Potenza è infelice ma almeno Matera ride, questa potrebbe essere la sintesi lucana di quell’indice di felicità calcolato dalla “Scuola di Psicoterapia Erich Fromm di Prato”; un indice calcolato sui valori espressi dagli stessi cittadini intervistati (per inciso voglio ricordare che tra i docenti di quell’Istituto c’è anche Andrea Galgano, potentino oltre che collaboratore dell’Ufficio Cultura del Comune di Potenza… ma giusto per inciso).
Sono contento per l’altra città lucana e mi fa piacere sapere che almeno i materani sanno auto-valutarsi. Ma perché i potentini, invece, sono scontenti? Perché i loro giudizi sono auto-denigranti?
E’ probabile che nella valutazione abbia inciso una generale difficoltà economico-sociale ma siccome è un disvalore comune a tutto il sud sento che qualcosa non funziona oppure c’è qualcos’altro.
Giuseppe Granieri sul Quotidiano ha scritto che bisognerebbe iniziare a cambiare mentalità e che ciò che probabilmente incide sui giudizi è il “racconto” che se ne fa: in definitiva “non abitiamo la città ma abitiamo il racconto della città”.
Poi su “Potenza Smart” Giambersio ne fa un decalogo a mo’ di breviario morale ad uso dei potentini.
L’unica cosa certa è che questi valori di felicità non sono da prendere sottogamba, tant’é che l’associazione “Alliance for Sustainability and Prosperity” pone questi indici “oltre il Prodotto interno lordo”, cioè come i nuovi valori di valutazione dell’economia globale.
Fa bene, dunque, il quasi-ex-sindaco Santarsiero a preoccuparsene su “Controsenso” solo che a leggere la sua intervista si comprende subito che il politico brancola nel buio perché per difendere la città, oltre a qualche numero, rilancia la palla ai suoi “denigratori” (associazioni di commercianti e di cittadini) accusandoli di semplice disfattismo.
E’ probabile, però, che i potentini che hanno risposto negativamente all’intervista, abbiano mal valutato “i fiori all’occhiello” del sindaco semplicemente perché da quel “suo” racconto sono stati tenuti fuori fin dall’inizio.
Una città che vuole mettere a valore le proprie caratteristiche per prima cosa mette su meccanismi di partecipazione e condivisione “reali” e non fittizi. Ne avevo, un po’, parlato anche qui e credo che non ci siano grandissimi alternative alla questione; d’altronde coloro che si occupano di fidelizzazione sanno benissimo che l’individuo per essere fidelizzato deve sentirsi attore del meccanismo decisionale e non spettatore.