Codice Azuni e altre cose

Vittorio Zambardino, qualche giorno fa, lanciava questa notizia e se non l’avesse fatto io non me ne sarei neanche accorto. Non che fremessi particolarmente per dare un contibuto ma, probabilmente, molti non avrebbero saputo come fare in così poco tempo e in un mese che Napoleone (e Craxi) definiva “generale agosto”.

Stiamo parlando del “Codice Azuni” che, come racconta il sito appositamente istituzionalizzato,  ispirandosi a quel codice marittimo redatto nell’800 dal giurista sardo (su incarico di Napoleone – ecco che ritorna il concetto di generale agosto) intende mettere ordine sistematico nel mare elettronico dove si naviga pericolosamente «in spazi non sufficientemente (o non chiaramente) “regolati”».

Allora capisco la preoccupazione di Zambardino il quale ipotizza un sogno tutto hadopiano del ministro Brunetta: «avere la botte della libertà piena e il controllo dello stato sui valori della rete insieme».

Ma Sefano Quintarelli (uno egli esperti del “tavolo”) chiarisce meglio di cosa si tratta : «fare una raccolta di contributi dal basso per arrivare poi a una mappatura il più possibile sistematizzata dei problemi, le sfide che la rete pone, e delle opportunità che offre; successivamente (…) raccogliere le relative best practices regolamentari mondiali (o loro motivata assenza) e poi cecare di trarre da queste dei riferimenti regolamentari raccomandabili (…)  si spera che i nostri rappresentanti vi faranno riferimento prima di fare proposte legislative. Oggi un tale riferimento non c’è e gli effetti delle proposte fai-da-te sono noti, costringendo molte persone a fare i “pompieri regolamentari”».

Chissà perchè poi Guido Scorza che annovera quello di Brunetta come il quarto tentativo governativo di istituire un tavolo tecnico sulle regole della rete, non riesce a «comprendere quale sia il reale intendimento del Ministro Brunetta».

Allora io, che non sono un esperto tanto meno un intenditore, sono andato  sul sito dell’iniziativa ed ho lasciato un commento lapidario: «Ci si muove per fare un po’ di aria fritta? Sarebbe stato preferibile che un ministro del nostro governo si fosse adoperato per risolvere i problemi relativi all’accesso (uguale per tutti) alla rete e non alla sua regolamentazione che al momento non vedo né urgente e tanto meno utile».

Ho trovato molto interessante, in tutto questo, la mini polemica tra Zambardino e Quintarelli ma assai istruttivo un passo della difesa di quest’ultimo dall’accusa di essere non liberale: «di grazia, perche’ la mia cultura non sarebbe liberale ? da dove hai tale certezza ? puoi citare fatti, scritti, ecc ? sulla base di cosa esprimi il tuo giudizio ? mi pare che non ci conosciamo abbastanza per consentirti di esprimere un giudizio siffatto;  andiamo a cena almeno una volta e solo dopo, per piacere, giudica…»

Insomma se volete giudicare le idee di qualcuno non leggete i suoi libri, i suoi scritti, non ascoltate i suoi discorsi ma semplicemente andateci a cena…  tutto il contrario di ciò che pensavano i politici “navigati” che invece a cena si sbracavano e diventavano “altri” (“perchè tanto l’é tutto in magna magna”).

L'eresia del pubblicare 2

Un amico mi ha chiesto, appena l’altro giorno, il perchè della mia scarsa scrittura sul blog; gli ho risposto, d’istinto, che anche se scrivessi fiumi di bit lui non se ne sarebbe accorto comunque, visto che ne avevo già parlato poco tempo fa. Questa cosa mi ha fatto aggiungere, al mio attuale stato di apatia verso questo contenitore, la convinzione che neanche gli amici più vicini seguono i (miei) contenuti in modo sistematico. Allora sono andato a esplorare le statistiche (cosa che non facevo da anni) e ne ho tratto un identikit qualitativo (la quantita’ mi interessa meno per via del numero esiguo di visitatori) che mi racconta, sostanzialmente,  di un lettore che ignora la storia del blog (e la mia), che non si accorge delle sensibili variazioni stilistiche e grafiche e che è capitato qui seguendo la scia dei contenuti attraverso i tag. Tengo fuori da questo ragionamento, ovviamente, gli affezionati amici del web che sanno tutto o s’immaginano tutto. Del resto faccio lo stesso anch’io seguendo da tempo soltanto i contenuti, tutti ben canalizzati e ordinati, nel mio reader e visitando sempre meno “direttamente” i blog (tranne qualcuno che, per strane ragioni, da in pasto ai motori soltanto una sintesi del suo post – per inciso son quelli che poi visito ancora di meno e che poi cancello dal reader).

