Voto il Movimento 5 stelle perché non è un partito

Ho tanti amici che cercano di convincermi a non votare per il Movimento 5 Stelle o, come dice la maggior parte, per Grillo. A quelli a cui ho detto che sono anni che non voto mi hanno risposto che avrei fatto bene a continuare così. E allora vi rispondo e vi sintetizzo le mie ragioni.

Innanzitutto fatemi premettere che il Movimento 5 Stelle (M5s) non è un partito è non ha ideologie “finalistiche” da difendere, ma solo una serie di obiettivi da raggiungere su cui si può concordare o meno. In secondo luogo sia il programma che le liste elettorali sono stati formati completamente in rete, con ampia discussione sui meetup. In terzo luogo non ha bisogno di tenere su l’ambaradan dei partiti con tanto di sedi, segretari e addetti a vario titolo (e soldi che girano vorticosamente); se non avete la minima idea di cosa significhi questo, anche solo in termini economici, può voler dire solo due cose: o non sapete cos’è un partito e/o un’organizzazione politica perché non c’avete mai avuto a che fare, o non sapete proprio di cosa parlate perché credete ancora a babbo natale.

Questa piccola premessa contiene già gli elementi primordiali della democrazia e se la cosa vi apparirà strana è solo perché non l’avete mai agita.

Ho un’esperienza politica tale da conoscere partiti, politici e i meccanismi che li sorreggono e se nella vostra vita avete fatto altro vi svelo un segreto: i partiti (piccoli, medi o grandi) sono strutture complesse che non si reggono su idee, programmi o interessi comuni (forse su interessi diffusi si). Utilizzano tutti lo stesso modello di “forma-partito” che deriva da un misto tra Democrazia Cristiana delle correnti e craxismo dei yuppies. Sono delle aziende atipiche con tanto di dipendenti ma con strani profitti. Forse non immaginate che l’idea nasce proprio dalla vecchia DC che, con un appoggio parlamentare ultra-trasversale, nel 1974 approva una legge con la quale lo Stato finanzia tutti i partiti presenti in parlamento secondo il loro peso di deputati. Ma forse non ricordate neppure che a più riprese i radicali di Pannella hanno cercato attraverso più referendum di abolire questa stortura e che nel ’93 ci riescono con il 90% dei voti; solo che appena un anno dopo (e contro il volere democraticamente espresso di tutti quegli elettori) con il classico “trucco delle tre carte” i partiti del parlamento italiano si mettono d’accordo e reintroducono una legge sul “rimborso elettorale” alla quale, come se non bastasse, bisogna aggiungere il finanziamento pubblico all’editoria (della quale ne beneficiano anche i giornali di partito) e il 4 per mille.  Questo è soltanto un quadro minimo ma se volete farvene un’idea più dettagliata andatevi a rileggere quello che scrivevano Stella e Rizzo nel 2007.

Se non vi basta questo per capire con che sorta di “idrovore” avete a che fare quando siete davanti a una sezione di un partito, aggiungeteci i guadagni di chi sceglie di fare il politico di mestiere. Ma non pensate soltanto ai parlamentari ma anche ai rappresentanti di camere molto più basse che nella peggiore delle ipotesi, anche in paesini di mille abitanti, racimolano più di mille euro al mese tra indennità e rimborsi di diverso tipo. Poi ci sono gli enti pubblici, semi pubblici e semi privati nei quali eleggere consigli di amministrazione, amministratori unici, direttori, collegi, comitati, commissioni, esperti, ecc… tutti sempre pagati e rimborsati perché, ricordatevelo, la politica nessuno la fa gratis.

In verità, far politica dovrebbe essere un onore oneroso, da cui sfuggire e invece è talmente ambito che le persone scalciano per calarsi anche nella più infima delle commissioni anche solo per pochi euri di rimborso.

E non parliamo poi di questi nostri rappresentati che appena si tratta della propria famiglia o della propria salute disprezzano per primi le istituzioni pubbliche e allora mandano i figli solo nelle scuole private, dall’asilo fino all’università (provate a contare quanti figli di politici sono stati, per esempio, alla Bocconi o alla Luiss e  molti direttamente presso facoltà straniere) e si fanno curare in cliniche private o straniere.

