Articolo diciotto e modernità

via Vauro

A parere del Governo “di tecnici” la riforma del lavoro è un’operazione abbastanza vasta e vitale per l’Italia tanto da metterla in campo come un grimaldello che sollevi il paese dall’impasse economica e renda il nostro mercato più moderno. Il meta-grimaldello della proposta Fornero è l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

Ecco 2 parole-chiave: modernità e articolo 18, l’una chiave dell’altro e viceversa.

L’articolo 18 dello “Statuto dei Lavoratori” è quello che disciplina i casi di licenziamento illegittimo del “singolo” lavoratore nelle aziende con più di 15 dipendenti. Un datore di lavoro può “giustamente” licenziare un singolo dipendente se dimostra, al Giudice del Lavoro, la fondatezza del suo provvedimento, in caso contrario sarà obbligato a reintegrare (non riassumere ex novo) il lavoratore il quale, per sua scelta, potrebbe anche optare per un equo indennizzo.

L’idea di Fornero è quella di liberare le aziende dall’imposizione di “reintegrare” il lavoratore e, anche in caso di illegittimo licenziamento, obbligare i datori di lavoro soltanto al semplice indennizzo. Secondo il  “tecnico” si tratta di un allineamento dell’Italia alle politiche del lavoro maggiormente diffuse in Europa ma, soprattutto, riprendere quell’idea di modernità cara alla “destra italiana” e tracciata nel 2002 da Biagi con il “libro bianco”.

I contrari pensano che le aziende di cui parliamo anche quando decideranno di fare dei licenziamenti collettivi sceglieranno il licenziamento “individuale” (nel senso di licenziare i lavoratori uno alla volta) perché  la strada è più facile e perché “i licenziamenti individuali sono molto costosi e quelli collettivi molto più convenienti”.

La CGIL è l’unico sindacato che rimane fermo nell’opporsi alla “la libertà di licenziamento”, mentre la CISL ritiene che l’accordo raggiunto è “un compromesso onorevole“, poiché rafforza la protezione dei lavoratori.
La UIL per sua natura deve tentennare un po’ e prima sostiene che “la proposta del Governo e di Confindustria sull’art.18 è inaccettabile” e poi,  invece, si accoda alla CISL.
Il PD, che come al solito si divide su tutte le scelte fondamentali, presenta un asse Fassina-Bersani che parla di “un passo indietro molto ampio” contrapposto ad uno Veltroni-Ichino che parla di “tabù dell’art.18” e di ottima azione governativa.

Inutile citare la posizione di Lega e Forza Italia che furono già artefici della legge Biagi (citata prima) mentre l’IdV si lancia su posizioni ultracgillista annunciando “guerriglia” in parlamento.

E il nodo dov’è? E’ proprio nel senso della parola modernità e lo stesso Monti lo sottolinea più volte nei suoi interventi: modernità non è solo riforma del mondo lavorativo ma anche “ri-stabilire” i rapporti nelle trattative. Con le parti sociali ci si confronta ma non ci si accorda,  solo alla politica spetta l’ultima parola e la decisione finale. Insomma la modernità trasforma anche il significato di trattativa o concertazione che diventa semplice “consultazione”: ti ho ascoltato con interesse, grazie ma adesso faccio da me.

Ecco dove ci si divide, sulla modernità e tale concetto, banalmente, dipende dall’angolazione con la quale si guardano le cose; ancora più banalmente da come i propri interessi politico-economici sono coinvolti nelle scelte.

Continuando con le banalità c’è chi si chiede se la modernità sia di sinistra o di destra ma credo che sia meglio cercare di capire se sia invece cosa per i molti o per i pochi.  Prendete ad esempio l’art.18, se eliminarlo è moderno allora serve ai pochi se mantenerlo è moderno allora serve ai molti (è una garanzia per i molti ma è un freno per i pochi).  Allora è bene capire da che parte si sta: da quella dei molti (democrazia) o da quella dei pochi (oligarchia). Se la modernità è democrazia allora deve necessariamente tendere all’interesse “diretto” dei molti (dico diretto perché intravedo già coloro i quali cercano di spiegarti che l’effetto indiretto è per i tutti; proprio come quei soldi prestati alle banche europee all’1%  di interesse!); se è l’oligarchia ad essere moderna vuol dire che le cose stanno andando per il verso giusto.  Insomma… basta intendersi.

La morte normale

Nei primi anni ottanta studiavo  Horacio Quiroga per un seminario di letteratura iberoamericana.  Ricordo che alla fine di quel seminario ciascuno di noi studenti elaborò un breve saggio sull’autore e sui suoi racconti.   Io scrissi lungamente (con la mia piccola Olivetti) analizzando il personaggio della morte in tutti i racconti contenuti in “Cuentos de amor, de locura y de muerte“.  Sostenni che la morte, pur apparentemente in antitesi, altra ed estranea era, ossimoricamente, vitale nei suoi racconti: un po’ per fatti biografici (il padre morto in un incidente di caccia, il patrigno suicida,  due fratelli morti per la febbre tifoidea,  un amico ucciso per errore dallo stesso Quiroga e poi la moglie, lui stesso e due figli tutti  suicidi) e un po’ per genere letterario (era nota la sua ispirazione a Poe) la morte era probabilmente la vera protagonista dei suoi  racconti; ma era una morte normale che si accompagnava alla natura delle cose e degli uomini e come tale era accettata e mai rifuggita.

