
I puristi con la penna d’oca possono stare tranquilli perché tutte le voci create in modo automatico sono ben evidenziate da Wikipedia che crea anche elenchi di testi creati da bot in attesa di correzione.
Condividere saperi, senza fondare poteri
E’ dagli inizi degli anni duemila che nelle aree rurali americane si collegano tra loro scuole, uffici e abitazioni per condividere servizi vari tra cui internet che diventa bene comune grazie all’abbattimento dei costi di connessione.
Stiamo parlando di una infrastruttura, una sorta di “maglia” sociale, i cui “punti” sono i cittadini coinvolti nella rete. Questa maglia è appunto la rete mesh e dei suoi nodi (punti) e ovviamente senza il wireless sarebbe stato tutto molto più complicato.
Certo di tipi di connessione ce ne sono altri ma il vantaggio di queste reti risiede nella semplice idea che essa sia libera e indipendente dai suoi stessi nodi, nel senso che l’affidabilità della rete non viene compromessa dal malfunzionamento di un suo punto. Ogni nodo conserva al proprio interno tutta la memoria e la storia tecnologica della rete e indirizza semplicemente “pacchetti” ai nodi vicini.
Queste reti sono costituite da antenne wi-fi che dai tetti delle abitazioni trasmettono ad alta frequenza radio e con ridotte emissioni elettromagnetiche. La loro realizzazione aderisce a un modello di sviluppo di condivisione dal basso dove i cittadini sono i soli proprietari e vi partecipano, più che con i soldi, con la volontà di generare una comunità connessa. Ogni partecipante è responsabile del proprio nodo con la messa a disposizione dell’apparato di rete ricevendone in cambio servizi telefonici (VoIP), gaming, webmail, scambio di contenuti e accesso a Internet. Anzi nella comunità Ninux si parla proprio della creazione di un nuovo pezzo di Internet con l’Autonomous System n° 197835.
L’hardware utilizzato è abbastanza economico, viene consigliata una lista della spesa per non sbagliare, e un embedded con poca RAM e qualche mega di memoria su cui far girare un firmware (Ubiquiti AirOS o Openwrt) modificato appositamente dalla comunità.
Loro ci tengono a sottolineare che “la parte più importante della rete sono le persone che la compongono” e sulla Mapserver ci si può fare un’idea della diffusione e/o potenzialità della rete. La community mette comunque a disposizione le proprie esperienze e il proprio saper fare condividendo il tutto attraverso mailing list, wiki e un blog (oltre all’ovvia presenza sui social).
Se tra gli obiettivi della community Ninux c’è anche la risoluzione di situazioni di Digital Divide la stessa filosofia ha ispirato, dal lontano 2008, la lucanissima rete Neco di Vietri di Potenza che, sempre attraverso una rete mesh con circa 30 nodi, offre connettività a costi popolari. Con una quota associativa annua di 90 euri si può usufruire della connettività Internet e di servizi offerti nella intranet.
Certo la filosofia di base non è la stessa di Ninux ma è meglio di niente.
Sono in tanti quelli che si cimentano in assemblaggi o realizzazioni di stampanti 3D, diciamo, low cost che a parte l’appagamento derivante dal semplice montaggio (fatte le dovute proporzioni, più o meno la stessa che deriva dall’assemblare un comodino dell’Ikea) procura cocenti delusioni come risultato.
Sembra che uno dei problemi sia il “letto di stampa“. Spesso l’oggetto vi rimane incastrato o non si attacca proprio e molti usano il pyrex (o vetro borosilicato), di diversi spessori, che con il suo basso coefficiente di dilatazione termica, permette un più sicuro riscaldamento/raffreddamento. Accade però, anche in questo caso, che spesso le parti rimangano attaccate e si strappino nel tentativo di staccarle dal letto di vetro, infatti viene anche aggiunto il nastro di Kapton anche se con scarsi risultati.
James Hobson suggerisce, inceve, di utilizzare il Gorilla Glass della Corning come letto di stampa che è molto resistente ai graffi, agli urti, al calore ed è anche flessibile. Ma c’è un problema: non lo trovi così facilmente a meno che non ti va di sacrificare il tuo iPad per utilizzarne lo schermo.
