Popolo di agnostici

La notizia non è proprio una grande novità, non foss’altro per il casino che per molto tempo gli atei del nostro paese (ma anche i buddisti) hanno sempre fatto ad ogni inizio di anno scolastico. Oggi l’eco è maggiore perchè la nostra società, che diventa sempre più multietnica, inizia a fare i conti con mentalità e culture diverse e meno inclini alla “sopportazione” come la nostra.  In italia l’ateo o il non cattolico vive quasi clandestinamente e senza forza all’interno di una cultura cattolica (socialmente accettata) annacquata che mette in riserva, in disparte,  la propria cattolicità  per i tempi più bui. Ti permettono l’agnosticismo un po’ più volentieri perchè, secondo molti, significa soltanto non porsi il problema (per il momento ma poi si vede) continuando ad accettare i riti e le funzioni religiose di tutti i giorni: ci si battezza, ci si sposa e si muore sotto la benedizione di un parroco ma senza farci troppa attenzione.

Più della croce-simbolo, scelta religiosa di stato, bisognerebbe preoccuparsi del  perchè uno stato democratico si ostini a “insegnare” la religione cattolica nelle scuole. Ma anche lì vince l’annacquatura popolare: pochi dispensano il proprio filgio e tutti gli altri fanno qualcos’altro in quell’ora.

Siamo un popolo di cattolici-fai-da-te che si inventa proprie regole interne per vivere in pace…. non con gli altri, attenzione, semplicemente con se stessi; con le proprie convenienze e con i propri egoismi (propri o famigliari).

Siamo un popolo che scopre altarini di santi e madonne in ogni covo mafioso che viene alla luce.

Le nostre convenienze ci portano a fare quel che ci piace o ci conviene, tanto alla fine in qualche modo ci salveremo con un pentimento, con un perdono.

E allora perchè toccarci quel crocifisso, non ce ne frega niente ma non da fastidio a nessuno e poi….  non si sa mai.

Oramai è troppo tardi

Molti ricorderanno il maestro Manzi che negli anni ‘60, da un televisore in bianco e nero, teneva nei banchi i nostri genitori insegnando con una lavagna nera una lingua che faticava a diventare amica.

L’Italia lottava un analfabetismo congenito derivante da divisioni geografiche e storiche. La battaglia da vincere era l’unione di un paese sotto una bandiera culturalmente asincrona  e la TV di Stato doveva svolgere il proprio ruolo sociale e istituzionale.

L’esigenza di raccontare e ragionare sulla lingua italiana continua ma il target è spostato e l’interesse è tutto rivolto ai giovani studenti. Molti programmi per ragazzi (nella fascia di programmazione pomeridiana a loro dedicata) tra una fiaba,  cartoon e un telefilm  infilano un pò di grammatica, uno spicchio di lessico e una manciata di libri da leggere ma tutto molto velocemente perchè ormai la televisione corre e non c’è più posto per i banchi e le lavagne.

Siamo a cavallo degli anni ‘80 e l’impegno viene affidato a  format più leggeri e di svaglo; l’opera di divulgazione continua ma in forma di quiz con trasmissioni televisive come “Parola mia” dove un sorridente professor Beccariaammaliava e bacchettava gruppi di giovani studenti-concorrenti.

Oggi il target di riferimesto si risposta nuovamente. Ai ragazzi non si insegna più la lingua italiana, al massimo li si invita a leggere qualche libro, ma sempre attraverso un quiz.

La lingua italiana adesso è un’emergenza per le massaie che il sabato e la domenica mattina guardando il programma “Mattino in famiglia” possono telefonare al professor Sabatini (Presidente Onorario dell’Accademia della Crusca) che dalla sua minirubrica “Pronto soccorso linguistico” risponde sulla lingua italiana e sui dialetti.

Ma saremo ancora in tempo oppure….  “oramai è troppo tardi” ?

Tra viaggio e metaviaggio

«Il Buddha, il Divino, dimora nel circuito di un calcolatore o negli ingranaggi del cambio di una moto con lo stesso agio che in cima a una montagna o nei petali di un fiore»
(Robert M. Pirsig – Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta )

Kerouac map

Per capirsi è sempre, o quasi sempre, meglio intendersi sulle basi comuni di partenza. Di partenza e non di arrivo ci si preoccupa, quindi, quando si è in procinto di mettersi in viaggio con la mente o con il corpo. E di viaggio si parla sia nell’uno che nell’altro caso. O che abbia veramente fatto la valigia o se sto semplicemente iniziando un ragionamento con un amico oppure se ho soltanto superato la prima di copertina di un libro, sto compiendo il mio viaggio.

