Potenza 25 aprile for dummies (o dell'informazione tossica)

La pagina più brutta della storia italiana è stato il ventennio fascista, anche se in realtà fu di qualche anno in più (dal 29 ottobre 1922 al 29 aprile 1945). Il riferimento ai venti anni avviene per uno slittamento al 1925, anno in cui Mussolini dichiarò fuori legge tutti i partiti.

Il 25 aprile 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale chiamò all’insurrezione tutti gli italiani contro i fascisti e i nazisti e il 29, a Caserta, venne sancita ufficialmente la fine del fascismo (la fine effettiva della guerra in Italia sarà il 3 maggio).

Ecco perché è importante il 25 aprile: non è il giorno della memoria dei caduti (generici) di una guerra ma è la data di un’insurrezione, di una rivolta, dell’atto culminante, dell’esplosione della rabbia popolare contro la dittatura fascista. E’ la vittoria della resistenza italiana e di tutti i partigiani che diedero vita alla Costituente e alla Costituzione italiana.

Ricordare quella data, festeggiarla – se volete, è fondamentale per non distrarsi troppo, nel quotidiano, di fronte all’abbassarsi dei livelli di democrazia.

E’ importante per i giovani che devono saper mantenere alta la guardia contro gli autoritarismi di ogni tipo, soprattutto a quelli nascosti nelle istituzioni;  devono sapersi opporre alla strafottenza di chi governa solitario; ma anche imparare a decifrare gli algoritmi di una cultura liberista che aumenta la sfera dei bisogni e allunga la strada per il loro soddisfacimento. Saper riconoscere l’informazione fuorviante e ristabilire i giusti livelli di comunicazione attraverso pratiche di controinformazione.

Ed è solo di informazione che voglio parlare in queste poche righe e lo stimolo mi viene dall’idea di Basilicata Antifascista di raccogliere opinioni e contributi su quanto accaduto a Potenza il 25 aprile.
Il tutto parte dalla mancanza (che Giampiero ben descrive nel suo post su FB) di sensibilità e opportunità della politica ufficiale e istituzionale potentina rispetto alla ricorrenza del 25 aprile per finire, paradossalmente, con la condanna a coloro i quali quel giorno erano gli unici in piazza a ricordare quella data, anche se non come ricorrenza.

Come si fa a passare da una denuncia all’altra? Attraverso un’informazione che da carente diventa tossica; con la forma che riempie di contenuti l’assenza di sostanza (la notizia).

Accade che agli addetti all’informazione (quasi tutti) sfugga la notizia di un evento organizzato per la giornata del 25 aprile. Certo forse era poco pubblicizzato, un volantino nelle scuole e su Facebook (l’evento segna 225 “mi interessa” e 161 “partecipo”), ma questi “addetti” neanche approfondiscono più di tanto le ricerche pur in una totale assenza di eventi “ufficiali”.

La primavera potentina aspetta proprio il 25 aprile per dare il meglio di se: piove fin dalla mattina e il freddo rincara la dose con una spennellata di neve. Puntuali e imperterriti, alle 16.30, i giovani antifascisti raggiungono piazza prefettura, montano il loro striscione tra i porticati del Gran Caffé e danno il via all’evento. La cosa dura, tra la distribuzione del volantino qualche canzone e una discussione aperta a tutti, fino a sera quando vanno via tutti. Nessun facinoroso, nessuna lite e niente polizia, neanche un vigile urbano a garantire l’ordine.

Il giorno dopo? Niente, di nuovo nessuna notizia, di nuovo solo l’assenza di manifestazioni ufficiali tranne quella dell’Ansa che con un dispaccio della polizia parla di “alcuni  movimenti antagonisti” e di “una manifestazione non autorizzata”.

Tutto qui, questo è il racconto della giornata, più qualcuno che su Facebook ti dice “io credo all’Ansa”.

Anziché complimentarsi con quei ragazzi, si punta il dito sull’autorizzazione.  Peccato che si scambi la forma per l’in-forma-zione.

Pure durante il fascismo contava la forma, innanzitutto.

Voi come immaginate l’informazione ai tempi del fascismo?  Io me l’immagino tossica, solo ufficiale. Niente verifiche, niente approfondimenti, pensava a tutto l’Agenzia Stefani. E, ovviamente, c’era chi diceva io credo alla Stefani.

