Che ne viene al PD di questo governo di centrodestra? Il centrodestra, appunto.
Le risposte sono tutte “interne” e per niente “esterne” così come non stanno per nulla in piedi le analisi di Speranza. Se le ragioni fossero state esterne il PD avrebbe tenuto in maggior conto la propria coalizione “Italia bene comune” e i proclami elettorali. Avrebbe accettato di trattare con il M5s, non per finta, anzi avrebbe preso al volo la proposta Rodotà per avviare una qualsiasi trattativa (per esempio Prodi presidente della repubblica e Rodotà presidente del consiglio). Invece hanno scelto la strada, già segnata, della larga coalizione, scaraventando SEL all’opposizione; il tutto con grande coerenza rispetto ai vari giuramenti.
Non si pensi che il problema sia stata l’incapacità di Bersani nel non aver saputo costruire un governo di sinistra; se proprio si vuol riconoscere un ruolo all’ex segretario è quello di esser stato travolto dal peso delle correnti e di essere stato seppellito sotto la coltre centrodestrista: come nella bella immagine di Serra: “quelli di sinistra che odiano la sinistra”.
In sostanza quello che fu il “fattore K” per il PCI si è trasformato nel “fattore Dc” per il PD, ovvero una linea di gravitazione trasversale che attraversa un gran numero di partiti che siedono in parlamento. Giustamente Cirino Pomicino definisce queste manovre governative di larghe intese come il ritorno della prima repubblica fatta dai giovani cresciuti nella balena bianca.
E questo è, nulla di più.