Questa mini indagine mi ha portato ad alcune brevi e momentanee conclusioni:
1) ho compreso, finalmente, perchè molti blogger (ma di quelli che hanno sempre saputo cosa facevano e continuano a saperlo oggi) hanno reso “mininali” i loro ambienti mentre curano con grande perizia quella specie di clustering del webdue che fa rimbalzare i post sui vari social. La qual cosa implica necessariamente che almeno un paio di cose sono inutili:

  • accogliere i lettori in pompa magna e stupirli anche con effetti scenici;
  • esporre la propria immagine e la propria intimità ma lasciarla in quei posti dove lo si fa molto meglio.

2) Pur con una diminuzione dell’attività di scrittura i visitatori non dimiuiscono, anzi spesso aumentano e in gran parte provengono dai social dove hanno, anche, già visto tutto di te.

Questo, in fondo, mi rincuora perchè mi consente di rilassarmi ancor di più nella scrittura e chissà, domani, concentrami un po’ meglio sui contenuti, anzi sulle categorie a cui dedicarmi più intensamente.

L'eresia del pubblicare

Perché ultimamente pubblico pochi post sul mio blog ?
Sicuramente perché ho altro da fare, ma soprattutto perché da un po’ di tempo utilizzo un metodo diverso nell’editare i miei post: lo abbozzo e lo lascio nelle bozze e poi, quando ho più tempo, lo guardo meglio, l’aggiusto e quindi lo pubblico.  Pensavo che in questo modo avrei pubblicato più post, forse due o tre a settimana. Macché…  restano li a decantare, anzi a invecchiare, non li riprendo, non li riguardo e non li pubblico, anzi dopo un po’ li cancello (con molta più metodicità di quando li scrivo).

Questo nuovo metodo cosa ha prodotto?
Soltanto un’attività di cancellazione.

Cosa resta di quest’attività di cancellazione?
La consapevolezza che ancora scrivo, che il mio blog non vive una crisi quantitativa né qualitativa e che quindi questo blog ha un senso e una funzione. Ma sopratutto ho rafforzato l’idea della scelta: scrivo, scarto e forse pubblico, in definitiva scelgo; decido il se, il come e il quando far conoscere (o rivelare) qualcosa a qualcuno.

Una sorta di eresia, in senso originale (di coloro che sceglievano dopo attenta valutazione), è ciò che mi pervade… ecco perché anche quando vedete questo blog muto pensate a qualcuno che dietro scrive ma non rivela.

(almeno per il momento)

Google Wave

google_wave

Io, per inciso, vi dico subito che ho ancora 4 inviti disponibili e non so proprio a chi darli quindi se me li chiedete ve li invio “aggratis”.
La mia amica Catepol ribadisce un’idea di Dario Salvelli che consiste nell’offrire inviti per Google Wave a “patto e condizione” che chi vuole l’invito commenti il suo post e si impegni a scrivere, sul proprio blog, un post interamente dedicato all’applicazione di Google (identica cosa è stata fatta anche da Geekissimo).Ma il problema centrale mi sembra proprio quello annunciato nel post di Salvelli il quale si la menta del fatto che per il momento non lo usa nessuno.Forse perchè Google Wave è “troppo” corposo (riunire in un sol colpo posta elettronica, instant messaging, social network e condivisione di file) o troppo “nuovo” rispetto ai nostri lenti processi di comunicazione e collaborazione in rete.Comunque è ancora in beta ma ha già una pagina su Wikipediadeiblog tutti suoi e un pullulare di persone che distribuiscono inviti, ma nessuno da noi sembra ancora farci granchè.