“Spiega ai tuoi figli

e ai figli dei tuoi figli

non perché l’odio e la vendetta duri

ma perché sappian quale immenso bene

sia la libertà

e imparino ad amarla 

e la conservino intatta

e la difendano sempre”

25 aprile

 

 

Quel ponte sul fiume Basento

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il back stage (foto di Vito Pace @bituccio)

Lo strutturalismo vede l’opera d’arte (o tecnica) come un insieme complesso di rapporti fra tutti i singoli elementi che la compongono. Chissà se Renato Pedio quando nel 1988 scrisse sulla rivista di Bruno Zevi (Architettura Cronache e Storia), che Musmeci è uno “strutturalista” capace di trasformare le equazioni in architetture, abbia voluto adoperare un sinonimo di “strutturista” proprio per ampliare il campo delle possibilità di indagine intorno all’opera dell’ingegnere romano.
Sergio Musmeci, morto nel 1981 a solo 55 anni, è stato un ingegnere civile che nella sua vita si è dedicato alle sue più grandi passioni che passavano dal calcolo strutturale all’astronomia, all’arte, alla musica e alla filosofia. Fu docente di “Ponti e Grandi strutture” presso la facoltà di Architettura di Roma insegnando ai suoi allievi che anche uno strutturista può e deve dare il suo contributo creativo alla realizzazione delle opere.
Ne suoi studi sulla forma e il minimo strutturale, sviluppò una propria teoria che sarà alla base dei suoi progetti professionali. Nuovo e moderno saranno i corollari di questa visione delle strutture lontane dal modo formale con cui si progettavano le grandi opere dell’epoca.
Sarà proprio la realizzazione del ponte sul fiume Basento a diventare l’opera più esemplare e significativa delle teorie scientifiche di Musmeci.
Siamo alla fine degli anni ‘60 e Potenza non è certo un luogo che ospita grandi interventi architettonici, ma è molto sentita l’esigenza di collegare il polo industriale-artigianale (una discreta area produttiva fatta di piccole e grandi imprese che occupano circa seimila addetti sviluppatasi lungo il fiume) con il resto della città, superando sia la linea ferroviaria delle FS che il fiume Basento.
E’, infatti, il Consorzio Industriale di Potenza, sotto la presidenza di Gino Viggiani a pensare in grande, affidandosi a Sergio Musmeci per la realizzazione non di un semplice ponte ma di una vera e propria opera “nuova” e “sperimentale”.
Le teorie di Musmeci, come ricorda il fratello Alberto, non trovano sempre una corrispondenza pratica nella produzione di opere che sperimentino quelle forme derivanti dal flusso delle forze. Il progetto per Potenza si presenterà, quindi, come una grande occasione per materializzare le teorie in modo definitivo.

primo ciak - Vania Cauzillo con Egidio Comodo, presidente dell'ordine degli Ingegneri di Potenza (foto di Vito Pace @bituccio)
primo ciak – Vania Cauzillo con Egidio Comodo, presidente dell’ordine degli Ingegneri di Potenza (foto di Vito Pace @bituccio)

Qualcosa di simile era già stato realizzato nel mondo anche da altri progettisti, ma solitamente si trattava di coperture che avrebbero dovuto sostenere poco più del proprio peso. Quella del ponte di Potenza, invece, avrebbe dovuto reggere se stesso e ovviamente tutto ciò che ci passava sopra, sempre lasciando in libertà il naturale fluire delle forze e trasferendo tutti i carichi stradali in fondazione.
“Forse è solo un modo non convenzionale, ma legittimo come ogni altro, di pensare un ponte”, dirà più tardi Musmeci.
Il progetto, sottolinea Riccardo Capomolla (negli atti al 1° Convegno di storia dell’ingegneria del 2006), segnerà anche il superamento di un altro limite pratico rappresentato da quell’approccio “empirico-analitico” legato all’uso del regolo calcolatore. Musmeci già dal 1970 utilizzava un calcolatore Toshiba con il quale eseguiva due programmi composti da 16 istruzioni ciascuno (qualche anno dopo passerà a un “HP 9815” dotato di 3 registri e con il quale sviluppò anche dei giochi) senza il quale quella teoria delle forme, basata sul trattamento di un’enorme base di dati, sarebbe stata impraticabile.
L’idea che sta alla base del ponte, e della teoria di Musmeci, è che la forma della struttura debba essere “dedotta da un processo di ottimizzazione statico”, la cui sagoma di superficie obbedisca alle stesse leggi che generano le figure strutturali degli elementi naturali. Così come una pellicola di acqua e sapone si dispone secondo una superficie minimale, il ponte doveva avere una forma possibile che si attenesse al principio del “minimo strutturale”.

