Google hacking per ricerche avanzate

Parlando  di sicurezza off-line e on-line (per certi aspetti la differenza è un nonsense) mi sono imbattuto, con sorpresa, in quelle incancrenite definizioni del linguaggio “alla buona” alimentato  dai comunicatori all’arrembaggio. Una di queste riguarda ancora (ecco la sorpresa) l’idea che con internet siamo in guerra e il nostro nemico si chiama “hacker”.
Io non so se non riuscito a far comprendere bene la differenza che passa tra un hacker e un cracker ma ho insistito molto sul significato di hacking.
Le cose da dire erano tante e non poteva bastare quell’oretta di seminario e poi l’intento  era divulgativo e serviva a dare delle piccole informazioni di orientamento con l’unico scopo di sottolineare il senso del “buon senso” nell’affrontare le cose in digitale.
Per quelli che mi ha chiesto come “cercare la roba in internet” mi son venute in mente due semplici suggerimenti:
1) avere la pazienza di sforzarsi nell’immaginare meglio le parole da trovare e di non accontentarsi immediatamente dei primi risultati e comunque di usare un po’ di operatori in modo da migliorare la ricerca;
2) se ci si vuole sforzare un po’ di più è possibile fare hacking anche con Google usando le famose dork.
Di queste dork la definizione letterale forse vi sorprenderà, ma è stata proprio quella l’intenzione originale poiché il termine, coniato da Johnny Long, partiva proprio dal significato di “inetto o sciocco” per arrivare poi a quello di “persona che cerca informazioni riservate nella rete”.
In soldoni le dork servono a fare ricerca avanzata con Google e sono molto utilizzate dagli esperti di sicurezza informatica  per individuare le vulnerabilità dei siti web (anche uno script kiddie può utilizzare un exploit trovando la pagina che contiene la vulnerabilità proprio attraverso le dork).
Di recente Google sta limitando le ricerche con le dork (se si insite troppo in un breve lasso di tempo vi uscirà la schermata di errore), ma le potenzialità di ricerca restano comunque insuperabili.
Ecco quelle più usate:
site [ricerca solo i file nel dominio];
intitle [ricerca i documenti con quel titolo];
allintitle [trova i documenti con certe parole nel titolo];
inurl [trova pagine che hanno una certa parola nell’URL];
allinurl [trova pagine che contengono una certa parola nell’URL];
filetype [trova un file con l’estensione desiderata];
link [trova siti con un link specificato];
allintext [trova documenti che contengono una determinata parola nel testo];
“ ”   [trova frasi esatte];
inanchor [trova negli anchor i link presenti nelle pagine];
intext [trova pagine che contengono quella parola specifica];
cache [trova le pagine che Google ha indicizzato nella cache];
define [restituisce la descrizione di un termine ed i link correlato];
related [trova pagine simili a quella specificata];
info [restituisce informazioni e link di uno specifico URL].
Se volete provare a fare ricerca “avanzata” in modo facilitato provate qui, se invece volete sbizzarrirvi e rimanere aggiornati andate sul sito di exploit e non ve ne pentirete.

Hackmeeting 0x11 2014

Io ho scoperto di essere proteso verso la filosofia hacker quando a 11 anni smontai completamente un robottino che mi avevano appena regalato per vedere com’era fatto dentro e come funzionava. Riuscii dopo non pochi sforzi a rimetterlo insieme e, bene o male, a farlo funzionare nuovamente anche se con delle simpatiche varianti.

Se siete orientati verso una cultura della criticità digitale non potete perdevi questo appuntamento: torna a Bologna, dopo 12 anni,  dal 27 al 29 giugno,  l’hackmeeting italiano 2014.

E’ un incontro annuale di tutte le controculture digitali e delle comunità critiche nei confronti dei meccanismi di sviluppo delle tecnologie in Italia.

E’ un incontro per veri e provetti hackers, cioè di tutti coloro che non si rassegnano di fronte alle  scatole chiuse ma tentano sempre di aprirle anche solo per vedere cosa c’è dentro e come son fatte.