Io, confesso, di non usarlo ancora ma credo che l’idea di “piattaformizzare” il lavorare in rete non sia peregrina e su questo terreno si giocherà tutto il prossimo futuro.

Libero WiFi in libero…

wifi_zone

Viene presentato oggi un appello contro il rinnovo della legge Pisanu, sottoscritto da cento esponenti della rete.Ecco la Carta dei cento per il libero WiFi

Il 31 dicembre 2009 sono in scadenza alcune disposizioni del cosiddetto Decreto Pisanu (”Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale”) che assoggettano la concessione dell’accesso a Internet nei pubblici esercizi a una serie di obblighi quali la richiesta di una speciale licenza al questore.

Lo stesso Decreto, inoltre, obbliga i gestori di tutti gli esercizi pubblici che offrono accesso a Internet all’identificazione degli utenti tramite documento d’identità.

Queste norme furono introdotte per decreto pochi giorni dopo gli attentati terroristici di Londra del luglio 2005, senza alcuna analisi d’impatto economico-sociale e senza discussione pubblica. Doveva essere provvisoria, ed è infatti già scaduta due volte (fine 2007 e fine 2008) ma è stata due volte prorogata.

Si tratta di norme che non hanno alcun corrispettivo in nessun Paese democratico; nemmeno il Patriot Act USA, approvato dopo l’11 settembre 2001, prevede l’identificazione di chi si connette a Internet da una postazione pubblica.

Tra gli effetti di queste norme, ce n’è uno in particolare: il freno alla diffusione di Internet via Wi-Fi, cioè senza fili. Gli oneri causati dall’obbligo di identificare i fruitori del servizio sono infatti un gigantesco disincentivo a creare reti wireless aperte.

Non a caso l’Italia ha 4,806 accessi WiFi mentre in Francia ce ne sono cinque volte di più.

Questa legge ha assestato un colpo durissimo alle potenzialità di crescita tecnologica e culturale di un paese già in ritardo su tutti gli indici internazionali della connettività a Internet.

Nel mondo la Rete si apre sempre di più, grazie alle tecnologie wireless e ai tanti punti di accesso condivisi liberamente da privati, da istituzioni e da locali pubblici: in Italia invece abbiamo imposto lucchetti e procedure artificiali, contrarie alla sua immediatezza ed efficacia e onerose anche da un punto di vista economico.

Questa politica rappresenta una limitazione nei fatti al diritto dei cittadini all’accesso alla Rete e un ostacolo per la crescita civile, democratica, scientifica ed economica del nostro Paese.

Per questo, in vista della nuova scadenza del 31 dicembre, chiediamo al governo e al parlamento di non prorogare l’efficacia delle disposizioni del Decreto Pisanu in scadenza e di abrogare la previsione relativa all’obbligo di identificazione degli utenti contribuendo così a promuovere la diffusione della Rete senza fili per tutti.

C’è anche un gruppo su Facebook: WiFight .

Ecco Filtr

Questo è Filtr e questo è il logo (definitivo) che lo distingue.

Che cosa è Filtr ? Alla domanda che mi hanno posto un po’ di amici ho risposto quasi meccanicamente “è una strada a metà strada” dopodichè inserisci un “tra…”  e al posto dei puntini sopsensivi mettici quel che ti viene in mente come metafora e metonimia di social network, contenuti in rete, giornale on line, laboratorio, esperimento, eccetera, eccetera.

L’idea è nata nella testa vulcanica di Giuseppe Granieri e qualche ragione la trovate qui.

Alla base di tutto c’è la scommessa di fare informazione attraverso “i punti terminali della rete”:  attraverso le persone che la abilitano e che filtrano continuamente notizie (a 360 gradi) da tutto ciò che sta in rete e/o che viene prodotto in rete.

