533K di dati Facebook in pasto a chiunque

E’ molto probabile che il tuo account di Facebook sia stato violato.

Lo rivela Alon Gal su Twitter, annunciando che i dati di 533 milioni di utenti di Facebook, (telefono, facebook ID, nome e cognome, località, luoghi visitati, data di nascita, indirizzo e-mail, data di creazione dell’account, situazione sentimentale, ecc…) sono stati trafugati e ceduti “gratuitamente” su Telegram.

Facebook, come al solito, non chiarisce granchè ma sottolinea soltanto che si tratta di uno “scraping” risalente al 2019, facendo riferimento a un vecchio articolo apparso su CNET (anche se, per inciso, Wired, sostiene che Facebook si riferisca a un’altra storia), attraverso una funzione di importazione dei contatti che ora non più utilizzabile ma che faceva parte delle opportunità concesse agli utenti.
Come dire: è colpa vostra!

Si è vero. E’ colpa vostra.

Non per aver sottovalutato la funzione incriminata (per la quale non avete nessuna resonsabilità ma di chi ha permesso l’accesso a quelle informazioni non visibili) ma per avere un account sul social più merdoso del mondo che non protegge gli account e neanche li avvisa di eventuali vulnerabilità.

E’ quello che si chiede anche il Garante per la privacy italiano nell’istruttoria che interessa la violazione di 36 milioni gli utenti italiani (oltre il 90% degli utenti iscritti).

L’ignavia nel web

Come nasce lo slogan “se è gratis allora il prodotto sei tu” lanciato da Time nel 2010?

Inizialmente dalla consapevolezza che se un’azienda regalava (quella che sembrava) la propria “merce/servizio” voleva dire, ovviamente, che il guadagno stava da un’altra parte.

All’inizio tutti abbiamo pensato che sorbirci la pubblicità, più o meno invadente, per usufruire di un servizio gratis, era il giusto prezzo o il male minore. Eravamo già abituati a quel modello imprenditoriale anni ‘90 proveniente dalle radio e TV private che affollavano i propri programmi di pubblicità e che su internet si traduceva in siti pieni zeppi di banner.  Poi un’idea un po’ più precisa ce la siamo fatta quando quella pubblicità è diventata sempre più precisa e sempre più in linea con i nostri desideri. Insomma un sospetto che quel social, quel motore, quel sito di e-commerce ci conoscesse almeno un pochino l’abbiamo avuta.  Un sospetto che si è fatto sempre più forte e preoccupante quando i siti hanno iniziato a farsi la lotta a colpi di spazio cloud di servizi on line gratuiti. Si è pure giocato sulla “minaccia del pagamento” per far accrescere i clienti. Vi ricordate le notizie che ciclicamente uscivano sul pagamento di WhatsApp (ma anche di Facebook)? Questa falsa notizia, spinta ad arte, ad ogni tornata raccoglieva qualche milione di utenti in più. Ma non solo, con il passaggio di piattaforma (dal pc allo smartphone) le aziende digitali si sono ritrovati fra le mani una miniera d’oro ricca di dati e senza alcun limite o restrizione. Una sorta di nuova corsa alla conquista del west. In un solo colpo si potevano raccogliere utenti distratti e poco preoccupati della privacy e una quantità di informazioni a cui nessuno avrebbe mai pensato di poter accedere: la rubrica telefonica, la fotocamera, il microfono e tutti i contenuti presenti sull’apparato, anche quelli che apparentemente sembravano non servire a nulla.

fonte: http://www.juliusdesign.net/28700/lo-stato-degli-utenti-attivi-e-registrati-sui-social-media-in-italia-e-mondo-2015/?update2017

Dalla tabella qui sopra possiamo comprendere l’enormità di dati di cui stiamo parlando; ma se questo numero non vi sembra abbastanza grande, provate a prendere su Facebook, anche soltanto di un mese, le vostre foto, i vostri messaggi (anche quelli privati), le news che avete linkato, i post che avete fatto e i like che avete lasciato, poi moltiplicatelo per 2 miliardi e forse vi farete un’idea approssimativa della quantità di dati che il social immagazzina in un solo mese.  Pensate che solo questo semplice calcolo fa valutare 500 miliardi di dollari Facebook in borsa. Poi dovreste ancora moltiplicare per altri software installati sul PC e altrettante App, anche quelle che vi sembrano più innocenti, presenti sullo smartphone ma così, giusto per avere un ordine di grandezza e, vi assicuro, sarete ancora lontani.  Questa grandezza numerica forse ci fa comprendere le motivazioni di un’ignavia strisciante che gira intorno e dentro il web e che ha fatto da ammortizzatore anche a bombe come quella di Cambridge Analytica.