Saranno tre giorni intensi di giochi, feste, e scambio collettivo di idee, esperienze e saper fare.

E’ un evento autogestito, non ci sono fruitori ma solo partecipanti.

L’idea di base è sempre la stessa: Spazio Pubblico Autogestito basato sull’antifascismo, antisessismo ed antirazzismo.

Qui trovi tutto il programma e qui un po’ di storia.

Un iPad per la stampante 3D

  Sono in tanti quelli che si cimentano in assemblaggi o realizzazioni di stampanti 3D, diciamo, low cost che a parte  l’appagamento derivante dal semplice montaggio (fatte le dovute proporzioni, più o meno la stessa che deriva  dall’assemblare un comodino dell’Ikea) procura cocenti delusioni come risultato.

 Sembra che uno dei problemi sia il “letto di stampa“.  Spesso l’oggetto vi rimane incastrato o non si attacca proprio e molti  usano il pyrex (o vetro borosilicato), di diversi spessori,  che con il suo basso coefficiente di dilatazione termica,  permette un più sicuro riscaldamento/raffreddamento. Accade però, anche in questo caso, che spesso le parti rimangano  attaccate e si strappino nel tentativo di staccarle dal letto di vetro, infatti viene anche aggiunto il nastro di Kapton anche  se con scarsi risultati.

James Hobson suggerisce, inceve, di utilizzare il Gorilla Glass della Corning come letto di stampa che è molto resistente ai graffi, agli urti, al calore ed è anche flessibile. Ma c’è un problema:  non lo trovi così facilmente a meno che non ti va di sacrificare il tuo iPad per utilizzarne lo schermo.

Niente paura, non è necessario rompere il tuo iPad, basta acquistare anche solo schermo su eBay e con circa 15 dollari il gioco è fatto.

Certo non senza qualche problema per il montaggio ma, assicura Hobson, ne vale la pena.

Potenza felix [2]

