.
Le domande che Civati faceva ai suoi erano:
La fiducia al governo Renzi
1) Va votata
2) Va votata per far nascere il Governo, ma va condizionata a una verifica in tempi brevi
3) Non va votata
4) Meglio astenersi o non partecipare al voto
Ecco i risultati (riferiti soltanto agli elettori di Civati):

Si capisce subito che i NO sono il numero maggiore ma Civati che fa? Somma i risultati “votare SI” e “votare SI ma con fiducia” (praticamente realizzando un’alleanza tra le risposte) e decide che forse è meglio votare la fiducia al governo.

Ecco, è proprio un vizio di quelli del PD fare primarie, chiedere pareri e poi cambiare le carte in tavola task list software.

Ma fantastici de ché?

Se andate sul sito del Partito Democratico troverete questa immagine  qui accanto che imita il famoso  fumetto della Marvel con l’aggiunta del quinto fantastico.   Potrà sembrare comica o curiosa ma l’imitazione de “ I Fantastici 4″ ha sollevato un bel vespaio nel web (e qui la cronaca di twitter sull’incontro).

Ciò su cui voglio riflettere brevemente oggi sono due questioni a mio avviso fondamentali. La prima è di carattere comunicativo, ovvero che tipo di strategia è stata adottata e messa in campo e  la seconda, più seria,  sul tipo di messaggio politico che i candidati sono riusciti a far filtrare .

Premetto di non conoscere la tattica e il disegno (o l’obiettivo) della strategia di marketing che sottende a quest’idea del “fantastico”, ma se fossi stata chiamata a valutarla preliminarmente l’avrei bocciata immediatamente.  Quale può essere  è il messaggio lanciato con i fantastici 5? Forse questo: vedete, elettori della coalizione di sinistra, per spazzare via anni di fantapolitica,  di malvagio immaginifico al potere (nani e ballerine mutati e quintuplicati in veline, anchorman, concubine, escort e olgettine) è necessario una forza ancora più straordinaria capace di vincere sul male in qualsiasi forma esso si presenti. Peccato, però, che questo ragionamento non sia niente di più di un rigurgito che rimane all’interno di quello stesso mondo “fantastico” che si vuol combattere.  Una volta, nel ’77 gridavano “la fantasia al potere” ma il senso era naturalmente opposto, era anti-politico.  Non lo possono gridare i politici di “professione”, è come sputare nel proprio piatto. E poi, per dirla in soldoni, il progetto politica che viene “sventolato” resta completamente all’interno del solco tracciato da anni di berlusconismo.  Dunque la traduzione semplice del messaggio elettorale è quello di non cedere al desiderio del reale ma ad avere “fede” (ricordatevi questa cosa che ritornerà dopo)  in progetti fantastici e in iperboliche soluzioni che,  voi terrestri, al momento, non siete in grado di comprendere.  Ah ci sarebbe pure da aggiungere qualche malfidato lettore di fumetti ha sostenuto che l’investitura di supereroe non avviene per elezione ma per acclamazione, ovvero per riconoscimento delle gesta super eroiche, e che quindi tutto quel che viene pubblicizzato è semplicemente millantato credito. Ma si sa quelli che leggono fumetti son gente cattiva.

Il secondo nodo del ragionamento viene invece fuori dal dibattito televisivo svoltosi ieri sera su Sky TG24 dove i 5 candidati (Bersani, Renzi, Vendola, Tabacci e Puppato) si sono misurati, in perfetto stile USA (in verità più perché costretti dalle regole rigide imposte dall’emittente che per scelta personale), su programmi e proposte con tanto di  fact checking e  appello finale.  Ad un certo punto il conduttore ha chiesto a tutti i candidati di indicare il nome di una personalità ispiratrice e guida; ecco che si chiude il cerchio della comunicazione. Tolti Tabacci e Puppato che, dimostrando di essere a corto di fantasia, indicano De Gasperi, Nilde Iotti e Tina Anselmi; i veri super-eroi citano Mandela, Giovanni XXIII e il Cardinale Martini. Ecco che ritorna quel concetto di “fede” che avevo accennato prima. Cari cittadini- elettori, sembrano dire i tre super-eroi (e unici veri aspiranti) la politica non ha a che fare con la società civile e non c’è niente di materialmente concepibile che possa salvarci. Soltanto la fede rigida nel supereroe può portarvi alla salvazione. Poi se ci scappa pure un miracolo, si vedrà.