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il camminamento pedonale (foto sono di Vito Pace @bituccio)

Non si pensi che fu tutto facile, tutt’altro. All’inizio si dovettero superare le ritrosie e le oscurità politiche locali e, prima della sua realizzazione, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici impose la verifica statica su di un modello. Se ne occupò l’Istituto Sperimentale Modelli e Strutture di Bergamo che, a spese del Consorzio industriale di Potenza, costruì un modello in microcemento lungo 14 metri (scala 1:10) che riuscì a battere le incertezze e ne verificò la resistenza.
Per completare l’opera l’impresa Edilstrade di Forlì, sotto la direzione dello stesso Musmeci, ci impiegò quasi dieci anni e nel 1976 fu possibile attraversare un ponte, costituito da un’unica volta spessa 30 centimetri con 4 campate di 60 metri ciascuna, da sopra, da sotto ma anche all’interno, in quella che ancora oggi resta di una passeggiata pedonale mai completata.
A 40 anni dalla sua realizzazione quel viadotto dell’industria, chiamato semplicemente o affettuosamente “ponte Musmeci”, sarà la prima opera infrastrutturale ad essere vincolata come opera d’arte.
Di questa storia e di come una straordinaria opera di ingegneria abbia rappresentato una vera e propria sfida sia per il progettista che per una piccola città del Sud, si racconta nel documentario intitolato “La ricerca della forma. Il genio di Sergio Musmeci”, che sarà presentato, in anteprima, il 29 gennaio al MAXXI di Roma e il 5 febbraio al Teatro Stabile di Potenza.
La regia è di Vania Cauzillo, il montaggio di Chiara Dainese, la 3D – computer grafica di Michele Scioscia e Marica Berterame, le musiche sono della Scuola di Musica elettronica e Applicata del Conservatorio di Musica “E. R. Duni” di Matera/MaterElettrica, la fotografia di Vito Frangione, il soggetto di Sara Lorusso e Michele Scioscia, la sceneggiatura di Vania Cauzillo e Sara Lorusso, la presa diretta del suono di Angelo Cannarile.
«È stato straordinario affrontare il viaggio all’interno della ricerca di Sergio Musmeci – racconta Michele Scioscia, ingegnere potentino, produttore e fondatore di effenove – lavoro da anni nel campo dei beni culturali e monumentali anche attraverso l’utilizzo della computer grafica, ma con questo documentario l’opera è stata solo il palcoscenico di un racconto che poi ha fatto emergere l’uomo.»
L’opera è prodotta da effenove, una start up della cinematografia nata con l’avviso #bandoallacrisi della Lucana Film Commission, in collaborazione con MAXXI (Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo), Consiglio Nazionale degli Ingegneri, Ordine degli Ingegneri della Provincia di Potenza, Fondazione degli Ingegneri della Provincia di Potenza e Consorzio Industriale della Provincia di Potenza.
«La sfida – spiega la regista Vania Cauzillo – è stata approcciare a lavoro tecnico di altissimo ingegno e rigore scientifico, individuando però una strada con cui essere estremamente divulgativi. Una sfida che proprio Musmeci ci insegna ancora oggi a cogliere, per divulgare sapere come bene comune.»

[pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno]

La questione degli orti sociali a Potenza

L’amministrazione comunale di Potenza a luglio di quest’anno ha assegnato, con una delibera di giunta, un’area attrezzata di  mq 3.535 situata nel quartiere “Macchia Romana”, al Circolo Legambiente “Ken Saro Wiwa” di Potenza.

La concessione è per tre anni (eventualmente rinnovabili) ed è in “comodato d’uso gratuito” e prevede che il Circolo realizzi,  su poco più di un terzo di quest’area, 25 lotti da 50 metri (13 orti sociali e 12 orti per famiglie) da assegnare ai cittadini residenti nel Comune di Potenza.
L’opera è senz’altro meritoria e in linea di principio sono d’accordo, ma ci sono alcune cose che non quadrano o sono state chiarite poco.
Sorvolo sul fatto che quest’operazione è un lascito del vecchio sindaco Santarsiero che ha scelto come partner una sola organizzazione e consideriamo altre questioni.