Io ero convinto che sarebbero esplosi definitivamente tutti i ragionamenti intorno alla privacy, all’informazione manipolata e tossica e al controllo degli utenti e che in qualche maniera Zuckerberg ne sarebbe uscito malconcio. Ma come dimenticare che nel lontano 2003, quindi in un periodo ancora pre-social-autorappresentativo, aveva avuto problemi simili in tema di violazione della privacy con quella sorta di beta di Facebook, ma non subì alcuna conseguenza, anzi da lì comprese definitivamente qual era la sua merce principale.

La vicenda di Cambridge Analytica non è diventata poco credibile perché intricata o distopica, è solo passata indolore tra le fila degli utenti del social,  per via della sua intersecazione al “normale” piano di condivisione e autorappresentazione a cui gli utenti dei social sono abituati e a cui non intendono rinunciare.

Gli utenti di Facebook non sono diminuiti quando si è scoperto che Cambridge Analytica (società vicina alla destra americana) aveva raccolto dati personali per creare profili psicologici degli utenti in modo da lanciare una campagna di marketing elettorale personalizzata a favore di Trump; anche quando si scoprì che la società aveva creato una gran quantità di account fake per diffondevano false notizie su Hillary Clinton; e nemmeno quando Facebook venne accusata di avere reso possibile e facile la raccolta di questi dati e di avere cercato di nascondere il tutto.

Possiamo sfuggire ingannando il sistema? Certo, si può fare ma partire da un account fake e non da quello reale perché se ne andrebbe a farsi benedire la “reputazione on line” e quindi il motivo stesso per il quale si è su quel social.

E comunque, anche se non aderiamo alla filosofia di massa del “non abbiamo nulla da nascondere” e facciamo attenzione alla nostra vita on-line, i social (o la loro somma) raccontano molto, anzi troppo, di noi.  Bastano anche solo i like per far parlare le nostre preferenze e i nostri gusti, se poi si mettono in relazione amici, pagine, gruppi, post e condivisioni di notizie, facciamo emergere un profilo molto più preciso, pronto per chi unirà i puntini.

Che i dati siano una merce preziosa non lo dicono i fanatici della privacy ma lo dimostrano i vari attacchi tesi alla “sottrazione dei dati” come quello che è accaduto a Yahoo qualche anno fa.

Insomma i nostri gusti, le nostre ricerche, i nostri acquisti, le nostre letture sono informazioni che consapevolmente produciamo e inconsapevolmente cediamo gratis ad altri che su questo creano profitto.

Ovviamente la questione non riguarda esclusivamente i social o altri faccende legate al web che meglio conosciamo ma anche a una serie di servizi che invece non conosciamo di meno legati ai sistemi di domotica e di geolocalizzazione che vanno dall’accesso remoto alla lavatrice, all’orologio che ci mostra i chilometri e le calorie consumate, alla foto del piatto scattato nel ristorante, alla connessione wi-fi fatta in stazione.

Stiamo parlando di un centinaio di zettabyte di dati di cui non conosciamo quasi nulla, tanto meno chi, come e perchè li sta trattando.  Ma tanto agli ignavi del web frega poco, l’importante è condividere l’ultima foto della pappa del bimbo.

La santa crociata del porco

Un breve racconto tratto dal libro “La santa crociata del porco” di Wolf Bukowski che, come dice lo stesso autore, parla dell’uso che razzisti e fascisti fanno del maiale; dell’uso che il capitalismo fa delle prescrizioni alimentari religiose e del maiale in carne e ossa, ovvero della macellazione industriale.
E’ interessare, anche, vedere come una notizie nasce e viene riportata e come nasce una bufala razzista.

