Gli studenti conoscono con precisione la riforma Gelmini, lo si capisce dalle forme di protesta e dagli slogan urlati in piazza: “noi non pagheremo la vostra crisi”.
C’è un governo, o meglio un pensiero politico, che vuole tagliare tutto ciò che ritiene sterile, improduttivo e che non risponde alle logiche di mercato (salari, pensioni, servizi pubblici, stipendi, organico, precari, ecc.) e vuole incrementare tutte le spese che salvaguardino l’arrembaggio privato all’economia di stato (appalti inutili, spese militari, sostegno al capitale, salvataggi alle banche, ecc.). Praticamenten la politica è questa: privatizziamo i profitti e socializziamo le perdite.
E’ ovvio, non dovrei neanche dirlo, che chi deve pagare il prezzo di tutto questo sono i lavoratori, i precari, i pensionati e gli studenti.
Le manifestazioni di questi giorni oltre a dare, come già detto, un preciso segnale in direzione della comprensione di questo solito e diabolico meccanismo stanno (finalmente) anche accrescendo lo spirito critico, l’indignazione, la rabbia, e anche quel vecchio fenomeno che anni fa si chiamava “coscienza di classe“ e che oggi potremo definire sociale, politica, democraticadelle, ecc….
Berlusconi, poi Cossiga (quello con la k e le S runiche) e infine Gelmini dicono che c’è poco da discutere.
Si ma, dico io, discutere di cosa ?
C’è solo da fare: o si blocca la riforma oppure (dopo il voto di mercoledì in parlamento) si continua la lotta, con un vecchio ma sostanzioso grido: “ce n’est qu’un debut continue le combat !“.
Anzi direi che sarebbe proprio il caso di estendere il “movimento” anche ai lavoratori (che poi sono in parte genitori) unificando quelle vertenze contrattuali che dovrebbero vedere in piazza i lavoratori dal 30 ottobre al 14 novembre.
Tanto la controparte è la stessa.