felità collettivaNe riparla Angela Arbitrio su “Basilicata Post.it”, facendo da megafono a PotenzaSmart che se ne occupa da un po’ di tempo e allora pure io riprendo il ragionamento laddove l’avevo lasciato.
Quello che non mi convince dei ragionamenti, pur validi, dei due blog appena citati, è la prospettiva dalla quale guardano le cose. Il senso della felicità che ne viene fuori è quasi esclusivamente calato all’interno di una dimensione personale, di singole “sensazioni” che sommate tra loro ne danno una tendenza.
Per sgombrare il campo da incomprensioni dico subito che questi ragionamenti sono validi (e anche ovvi) come tanti altri. Così come è’ ovvio finire nella spirale del senso e delle definizioni; giusto per capirsi: che cosa è felicità? cos’è essere felici? come si misura la felicità?
Allora, per non interrogarci sul senso e sui sistemi di misura [la felicità è qualcosa? qualcosa grazie alla quale viviamo in uno stato (di tempo x) euforico? Misuriamo il tempo di durata (x) di questo stato o l’intensità di quello stato?] interessiamocene soltanto nella sua relazione con il mondo (ma tralasciando anche la definizione di mondo altrimenti non ne usciamo più).
Abbandoniamo il senso solo per facilità di ragionamento altrimenti potremmo tranquillamente sostenere, come faceva Leopardi, che in fondo la felicità non esiste affatto ed il problema è risolto.
Dunque per costruire una visione di felicità in rapporto con il mondo bisognerà sorvolare sulle sensazioni personali come il sentirsi liberi, il sentire la potenzialità dei propri sogni, ecc… e guardare il tutto da un’altra prospettiva, quella della comunità, della società, della cooperazione.
Invece di guardare all’individuo che deve “sentirsi a casa e nel mondo allo stesso tempo” pensiamo a un mondo che diventa casa.
Chi può creare le condizioni sotto le quali il mondo può diventare casa? Chi questo mondo lo influenza più di altri?
Per esempio in una città, chi può predisporre le condizioni affinché quella città diventi casa?
L’amministrazione comunale certamente è il soggetto che più di altri ha il potere di creare queste condizioni.
A me vengono in mente concetti come “partecipazione” e “inclusione” ma poi mi accorgo che sono già presenti nella Costituzione.
Dunque le difficoltà, più che teoretiche, sono pratiche ed hanno a che fare con la “volontà” di realizzare processi concreti di inclusione, di “amministrazione condivisa”.
Anche esempi come quello di Labsus, avviato anche a Matera nel 2011, sono qualcosa e/o sono meglio di niente; l’importante è  fuggire da eventi alti-sonanti e prediligere quelli basso-coinvolgenti.
L’idea è quella di creare i presupposti di una felicità più diffusa (sul proprio territorio) attraverso un nuovo rapporto tra amministrazione e cittadini; un rapporto che non può non passare attraverso il diretto coinvolgimento di quest’ultimi nell’amministrare i beni comuni. E’  tutto qui; tutto sta nell’avere la “volontà effettiva” di farlo.
La “volontà effettiva” di pensare il contrario di ciò che normalmente pensano i politici e i partiti oggi i quali tendono a riempire il vuoto con il vuoto; a prediligere il profilo dell’apparire; a privilegiare sempre e soltanto il marketing politico e a pensare al cittadino come soggetto passivo e non come attore propositivo.
Potrà sembrare un teorema da  nichilismo politico spicciolo ma è l’unica cosa da cui partire per stare nella direzione della felicità collettiva.
Provare a far funzionare le consulte pubbliche, ad affidare direttamente ai cittadini la gestione di beni pubblici (territorio, acqua, nettezza urbana, ecc…) rende diversi favori al territorio: per prima cosa avvicina il servizio ai diretti consumatori rendendolo, di conseguenza, migliore; poi riduce tutti quei costi derivanti dalle gestioni più o meno private e instaura, automaticamente, meccanismi di controllo diretto sull’intero processo.
Quello che deve funzionare è il rapporto di mutua collaborazione tra i diversi attori della società civile (famiglie, scuole, associazionismo, imprenditori e commercianti) e la politica amministrativa, tutti all’interno dello stesso rapporto cooperativo di gestione dei beni “pubblici” (o beni “comuni”).
Lo so che parlare di pubblica felicità  significa fare pura astrazione, ma se i cittadini, le persone, partecipano concretamente alla lettura del proprio territorio e alla conseguente sistemazione e riassemblaggio della propria casa-mondo,  qualche in quella direzione si può dire di averlo fatto.

Potenza felix

Potenza è infelice ma almeno Matera ride, questa potrebbe essere la sintesi lucana di quell’indice di felicità calcolato dalla “Scuola di Psicoterapia Erich Fromm di Prato”; un indice calcolato sui valori espressi dagli stessi cittadini  intervistati (per inciso voglio ricordare che tra i docenti di quell’Istituto c’è anche Andrea Galgano, potentino oltre che collaboratore dell’Ufficio Cultura del Comune di Potenza… ma giusto per inciso).
Sono contento per l’altra città lucana e mi fa piacere sapere che almeno i materani sanno auto-valutarsi. Ma perché i potentini, invece, sono scontenti? Perché i loro giudizi sono auto-denigranti?
E’ probabile che nella valutazione abbia inciso una generale difficoltà economico-sociale ma siccome è un disvalore comune a tutto il sud sento che qualcosa non funziona oppure c’è qualcos’altro.
Giuseppe Granieri sul Quotidiano ha scritto che bisognerebbe iniziare a cambiare mentalità e che ciò che probabilmente incide sui giudizi è il “racconto” che se ne fa: in definitiva “non abitiamo la città ma abitiamo il racconto della città”.
Poi su “Potenza Smart” Giambersio ne fa un decalogo a mo’ di breviario morale ad uso dei potentini.
L’unica cosa certa è che questi valori di felicità non sono da prendere sottogamba, tant’é che l’associazione “Alliance for Sustainability and Prosperity” pone questi indici “oltre il Prodotto interno lordo”, cioè come i nuovi valori di valutazione dell’economia globale.
Fa bene, dunque, il quasi-ex-sindaco Santarsiero a preoccuparsene su “Controsenso” solo che a leggere la sua intervista si comprende subito che il politico brancola nel buio perché per difendere la città, oltre a qualche numero, rilancia la palla ai suoi “denigratori” (associazioni di commercianti e di cittadini) accusandoli di semplice disfattismo.
E’ probabile, però, che i potentini che hanno risposto negativamente all’intervista, abbiano mal valutato “i fiori all’occhiello” del sindaco semplicemente perché da quel “suo” racconto sono stati tenuti fuori fin dall’inizio.
Una città che vuole mettere a valore le proprie caratteristiche per prima cosa mette su meccanismi di partecipazione e condivisione “reali” e non fittizi. Ne avevo, un po’, parlato anche qui e credo che non ci siano grandissimi alternative alla questione; d’altronde coloro che si occupano di fidelizzazione sanno benissimo che l’individuo per essere fidelizzato deve sentirsi attore del meccanismo decisionale e non spettatore.