Il 30 dello stesso settembre del 2015, a Rovereto, gli operai posizionano e cementano a terra un dondolo nel giardino dell’asilo comunale di via Saibanti. E’ a forma di maiale. Per permettere alla base di saldarsi prima che cominci l’assalto dei bambini («Un maialino! Prima iooo! L’ho visto prima iooo!») lo trincerano spostando due panchine.
Quando le maestre vedono il nuovo dondolo, restano perplesse per le sue dimensioni. In effetti, nonostante il nome da catalogo sia maialino Piggy (modello xfarm 15), a giudicare dalle foto che si trovano in rete si tratta di un verro di tutto rispetto. Cosi’ le insegnanti decidono di telefonare all’ufficio comunale competente: «I nostri bambini vanno dai due ai sei anni, e se poi si fanno male? Quel maiale ci sembra tanto grande!».  L’ufficio promette di approfondire la questione e scrive alla Holzhof, produttrice di arredi urbani e fornitrice di Piggy. Giovedi’ 1 veberdi’ 2 passano tra il fissaggio del cemento, la telefonata e la richiesta di verifica del Comune. Albeggia appena sabato 3, e il giornale locale Trentino (che nel 2015 fa ancora parte del gruppo editoriale L’EpressoRepubblica), pubblica un articolo a firma di Giancarlo Rudari:

Scuola materna, il maialino “condannato: i genitori musulmani […] fanno togliere il gioco perche’ offenderebbe la loro religione. C’è un maialino rosa, sorridente e paffutello che diverte i bambini dell’asilo. E’ soltanto un gioco, ma non per questo riesce ad evitare la “condanna a morte”: via quel dondolo dagli occhi e dalle innocenti tentazioni dei bambini che vogliono giocare perche’ offende la religione musulmana, via il maialino rosa perche’ i bambini non devono farsi contaminare da quell’animale impuro (per la religione del profeta Maometto) anche se e’ di plastica. E allora meglio oscurarlo con le panchine in attesa che venga rimosso. Succede questo alla scuola materna di via Saibanti: genitori che protestano per il gioco installato nel giardino qualche giorno fa, la direzione della scuola che chiama il comune e ne sollecita la rimozione. La scuola e i genitori che protestano vengono accontentati e, questione di giorni, addio al maialino a molla.

La sola fonte citata nell’articolo è un anonimo genitore che inanella perle come il classico: «dove vogliamo arrivare se andiamo avanti di questo passo?»; oppure: «si parla tanto di integrazione, si fanno grandi discorsi su confronto e accoglienza e qui siamo tutti d’accordo. Ma poi […] si va a cedere ad una richiesta assurda. E la richiesta,a questo punto, diventa imposizione…».
Ebbene, chiunque abbia figli sa che i momenti di attesa davanti a scuola, o ai giardinetti, producono una quantità incredibile di pettegolezzi e calunnie. Mentre i bambini giocano innocentemente, mamme e papa’ e nonne e zii, che tra loro magari si odiano segretamente, fanno capannello e inventano storie razziste, discriminatorie, grondanti odio malriposto; poi le ripetono, le rielaborano e nel giro di pochi minuti le eleggono a vere. Di frasi come quelle attribuite al genitore ne ho sentite io stesso piu’ e piu’ volte, negli anni in cui attendevo mia figlia davanti a scuola o al parco pubblico. Sono frasi riferite a tutto, a niente, a qualcosa di inventato, a qualcosa di travisato. Non sono spiegazione ne’ commento di nulla. Sono sintomi del vuoto, di sofferenza non riconosciuta e delle enormi difficolta’ che si hanno a fare i genitori in una societa’ ostile, che si finge amica dei bambini solo per nascondere l’odio verso l’umano che pervade. Non che questo giustifichi il pronunciarle, ovviamente. Ma cosi’ e’.
Poi pero’ quelle stesse parole basta stamparle sul giornale perche’ facciano un salto di qualita’ e si tarsformino in armi. Armi che subito qualcuno corre a impugnare. Come fa il giorno stesso, con prosa sgangherata su Facebook, il consigliere provinciale Claudio Civettini, ex leghista poi eletto nella lista “Civica trentina”:

Dopo presepi, crocefissi, feste del papa’ o della mamma, ecco che la contaminazione dell’impurita’ arriverebbe per i mussulmani, dalla presenza di un dondolo a forma di maialetto e nel nome di un’integrazione al rovescio, ecco che le autorita’ privano i bimbi trentini a un gioco candido e puro, per integrarli al credo di altre religioni che a casa loro hanno il diritto di gestire, ma che in terra trentina, è un’indicazione ridicola […] di questo passo dovremo noi subire imposizioni di qualsiasi genere, anche davanti alla banalita’ di un animaletto simpatico […] dimenticandoci che ogni male, nasce dai comportamenti delle persone – uomini e donne – che nel 2015 per motivi religiosi sanno arrivare a sgozzare animalesticamente persone o farsi saltare come kamikaze per guadagnarsi la morte del paradiso! [sic].
Le prime preoccupazioni del consigliere provinciale Filippo Degasperi, invece, sono nientemeno che per la costituzione, l’illuminismo e la tutela dei beni comuni. Ci sono cinque stelle a rischiarare il suo cielo, e si vede!
In primis, vi e’ un atto unilateralmente oscurantista che non fa parte della nostra tradizione giuridica e che calpesta la Costituzione, che come sappiamo garantisce il diritto a manifestare e alla liberta’ di espressione;
In secundis, vi e’ un problema di danneggiamento del patrimonio pubblico Trentino, che ha reso non utilizzabili ai cittadini un gioco e due panchine;
In tertiis, vi e’ un problema piu’ vasto e forse maggiore allarme sociale. Parliamo spesso di integrazione e crediamo che sia un aspetto molto importante per regolare in maniera ottimale quella che e’ la trasformazione demografica in atto nel Trentino. Tuttavia la domanda e’ chi deve integrare cosa. Sono i nuovi italiani a integrarsi con quelli che sono gli usi e i costumi del Trentino, oppure sono i Trentini a doversi integrare con quelli che sono gli usi e i costumi dei “nuovi italiani”?

Ogni argine e’ ormai travolto: lo dice il giornale locale, lo dicono i rappresentanti istituzionali. La bufala razzista è diventata verita’. (si noti come il ruolo dei social, nella vicenda, sia di mera amplificazione. Anzi, la credibilita’ e’ attestata da un media di eta’ veneranda, quasi obsoleto: il giornale quotidiano). Ormai, come una valanga lanciata giu’ dai duemila metri del monte Stivo, la mistificazione si autoalimenta, cresce su se stessa.
Lunedi’ 5 ottobre Mary Tagliazucchi su Il Giornale riferisce che «molte famiglie musulmane si sono […] lamentate e […] hanno richiesto la disinstallazione» del porcellino; lo stesso giorno Matteo Salvini a Porta a Porta (Rai 1) delinea la controffensiva: «Non ti piace la giostra col maialino? Torna al tuo paese! Vai sul dondolo a forma di giraffa, di canguro, di serpentello: tor-na-al-tuo-pa-e-se!».
Intanto, fuori da questa slavina di cazzate, la Holzhof ha risposto: il maialino Piggy, presentando una seduta avvolgente, e’ da considerarsi adatto a «bimbi di eta’ da due-sei anni, […] come gia’ esposto sul sito internet e sul catalogo ufficiale della scrivente».
Il Comune, dopo aver ricordato di non aver ricevuto alcun tipo di pressione in merito al maialino, informa che considera il dondolo sicuro, e quindi non ci sara’ alcuna rimozione.

perlomeno fino a che, dopo un periodo di sperimentazione, non si valuti diversamente. Infatti, al di la’ delle certificazioni, ci possono essere valutazioni di poca idoneita’ che provengono dall’esperienza diretta dell’utilizzo del gioco da parte dei bambini, in particolare dei più piccoli.
(Comunicato stampa, 5 ottobre 2015)

Ma gli islamofobi vogliono giocare sporco anche nell’ultima mano, accreditandosi il merito di aver costretto il Comune a un dietrofront, e di aver quindi sventato l’allarme che loro stessi avevano procurato. «Un porcello vittoriosa bandiera di liberta’», scrive Il Giornale del  6 ottobre; mentre Maurizio Crippa, giornalista di scuola ciellina, il 7 ottobre su Il Foglio si augura «che la riscossa, se non dal crocefisso o dal presepe, avvenga nel nome del maialino. A dondolo».