Queste cose mi son tornate alla mente alla notizia della morte di Lucio Magri e ho pensato (come Valentino Parlato) che certo «avevamo bisogno di lui della sua intelligenza e del suo impegno» ma che era giusto così.  Quella morte voluta e cercata  proprio come si cerca qualsiasi altra cosa.  Diceva un amico l’altro giorno: “ma cosa gli mancava? Non stava bene?”…  Ma perché bisogna essere disperati per desiderare di morire? Perché non si può voler morire semplicemente perché non si vuol più vivere? Perché siamo un “Paese di bigotti”, come dice Puxeddu: uno può impiccarsi o gettarsi giù da un ponte ma sempre con un gesto disperato. Noi riusciamo a digerire soltanto l’anormalità che rientra nella norma; la morte razionale, la morte voluta e cercata con normalità, senza disperazione facciamo fatica a comprenderla.

Certo tutto questo ragionamento diventa duro e difficile da assimilare quando chi sceglie la morte è una persona vicina, cara, amata. Ti resta la rabbia: una rabbia assurda che non riesci a spiegarti e che forse…. non è normale.

Ma de’ che’…. democrazia si parla?

Venerdì sera (5 marzo) è stato approntato quell’urgente decreto che tutti sapevano imminente e che avrebbe  salvato le liste elettorali presentate in ritardo o mancanti delle firme necessarie. Stiamo parlando ovviamente delle liste alle regionali di Roma e di Milano (Polverini e Formigoni in particolare).
La sostanza del decreto è tutta nell’accertamento della presenza del presentatore della lista all’interno (o nei paraggi) del sito deputato all’accettazione delle liste e che tutta la documentazione relativa possa essere verificata anche dopo (timbri, vidimazioni, ecc…).
Poi ci sono anche un paio di cose circa il ricorso al Tar delle liste ammesse e non ammesse ma che saranno applicate a partire dalle prossime elezioni.
Il nostro Presidente (che  a Rionero in Vulture gridò in faccia ai contestatori «che ci posso fare») ha firmato il provvedimento.
Insomma, come dice Luca De Biase nel suo buzz, è come se in una partita di calcio, la squadra che ha perso  (magari proprietaria del campo e del pallone) a fine partita, invocasse a viva forza un tempo supplementare perché il risultato non è di suo piacimento (cosa che non piace neppure i tifosi di quella squadra).
Tutto questo farà rinvigorire qualche girotondo in più e farà alzare il tono di qualche discussione ma poi tutti in fila a votare.
Anzi forse è meglio così perché la sponda offerta dall’avvenimento potrebbe dare più forza alla retorica dei comizi. Tutti grideranno di più e infervoreranno le folle arringando sulle ultime malefatte.
Secondo Giuseppe Civati «la norma ad paninum è comunque anticostituzionale» e quindi potrà essere impugnata: ma intanto vale per il periodo elettorale.    E Quindi? Che fare?  «Non votarli», è la risposta logica.

E perché non votarli?

Che ci guadagna l’elettore?

Che ci guadagna la democrazia?

Ma di quale democrazia stiamo parlando?

Ma de’ che’….

La congiura antiBoffo

Le informazioni distruttive si possono raccogliere, fabbricare o distorcere isolando un fatto vero dal suo contesto e manipolandolo con cura “, ed era quanto cercavo di dire qui e che oggi Giuseppe D’avanzo,  su “Repubblica”,  afferma con più chiarezza, ricostruendone oltre che un accurato retroscena anche “la scena del delitto”.  Su quella scena ci sono anche le impronte di Berlusconi e di Bertone.

Gradisca presidente

“La storia ha perso molto in termini di attualità ed è stata superata da altri eventi clamorosi”. Lo sostiene Alessandro Amadori secondo il quale la vicenda Marrazzo ha cancellato completamente le vicissitudini berlusconiane e ha depotenziando l’effetto escort.

Se il Times e il Guardian hanno dato eco internazionale all’uscita nelle librerie di “Gradisca presidente” in Italia, forse, non fregherà niente a nessuno.

La storia, pur a molti già nota, invece interesserà i tantissimi italiani che a parere di Peter Gomez  prima andranno “a leggere le pagine più hard: quelle in cui Patrizia descrive la sua notte di sesso a Palazzo Grazioli” ma poi dovranno necessariamente desumerne conclusioni politiche.

Insomma la partita è aperta e sarà a colpi di copie vendute: ma quale sarà il numero del successo ?

Piombini, Franceschini e altri ini…

Serracchiani

Checché se ne dica quiqui o anche qui penso e sono convinto che Bersani sarà il prossimo segretario del PD.

