Sembra roba da poco e invece secoli e secoli di supposizioni, credenze e immaginazioni furono annullate e/o verificate da un semplice strumento ottico messo a punto da Galileo.
L’astronomia è senza dubbio la scienza (o la pratica scientifica) più antica del mondo. Un po’ di tempo fa si era convinti che la Terra fosse al centro dell’universo e che tutto ciò che stava sopra le nostre teste fosse messo lì, a disposizione per noi, da un dio che tenesse molto al nostro godimento visivo.
Divinità a parte, in qualche modo quei nostri antenati c’erano andati vicini, almeno sull’idea di centro dell’universo; nel senso che se ci chiedessimo oggi quale sia il centro, questo non potrebbe non essere il punto di chi osserva.
Ma com’era prima del telescopio?
Le osservazioni erano limitate alla potenza dell’occhio umano che oltre le macchie lunari (e in alcuni casi solari) non poteva andare. I primi furono i cinesi che avevano l’abitudine di osservare a lungo il cielo descrivendo diversi fenomeni come supernove, eclissi e comete originati da un potente drago che andava cacciato facendo un gran baccano. Subito dopo i greci, tra Talete, Eratostane e Tolomeo, prima arrotondarono e poi decentrarono la terra nel giro di 800 anni. Per l’eliocentrismo ci volle un po’ di più in quanto la teoria fu duramente osteggiata fino a Newton.
L’occhio della fede, quello che assume la proprietà dell’osservazione di tutti i fenomeni, celesti e non, dopo condanne e persecuzioni, accettò definitivamente le teorie di Galileo solo nel 1992.
Insomma, se non fosse prevalso il pensiero greco, oggi guarderemmo il cielo sicuramente in modo diverso.
In ogni caso queste teorie non avrebbero potuto assumere una dignità scientifica se non fosse stato scoperto il telescopio.
E prima del periscopio?
Il telescopio aveva avvicinato i mondi lontani e accontentato gli astronomi, ma le persone basse che si arrampicavano sui pali per avere un miglior punto di vista e i sottomarini che volevano guardare oltre il pelo dell’acqua, hanno dovuto aspettare che Gutemberg, agli inizi del ‘900, s’inventasse un attrezzo per riallineare i punti di osservazione. Da allora il periscopio è rimasto sempre lo stesso, anche quello che viaggia nello spazio.
A me piace pensare che quelli che hanno ideato l’app Periscope (ma anche di Meerkat) si siano ispirati a questo rapporto “semplice” di collegamento tra punti di osservazione. Semplice perché aggiunge tecnicamente poco alla sostanza dell’essere connessi.
Se pensiamo alla progressione della presenza in rete, potremmo sinteticamente tracciare un grafico che parte da Foursquare, che geolocalizza (io sono qui), attraversa Instagram che identifica il soggetto e il suo mondo (selfie e la vista da qui) e aggiunge semplicemente il movimento e il qui e ora. Per dirla meglio, con le parole di Giovanni: il “micro broadcaster” che fa di noi una comunità di visione.
In sostanza io la vedo come una progressione di cose, di per se inarrestabile, che va sempre compresa e forse anche riletta meglio, ma attraverso l’uso e non la demonizzata. I dubbi, sempre sacrosanti, non possono sorgere intorno allo strumento ma, come al solito, sull’uso che se ne fa. I, dubbi di Alessandra Corbetta, per esempio, sono di quelli che preferirebbero distruggere il periscopio di Gutemberg, solo perché potrebbe permettere di spiare senza esser visti.