#potenzadigitale #pizza
Book and book
analogical and beyond
Il nostro rapporto con le persone non è banalmente analogico anzi tutti i nostri sforzi sono protesi verso il digitale (sia con le persone che con le cose) anche quando pensiamo che siano di forza contraria.
Tendiamo a digitalizzare di più il rapporto con le cose che non con le persone? Credo di no. In realtà abbiamo un rapporto mediano a 360 gradi e tendiamo a tirare le cose e le persone un po’ di qui e un po’ di la: mentre stridono ai nostri sensi quelle strane ibridazioni come il famoso “pennino per l’iPad” (sul quale scherziamo sempre) ci abbandoniamo in nostalgiche discussioni su consolidati procedimenti artigianali (che producono manufatti “che rimarranno nel tempo”) o intorno a gustosi sapori artigianali “di una volta”.
Qualche anno fa ho assistito a una piccola discussione tra alcuni produttori veneti di Merlot circa l’uso delle botti di rovere o di acciaio inox per la conservazione del vino. Ovviamente quelli che sostenevano l’acciaio avanzavano motivazioni di carattere pratico e igienico ma venivano aspramente rimproverati, se non “scomunicati”, dai sostenitori del legno. Proprio mentre sorseggiavamo un giovane Merlot io cercai di ricordare, a quei pochi che mi ascoltavano, che nella storia ci sono sempre stati passaggi, svolte, slanci in avanti e lo stesso percorso ha fatto pure il vino che non è sempre stato conservato in botti di legno, anzi il loro trasposto è avvenuto per secoli in anfore di terracotta adagiate sulla sabbia nelle stive delle navi per poi essere conservato a destinazione in orci sempre di terracotta (la stessa cosa si faceva con l’olio). Il problema nasceva nel trasporto via terra che quando andava bene portava a destinazione il 50% del prodotto. Grazie ai Celti prima e ai tedeschi poi ci siamo ritrovati con le botti di legno sia per il trasporto che per la conservazione (la più famosa, quella di Heidelberg, viene citata in “Moby Dick”).
Comprensibilmente insieme al contenitore si è trasformato anche il contenuto: il vino ha abbandonato il suo vecchio sapore e odore per acquisirne uno nuovo, forse meno apprezzato ieri ma tanto amato oggi.
Questo ragionamento mi viene in mente ora perché ieri sera, in un bel “instaperitivo”, avevamo accennato un ragionamento che poteva stare in questa scia e riguardava la differenza tra amicizie digitali e analogiche, ovvero tra persone con le quali siamo in relazione esclusivamente all’interno di un social network (che qualcuno ancora si ostina a chiamare virtuali, come se nella realtà non esistessero affatto) e quelle alle quali abbiamo stretto la mano o abbiamo messo la mano sulla spalla. Che differenza abbiamo notato? Quasi nulla. Eliminato un po’ di imbarazzo iniziale (almeno per me) chi ci era simpatico e interessante prima lo è rimasto anche dopo.
Allora, a chi ci chiede “come sarà domani?” possiamo tranquillamente rispondere che continueremo a trovare persone che continua a bere vino conservato in un’anfora, e che i nostri rapporti saranno identici ma su dimensioni (tre o più) diverse.
Così come abbiamo imparato ad apprezzare il sapore del legno per quello della terracotta, sapremo vivere i nostri rapporti presenti.
I nostri lenti ma inevitabili passi in avanti saranno fatti anche se il futuro non riusciremo a raggiungerlo mai (starà sempre più avanti e non solo per definizione).
Instagram for dummies
Brad Mangin doveva sostituire il suo vecchio telefonino e, un po’ come tutti, decide di acquistare l’ultimo iPhone 4S appena uscito. Tornato a casa inserisce la sim, trasferisce i contatti nella rubrica e prova anche a fotografare i suoi gatti. Il risultato lo sorprende abbastanza, ma ciò che lo stupisce di più è un’applicazione che restituisce immagini in un formato quadrato, proprio come quello delle vecchie Polaroid, con l’aggiunta di effetti davvero interessanti.
Non c’è niente di particolare in tutto ciò se non il fatto che Brad è un fotografo sportivo free lance abbastanza noto e che alla partita tra i Los Angeles Angels e gli Oakland Athletics , lascia la borsa con la fedele Canon 1D Mark IV a bordo campo, e si reca negli spogliatoi per fare il suo servizio pre-sportivo soltanto con l’iPhone. Le foto, successivamente “instagramate” da Mangin, saranno un nuovo modo di raccontare il Baseball su Sports Illustrated.