Un trojan di stato alla prova dei fatti

Come funziona e quanto è sicuro un “captatore informatico”?

Sul sito DDAY.it, già all’epoca dell’hackeraggio del sito di HackingTeam, era possibile trovare una dettagliata descrizione del funzionamento del famoso RCS Galileo (il captatore informatico creato dall’azienda italiana che fornisce questa suite di intelligence a oltre 21 stati nel mondo) ma il Collettivo Autistici Inventati fa di più: installa e mette in funzione il software simulando un’intrusione vera e prorpria. In tal modo mette alla prova “RCS Galileo” e soprattutto dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno,  quanto “ingovernabile” e/o “normabile”  possa essere un trojan e quindi come il DDL Orlando, da poco licenziato anche alla Camera, apra la strada al più pericoloso abbassamento della privacy e della sicurezza di tutti noi.

galileo from cami on Vimeo.

WannaCry: che fare?

Qualche giorno fa, oltre duecentomila computer nel mondo, sono stati infettati da un ransomware che, come al solito, ha criptato i file (rendendoli inaccessibili) per poi chiedere il pagamento in cambio della chiave di decriptazione. Il malware si chiama WannaCry  e si è diffuso con una rapidità incredibile in un bel numero di paesi; ha sfruttato una falla di sicurezza nel sistema di condivisione dei file e di conseguenza ha avuto gioco facile all’interno delle reti a dominio Windows.

La debolezza era già nota a Microsoft, poiché l’exploit usato (EternalBlue), messo a punto dalla NSA per i loro consueti usi di spionaggio, era stato rubato dal gruppo Shadow Brokers che l’aveva messo on-line ad aprile (una settimana dopo che Trump aveva ordinato il bombardamento della base siriana).

Infatti Microsoft, il 14 marzo, aveva rilasciato degli aggiornamenti, per corregge la modalità con le quali SMBv1 gestisce “le richieste appositamente create a un Microsoft Server Message Block 1.0“.  

Ma si sa che gli utenti windows sono dei buon temponi che non badano troppo agli aggiornamenti di Windows Update (a dirla tutta sono forse gli unici utenti che stanno loggati h24 come administrator sulle proprie macchine) e che hanno permesso a WannaCry di moltiplicarsi a dismisura. Poi nelle lan aziendali, dove le politiche di aggiornamento sono elefantiache, l’intrusione è stata uno scherzetto (benedetto WSUS).

Ora, se non siete stati infettati (e l’Italia è fra le nazioni meno colpite) potete semplicemente avviare Windows Update, verificare la presenza di aggiornamenti e installarli subito, altrimenti vi tocca ripristinare i file dal vostro backup. Se non avete fatto neanche quello… pazienza, vi servirà da lezione e magari, poi, imposterete gli aggiornarsi in modalità “automatica”.
Anche per quelli che ancora smanettano su Windows XP (un sistema ormai dismesso da Microsoft) è stato diffuso un aggiornamento di sicurezza che dovrebbe metterli al sicuro.

Questa era la parte, per così dire, tecnico-descrittiva dell’azione, ora dovremmo cercare di capirne la natura e la logica sottesa a quello che solitamente ci raccontano.

Edward Snowden sostiene che gli attacchi alla rete arrivano anche dagli stati nazionali che si combattono, attraverso le agenzie di intelligence, a colpi di software malevoli. Forse non è un caso se WannaCry sia una diretta derivazione di quello della NSA.

Brad Smith, president and chief Legal Officer di Microsoft, ha detto che questo attacco fornisce un esempio della grande attività di “stoccaggio delle vulnerabilità da parte dei governi”: un po’ come se rubassero agli Usa qualche suo missile Tomahawk. 

