Te la ricordi Stampa Alternativa?

Chi ha più o meno la mia età, o qualche anno in più, e ha vissuto qualche esperienza con i movimenti della sinistra (soprattutto “extraparlamentare”) di fine anni ’70, non può non ricordarsi di “Stampa Alternativa”. Era un periodico stampato alla buona da Marcello Baraghini, con il difficile compito di fare da laboratorio contro-culturale, dove il prefissoide era l’elemento fondamentale.  Gli argomenti erano, quindi, quelli scomodi e “contro” che erano già l’ossatura di una libertà culturale e di informazione nata con il sessantotto ma che nel movimento del settantasette trovò una sua più piena realizzazione.

Era essenziale identificare il paradigma culturale dominante (a cui opporsi) per creare percorsi alternativi. Un fenomeno che, tutto sommato, poteva essere analizzato con più semplicità rispetto a oggi, non foss’altro che per una minore presenza di strutture culturali/informative (ovviamente). Oggi seguire tutto quello che diventa mainstream e creare difese è un compito assai più difficile se non impossibile.

Io, come molti, ho portato per anni nel portafogli la tessera di corrispondente di Stampa Alternativa (un tesserino da fotogiornalista che rilasciavano a chiunque lo richiedesse) che non aveva alcun valore professionale ma, con una buona dose di faccia tosta, potevi anche esibire davanti al cancello di uno stadio o di un cinema e aspettare che ci cascassero.

I due opuscoli più famosi (quelli che non sono mancati nella mia libreria) sono stati il “Manuale per la Coltivazione della Mariuana“, che molti rintanati nelle soffitte hanno tentato di mettere in pratica e  “Contro la famiglia – Manuale di autodifesa dei minorenni” che provocarono non pochi problemi  giudiziari a Baraghini il quale dovette scappare per evitare il carcere. Ovviamente Stampa Alternativa chiuderà per riaprire qualche anno più tardi, dopo un’amnistia, ma come casa editrice un po’ meno aggressiva e tuttora presente.

 

 

La carta nella testa

E’ noto a tutti che le “scritture” sono in continuo aumento è meno noto, però, l’incremento delle “letture”.  Del primo ne siamo coscienti perché abbiamo visto come il digitale abbia incrementato la comunicazione scritta, del secondo non riusciamo ad afferrarne la portata poiché restiamo legati a un’idea di lettura concettualmente analogica. Tutto il peso del concetto ricade sulla “quantità compattata” di righe scritte.

Se date uno sguardo alle statistiche ISTAT gli indici sono fatti per libri di carta, audiolibri, ebook e giornali. Sappiamo, per esempio, che nel  2010  gli italiani avevano letto mediamente  3 libri a testa (con un incremento di un punto percentuale rispetto al 2009) e che coloro che possiamo definire “lettori voraci” erano soltanto il 15,1%  con una dozzina di libri letti nell’anno. A questa “quantità” di righe scritte e dichiarate come lette, si affiancano i dati sulla vendita (sia di libri che di giornali) che abbassano ancora di più la media.

Il problema è che sono gli analisti a considerare la scrittura come letta solo se appartenente a unità concettualmente “analogiche” di testo: libri, giornali, e-book, ecc….  e non si capisce il perché non si consideri letto ciò che invece è stato considerato come scritto: sms, chat, e-mail, social network, giochi, ecc….  Si è disposti a considerare il web o l’html come scrittura ma non come lettura.

Un esempio semplice di questa stortura mi è balzata agli occhi quando ho ragionato sul fatto che mio figlio, che sta affrontando gli esami di stato, legge e trova sul web tutto ciò che gli serve e contemporaneamente invia e/o riceve link interessanti dai suoi compagni. Quante righe avrà letto mio figlio? Boh e chi lo sa… intanto, statisticamente non è neanche un lettore accanito, anzi è addirittura sotto la media perché al rilevatore che gli chiederà “quanti libri hai letto quest’anno” (a parte quelli scolastici) sicuramente risponderà poco o nulla. Forse nemmeno lui considererà come lette le migliaia di righe su Wikipedia e sui vari siti specializzati. Io alla sua età ero considerato un lettore accanito soltanto perché leggevo un quotidiano e correvo in biblioteca per ogni piccola ricerca scolastica, eppure il mio camp0 di riferimento era ristretto alle capacità di una piccola biblioteca UNLA e a quelle di qualche enciclopedia  più o meno esaustiva.