Cose di questo mondo [Civati]

civatiPippo Civati che è passato negli anni da “La sinistra e il PD da oggi in poi” a “Non mi adeguo”, oggi elabora una nuova tesi che appartiene, più che altro, alla teoria dei mondi possibili e cioè:  “potessi farlo liberamente, senza mettere in discussione i rapporti con il Pd, voterei no, ma proprio no“;  no, perché se “io non dovessi votare un governo che ha una legittimazione interna al Pd dovrei uscire dal partito“; “ma non esco io perché sarei la pira umana come Giordano Bruno“.
E’ quanto è stato detto davanti a mille civatiani in assemblea a Bologna.
Attenzione, per arrivare a questa ardita tesi Civati scomoda pure il “suo popolo” con un sondaggio on line sul suo blog.
Le domande che Civati faceva ai suoi erano:
La fiducia al governo Renzi
1) Va votata
2) Va votata per far nascere il Governo, ma va condizionata a una verifica in tempi brevi
3) Non va votata
4) Meglio astenersi o non partecipare al voto
Ecco i risultati (riferiti soltanto agli elettori di Civati):

Si capisce subito che i NO sono il numero maggiore ma Civati che fa? Somma i risultati “votare SI” e “votare SI ma con fiducia” (praticamente realizzando un’alleanza tra le risposte) e decide che forse è meglio votare la fiducia al governo.

Ecco, è proprio un vizio di quelli del PD fare primarie, chiedere pareri e poi cambiare le carte in tavola task list software.

La scuola che ci meritiamo

numeriChissà perché ogni volta che vado a prendere un caffè alla pasticceria Salza di Pisa, non mi viene in mente niente della scuola, sarà che non prendo il tè o che non mi intervistano, fatto sta che l’idea di Carrozza mi ha fatto correre un piccolo brivido lungo la schiena. Sono quei piccoli e stupidi brividi che per un attimo m’impensieriscono: non è la febbre e neanche il freddo o la stanchezza ma un pensiero anzi, una preoccupazione.
Mentre discuto su Facebook con un’amica ho pensato a come si intervistassero tra loro Gentile e Lombardo Radice tra il 1922 e il 1923.
La scuola è una brutta rogna e ne sanno qualcosa tutti i precari, gli abitanti delle graduatorie a macchia di leopardo, i docenti, gli studenti e tutti quelli che nel bene o nel male ci girano intorno anche solo collateralmente nel periodo di vita scolastica dei propri figli. Ecco perché la Carrozza avrà pensato di chiedere a loro cosa ne pensano e come la vedono…
Non è proprio una gran cosa venirsene fuori con una customer satisfaction; invece che 10 domande sarebbero bastate 3 risposte chiare: un salto all’indietro a prima della riforma Gelmini (recuperando anche i tagli di quel genio di Monti) e intraprendere una via di uscita dai danni delle riforme di Berlinguer e della Moratti, e anche di D’onofrio.
E’ poco? Allora aggiungo che le università devono essere il luogo centrale della promozione di nuove risorse umane, in grado di diventare l’ossatura di un nuovo modello di sviluppo del nostro paese.