Secondo altri, esistono consistenti evidenze di legami tra Shadow Brokers e Putin. Proprio Shadow Brokers aveva detto a Trump di aver votato per lui, ma di aver perso la fiducia riposta nell’attività del neo presidente.

Per tutto il resto vi consiglio questo articolo di Daniele Gambetta su Il Manifesto.

Obiezione respinta: la mappa degli obiettori

 

C’è un problema che riguarda la contraccezione di emergenza (quella non abituale ma relativa a una situazione di rischio gravidanza in seguito a un rapporto poco protetto) circa la reperibilità della cosiddetta “pillola del giorno dopo“, perché questa, che va assunta il prima possibile, viene impedita da molti medici e farmacie che illegittimamente si appellano alla norma sulla obiezione di coscienza. Questa norma, in ambito medico, si riferisce all’interruzione di gravidanza, che è tale a partire dall’innesto dell’ovulo nella cavità uterina.  La pillola del giorno dopo, invece, agisce prevenendo l’ovulazione e, qualora l’ovulo fosse già stato fecondato, modifica la cavità uterina in modo da impedire l’annidamento dell’ovulo. Nel caso in cui l’ovulo si fosse già innestato, la pillola non ha alcun effetto.

Ecco perché è del tutto illegittimo fare ricorso alla obiezione di coscienza nel prescrivere o somministrare la pillola del giorno dopo.

Le farmacie che sono sempre obbligate a fornire la pillola (senza ricetta, in caso di maggiore età, art. 38 del R.D. del 30/09/1938), spesso fingono di averla terminata e siccome non è possibile controllare di persona la disponibilità della farmacia, si è costretti a girare velocemente per tutte le farmacie della città, perché l’assunzione deve essere effettuata nel più breve tempo possibile.

Che Fare?

Puoi aiutare Obiezione Respinta a mappare la presenza degli obiettori anche nella tua città, basta segnalare la farmacia scrivendo sulla pagina Facebook ObiezioneRespinta, sul profilo Twitter @ObiezioneRes oppure via e-mail a: obiezionerespinta[@]autistiche[dot]org (le segnalazioni vengono registrate in maniera anonima), indicando le seguenti informazioni:

  • città
  • indirizzo
  • orari di apertura
  • numero di telefono
  • eventuale sito web
  • cosa ti è successo

Ora e sempre Resistenza (non resilienza)

“Ora e sempre Resistenza” sono i versi finali si una famosa poesia di Calamandrei, ma da un po’ di tempo si sente tanto parlare di “resilienza”.

Si è vero, è un fenomeno di moda di origine anglosassone, ma la cosa antipatica è che molti si affannano a insegnarne pratiche e sistemi; e lo fanno amministrazioni pubbliche e aziende private.

Anche se il sostantivo potrà apparirvi simile o sinonimo di “resistenza”, in realtà è tutt’altra cosa.

L’unica base comune è uno stato di malessere soggettivo o collettivo, qui finisce tutta la somiglianza dei due termini.  Le differenze sostanziali sono nelle soluzioni, nelle reazioni (appunto) a questi stati di difficoltà.

I resilienti di fronte alle difficoltà derivanti da un sistema, tendono ad adattarvisi cercando di rientrarvi dentro attraverso auto-innesti di reazioni positive.

I resistenti, più semplicemente, tendono a lottare quel sistema che causa malessere per cambiarlo.

Tutto qui.

Ecco perché le aziende, gli imprenditori, gli amministratori, preferiscono i resilienti, perché sono soggetti malleabili e adattabili al sistema.

Chi parla di resilienza non sta parlando di voi, ma sta solo organizzando una propria comodità.

Quindi, sempre meglio resistere che resilire.

Potenza 25 aprile for dummies (o dell'informazione tossica)

La pagina più brutta della storia italiana è stato il ventennio fascista, anche se in realtà fu di qualche anno in più (dal 29 ottobre 1922 al 29 aprile 1945). Il riferimento ai venti anni avviene per uno slittamento al 1925, anno in cui Mussolini dichiarò fuori legge tutti i partiti.