Dunque alla base di tutto c’è la “tua” collaborazione e se vuoi un’idea sul come farlo dai uno sguardo a questo e poi dacci una mano.


Mister blog

Luca Tremolada sulla prima pagina  de ” Il Sole 24 Ore” di oggi, parla della pubblicità occulta, attraverso blog e social network, che sembra entrata nel mirino della Federal trade commissions(l’agenzia che si occupa delle regole del commercio negli USA).  Non si tratta di una nuova legge, come sottolinea Luca De Biase nelle pagine interne del giornale, nè di una nuova campagna anti-blogger, ma soltanto di “una raccolta di chiarimenti” intorno alle leggi già in vigore che regolano il commercio americano.

In sostanza se fai pubblicità attraverso blog o social network è lecito ma soltanto se lo si dichiara apertamente.  Il principio non mi sembra affatto di poco conto resterà aperto, credo, il problema di come farlo rispettare.

(me) too blog

Qualche tempo fa,  forse un po’ incazzato per qualcosa,  scrivevo di blog, o meglio accennavo qualcosa sui blog personali e ricordo di aver letto nello stesso periodo riflessioni simili come questa e altre ancora.

Ma ne è passato di tempo, perché parlarne adesso ?

Perché è un momento “buono” per riflettere, come Wittgenstein tra le bombe e le pallottole.  Di quale bombe o pallottole parlo ? Ma di Facebook e di qualcuno che, senza girarci tanto intorno,  mi ha chiesto il motivo per cui io continui a scrivere, aggiornare e riflettere attraverso un weblog.

Potrei rispondere con semplicità che sono fatti miei, ma non è educato e poi non è neanche  vero.  Io non ci credo a quelli che s’inventano fantasie solitarie, del tipo: “scrivo per me stesso e se qualcuno mi legge peggio per lui/lei”.  Che senso avrebbe avere uno strumento condiviso e aperto nella rete se non si vuol essere letti o addirittura trovati ? (ho sempre pensato che tutti quelli che “tenevano un diario” intimamente speravano che qualcuno, prima o poi, glielo leggesse).  Beh, che vi piaccia o no, il blog è un’esposizione di noi stessi, del nostro pensiero, di quello che siamo o che vorremmo far credere di essere.  Ed è proprio a causa di questa esposizione che spesso i blog vacillano e arrancano. Non ho numeri statistici (non li ho neanche ricercati) ma ho visto blog fermi da un anno con i loro curatori che si sfrenano in Facebook a parte, forse, 140 caratteri in twitter e qualche link e qualche foto sparsa o replicata tra FriendFeed e Tumblr. Insomma se una buona parte di blog “va a puttane” grazie a social network “sovra-super-esposizionali” allora questi blogger non erano proprio una “categoria”.  Anche quando si comportavano come una categoria, rivendicando questo e quello, correndo dietro alle stesse cose, facendo risse iperboliche e polemiche approssimative, non erano una classe. Forse l’unica cosa che li accomunava (e continua ancora a tenerne insieme un po’) era il principio del gioco attraverso la misurazione.  Ecco dove i blogger fanno categoria, nel misurarselo (ce l’ho più lungo). Per tutto il resto sono persone con tanta voglia di scrivere e di raccontare e (a parte quelli che lo facevano e continuano a farlo perchè scrivere o vendere è il loro mestiere) per i quali un weblog è un luogo adatto per farsi trovare e per tentare timide o sfacciate presentazioni.

Ora c’è Facebook. Si potrebbe non aver bisogno di tutto questo.  Si scrive ugualmente un post ma con una forza in più perchè puoi taggare direttamente tra i tuoi contatti e, in qualche modo, obbligarli a venirti a leggere. Metti le immagini che vuoi, linki e condividi link di ogni tipo e ricevi anche il “mi piace”. Parli e discuti anche con quelli che il blog non l’hanno mai conosciuto. Puoi creare gruppi e riunire persone che amano parlare anche del “sesso degli angeli” e se vuoi crei anche un evento associato. Ricevi la posta e anche gli aggiornamenti sulle pagine che ti interessano. Giochi e inviti i tuoi amici a giocare con te.