Era questa la scuola che ci meritavamo?

Foursquare è una smart per la city

Possibile che Foursquare sia ancora inesplorato? Forse si e Natalia D’angelis riflette su un rapporto possibile tra Fourquare e la Pubblica Amministrazione; ovvero sul fatto che la PA può aprirsi meglio al cittadino offrendo una comunicazione più efficace.
Per esempio, dice Natalia, un Comune attraverso una Brand Page su Foursquare può promuovere meglio il turismo locale attraverso coloro che quella città conoscono, scoprono e raccontano ad altri.
Si può raccontare la storia e la cultura di un luogo attraverso peculiarità personali, foto, itinerari, eventi;  oppure si possono suggerire cose da fare o da vedere creando liste di luoghi o locali organizzandoli per genere o per argomento. In questo modo si realizzerebbero delle vere e proprie guide digitali per smartphone, senza alcuna necessità di studiare apposite app e poi diffonderle (Foursquare è un social network con qualche milione di utenti).
Per rendersene conto basta dare uno sguardo al social e se volete trovare qualche vostro amico potrete sempre usare Facebook; anzi giacché ci siete potete  unirvi al gruppo di lucani su Facebook che usano Fourquare:  https://www.facebook.com/groups/foursquare.basilicata/.

🙂

Cultura hacker ed ecosistema delle conoscenze

Si è appena concluso l’Internet Festival 2013 e tra i tanti resoconti voglio lasciare il mio, ma minimo, da partecipante parziale.
Sono arrivato a Pisa venerdì 11 e dopo aver corso per non perdermi la presentazione de “L’amore è strano”, ma non per Sterling quanto per salutare un’amica, grazie a mio figlio che studia in questa città, seguo un evento fuori dalla manifestazione in un’aula universitaria di fronte al dipartimento di matematica. Qui il gruppo Exploit ha organizzato la presentazione del libro “Biohaker” con l’autore, Alessandro Delfanti, Salvatore Iaconesi e Oriana Persico,.
Delfanti racconta una nuova visione della ricerca scientifica, dove “nuovo” sta per hacker; una cultura che oggi sta influenzando fortemente l’etica scientifica e in particolare la biomedicina, attraverso l’inclusione dei fondamenti culturali dell’etica hacker e del software free.
Nella società dell’informazione dove la lotta per (l’accesso) l’utilizzo del sapere è fondamentale, la cultura hacker si dimostra fondamentale nel processare una pratica “aperta”.
Basta poco per rendersi conto che senza dati pienamente accessibili non c’è ricerca. Ne sono un esempio il progetto di Craig Venter sul genoma, la messa in rete della sequenza del virus dell’aviaria di Ilaria Capua e la cura open source di Salvatore Iaconesi.
Delfanti e Iaconesi sono certi che l’Open, grazie alla rete  e alle sue capacità di produzione della conoscenza, sia di fatto la più grossa opportunità per realizzare un sapere alternativo.
Si tratta di superare le organizzazioni burocratiche, (università, sistemi sanitari, grandi organizzazioni internazionali) ancora incapaci di comprendere le potenzialità della rete, per valorizzare quell’ecosistema fatto da avanguardie (come ad esempio i biohacker) che praticano la cultura della libera circolazione digitale di dati e di ricerche.
Il ragionamento è continuato (anche se più superficialmente) con un respiro internazionale sabato mattina  alla Scuola Normale in un panel con Delfanti, Ravi Sundaram, Alex Giordano, Jaromil, Adam Arvidsson, Maitrayee Deka, e Carlo Saverio Iorio.
Il concetto fondamentale che qui doveva passare era quello di “societing”: un’idea d’impresa completamente aperta, un vero e proprio network che instauri nuovi e forti legami con il sociale quale unico valore a cui attingere; come, per esempio, il progetto Rural Hub raccontato da Giordano.