Certo, se qualcuno mi parla di viaggi a me vengono in mente tante cose ma quelle che suscitano di più la mia attenzione sono i racconti di un viaggio; le impressioni del viaggiatore, i suoi punti di vista diretti o obliqui sul mondo.

Non dimenticherò mai l’entusiasmo di un mio amico nel cercare di farmi comprendere, a gesti e urla, l’esagerata smodatezza dimensionale  di un’America raccontandomi della grandezza dei rubinetti delle vasche da bagno degli hotel, o di quella delle confezioni di latte o succhi di frutta  nei supermarket di New York.  Dai racconti se ne ricava sempre qualche massima e la sua fu che l’America è grande anche nelle cose piccole.

In sostanza o si viaggia per raccontare o si legge (o si ascolta) per viaggiare.

Per questo fin da bambino in viaggio non riuscivo a leggere se non di notte; il giorno anche soltanto appiccicato con il naso a un finestrino  assaggiavo con gli  occhi tutti i posti che mi scivolavano davanti. Immaginavo con la velocità di un flash istanti di vita di un mondo che sarebbe potuto essere o divenire concreto nella realtà ma sempre assai dissimile dalla mia enciclopedia familiare.  Ma quei micro viaggi lasciavano ben presto il posto a immagini macroscopiche che avrebbero occupato a vita la mia memoria. Se penso, per esempio,  ai primi viaggi verso Roma o Venezia o Milano o Parigi ricordo bene il Colosseo, piazza san Marco,  il Duomo e la Tour Eiffel ma ho completamente cancellato i particolari del viaggio di andata. Probabilmente se fossi stato un scrittore avrei appuntato tutte le impressioni del viaggio anche se forse le avrei scartate in seguito, ma solo in seguito. Un po’ come quando, in epoca analogica, scattavamo centinaia di fotografia senza mai stamparne i negativi.

Un tragitto diventa viaggio attraverso il racconto e con il racconto quel viaggio  diventa metaviaggio.

Chi non ricorda “I viaggi di Gulliver”,  “Il milione” oppure l’inferno di Dante (anche senza le illustrazioni di Dorè)  o anche le accurate descrizioni manzoniane dei viaggi di Renzo ? Insomma, a conti fatti, abbiamo più viaggiato stando fermi che prendendo treni o autobus.

Ecco perché vorrei mettere 4 pietre miliari in un percorso compiuto in gioventù, attraverso quei libri che mi hanno fatto viaggiare o spinto più lontano possibile.

Il primo fu “On the road”  di Kerouac che lessi attentamente con un maniaco interesse  per le tappe geografiche (alla “google maps”).  Ricordo che disegnai una piccola cartina degli Stati Uniti su cui indicai i percorsi che DeanSal compievano sulle highways che dall’America portavano in Messico.

Fantastic Voyage”, diventato “allucinante” nella traduzione italiana sia del libro che della versione cinematografica,  di Isaac Asimov ha rappresentato invece  l’esperienza del viaggio impossibile poiché non  al di fuori ma al di dentro di un corpo umano non come percorso metaforico ma fisico-biologico.

Quello tratto dalle memorie di Woody Guthrie, “Questa terra è la mia terra” (“Bound for glory”), è il percorso-fuga degli hoboes lungo le strade ferrate dell’America della depressione; tutto raccontato sulle corde di una chitarra su cui era inciso “Questa macchina ammazza i fascisti!”.

L’ultimo, “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Pirsig, è forse la sintesi degli itinerari  da dentro a fuori e da fuori a dentro. Un percorso in motocicletta dal Minnesota al Pacifico che diventa viaggio degli occhi e della mente.  Come recita la quarta di copertina “Qual è la differenza fra chi viaggia in motocicletta sapendo come la moto funziona e chi non lo sa? In che misura ci si deve occupare della manutenzione della propria motocicletta? Mentre guarda smaglianti prati blu di fiori di lino, nella mente del narratore si formula una risposta: «Il Buddha, il Divino, dimora nel circuito di un calcolatore o negli ingranaggi del cambio di una moto con lo stesso agio che in cima a una montagna o nei petali di un fiore».

Pressappochismo, malattia infantile del giornalismo

Un consigliere provinciale di Potenza, Gianluca Manzi (qui l’elenco dei nostri amministratori provinciali), scrive una lettera “aperta” al ministro Brunetta per denunciare il “fannullismo” lucano nella pubblica amministrazione.