Questo è una parte del sistema che si tiene su e si autoalimenta e le persone che fanno? Si preoccupano se un movimento come M5s prende il 15% ? Io dico che già basterebbe questo per augurarsi un piccolo scombussolamento del sistema.  Se poi pensate che le grida di Grillo, qualche incertezza, qualche fesseria siano le premesse per il nuovo fascismo o siete sulla strada sbagliata e troppo occupati per guardare le cose con i vostri occhi e informarvi di persone, oppure siete troppo invasati da un’idea di partito che vi illudete possa risolvere i vostri problemi o quelli di una giustizia più in generali

E’ vero, probabilmente tra i “grillini” non trovate facce conosciute e io non ho trovato nessun mio vecchio compagno con il quale ho fatto manifestazioni antifasciste ma ve lo dicevo prima, questo movimento non si costituisce ideologicamente, non si pone cause ultime ma soltanto programmi minimi da realizzare, punto su punto. Se per esempio ti sta bene la TAV allora fai prima a votare Monti, Berlusconi, e anche Bersani.

Ma veniamo al programma, perché son convinto che molti non l’hanno neanche letto; io vi elenco sinteticamente le cose che ho sottolineato e che mi interessano maggiormente.

 Energia

Incentivazioni per le fonti rinnovabili e biocombustibili e applicazione di norme già in essere, ma disattese, sul risparmio energetico.

 Informazione

Eliminazione dei contributi pubblici per il finanziamento dei giornali; cittadinanza digitale per nascita, accesso alla rete gratuito (larga banda gratuita per tutti i cittadini italiani) e copertura completa dell’Adsl su tutto il territorio nazionale. Satalizzazione della dorsale telefonica, con il suo riacquisto a prezzo di costo da Telecom Italia e fornitura, da parte dello Stato, degli stessi servizi a prezzi competitivi a ogni operatore telefonico.

 Economia

1)      introduzione della class action, abolizione delle scatole cinesi in borsa, abolizione di cariche multiple da parte di consiglieri di amministrazione nei consigli di società quotate, introduzione di strutture di reale rappresentanza dei piccoli azionisti nelle società quotate, introduzione di un tetto per gli stipendi dei manager delle società quotate in borsa e delle aziende con partecipazione rilevante dello Stato, divieto di nomina di persone condannate in via definitiva come amministratori in aziende partecipate dallo Stato o quotate in borsa (come per es. Paolo Scaroni dell’Eni), abolizione delle stock options, divieto di acquisto a debito di una società.

2)      Divieto di incroci azionari tra sistema bancario e sistema industriale e introduzione della responsabilità e compartecipazione alle perdite degli istituti finanziari per i prodotti finanziari che offrono alla clientela.

3)      Abolizione della legge Biagi e sussidio di disoccupazione garantito.

4)      Impedire lo smantellamento delle industrie alimentari e manifatturiere con un prevalente mercato interno; abolire i monopoli di fatto, come quelli di Telecom Italia, Autostrade, Eni, Enel, Mediaset e Ferrovie dello Stato e mettere in opera disincentivi alle aziende che generano un danno sociale.

5)      Riduzione del debito pubblico attraverso forti interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi e con l’introduzione di nuove tecnologie per consentire al cittadino l’accesso alle informazioni e ai servizi senza bisogno di intermediari.

Trasporti

Blocco immediato della Tav in Val di Susa. Disincentivare l’uso dell’automobile nei centri urbani e aumentare e rafforzare le tratte ferroviarie legate al pendolarismo.

Salute

L’Italia è uno dei pochi paesi con un sistema sanitario pubblico ad accesso universale e questa cosa è sempre più minacciata sia dal federalismo (attribuzione alle regioni dell’assistenza sanitaria) che dalla tendenza a far diventare le ex ASL delle aziende che devono far prevalere l’economia sulla salute. Quindi la sanità deve restare pubblica e i ticket dovranno essere imposti sulle prestazioni non essenziali in modo progressivo e proporzionale al reddito.

Istruzione

Abolizione della legge Gelmini; finanziamento pubblico solo per la scuola pubblica e investimenti nella ricerca universitaria.

Scrivere e rileggere

Inizio di anno e impegni per il futuro: più che fare un report del cos’é stato vorrei tentare un’arrampicata sul cosa sarà il mio impegno futuro su questo blog, anche perché il dominio l’ho già rinnovato e quindi qualcosa dovrò pure inventarmi.

Scrivo da un bel po’ di anni ma sempre con il difetto dell’incostanza (tendo ad annoiarmi in assenza di nuovi stimoli) e i post su questo blog ne sono una testimonianza lampante.