Insomma che c’è di meglio di Facebook ?

Perchè non chiudo questo blog per il quale devo anche spendere non poco tempo ad aggiornare versioni e plugin, modificare temi e inserire widget ?

Perchè il blog è casa mia e Facebook è la strada, la piazza affollata su cui si affacciano anche le finestre del mio blog. E voglio tenerli insieme, uniti e separati. Perchè in piazza incontro tutti: vicini, conoscenti, amici con i quali posso parlare della partita della domenica e di donne ma anche di politica e filosofia; ma a casa vengono soltanto gli amici quelli che fanno le scale a piedi e vengono a suonarti alla porta soltanto per il piacere di stare con te e per trascorrere una serata di chiacchiere d’avanti a un bicchiere di vino.

Ecco perchè, perchè il blog è casa mia.

Mondi elastici

C’è un signore, un contatto, un conoscente della rete, chiamatelo come volete, che qualche giorno fa, in una e-mail,  mi ha chiesto la differenza tra social networkmetaverso, tra FacebookSecondLife.  “Ma in poche parole”, mi ha ammonito, “di che mondi parliamo?”.

Per tirare fuori una definizione che scaturisca soltanto dalle differenze  non è difficile, una definizione stabile, valida per tutti i livelli  o strati di conoscenze-competenze è cosa un pò più ardua. Per dirla in soldoni, io saprei spiegare la differenza, alla grossa, tra mondi diversi come per esempio tra un God Games e un MMORPG,  perchè ci ho giocato per anni (un po’ di più ai primi) e li ho anche studiati; ma se volessi confrontarmi con mio figlio soltanto su alcune famiglie dei secondi, anche soltanto tra Warhammer on lineWorld of Warcraft, rimarrei sconfitto dalle sue competenze più specifiche e quindi le mie conoscenze, di un livello più grossolano, servirebbero a poco (anche se potrebbero servire a chi non sa proprio cosa siano questi mondi).

A me è successa la stessa cosa quando sono andato ad un incontro con Galiberti al campus dell’università di Potenza.  Sono rimasto, affascinato, ad ascoltarlo per un’ora fin quando una professoressa-mamma del liceo che ospitava la manifestazione, ha chiesto al filosofo un parere sul complicato rapporto giovani e internet. Le risposte di Galimberti, da quel momento in poi, mi sonno apparse banali, scontate e fin troppo approssimative.

Questo non per “buttare le mani avanti” (per non cadere), come si suol dire dalle mie parti, ma semplicemete per esprimere la difficoltà nell’esprimere concetti (che di per se sono astratti) che escano dalla banalità e poco permeabilità, quando non si conosce con una buona profondità l’oggetto di cui si parla.

Dunque l’unica risposta che ho deciso di dare all’amico è quella che proviene dai miei studi di questi ultimi tempi ed è la differenza che intercorre tra mondo persistentemondo elastico (quest’ultima definizione l’ho inventata adesso come concetto opposto al primo).

Un mondo persistente è qualcosa di sempre attivo 24 ore su 24, che esiste e continui a farlo anche quando noi non ci siamo o non lo guardiamo (non considerando per un attimo il senso di “persistent” come mondo con mappa contigua che ha certamentea che fare con il metaverso). Second Life, ad esempio, è un mondo persistente nel senso che è sempre lì. Quando il mio avatar attraversa una qualsiasi land, quel mondo è lì, che sia presente o meno il suo creatore, che sia tra i mei contatti o meno, quel mondo resta li e io posso, relativamente,  usarlo anche solo guardandolo dall’alto, anche se non ho la più pallida idea di chi sia l’autore/creatore.

Un mondo elastico, invece, è un mondo che dipende dalla presenza dell’utente tra i miei contatti/amici. Facebook è un mondo elastico nel senso che quel mondo assume la forma del numero di utenti che fanno parte dei miei contatti. Come utente appena registrato ho, in potenza, la possibilità di contattare milioni di persone e fare in modo che questo mondo diventi lungolargo, ma potrei anche restare con i miei quattro contatti e tenermelo strettocorto come se facessi una chiacchierata sul pianerottolo del mio palazzo.