Per prima cose il comodato d’uso gratuito (quello che il comune concede al Circolo Legambiente) si trasforma in comodato d’uso oneroso, dal momento che il Circolo oltre a ricevere 40mila euri dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per la realizzazione di questi orti, chiede agli assegnatari dei lotti il pagamento di € 50,00 annui e la tessera di Legambiente.

I cittadini che partecipano al bando devono essere residente nel comune di Potenza e non  essere in possesso di un’area coltivabile ricadente nel Comune, ma non si considera che alcune contrade sono più distanti, per esempio, del Pantano di Pignola dove molti potentini hanno qualche orticello. Non sarebbe stato più semplice far partecipare soltanto chi non è proprietario di terreni?

La graduatoria di merito prevede che per gli orti sociali gli abitanti di Macchia Romana vengano avvantaggiati di 5 punti e non se ne capisce la ragione; non credo che il senso  vada ricercato nella legge Legge 10/2013 perché lì si dice altro. L’unico risultato è una graduazione sociale in funzione del quartiere di appartenenza e non derivante da una seria analisi socio-urbanistica.

In ultimo leggo che saranno redatte delle graduatorie e che in caso di parità di punteggio dovrà far fede l’ordine cronologico di arrivo delle domande. Mi chiedo, con quale criterio trasparente saranno realizzate queste graduatorie dal momento che le domande possono essere inviate anche via fax e via e-mail  a  un semplice indirizzo gmail (di PEC neanche a parlarne)?

Ora ditemi voi se questa procedura è quantomeno almeno anomala, poi se volete aggiungere altre riflessioni, che io ho sottovalutato, fate pure.

Potenza felix

Potenza è infelice ma almeno Matera ride, questa potrebbe essere la sintesi lucana di quell’indice di felicità calcolato dalla “Scuola di Psicoterapia Erich Fromm di Prato”; un indice calcolato sui valori espressi dagli stessi cittadini  intervistati (per inciso voglio ricordare che tra i docenti di quell’Istituto c’è anche Andrea Galgano, potentino oltre che collaboratore dell’Ufficio Cultura del Comune di Potenza… ma giusto per inciso).
Sono contento per l’altra città lucana e mi fa piacere sapere che almeno i materani sanno auto-valutarsi. Ma perché i potentini, invece, sono scontenti? Perché i loro giudizi sono auto-denigranti?
E’ probabile che nella valutazione abbia inciso una generale difficoltà economico-sociale ma siccome è un disvalore comune a tutto il sud sento che qualcosa non funziona oppure c’è qualcos’altro.
Giuseppe Granieri sul Quotidiano ha scritto che bisognerebbe iniziare a cambiare mentalità e che ciò che probabilmente incide sui giudizi è il “racconto” che se ne fa: in definitiva “non abitiamo la città ma abitiamo il racconto della città”.
Poi su “Potenza Smart” Giambersio ne fa un decalogo a mo’ di breviario morale ad uso dei potentini.
L’unica cosa certa è che questi valori di felicità non sono da prendere sottogamba, tant’é che l’associazione “Alliance for Sustainability and Prosperity” pone questi indici “oltre il Prodotto interno lordo”, cioè come i nuovi valori di valutazione dell’economia globale.
Fa bene, dunque, il quasi-ex-sindaco Santarsiero a preoccuparsene su “Controsenso” solo che a leggere la sua intervista si comprende subito che il politico brancola nel buio perché per difendere la città, oltre a qualche numero, rilancia la palla ai suoi “denigratori” (associazioni di commercianti e di cittadini) accusandoli di semplice disfattismo.
E’ probabile, però, che i potentini che hanno risposto negativamente all’intervista, abbiano mal valutato “i fiori all’occhiello” del sindaco semplicemente perché da quel “suo” racconto sono stati tenuti fuori fin dall’inizio.
Una città che vuole mettere a valore le proprie caratteristiche per prima cosa mette su meccanismi di partecipazione e condivisione “reali” e non fittizi. Ne avevo, un po’, parlato anche qui e credo che non ci siano grandissimi alternative alla questione; d’altronde coloro che si occupano di fidelizzazione sanno benissimo che l’individuo per essere fidelizzato deve sentirsi attore del meccanismo decisionale e non spettatore.