Risalto viene dato a questa notizia da Mara Vizzo sulle pagine di “Controsenso“, un giornale locale a distribuzione gratuita, del 28/3/09.

Entrambi, politico e giornalista, più che dimostrare l’entità del “fannullismo” mettono in mostra il “pressapochismo” della notizia e dell’informazione.

Il capogruppo dei verdi in consiglio provinciale, cercando di cavalcare la trigre del malcontento popolare, si lega al coro dei tanti che vedono internet come il male estremo della pubblica amministrazione e dunque dello spreco pubblico.

Le accuse “generiche” fatte ai lavoratori sono di quelle che fanno accapponare la pelle: “i lavoratori della Pubblica Amministrazione sarebbero propensi a distrarsi on line, trascorrerebbero diverse ore a comunicare con amici e parenti, a scambiare foto e video, a espletare, insomma, tutte quelle pratiche del web che oggi vengono riassunte sotto il termine generico di social networking“.

Come biasimare Manzi ? Dice la Vizzo la quale, aggiunge il carico da novanta: “i dati parlano molto chiaro“…  Ma quali sono i dati allarmanti ?

La solerte giornalista cita prima un dato che riguarda le visite globali fatte a Facebook in Italia (ma attenzione non si cita alcuna fonte) di «1 milione e 300 mila» e poi una ricerca condotta dalla NUS Business School dell’Università di Singapore che è del 2008 di cui su WebMaster Point del 22 settembre 2008 potete leggere qualche cosa !!!

Ma non è tutto. Oltre a riciclare una vecchia notizia, la giornalista rigira la frittata utilizzando dati che nella ricerca originale invece rilevano l’esatto contrario di quanto si cerca di sotenere nell’inetro articolo di Controsenso.
I rsultati della ricerca indicano che questa attività “non sottrae
produttività, anzi, rende il lavoro più piacevole e predispone il
dipendente a un atteggiamento più positivo nei confronti degli impegni
che deve portare a termine”.


Ma il problema è sempre lo stesso, si lanciano accuse generiche di “fannullismo” senza il dovere di dimostrare alcunchè portando a supporto dati ancora più generici che riguardano l’intera popolazione italiana e addirittura mondiale, per concludere cosa ? Che bisogna contenere lo spreco attraverso “intranet e non internet” e limitando le visite ai siti ufficiali.

Ma lo sanno il nostro consigliere provinciale e la nostra giornalista filo brunettiana che mezzora di vita di “un’auto blu” costa più di un mese di navigazione internet di mille dipendenti ?  Che 60 minuti di inattività di un dipendente pubblico costano assai meno di un minuto di inattività di un consigliere provinciale ? E che tra i tanti “enti inutili”  il suo caro Brunetta mette proprio al primo posto le Amministrazioni provinciali ?

Il cannocchiale e i cattocomunisti

berluscanno

«Franceschini è un cattocomunista», ha sentenziato Silvio Berlusconi durante la consegna del premio “Oscar alla politica” organizzato da “Il Riformista“.

Perchè questa definizione così realistica, anche se datata, dell’attuale leader del PD ?  Qualcuno ha pensato alle influenze di Baget Bozzo, o a una delle sue solite boutade, di quelle che non hanno un retroterra culturale specifico ma vengono enunciate soltanto perchè, cacofonicamente, danno la sensazione di esprimere qualcosa di offensivo.

Ma no, ma no, ma no… invece tutto è racchiuso in un oggetto, il simuacro del premio: un cannocchiale.

Non può capire la sensazione del guardare attraverso quelle lenti chi non ha mai letto Wittgenstein, chi non è un filo Lippershey-Galilei-Kepleriano, o non possiede un blog sul Cannocchiale.

Quindi il nostro premier, da uomo semplice qual’è, da bambinone cresciutello, appena ricevuto il regalo lo prova, è più forte di lui, non ne può fare a meno.
Antonio Polito gli si avvicina e gli sussurra nell’orecchio: “Presidente guardate lontano?”, “macché” ha risposto lui, “guardo da lontano”.

Allora il buon direttore si è chinato in avanti per capire se l’oggetto fosse stato inforcato al contrario e se  Silvio stesse suggerendo una metafora dello sguardo storico del presente. Ma quando, poi ha pronunciato la frase  «adesso il Pd ha un leader catto-comunista» tutto è stato chiaro e la metafora si è infranta.