Probabilmente guardiamo/usiamo il digitale e pensiamo/vediamo l’analogico. Una metafora immediata di questo paradosso è ben rappresentato da tanti ebook reader (l’iPad ad esempio) che simulano lo sfogliare della pagina di carta.

Anche quando ci liberiamo le mani dalla carta la cellulosa ci rimane in testa.

Come ti racconto un terremoto

Alle 4.04 una fortissima scossa di terremoto in Emilia Romagna, al momento cinque morti (tre operai sul posto di lavoro e due donne, una di 37 anni e un’anziana ultra centenaria, morte per lo spavento) e 50 feriti. I danni maggiori si sono verificati nel ferrarese. La scossa è stata di magnitudo 6 e l’ipocentro a 5,1 km di profondità .

 

 

Come tutte le mattine, appena sveglio, lancio uno sguardo veloce a Twitter e immediatamente mi colpisce il tweet del “La Stampa” che parla di una forte scossa di terremoto in Emilia con morti e crolli. Faccio un retweet e salto prima sulle news di Google e poi su Facebook. A un certo punto mi rendo conto di essere ancora a letto e inevitabilmente vado al ricordo della mia esperienza di terremoto, quello del 1980, e di come ce lo raccontavano allora.

La reazione è quella ti spegnere i miei “apparati” e accendere la TV su Rai1 per ascoltare il loro racconto. Sono le 8 passate, quasi 4 ore dopo la prima notizia, e due giornalisti in studio si rimpallano tra un inviato in zona, sempre d’avanti allo stesso fabbricato (la cui foto ho inserito qui nel post) e una non meglio precisata “redazione web” in studio. In aggiunta, telefonicamente, intervistano Red Ronnie il quale  (è originario, più o meno, dell’area colpita ma vive altrove) parla di posti che si ricorda bene e poi del fatto di essersi sentito telefonicamente con Fiorello e Paolo Belli. Poi chiamano un’amministratrice comunale di un paese coinvolto che è in auto e sta raggiungendo Ferrara per un incontro con il capo della Protezione Civile, e che non sa granché dell’accaduto, anzi dalle risposte si capisce subito che ne sa molto di meno del giornalista che la intervista. Come se non bastasse  chiamano al telefono un vescovo il quale riporta una sorta di censimento mappato della propria diocesi ma senza aggiungere assolutamente nulla a quanto lo spettatore già conosce benissimo. A tutto ciò si inframezzano un paio di rimbalzi alla “redazione web” dove una giornalista, davanti a un paio di monitor, ci racconta di qualche tweet del tutto insignificanti, ai fini del racconto, e due mini video di YouTube dai quali si capisce ancora meno e che la giornalista continua a lanciare dicendo “ce ne sono tanti, ce ne sono tanti” mentre fa vedere (in loop) sempre gli stessi per 4 o 5 volte.

Lo so di avere un caratteraccio (e che proprio non riesco a sopportare l’inutilità delle cose) ma di fronte a un racconto giornalistico che non sa aggiungere nulla a quanto già conosco, mi viene in mente la mia esperienza del 1980 e di come le notizie oltre ad essere per lo più inesistenti erano immaginarie. Ricordo ancora con precisione il TG1 del giorno dopo che parlava di una scossa di terremoto “in Basilicata, Lucania e Campania” .

Ma prima di ritornare, sconfortato, al racconto della rete faccio l’ultimo sforzo e passo a Sky TG24. Effettivamente qui la musica cambia e anche se lo stile con “bellimbusti” in studio non mi è mai piaciuto, le notizie e i servizi danno un senso più concreto al racconto. Al telefono c’è il responsabile regionale della Protezione Civile che lascia informazioni pertinenti e concrete, da il numero di telefono a cui chiamare (che la giornalista in studio ripete e scandisce, proprio come un tempo facevano i TG del servizio pubblico) e dispensa qualche consiglio a chi sta ascoltando e vorrebbe andare lì sul posto. Finalmente i filmati non hanno il “quasi” fermo immagine del TG1, ma spaziano così tanto da dare un senso compiuto alla gravità della situazione e oltre a intervistare i genitori e un collega-sindacalista del giovane operaio morto sotto il tetto di una fabbrica in cui lavorava, fanno parlare (anche loro) un prete ma questa volta è il parroco di una chiesa semi distrutta che, molto più sensatamente del suo vescovo, è contento perché il tutto è accaduto quando la chiesa era chiusa perché di lì a poche ore, invece, sarebbe stata stracolma di bambini.

