Mentre leggo “Umanità accrescita” di Giuseppe, inciampo in una pagina de “La Gazzetta del Mezzogiorno” dedicata a una scuola superiore di Acerenza (PZ), dove in un paio di articoli si racconta, con estrema semplicità, la natura maligna e “oscura” dei mondi virtuali (o metaforici).
Il filo conduttore che unisce gli articoli scritti dai ragazzi dell’ITC di Acerenza è il racconto di una umanità che “decresce” all’interno della rete e delle esperienze “virtuali”.
Questa “umanità decrescente” (così com’é probabilmente abbarbicata nella mente di qualche insegnante) è rudemente e approssimativamente descritta come “generazione in oblio”, perennemente in tentazione e in pericolo di completa perdizione. La retorica si spreca e più che di ignoranza (o inconoscenza, come direbbe un amico) si tratta di una formazione culturale tardo-cattolica che ha sempre fatto della “caccia alle streghe” la corazzata invincibile:
«entrando in diretto contatto con le innovazioni, ci si rende conto che non sempre se ne traggono benefici».
Come si fa a raccontare un mondo non conoscendolo affatto ?
Sarebbe bastato che l’insegnante avesse chiesto ai propri alunni: “quanti di voi conoscono e usano un videogioco ?”, per spalancare le porte di un mondo a lui sconosciuto; un “mondo nuovo”, da esplorare, dove quei ragazzi sarebbero stati insegnanti, di umanità e di tanto altro ancora.
Ma il professore che ha perso quest’occasione si può consolare e dannarsi perchè «questo micro monitor ci apre una finestra su di un macro (macabro) mondo, che per l’abissale spazio ci spaventa».