Perché è un difetto l’incostanza? Perché se si vogliono raggiungere obiettivi sicuri bisogna perseverare in costanza di argomenti. Ad esempio tra i blogger che conosco hanno avuto un qualche successo quelli che tenacemente hanno seguito una linea dritta, ovvero: si sono specializzati in qualcosa (mettendo a frutto una qualsiasi esperienza o formazione pregressa) e ne hanno fatto il loro argomento (macro o micro a seconda della materia) principale. Ne hanno parlato in continuazione e dappertutto, alcuni al limite dello spamming, ma fondamentalmente con un numero abbastanza alto di post. Hanno saputo pazientare fino ad essere riconosciuti come “esperti di” (da chi, adesso non è importante).

Anche il non amare le correzioni è un difetto non da poco.  Io, per esempio, fino a qualche anno fa non sopportavo quasi nessun tipo di revisione, soprattutto quelle di sostanza; anzi pensavo che addirittura sottraessero valore ai contenuti. Ovviamente mi sbagliavo e ho imparato,  col tempo, ad accettare le correzioni, eppure continuo a non autocorreggermi.

Qualche tempo fa incontrai un mio vecchio amico che lavorava come curatore editoriale per una casa editrice.  In breve tempo, davanti a un caffé, mi raccontò il suo mestiere con esempi esplicativi che mi fornissero un’idea del significato di “correzione”.  Anche se il senso fu molto ampio, poiché abbracciava tutto lo scrivibile: dallo stile, all’ordine, al taglio, allo snellimento, alla riscrittura, capii quanto fosse essenziale non solo saper scrivere ma soprattutto sapersi rileggere accuratamente.  Allora, quasi per scherzo, gli chiedi di guardare il mio blog (che ovviamente non conosceva), per averne un giudizio esperto sulla mia scrittura. Mi rispose via e-mail qualche tempo dopo con una “sintetica e fredda valutazione”, che diceva, più o meno, così: ” i post sono ben scritti, non manca la fantasia e sono spesso conditi con un certo sense of  humor;  sintatticamente si tende alla ridondanza con un uso eccessivo di avverbi”.  Poi concludeva dicendo che non avrei dovuto preoccuparmi eccessivamente anche se sarebbe stato opportuno uno sforzo maggiore nella rilettura, ma che, in ogni caso, stavo ben al di sopra della maggior parte degli autori che lui correggeva.

Non so ancora bene quanto quel giudizio fosse positivo o negativo ma, come diceva Stephen King, “l’editor ha sempre ragione” e quindi mi son promesso di far tesoro di quei consigli nel prossimo futuro.

Siccome ogni tanto mi capita di interrogarmi sul “che fare” di questo mio spazio non posso far altro che riconfermare il senso del mio blog come un luogo dove continuo a scrivere, più o meno,  improvvisatamente (“a ruota libera”) e con poca correzione.  Manca un argomento portante che possa caratterizzarlo e farlo emergere in forma matura dal modello di diario personale.  Ecco, questo potrebbe essere un buon proposito per il 2012, ma forse anche per il 2013…  chissà.

 

 

 

Te lo ricordi il tuo paese?

«ma tu…  te lo ricordi il tuo paese?» mi dice, accomiatandosi, un vecchio amico ch’é venuto a trovarmi in ufficio.

Non ho fatto molto caso a quelle parole perché la gran parte dei vecchi amici che incontro ogni tanto me le ripetono come una cantilena, al massimo con qualche variante del tipo: “non ti vedo mai al paese“, “ti sei dimenticato di noi“, “non ti fai vedere più” e giù di lì.

Però non capisco perché continuino a ripetermelo se vivo soltanto a 18 chilometri da dove sono nato: certamente se fossi nato a Roma nessuno si sognerebbe neanche di pensarla una cosa del genere.

Ma perché nei paesi è più evidente l’assenza? Non certo per il numero di contatti (dato che ne continuo a vedere a iosa) ma evidentemente per i posti dove avvengono questi contatti e quindi per la frequenza degli hub sociali univoci (bar, viale, villa, piazza, pizzeria, ecc…): sono questi che palesano e certificano la presenza e l’appartenenza.

E allora come posso rispondere al mio vecchio amico?

Potrei dire “si, certo che me lo ricordo”, ma violerei comunque la pertinenza poiché quel che ricordo è il mio presente che invece per lui è il passato.