Insomma Sky TG24 sembra fare un racconto molto più corrette e sostanzioso e (anche se forse pesca qualche notizia su Twitter) non mostra nessuna “redazione web” di cui non ne ha alcun bisogno.

Gioca con chi vuoi ma lascia stare santi e fanti

La notte del 19 novembre la statua di San Gerardo, posta in un tempietto nel centro storico di Potenza, viene “profanata” da ignoti vandali che sradicano il bastone in ferro-battuto dalla mano della statua e lo buttano nella sottostante via del Popolo.

Il giorno seguente leggo la notizia sulla stampa locale  e nel pensare agli atti vandalici che accadono ogni sabato notte, soprattutto nel centro cittadino, li collego, mentalmente,  ai soliti giovani brilli  che si divertono con tutto quello che capita.

Qualcuno che dice “ma si, so’ ragazzi…” lo si trova sempre ma questo, ovviamente,  non diminuisce la gravità dell’intolleranza che traspare da atti del genere, sia che si tratti di un’effige religiosa che di un’auto  parcheggiata (dipende spesso solo dalla “vicinanza” del soggetto con l’oggetto danneggiato).

Come si pongono i giornali di fronte a questo tipo di notizie ? Come si rapportano a questi atti di palese intolleranza sociale?

Grossolanamente in un solo modo: redigono le loro consuete righe di cronaca  e spesso gridano al sacrilegio con un coro da tragedia attica, non rinunciando anche a qualche tinta sociologica di passaggio. Sostanzialmente lo sfondo unanime è quello etico-morale di ammonimento e richiamo.

Ma c’è chi ha fatto di più; c’è chi ha risposto con l’intolleranza all’intolleranza; c’è chi ha indossato la mimetica da soldatino ed è sceso nella battaglia.

Il telegiornale RAI di Basilicata nel servizio del 21 novembre (che qui sotto potete guardare e ascoltare) dopo l’accorata indignazione in stile “radiomaria” lancia l’avvertimento vendicativo attraverso le parole finali di una canzone  popolare  (“San Gerarde protettore, de Putenza generale: gnara piglià lu male a chi l’hadda desprezzà” – Un brutto male colpirà chi avrà disprezzato San Gerardo).

Insomma ragazzi state attenti, scherzate con i fanti altrimenti…. à la guerre comme à la guerre!

Buon compleanno "Il Manifesto"

Potete leggere la sua storia anche su Wikipedia e vedrete che l’esperienza politica de “Il Manifesto” nasce molto prima ma la sua data di compleanno è il 28 aprile 1972 quando viene trasformato in quotidiano.
Io me lo ricordo bene dal 1974 quando diviene “PdUP per il Comunismo” perchè ero delegato al congresso nazionale di unificazione.

Oggi compratelo, costa solo 40 centesimi.

La congiura antiBoffo

Le informazioni distruttive si possono raccogliere, fabbricare o distorcere isolando un fatto vero dal suo contesto e manipolandolo con cura “, ed era quanto cercavo di dire qui e che oggi Giuseppe D’avanzo,  su “Repubblica”,  afferma con più chiarezza, ricostruendone oltre che un accurato retroscena anche “la scena del delitto”.  Su quella scena ci sono anche le impronte di Berlusconi e di Bertone.

Ma la notizia un po' originale…

feltri_boffo
La signora Eva scrive al direttore de “il Giornale”, Vittorio Feltri: “ho letto nel suo fondo alcune considerazioni su Dino Boffo, il direttore di Avvenire che si dimise in seguito a una intricata vicenda di molestie. Devo dirle che mi sono sempre domandata perché una cosa così piccola sia diventata tanto grande al punto da procurare un fracasso mediatico superiore a quanto meritasse. Lei che ha acceso la miccia che ne dice a distanza di tre mesi?”Cos’era successo ? Dino Boffo, direttore di “Avvenire“, era stato condannato nel 2004 per molestie telefoniche a una ragazza di Terni e Gabriele Villa, a fine agosto, su “il Giornale”  elabora quella notizia così originale (in verità già pubblicata tempo prima da “Panorama”) con grande spreco di inchiostro.