Niente paura, non è necessario rompere il tuo iPad, basta acquistare anche solo schermo su eBay e con circa 15 dollari il gioco è fatto.
Certo non senza qualche problema per il montaggio ma, assicura Hobson, ne vale la pena.
Il disegno di Held qui a fianco è una sintesi constatativa, che solo i disegnatori sanno fare, del senso o dell’uso della foto condivisa. Ovviamente scattata con lo smartphone, ché tanto già sta in mano e mentre controllo l’ora, la posta, il calendario, leggo un messaggio e faccio qualche giochino, ne approfitto anche per segnalare la mia presenza in un bel posto e, per evitare di non rendere bene l’idea, condivido subito la foto “istantanea” sulla mia bacheca di Facebook. Certo, spesso, se mi fotografo le gambe o le unghie dei piedi può anche voler dire che mi sto annoiando o non so cos’altro fare; resta comunque il senso di dare (condividere) l’immagine, l’idea figurata, del proprio stato.
Lo diceva Carlo Foggia su La Stampa un po’ di giorni fa che il futuro delle foto è nella condivisione.
Il problema, o nodo del dibattito, resta sempre quello tra macchine fotografiche, fotocamere e smartphone ed appartiene alle “storiche” controversie legate all’innovazione tecnologica, o al protendersi verso il futuro. Oggetto di questi dibattiti sono stati molti strumenti o attrezzi dei quali, adesso, non penseremmo neanche lontanamente di liberarcene.
Qui la questione è modernissima e risale a pochi anni fa a partire dai primi telefonini con fotocamera (io nel 2004 avevo un Ericsson T610, ma ho letto che il primo è stato un Sanyo del 2002) per finire a smartphone come l’ultimo Nokia (Lumia 1020) con 41 megapixel.
Certo non fanno tutto i megapixel, ma il problema non riguarda la tecnica, per quelle ci sono le classiche Reflex o le EVIL, quanto un uso più diffuso e più intensivo delle immagini che hanno fatto crollare il mercato delle compatte digitali in favore degli smartphone.
La necessità è quella di scattare e pubblicare la foto immediatamente su Facebook, per esempio, a volte utilizzando simpatici “effetti” o veloci filtraggi come quelli di Instagram (con 130 milioni di utenti attivi al mese nel mondo, 45 milioni di foto pubblicate al giorno, circa 8.500 like e 1.000 commenti al secondo); tant’è che Samsung da un po’ cerca di creare un nuovo mercato di compatte con wi-fi intregrato. Non credo, però, che questa sia la strada giusta per aumentare il mercato dell’immagine digitale o meglio, penso che questa strada non esista neanche e che, al momento, l’unica idea “futuristica” resti quella dei Google Glass . Sarà l’idea dello sviluppo protesico a funzionare, più di qualsiasi forma di “additivazione”. Ma se anche per gli smartphone <a href="http://blog project task management software.vodafone.co.uk/2013/06/12/vodafone-unveils-the-future-of-festival-season-tech-charge-your-phone-while-you-sleep/” target=”_blank”>si può parlare di protesi, allora lo smartphone di Nokia è quello che guarda più argutamente al futuro.
<img class="alignleft size-thumbnail wp-image-2691" alt="glassup" src="http://www team task management software.vitocola.it/wordpress/wp-content/uploads/2013/07/glassup-150×150.jpg” width=”150″ height=”150″ srcset=”http://www.vitocola.it/wordpress/wp-content/uploads/2013/07/glassup-150×150.jpg 150w, http://www.vitocola.it/wordpress/wp-content/uploads/2013/07/glassup-55×55.jpg 55w, http://www.vitocola.it/wordpress/wp-content/uploads/2013/07/glassup-179×179.jpg 179w” sizes=”(max-width: 150px) 100vw, 150px” />L’azienda italiana GlassUp lancia un progetto alternativo ai Google Glass.
L’idea è su Indiegogo ed ha già raccolto 26.000 dollari, l’obiettivo finale è di 150.000. I GlassUp si collegheranno allo smartphone e stenderanno davanti agli occhi e-mail, sms, aggiornamenti di Facebook, Twitter, ecc…. ma, ovviamente, non si potrà rispondere né ai messaggi né alle e-mail e tanto meno si potrà scattare una foto.