In sostanza la mia laconica affermazione necessiterebbe di un percorso storico che andrebbe ricostruito e referenziato affinché io e il mio amico possiamo riferirci esattamente allo stesso oggetto (che non sia esclusivamente una coppia di coordinate geografiche).

Ovvero, dovrei raccontare cosa mi viene in mente quando parlo di “mio paese”:  immagini nitide, circostanziata di cose legate a fatti, persone e luoghi; di archi temporali (per esempio uno che ricordo bene va, più o meno, dal 1974 al 1980).  Perché conservo queste immagini? Non lo so (ma adesso non importa) ma intanto sono queste e dovrei parlare di queste cose… Ma staremo parlando dello stesso paese? O meglio voleva sapere questo di me? Credo di no. Mi prenderebbe per un nostalgico che vive lontano e di ricordi lontani: come uno che vive distante (anche se solo di 18 chilometri) e con questo riavrebbe indietro l’immagine che già aveva di me prima che io mi pronunciassi.

Allora, di solito, alzo le spalle e sorrido.

Destre somiglianze

sosia

Non potevo non inserire anche qui (dopo averlo già fatto su FaceBook) il montaggio che ha fatto Luigi per dimostrare a me quella certa somiglianza con il grande Totò   (porcamiseria….).

Che dire, grazie Luigi.  🙂

I tag dei ricordi

Spesso sfogliando libri comprati da diverso tempo trovo all’interno segnalibri di ogni tipo, ma la mia predilezione sono sempre stati i biglietti di autobus, treni, metropolitane, cinema, ecc… ecc… Sono in qualche modo i tag dei miei ricordi, perchè mi accade di essere risucchiato indietro nel tempo da questi piccoli foglietti-segnalibro che mi impongono sempre la stessa domanda: “cosa facevo in quel periodo?”.

Ecco questo è uno di quei segnalibri che mi ricorda di aver letto “Barthes di Barthes” quasi tutto d’un fiato nella “carrozza” di un treno delle Calabro-Lucane sulla tratta Avigliano-Potenza e di lì a pochi giorni sarebbe venuto giù il “cielo.”

Si ma dove andavo quel giorno con quel libro in tasca proprio non me lo ricordo.
:)

Ciao, compagno Vittorio

Vittorio Foa

Vittorio Foa

Questo è uno di quei giorni tristi che non si raccomandano neanche ai nemici. E’ come se mi fosse morto per la seconda volta un padre. Si lo ritenevo tale, un padre politico, di quelli di cui ti puoi fidare, che ti indicano una strada sicura.
Vittorio Foa era molto di più di tutto questo e la sua morte mi rattrista in modo esasperato perché sento ancora di più il vuoto che mi circonda.
Voglio lasciare qui soltanto il breve ricordo di quando l’ho conosciuto.
Era il luglio del 1974 e al palazzo dei congressi di Firenze si svolgeva il primo congresso nazionale del PdUP (metto il link a Wikipedia, anche se all’interno c’è qualche errore). Io ero (giovanissimo) uno dei 742 delegati nazionali e una sera ebbi l’occasione di conoscere Foa chiacchierando del più e del meno fuori dal palazzo dei congressi. Lui, appena appreso che noi (i 4 delegati della Basilicata) eravamo lucani, cercò di convincerci ad organizzare un convegno di studi su Di Vittorio, figura di grande sindacalista stranamente poco considerato. Ci disse, accarezzandoci le spalle, che se l’avessimo fatto sarebbe “sceso in Lucania per parteciparvi”. Per tutta una serie di vicende, che non è importante raccontare adesso, quel convegno non venne mai organizzato e penso che noi perdemmo una grande occasione, direi storica.
Lascerò qui, a ricordo di come l’ho conosciuto, le ultime frasi del suo discorso di chiusura di quel congresso:

“noi vogliamo portare la nostra esperienza, la nostra fede, la nostra volontà di lavoro, ma portiamo anche una grande disponibilità a discutere, a verificare le cose, non nel puro confronto di un’idea con un’altra ma nel confronto delle idee con la pratica, con l’esperienza, con i risultati. La nostra disponibilità deve essere massima, e ha un solo limite: che comunque, in ogni caso, noi resteremo fedeli alle esigenze, agli obiettivi della classe operaia”

30 minuti di applausi.

Ciao, compagno Vittorio.