Berlusconi parlava del presente e il riferimento storico era giustappunto riferito a chi di quella storia ne è il fedele conservatore. Il messaggio non era per noi ma per chi vive in un altro spazio temporale, nell’epoca delle cose più semplici: bianco o nero, vivo o morto, cattolico o comunista: questa volta non è stata una gaffe ma soltanto meraviglia (guardate il Re è nudo).

Lo so che adesso state pensando che io farentichi, l’avrei pensato io stesso ma prima, però, di ascoltare la risposta di Franceschini dal vertice del PD: «tecnicamente lui è un clerico-fascista».

Ecco, lui l’ha compreso al volo e gli ha risposto non “per le rime”, come avrebbe fatto chiunque, ma  “per la storia” a cui entrambi si sentono legati.

Franceschini non dice “Berlusconi, invece, è un clerico-fascista” ma usa lo stesso codice e lo sottolinea, con “tecnicamente“.

Che significa tecnicamente?

Berlusconi è o non è un clerico-fascista?

Lo è soltanto tecnicamente ?

Oppure entrambi (Franceschinie Berlusconi) sono qualcosa soltanto tecnicamente ?

Insomma…  son quelle cose viste da un cannocchiale che a occhio nudo non s’apprezzano….

I tag dei ricordi

Spesso sfogliando libri comprati da diverso tempo trovo all’interno segnalibri di ogni tipo, ma la mia predilezione sono sempre stati i biglietti di autobus, treni, metropolitane, cinema, ecc… ecc… Sono in qualche modo i tag dei miei ricordi, perchè mi accade di essere risucchiato indietro nel tempo da questi piccoli foglietti-segnalibro che mi impongono sempre la stessa domanda: “cosa facevo in quel periodo?”.

Ecco questo è uno di quei segnalibri che mi ricorda di aver letto “Barthes di Barthes” quasi tutto d’un fiato nella “carrozza” di un treno delle Calabro-Lucane sulla tratta Avigliano-Potenza e di lì a pochi giorni sarebbe venuto giù il “cielo.”

Si ma dove andavo quel giorno con quel libro in tasca proprio non me lo ricordo.
:)

Veline

Veline

Un italiano su quattro guarda ogni sera su Canale 5 ” il programma Veline” (che seleziona le due nuove ragazze per il ruolo di veline nella prossima edizione di Striscia la notizia). L’Espresso di questa settimana lo rivela in un’intervista a Ricci, contrapposto al duo Casini-Ratzinger. Casini ritrae, affranto, l’Italia come una società fatta di veline e calciatori e Ricci si chiede se è

“meglio una ragazza che per un breve periodo mostra il sedere in televisione o uno come Casini che ci costringe a vedere la sua faccia per tutta la vita? Non è una battuta: lo scandalo non sono le veline. Sono i politici in processione da Bruno Vespa. E la smania di apparire, di occupare spazi a tutti i costi”.

Nell’articolo viene anche citata la vicenda delle dimissioni di Alessandro Sortino dalle “Iene” per la non messa in onda del servizio alla famiglia Mastella (in particolare lo scontro del giornalista con il figlio di Mastella).
E mentre Sabrina Guzzanti sta per essere indagata per “vilipendio” al Papa, sul suo blog ritorna il concetto di centralità delle “Veline” quando annuncia di voler imparare a ballare.

Aglianica

uva aglianico

Anche quest’anno c’è l’appuntamento per “Aglianica 2008” il festival del vino (o wine festivalaglianico del vulture.

Se siete amanti del vino, ma di quello buono, recatevi a Melfi e non rinunciate a gustare uno dei migliori (io dico il migliore) vini d’Italia.

L’aglianico pare essere stato introdotto in Italia dai Greci nel VII secolo a.c. in quell’area che venne definita Magna Grecia, e i romani lo impiantarono stabilmente in Campania.

L’antica bontà di questo vino viene citata anche da Orazio nei suoi canti.

Una leggenda vuole che dopo la battaglia di Canne nel 216 a.c. Annibale attraversando in ripiegamento il territorio dell’attuale Basilicata, abbia sostato abbastanza per apprezzare il buon vino aglianico.

«Eccola finalmente la sua vendetta.
Graziantonio Dell’Arco avrebbe colpito Yarno Cantini dei conti del Canto degli Angeli in quello
che di più caro aveva al mondo. Il suo vino
»

di Gaetano Cappelli.