Dunquela la potenza di Second Life può prescindere dall’essere amico o meno di altri utenti, quella di Facebook dipende dal numero di utenti/amici.

Lo so che ho affettato concetti con l’accetta ma è la prima cosa che m’è venuta in mente filtrando, a caldo, gli stimoli provenienti dalla percezione di questi mondi attraverso l’esperienza di utilizzo (in modo che poterli rappresentare con meno astrazione).

Second Life e l'ornitorinco

Circa un anno fa, per ragioni di studio, ho compiuto un’analisi, sul campo, in Second Life. Lo sguardo utilizzato è stato di natura (”obbligatoriamente”)  semiotica (analisi del metaverso passando attraverso i god game e il testo terminale) ma è comunque servito per mettere a fuoco un buon numero di mondi sia visitandoli come turista, sia partecipando a eventi da ospite che immergendomi in attività da residente.  La difficoltà maggiore non è stata tanto quella di trovare gli stumenti di analisi adeguati o i modelli reticolari con cui tagliare la materia (tanto qualcosa su cui appoggiarsi la si trova sempre) quanto quella di dover raccontare, poi,  la vera natura di SL. Da tale difficoltà nacque anche il titolo del mio lavoro: “Second Life e l’ornitorinco“.  Titolo quanto mai inflazionato con il quale, prendendo a prestito la storia di Eco, ho tentato di ipotecare l’ipotesi di una Second Life come grande patchwork mediale,  come ipermix ipermediale: un gioco ma non solo un gioco, un’astrazione e una concretezza; ma anche, e soprattutto,  un mondo possibile, anzi dei mondi possibili nei quali ciò che è possibile nel nostro mondo diventa reale e/o pensato come tale. Insomma, per dirla con Musil, “la capacità di pensare tutto ciò che potrebbe essere”.
Ovviamente la mia tesi non poteva spaziare molto nè girare a ruota libera e quindi è rimasta legata a una nozione di testo ancorata a un metaverso come matrice (testo e mondo) per la creazione di mondi possibili.  Second Life mette a disposizione la sua struttura astratta (il metaverso) e le sue regole di combinazione  (la grammatica diSL) per creare/costruire il testo (mondo) delle Sim/Land.

Ma perchè parlo soltanto oggi di un vecchio lavoro ? Perchè sono rimasto affezionato all’idea che mi sono fatto di Second Life; ma anche per aggiungere qualche piccolo contributo a un ragionamento che secondo me tarda a esplodere. Intanto già all’epoca delle mie prime ricerche, SL era in completa discesa nel suo ciclo di Hype italiano e non era più “di moda” neanche come oggetto di studio (conferma me ne fu data anche da Giovanna Cosenza in un nostro breve contatto), perchè il social network “generalista” per eccellenza aveva già il motore e le ruote calde per invadere il nostro mondo on line. Così è stato. Se circa un paio di anni fa c’era stata l’esplosione italiana verso il “nuovo mondo” (Gabetti che investe nel mattone di pixel, Di Pietro ministro che acquista un’isola, la provincia di Roma che crea l’agorà virtuale e addiritura la benedizione di un vescovo) in poco più di un anno l’attenzione è calata fino a far scomparire il superfluo e a far vacillare gli interessi (la rivista della Maggioli si ferma a settembre, il blog di Second Life Italia tiene i suoi post fermi a maggio,  e l’ex ministro scappa via qualche giorno fa – ma vista la sua presenza flebile la notizia è giusto un lancio).  Qualche timido preavviso a febbraio e poi il colpo di grazia con la notizia  “ufficiale” della morte italiana.  Come spesso accade, quando la stampa si occupa di qualcosa o alza la polvere fino all’orizzonte oppure la notizia non ha motivo di esistere. Così il giornalismo, sovente, approccia questioni con una difesa “a catenaccio” ovvero, continuando nella metafora calcistica,  entrando “a gamba tesa” sull’avversario.