Ci son cose che voi umani…

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[foto da La Nuova del Sud]
All’inizio di luglio è partito il nuovo terminal bus di via del Basento a Potenza.
Tra le polemiche sempre più accese, circa l’utilità e la funzionalità di tale opera, il TG Basilicata, oggi, lancia un servizio a cura di Nino Cutro, per misurare la temperatura del malumore.
Il buon giornalista, tra i tanti testimoni che si lamentano quasi all’unisono del traffico e della poca agibilità pedonale, coglie al volo la denuncia di un anziano signore il quale fa notare che il sottopassaggio ferroviario, al quale si accede attraverso una discreta gradinata, è sfornito di una passerella o di un qualunque sistema per facilitare l’accesso alle persone con limitata capacità motoria.
Ovviamente Cutro gira la domanda all’assessore allo Sport e Mobilità del comune di Potenza, Giuseppe Ginefra, il quale risponde con tranquillità e serenità (come solo i politici sano fare) che il sottopassaggio è stato ereditato dalle Ferrovie dello Stato e che il Comune al più presto provvederà a sistemare le cose.
In che senso?, avrebbe detto Verdone…
Ma se il comune è stato lì a lavorarci per mesi e mesi…. non sarebbe stato più ovvio pensarci subito, prima ancora di infilarsi la fascia e fare un’inaugurazione in pompa magna?
Ci son cose che voi umani….

La città intelligente è la tua città

Se penso alla mia città nel futuro vedo una piccola città con prestazioni urbane altamente sviluppate, dove l’infrastruttura “forte” cede il passo a una più leggera e più ramificata.

Vedo una città non privatamente astratta, ma socialmente partecipata, con una rete fitta di relazioni che elevano la sommatoria delle proprie conoscenze.

In una sola parola vedo una città “intelligente”.

Quest’immagine, evidentemente, è così generalmente condivisa che l’Unione Europea  ha messo a punto una particolare strategia per favorire la crescita urbana delle città “in senso intelligente”.

Nemmeno l’intelligenza di cui parla la UE è un concetto astratto, ma una precisa direzione di sviluppo per misurare il “quoziente urbano”.  Il futuro smart va su binari precisi e la tecnologia è vitale, perché “permette a tutti i cittadini di interagire in modo trasversale e di auto-organizzarsi”.

In fondo, come ci ricorda Alberto Cottica, “le città sono il nostro futuro come specie”.

Del “perché l’innovazione e il digitale sono una grande occasionesi parlerà a Potenza, dal 14 al 16 febbraio, nel Teatro Stabile della città.

Il programma vedrà la partecipazione, a diversi livelli, di

Giuseppe Granieri,
Carlo Ratti,
Luca De Biase,
Stefano Maruzzi,
Giovanni Boccia Artieri,
Tullio De Mauro ,
Gianni Biondillo
Derrick De Kerckhove.

Te lo ricordi il tuo paese?

«ma tu…  te lo ricordi il tuo paese?» mi dice, accomiatandosi, un vecchio amico ch’é venuto a trovarmi in ufficio.

Non ho fatto molto caso a quelle parole perché la gran parte dei vecchi amici che incontro ogni tanto me le ripetono come una cantilena, al massimo con qualche variante del tipo: “non ti vedo mai al paese“, “ti sei dimenticato di noi“, “non ti fai vedere più” e giù di lì.

Però non capisco perché continuino a ripetermelo se vivo soltanto a 18 chilometri da dove sono nato: certamente se fossi nato a Roma nessuno si sognerebbe neanche di pensarla una cosa del genere.

Ma perché nei paesi è più evidente l’assenza? Non certo per il numero di contatti (dato che ne continuo a vedere a iosa) ma evidentemente per i posti dove avvengono questi contatti e quindi per la frequenza degli hub sociali univoci (bar, viale, villa, piazza, pizzeria, ecc…): sono questi che palesano e certificano la presenza e l’appartenenza.

E allora come posso rispondere al mio vecchio amico?

Potrei dire “si, certo che me lo ricordo”, ma violerei comunque la pertinenza poiché quel che ricordo è il mio presente che invece per lui è il passato.

In sostanza la mia laconica affermazione necessiterebbe di un percorso storico che andrebbe ricostruito e referenziato affinché io e il mio amico possiamo riferirci esattamente allo stesso oggetto (che non sia esclusivamente una coppia di coordinate geografiche).