Boffo è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla, onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione.

A tre mesi di distanza da quella notizia si aprono i fascicoli giudiziari e si scopre che Boffo “non risulta implicato in vicende omosessuali, tanto meno si parla di omosessuale attenzionato“.
Feltri rispondere allora alla “gentile signora” che intanto il gioco l’aveva iniziato “Panorama” (“sia pure con scarsa evidenza”), che si era in clima “di fuochi d’artificio sui presunti eccessi amorosi di Berlusconi” e che anche “l’Avvenire” diretto da Boffo, solitamente “pacato e riflessivo, cedette alla tentazione di lanciare un paio di petardi” insieme a quelli di “Repubblica”.

E allora di fronte alla ghiotta occasione di sistemare qualche conto perchè non mettere in croce il povero Boffo?

Ma invece di scusarsi per aver dato corpo e sostanza a una “bufala”, Feltri accusa ancora Boffo che in piena baraonda ha preferito  “segretare il fascicolo” invece di renderlo pubblico, impedendo “di verificare attraverso le carte che si trattava di una bagattella e non di uno scandalo“.

Quindi, qual è la conclusione di questa vicenda ?

Capire cos’è più importante nel “dare le notizie”: avere un obiettivo preciso da colpire, cercare un qualsiasi fatto che appesantisca la carica e colpire fino in fondo.

Ma se poi viene fuori che le cose non stanno proprio così ?  Pazienza, mica stiamo qua a verificare le notizie !

Pressappochismo, malattia infantile del giornalismo

Un consigliere provinciale di Potenza, Gianluca Manzi (qui l’elenco dei nostri amministratori provinciali), scrive una lettera “aperta” al ministro Brunetta per denunciare il “fannullismo” lucano nella pubblica amministrazione.

Risalto viene dato a questa notizia da Mara Vizzo sulle pagine di “Controsenso“, un giornale locale a distribuzione gratuita, del 28/3/09.

Entrambi, politico e giornalista, più che dimostrare l’entità del “fannullismo” mettono in mostra il “pressapochismo” della notizia e dell’informazione.

Il capogruppo dei verdi in consiglio provinciale, cercando di cavalcare la trigre del malcontento popolare, si lega al coro dei tanti che vedono internet come il male estremo della pubblica amministrazione e dunque dello spreco pubblico.

Le accuse “generiche” fatte ai lavoratori sono di quelle che fanno accapponare la pelle: “i lavoratori della Pubblica Amministrazione sarebbero propensi a distrarsi on line, trascorrerebbero diverse ore a comunicare con amici e parenti, a scambiare foto e video, a espletare, insomma, tutte quelle pratiche del web che oggi vengono riassunte sotto il termine generico di social networking“.

Come biasimare Manzi ? Dice la Vizzo la quale, aggiunge il carico da novanta: “i dati parlano molto chiaro“…  Ma quali sono i dati allarmanti ?

La solerte giornalista cita prima un dato che riguarda le visite globali fatte a Facebook in Italia (ma attenzione non si cita alcuna fonte) di «1 milione e 300 mila» e poi una ricerca condotta dalla NUS Business School dell’Università di Singapore che è del 2008 di cui su WebMaster Point del 22 settembre 2008 potete leggere qualche cosa !!!

Ma non è tutto. Oltre a riciclare una vecchia notizia, la giornalista rigira la frittata utilizzando dati che nella ricerca originale invece rilevano l’esatto contrario di quanto si cerca di sotenere nell’inetro articolo di Controsenso.
I rsultati della ricerca indicano che questa attività “non sottrae
produttività, anzi, rende il lavoro più piacevole e predispone il
dipendente a un atteggiamento più positivo nei confronti degli impegni
che deve portare a termine”.