Il 25 aprile 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale chiamò all’insurrezione tutti gli italiani contro i fascisti e i nazisti e il 29, a Caserta, venne sancita ufficialmente la fine del fascismo (la fine effettiva della guerra in Italia sarà il 3 maggio).

Ecco perché è importante il 25 aprile: non è il giorno della memoria dei caduti (generici) di una guerra ma è la data di un’insurrezione, di una rivolta, dell’atto culminante, dell’esplosione della rabbia popolare contro la dittatura fascista. E’ la vittoria della resistenza italiana e di tutti i partigiani che diedero vita alla Costituente e alla Costituzione italiana.

Ricordare quella data, festeggiarla – se volete, è fondamentale per non distrarsi troppo, nel quotidiano, di fronte all’abbassarsi dei livelli di democrazia.

E’ importante per i giovani che devono saper mantenere alta la guardia contro gli autoritarismi di ogni tipo, soprattutto a quelli nascosti nelle istituzioni;  devono sapersi opporre alla strafottenza di chi governa solitario; ma anche imparare a decifrare gli algoritmi di una cultura liberista che aumenta la sfera dei bisogni e allunga la strada per il loro soddisfacimento. Saper riconoscere l’informazione fuorviante e ristabilire i giusti livelli di comunicazione attraverso pratiche di controinformazione.

Ed è solo di informazione che voglio parlare in queste poche righe e lo stimolo mi viene dall’idea di Basilicata Antifascista di raccogliere opinioni e contributi su quanto accaduto a Potenza il 25 aprile.
Il tutto parte dalla mancanza (che Giampiero ben descrive nel suo post su FB) di sensibilità e opportunità della politica ufficiale e istituzionale potentina rispetto alla ricorrenza del 25 aprile per finire, paradossalmente, con la condanna a coloro i quali quel giorno erano gli unici in piazza a ricordare quella data, anche se non come ricorrenza.

Come si fa a passare da una denuncia all’altra? Attraverso un’informazione che da carente diventa tossica; con la forma che riempie di contenuti l’assenza di sostanza (la notizia).

Accade che agli addetti all’informazione (quasi tutti) sfugga la notizia di un evento organizzato per la giornata del 25 aprile. Certo forse era poco pubblicizzato, un volantino nelle scuole e su Facebook (l’evento segna 225 “mi interessa” e 161 “partecipo”), ma questi “addetti” neanche approfondiscono più di tanto le ricerche pur in una totale assenza di eventi “ufficiali”.

La primavera potentina aspetta proprio il 25 aprile per dare il meglio di se: piove fin dalla mattina e il freddo rincara la dose con una spennellata di neve. Puntuali e imperterriti, alle 16.30, i giovani antifascisti raggiungono piazza prefettura, montano il loro striscione tra i porticati del Gran Caffé e danno il via all’evento. La cosa dura, tra la distribuzione del volantino qualche canzone e una discussione aperta a tutti, fino a sera quando vanno via tutti. Nessun facinoroso, nessuna lite e niente polizia, neanche un vigile urbano a garantire l’ordine.

Il giorno dopo? Niente, di nuovo nessuna notizia, di nuovo solo l’assenza di manifestazioni ufficiali tranne quella dell’Ansa che con un dispaccio della polizia parla di “alcuni  movimenti antagonisti” e di “una manifestazione non autorizzata”.

Tutto qui, questo è il racconto della giornata, più qualcuno che su Facebook ti dice “io credo all’Ansa”.

Anziché complimentarsi con quei ragazzi, si punta il dito sull’autorizzazione.  Peccato che si scambi la forma per l’in-forma-zione.

Pure durante il fascismo contava la forma, innanzitutto.

Voi come immaginate l’informazione ai tempi del fascismo?  Io me l’immagino tossica, solo ufficiale. Niente verifiche, niente approfondimenti, pensava a tutto l’Agenzia Stefani. E, ovviamente, c’era chi diceva io credo alla Stefani.

“Spiega ai tuoi figli

e ai figli dei tuoi figli

non perché l’odio e la vendetta duri

ma perché sappian quale immenso bene

sia la libertà

e imparino ad amarla 

e la conservino intatta

e la difendano sempre”

25 aprile