Seguono, ovviamente, la replica della comunità italiana, e una nota di discussione su Facebook e altre altre noticine varie.

Ma, al solito, ha ragione Giuseppe nel sostenere  che «la situazione e la percezione italiana di Second Life meriterebbero un discorso a parte, strutturato e argomentato».

Allora un primo spunto organico, anche se “a freddo”, ci viene da Giovanni Boccia Artieri («La forza di Second Life sta nella capacità di incarnare un orizzonte delle possibilità e il suo valore nell’accettare e perseguire cognitivamente la condizione di contingenza, oscillando tra il proprio sé-corpo e il proprio sé-avatar») il quale, oltre a intravedere una capacità di vivere vite possibili e di osservarsi mentre si agisce un mondo, denota anche le  “negatività” di Second Life per la sua natura “elitaria e antidemocratica“.

In sostanza dal ragionamento di Giovanni si possono tirare fuori tre nodi problematici:

1) l’utente di SL deve vivere un dislivello molto forte tra le competenze  (”ipercompetenti”  e  “neofiti”);

2) la comunicazione è unidirezionale («chi possiede land, case e negozi ed organizza mentre gli altri partecipano soltanto senza lasciare traccia»);

3) la presenza fisica (on line) dell’utente  nel mondo è imprescindibile, quando l’avatar non c’è nel mondo non  ne resta nè la sua traccia e neanche la sua scia.

Questi tre nodi, pur non essendo sufficienti a definire l’uso del mezzo, denotano la forte distanza che intercorre tra SL e i social network , o almeno da quell’idea italiana di  social affermatasi così velocemente anche in quelli completamente “analogici”.  Sono, quindi, punti importanti per capire cosa si fa e come in un mondo e nell’altro e quale distanza separa uno dall’altro.

Insomma se si soffre del peso della socialità di Facebook probabilmente Second Life è qualcos’altro.

Ma, per la mia idea di SL questo è pure un social, anche se Wikipedia  non lo ritiene tale.  E’ pure un MMORPG, anche se gli amatori (tipo quelli di  World of Warcraft) storceranno il naso.

Ma la morte prevista e annunciata di Second Life è letta soprattutto in termini di business mancato o mancante. Perchè le aziende investitrici scappano ! Ma può essere colpa del mercato se le aziende non lo conoscono ? Se non sanno adeguare i loro business plan ? L’errore della aziende, soprattutto italiane,   è stato quello di aver creduto e utilizzato il metaverso soltanto come vetrina, dimostrando di voler ragionare “dal fuori al dentro” e non dal “dentro al fuori”. Non sempre, e quasi mai in verità, le grammatiche vincenti in un mondo sono esportabili e/o adattabili per un altro. L’unica logica forte e conduttrice è stata quella della colonizzazione che purtroppo non è riuscita a produrre risultati positivi o almeno non quelli attesi; e se risultati significativi sono emersi, questi non sono stati nè apprezzati nè giustamente valutati.
Certamente alla base c’è una forte incomprensione per quel mondo e per quel potere estensionale concentrato nell’avatar: per intenderci lo stesso potere che può avere una fotocamera, la TV, una ruspa, un trattore, una betoniera un cannocchiale, il tempo e lo spazio e altro ancora ma tutt’insieme nello stesso momento.

Anche la comunicazione supera i confini della semplice chat e del link,  assumendo le dimesioni, oltre che dellachat e del link, dell’ambiente, del corpo, della voce, della vista e “dell’osservarsi mentre si agisce un mondo“. Oggi non conosco niente di simile e di così forte tanto da rendere, per esempio, la didattica uno strumento estremamente potente. Giovanni Boccia Artieri e Giuseppe Granieri, con la loro unAcademy, ne potrebbero parlare per anni.
Ma per farsi un’idea su altro ancora si può andare  quiqui e anche qui, per capire che non stiamo parlando di una semplice piattaforma.

Per concludere vorrei soltanto dire che sicuramente un calo, fisiologico, di interesse per Second Life c’è stato ma parlare di morte italiana è esagerato e Arco Rosca lo racconta meglio di me.