In realtà le informazioni dallo smartphone vanno agli occhiali via bluetooth e le notifiche vengono visualizzate sulle lenti.
L’ideatore del progetto, Gianluigi Tregnaghi (che sostiene di aver pensato agli occhiali a realtà aumentata prima di Google) sottolinea il fatto che i suoi occhiali costeranno solo 399 dollari, rispetto ai 1.500 di Google.
[via Mashable]
Il lato gaming della ASUS è pronto con un nuovo PC dalle altissime prestazioni. Si tratta del Poesidon Formula One: schede grafiche NVIDIA GeForce GTX 700, raffreddamento ibrido con Asus CoolTech (pettinatura dei ventilatori che con un disegno unico forzano l’aria sul dissipatore in più direzioni) e un sistema liquido che, dicono, riduca la temperatura di esercizio fino a 31 gradi Celsius, dando campo libero all’overclock. La scheda madre è l’ultima nata in casa ROG la Maximus VI e l’audio con uscita per cuffie 120dB e amplificatore 600 Ohm è assicurato dalla SupremeFX.
Prezzo? boh.
[via engadget]
Darth Vader aveva la sua meditazione pod, gli ingegneri di Prometeo avevano le loro stazioni di controllo utero-like, il Capitano Kirk la sedia del capitano… I personaggi della fantascienza si distinguevano per i loro posti esclusivi che significavano il potere. Esistono posti simili nella realtà? La MWE Lab ci prova con la “Emperor 1510 LX”.
E’ il futuro ambiente di lavoro: un monitor di supporto a scomparsa in grado di supportare fino a cinque monitor (tre da 27 pollici e due da 19 pollici), un sedile reclinabile, un sistema audio Bose e rivestimenti in pelle italiana. Con $ 21.500 vi portate a casa una stazione di lavoro che sembra n veicolo spaziale, e forse con il prezzo ci siamo quasi.
[via arstechnica]
Cos’é Valve? E’ una società che oltre a produrre qualche gioco ha sviluppato e gestisce la piattaforma Steam per la distribuzione digitale dei giochi, la gestione dei diritti digitali e il multiplayer. E’ in funzione dal 2003 e ad oggi conta su circa 40 milioni di utenti; gestisce e distribuisce oltre 1500 videogiochi soltanto tramite internet.
Per fare tutto questo Valve si è sempre appoggiata al colosso Microsoft (e al suo S.O.) con il quale aveva stretto un fraterno e solido accordo. Ma come nelle buone famiglie si litiga e ci si separa e anche per Valve e Microsoft sembra giunta l’ora del divorzio.
L’ora dell’autonomia, a nostro avviso, è scattata prima con il gran parlare intorno alla produzione di una consolle in proprio (la Steam Box) e poi con il lancio del progetto linux.
In realtà è da un bel po’ di tempo che nella comunità di Steam si parlava di questo ma da qualche mese chi aveva compilato l’apposito form sul sito di Valve, ha già ricevuto via e-mail l’autorizzazione a scaricare e installare la nuova beta di Steam per Linux.
Insomma la strada si è aperta.
Scrive Alex Williams che “la prossima generazione di applicazioni richiederanno agli sviluppatori di pensare di più dell’essere umano”. Se molti di noi si aspettano già domani un ampliamento della presenza di display-touch (dai tavoli ai piani da lavoro, dai comodini agli specchi del bagno) e dei comandi vocali saranno sorpresi (forse) da una piccola rivoluzione in termini di complessità.
Uno dei primi aggeggi a diventare obsoleto sarà il buon vecchio mouse: i 3 o più tasti e rotellina scroll lasceranno il posto a un multi-touch che avrà bisogno delle dita di entrambe le mani. Gli oggetti digitali saranno manipolati ma con la sensazione tattile dei nostri polpastrelli e della nostra pelle.
Si lo so che son parole già sentite da vent’anni, ma sapere che team come quello di Microsft, solo per citarne qualcuno, è al lavoro per tracciare la strada delle nuove interfacce utente è una bella speranza.