Chi ragiona dal di dentro (di un partito) ha una enciclopedia di riferimento che è fatta esclusivamente di reti (alleanze) interne e tessere,  chi invece guarda da fuori è più sensibile alle apparenze e si emoziona per uno slogan. Chi sta in mezzo, invece, pensa che il PD abbia veramente bisogno di una dura sferzata. Un colpo che forse non gli farà vincere neanche le prossime elezioni, ma tutto dipenderà poi dall’entità della posta in gioco.

Io se fossi un PDino prenderei le distanze dalle ultime figuragge di chi “non vuol tornare indietro” (”cascasse il mondo: segretario fino a ottobre“), cercherei di cancellare quel bipasticciaccio storico e considererei un incidente di percorso quell’audacia della speranza che l’onda lunga obamiana ha scagliato nella secca.

Insomma qualcosa il PD deve fare e quel qualcosa dovrà essere mediato tra la spinta “al nuovo” e le maglie interne. Per la Serracchiani ci sarà solo un posto in seconda fila, tant’è che si è già schierata con “uno” dei due che a suo dire  rappresenta “il nuovo”… ma forse era già vecchia lei e non ce ne siamo accorti.

Sognando California

Quand’ero ragazzo cantavo spesso “Sognando California” dei  Dik Dik (cover di California Dreamin dei Mamas & Papas) e con gli occhi chiusi cercavo di colorare tutti i pensieri “grigi” con luci che, da un immaginario caleidoscopio, fuoriuscivano sgargianti e liquide.  Tutto sommato era un esercizio benefico perchè, in qualche modo, mi ridava buon umore almeno per una mezza giornata.

[flash back: siamo alla fine degli anni sessanta e le canzoni durano un bel pò in classifica, quindi si cantano per lungo tempo]

In questi giorni cerco a fatica di distrarmi e di colorare i pensieri grigi ma non riesco a trovare la forza per non pensarci e allora, come fanno tutti gli ansiosi che scaricano su chiunque gli capiti a tiro la propria “carogna”, lascio qui due o tre piccoli appunti.

Alberto Asor Rosa riassume sul Manifesto i punti decisivi di una  “Deriva italiana“.

L’Unità spiega com’è fare uno sciopero virtuale con dei soldi veri (”Un attacco in grande stile al diritto di sciopero“) .

Pietro Ichino ritiene, invece,  utile e necessaria la proposta di Sacconi e invita il PD ad approvare la proposta del Governo.

Cielo grigio su
foglie gialle giù
cerco un po’ di blu
dove il blu non c’è
sento solo freddo
fuori e dentro me
ti sogno California
e un giorno io verrò….

La scissione prossima

Dopo il licenziamento di Sansonetti da direttore di “Liberazione” nel partito della rifondazione, se qualcuno non se ne fosse ancora accorto, la divisione è ormai definitiva e irreparabile.  PRC si spacca in due, come una mela:  metà da una parte, metà dall’altra e Ferrero con il picciolo in mano.

Proviamo a dare una definizione sintetica e alla buona di queste due aree.

Una, quella che in più possiede il picciolo, che potremo definire “mistica”, è tutta prona nella ricerca di una posizione politica che scaturirà solo dopo una lunga e mistica ricerca, in solitaria, della propria identità, della propria essenza.

L’altra, deninita dalla prima “la quinta colonna del PD”,  sogna ad occhi aperti di andare in treno da Filadelfia aWashington, ma se questo non sarà possibile anche Bari Centrale-Roma Termini va bene.

La separazione ormai è cosa fatta e Alessandro ne approssima i contorni politici, con l’amarezza di chi è stato sempre lì, in attesa delle prove generali della scissione che avverranno a Chiangiano il prossimo 24 e 25 gennaio.

Tutti uniti, tutti insieme…

EF’s Blog si chiede che fine abbia fatto il Partito democratico…

Dopo i “fatti”  di questi ultimi giorni (Pescara, Potenza, Napoli), Walter Veltroni prima rinnova la fiducia al sindaco di Napoli, che promette un profondo rimpasto nella sua giunta, poi invita il partito a discutere della “questione morale”.

Intanto la “Giunta delle autorizzazioni a procedere” della Camera respinge la richiesta di arresti domiciliari per il deputato del Pd. All’unanimità tutti i deputati sia della maggioranza che dell’opposizione si oppongono alla richiesta della Procura di Potenza (ad eccezione dell’Italia dei Valori).

Ecco che fine ha fatto il Pd di Veltroni. Dopo la “democristianizzazione”, la “barackizzazione”  ora si passa alla volata “garantista” (si badi bene che garantismo sta per garanzia del proprio posto) di Berlusconi.

Insomma come nella vecchia commedia di Dario Fo (”tutti uniti tutti insieme, scusa ma quello non è il padrone”) quando si tratta di salvarsi il “posto” non c’è differenza che tenga.

Di cosa discuterà la direzione del PD ? Di che questione morale si tratterà ? Di queli rinnovamenti ci sono sul tavolo ?

E’ facile prevederlo, tanto alle rivoluzioni non ci crede piu’ nessuno tanto meno quelli del PD.