Ovvero, dovrei raccontare cosa mi viene in mente quando parlo di “mio paese”:  immagini nitide, circostanziata di cose legate a fatti, persone e luoghi; di archi temporali (per esempio uno che ricordo bene va, più o meno, dal 1974 al 1980).  Perché conservo queste immagini? Non lo so (ma adesso non importa) ma intanto sono queste e dovrei parlare di queste cose… Ma staremo parlando dello stesso paese? O meglio voleva sapere questo di me? Credo di no. Mi prenderebbe per un nostalgico che vive lontano e di ricordi lontani: come uno che vive distante (anche se solo di 18 chilometri) e con questo riavrebbe indietro l’immagine che già aveva di me prima che io mi pronunciassi.

Allora, di solito, alzo le spalle e sorrido.

Gioca con chi vuoi ma lascia stare santi e fanti

La notte del 19 novembre la statua di San Gerardo, posta in un tempietto nel centro storico di Potenza, viene “profanata” da ignoti vandali che sradicano il bastone in ferro-battuto dalla mano della statua e lo buttano nella sottostante via del Popolo.

Il giorno seguente leggo la notizia sulla stampa locale  e nel pensare agli atti vandalici che accadono ogni sabato notte, soprattutto nel centro cittadino, li collego, mentalmente,  ai soliti giovani brilli  che si divertono con tutto quello che capita.

Qualcuno che dice “ma si, so’ ragazzi…” lo si trova sempre ma questo, ovviamente,  non diminuisce la gravità dell’intolleranza che traspare da atti del genere, sia che si tratti di un’effige religiosa che di un’auto  parcheggiata (dipende spesso solo dalla “vicinanza” del soggetto con l’oggetto danneggiato).

Come si pongono i giornali di fronte a questo tipo di notizie ? Come si rapportano a questi atti di palese intolleranza sociale?

Grossolanamente in un solo modo: redigono le loro consuete righe di cronaca  e spesso gridano al sacrilegio con un coro da tragedia attica, non rinunciando anche a qualche tinta sociologica di passaggio. Sostanzialmente lo sfondo unanime è quello etico-morale di ammonimento e richiamo.

Ma c’è chi ha fatto di più; c’è chi ha risposto con l’intolleranza all’intolleranza; c’è chi ha indossato la mimetica da soldatino ed è sceso nella battaglia.

Il telegiornale RAI di Basilicata nel servizio del 21 novembre (che qui sotto potete guardare e ascoltare) dopo l’accorata indignazione in stile “radiomaria” lancia l’avvertimento vendicativo attraverso le parole finali di una canzone  popolare  (“San Gerarde protettore, de Putenza generale: gnara piglià lu male a chi l’hadda desprezzà” – Un brutto male colpirà chi avrà disprezzato San Gerardo).

Insomma ragazzi state attenti, scherzate con i fanti altrimenti…. à la guerre comme à la guerre!

Potenza 19 marzo 2011 (l'invasione degli stracorpi)

Il perché della manifestazione nazionale a Potenza lo leggete qui.

L’evento è importante e nella città non si parla d’altro. Ma di cosa “altro” vorreste sapere? Non certo di mafie, massonerie e poteri occulti ma dell’invasione degli estranei, ovvero (per parafrasare il titolo di un noto film, dell’INVASIONE DEGLI STRA-CORPI).  Si, i potentini si preoccupano delle strade chiuse, dei parcheggi, di quando fare la spesa (“meglio andare oggi ché domani è un casino”), di dove parcheggiare e altre varie preoccupazioni. La stampa locale, gli amici contenti e l’informazione istituzionale non nascondo la preoccupazione logistica di una piccola città di fronte allo tsunami umano di san giuseppe.

Ecco la sostanza: la città dovrà ospitare più di 50.000 persone il che significa una invasione nel senso più figurato possibile se si tiene conto del fatto che Potenza è popolata da circa 70.000 residenti.

Sarà sicuramente una prova di tenuta e speriamo che gli argini resistano. 🙂

 

Filrouge

Potenza si è svegliata stamattina avvolta in una lunga striscia rossa che attraversa i vicoli, le scale e le strade del suo centro storico.

L’idea, così come raccontata dal TG3, è quella di creare un filo d’unione con i monumenti e le opere d’arte in modo da guidare il turista lungo i percorsi storico-artistici dell’antico centro potentino.

Io ho fatto un giro per la via Pretoria (vi metto qui l’immagine) e la sensazione che ne ho ricevuto è stata quella di una città che si prepara a qualche evento con la creazione di zone “off limits”.

Forse sarebbe stato meglio una linea molto più sottile e soprattutto un colore diverso.