Ma il problema è sempre lo stesso, si lanciano accuse generiche di “fannullismo” senza il dovere di dimostrare alcunchè portando a supporto dati ancora più generici che riguardano l’intera popolazione italiana e addirittura mondiale, per concludere cosa ? Che bisogna contenere lo spreco attraverso “intranet e non internet” e limitando le visite ai siti ufficiali.

Ma lo sanno il nostro consigliere provinciale e la nostra giornalista filo brunettiana che mezzora di vita di “un’auto blu” costa più di un mese di navigazione internet di mille dipendenti ?  Che 60 minuti di inattività di un dipendente pubblico costano assai meno di un minuto di inattività di un consigliere provinciale ? E che tra i tanti “enti inutili”  il suo caro Brunetta mette proprio al primo posto le Amministrazioni provinciali ?

Il cannocchiale e i cattocomunisti

berluscanno

«Franceschini è un cattocomunista», ha sentenziato Silvio Berlusconi durante la consegna del premio “Oscar alla politica” organizzato da “Il Riformista“.

Perchè questa definizione così realistica, anche se datata, dell’attuale leader del PD ?  Qualcuno ha pensato alle influenze di Baget Bozzo, o a una delle sue solite boutade, di quelle che non hanno un retroterra culturale specifico ma vengono enunciate soltanto perchè, cacofonicamente, danno la sensazione di esprimere qualcosa di offensivo.

Ma no, ma no, ma no… invece tutto è racchiuso in un oggetto, il simuacro del premio: un cannocchiale.

Non può capire la sensazione del guardare attraverso quelle lenti chi non ha mai letto Wittgenstein, chi non è un filo Lippershey-Galilei-Kepleriano, o non possiede un blog sul Cannocchiale.

Quindi il nostro premier, da uomo semplice qual’è, da bambinone cresciutello, appena ricevuto il regalo lo prova, è più forte di lui, non ne può fare a meno.
Antonio Polito gli si avvicina e gli sussurra nell’orecchio: “Presidente guardate lontano?”, “macché” ha risposto lui, “guardo da lontano”.

Allora il buon direttore si è chinato in avanti per capire se l’oggetto fosse stato inforcato al contrario e se  Silvio stesse suggerendo una metafora dello sguardo storico del presente. Ma quando, poi ha pronunciato la frase  «adesso il Pd ha un leader catto-comunista» tutto è stato chiaro e la metafora si è infranta.

Berlusconi parlava del presente e il riferimento storico era giustappunto riferito a chi di quella storia ne è il fedele conservatore. Il messaggio non era per noi ma per chi vive in un altro spazio temporale, nell’epoca delle cose più semplici: bianco o nero, vivo o morto, cattolico o comunista: questa volta non è stata una gaffe ma soltanto meraviglia (guardate il Re è nudo).

Lo so che adesso state pensando che io farentichi, l’avrei pensato io stesso ma prima, però, di ascoltare la risposta di Franceschini dal vertice del PD: «tecnicamente lui è un clerico-fascista».

Ecco, lui l’ha compreso al volo e gli ha risposto non “per le rime”, come avrebbe fatto chiunque, ma  “per la storia” a cui entrambi si sentono legati.

Franceschini non dice “Berlusconi, invece, è un clerico-fascista” ma usa lo stesso codice e lo sottolinea, con “tecnicamente“.

Che significa tecnicamente?

Berlusconi è o non è un clerico-fascista?

Lo è soltanto tecnicamente ?

Oppure entrambi (Franceschinie Berlusconi) sono qualcosa soltanto tecnicamente ?

Insomma…  son quelle cose viste da un cannocchiale che a occhio nudo non s’apprezzano….

Fatelo uscire

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E ci risiamo, il mio caro e affezionatissimo quotidiano è di nuovo in emergenza. Sono quasi 37 anni che  questo giornale combatte con i propri bilanci, ma questa volta la redazione dice che  “non si tratta di raccogliere qualche soldo per sopravvivere” ma di trovare le risorse per una battaglia di libertà che non riguarda solo “il Manifesto”.

Ecco l’appello lanciato dal giornale e se volete, poi, in basso c’è qualche istruzione su come partecipare alla campagna di sottoscrizione.

I tagli ai finanziamenti per l’editoria cooperativa e politica non sono misurabili «solo» in euro, in bilanci che precipitano nel rosso, in giornalisti e poligrafici che rischiano la disoccupazione. Sono lo specchio fedele di una «cultura» politica che, dall’alto di un oligopolio informativo, trasforma i diritti in concessioni, i cittadini in sudditi. Non sarà più lo stato (con le sue leggi) a sostenere giornali, radio, tv che non hanno un padrone né scopi di lucro. Sarà il governo (con i suoi regolamenti) a elargire qualcosa, se qualcosa ci sarà al fondo del bilancio annuale. Il meccanismo «tecnico» di questa controrivoluzione lo abbiamo spiegato tante volte in queste settimane (e continueremo a ricordarlo), ma il senso politico-culturale dell’operazione è una sorta di pulizia etnica dell’informazione, il considerare la comunicazione giornalistica una merce come tante altre. Ed è la filosofia che ha colpito in questi ultimi anni tanti altri beni comuni, dal lavoro all’acqua.

Noi ci batteremo con tutte le nostre forze e pubblicamente contro questa stretta: porteremo questo obiettivo in tutte le manifestazioni dell’autunno appena iniziato, stringeremo la cinghia come abbiamo imparato a fare in 37 anni di vita difficile ma libera, incalzeremo la politica e le istituzioni perché ne va della democrazia, spenderemo l’unico nostro patrimonio, cioè il nostro lavoro, per fornire il supporto giornalistico a questa battaglia di civiltà. E ci apriremo all’esterno ancor di più di quanto abbiamo fatto fino a oggi per raccogliere forze e saperi nuovi e capire come essere più utili a chi si oppone ai poteri che ci vogliono morti.

Faremo tutto questo, come sempre e più di sempre. Ma oggi siamo di nuovo qui a chiedere aiuto ai nostri lettori e a tutti coloro che considerano un bene essenziale il pluralismo e la libertà d’informazione. A chiedervi di sostituire ciò che questo governo ci nega con uno sforzo collettivo. In un panorama politico e culturale disastrato, di fronte alla lunga sconfitta che in un ventennio ha smantellato la stessa idea di «sinistra», non ci rassegneremo alla scomparsa. Perché, a differenza del protagonista di «Buio a mezzogiorno» di Arthur Koestler, non crediamo che «morire in silenzio» sia una lodevole testimonianza finale. Se questo governo e i poteri che rappresenta vogliono chiuderci, noi vogliamo riaprire. Con tutti voi, perché altrimenti è impossibile.

Campagna di sottoscrizione:

– On line (versamenti con carta di credito sul sito ed è il metodo più veloce ed efficace);

– telefonicamente (sempre con carta di credito, al numero 06-68719888, o via fax al numero 06-68719689. Dal lunedì al sabato, dalle ore 10,30 alle 18,30. Dove potete telefonare anche per segnalare, suggerire e organizzare iniziative di sostegno);

– bonifico bancario (presso la Banca popolare etica – Agenzia di Roma – intestato a il manifesto – IBAN IT40K0501803200000000535353);

– Con Conto corrente postale (numero 708016, intestato a il manifesto Coop. Ed. Arl. – via Bargoni 8 – 00153 Roma).

il TGR e gli industriali

Sabato a Capri, al famosissimo Hotel Quisisana (che mi ricorda sempre la gag di Totò), c’era il convegno annuale dei Giovani Imprenditori di Confindustria .
Direte voi: embè ? No, niente… a parte la presenza di un folto gruppetto di politici (Roberto Maroni, ClaudioScajola, Antonio Bassolino, Massimo D’Alema, Roberto Formigoni, Leonardo Domenici, Raffaele Lombardo, Nichi Vendola, Pier Francesco Guarguaglini, Umberto Quadrino, Ermete Realacci) la nota che mi è rimbombata stonata in testa è stato il servizio che ho visto sul TGR di Basilicata.
Mò, dico io, (e come direbbe il nazional-popolare Tonino) che c’azzecca la TGR con questo convegno di carattere nazionale, tra le altre cose svoltosi nella regione Campania ?
La nostra testata regionale era lì solo per poter fare un’intervista di un minuto al presidente degli industriali lucani Martorano ?
Bò…, chiederò lumi a SirDrake quando torna dal viaggio di nozze.