Ho riportato questa storiella per due motivi: il primo per diradare le nuvole davanti agli obiettivi degli smartphone liberando il campo dai preconcetti di quei “puristi” che non escono di casa senza il cavalletto e il secondo per contribuire e confortare tecnicamente il gruppo di potenzadigitale che, da un’idea di Sara, vuol raccontare Potenza proprio con Instagram (le foto vengono scelte e poi pubblicate sul Tumblr).
Ecco i tre punti cardine per chi vuol personalizzare le proprie “instaphoto” (Mangin usa un iPhone 4S, ma i consigli valgono anche per chi possiede uno smartphone Android):
1) scattare la foto con l’iPhone senza alcun effetto;
2) editare l’immagine con le seguenti app: Snapseed (per convertire le foto in bianco e nero e lavorare sui toni, costo € 3,99), Dynamic Light (per dare un tono più cupo al cielo e potenziare i colori, costo € 0,79) e Camera+ (per modificare colori e effetti, costo € 0,79);
3) caricarla in Instagram e applicare la cornice e un filtro, per esempio “Lo-Fi” (se si vuol potenziare il contrasto e i colori) o “Early Bird” (se si vuole l’effetto seppia).
Non sono più juventino
Il 30 giugno si è conclusa la storia di Alessandro Del Piero con la Juventus. E’ scaduto il contratto che ha legato per 19 anni il calciatore con il club bianconero. Si, è vero, in questo blog non mi sono quasi mai occupato di calcio ma la vicenda è particolarmente significativa per me che sono (ero) juventino e grande estimatore di Del Piero.
Nella mia lunga “militanza” da tifoso ho avuto poca grande-passione per i calciatori tranne che per Sivori, del quale, in verità, conservo più un’immagine mitica che reale poiché lo ricordo a mala pena con la maglia del napoli; o per un difensore di ruolo come Billy Salvadore che cercavo di imitare nelle partite che d’estate facevamo nello spiazzo davanti casa e d’inverno, insieme ai miei fratelli, dentro casa tra la disperazione di nostra madre. Infine per Del Piero, inventore di un gesto atletico che porta il suo nome: un gol con un tiro da sinistra a rientrare verso l’incrocio dei pali.
E’ lui “il personaggio che meglio incarna il valore della sportività negli ultimi 50 anni” ed è sicuramente lui il campione più amato dagli italiani.
Di Del Piero ho apprezzato il suo “preciso” rapporto professionale con la squadra, la sua genialità “regolare”, il senso del sacrificio, il rispetto per avversari, la qualità tecnica del gioco e anche se ciò non fosse bastato a fare di lui un campione ci sono sempre i numeri che, per tanti, contano come unico elemento di valore.
Numero delle presenze con la Juventus
- Alessandro Del Piero: 705
- Gaetano Scirea: 552
- Giuseppe Furino: 528
- Roberto Bettega: 481
- Dino Zoff: 476
- Giampiero Boniperti: 466
- Sandro Salvadore: 450
- Franco Causio: 447
- Antonio Cabrini: 440
- Antonello Cuccureddu: 433
Numero di goal segnati con la Juventus
- Alessandro Del Piero: 290
- Giampiero Boniperti: 183
- Roberto Bettega: 178
- David Trezeguet: 171
- Omar Sívori: 167
- Felice Placido Borel II: 161
- Pietro Anastasi: 131
- John Hansen: 124
- Roberto Baggio: 115
- Federico Munerati: 114
Sto ripetendo cose scritte e riscritte un po’ da tutti ma lo faccio soltanto per annotare qui il mio disappunto per la scelta incomprensibile di una squadra verso il suo campione.
Bastavano poche e scarne considerazioni per tenersi stretto un calciatore consacrandolo definitivamente bandiera e simbolo della squadra e invece no, la Juventus non l’ha fatto ed ha tentato più volte di liberarsene anche dopo che il campione firmava contratti “in bianco“.
Oggi lo so che è difficile lasciare la squadra per la quale si è tifato per tanti anni, ci vogliono forti motivazioni o cocenti delusioni. C’è una fase nella vita, ma proprio quando si è molto piccoli, che queste cose ti riescono meglio, dopo è più complicato. Ma anche se ho resistito, a fatica, al caso Moggi questo “licenziamento” proprio non riesco a mandarlo giù.
Il tifo è una cosa strana, è un amore completamente sbilanciato che per quanto ti sforzi non riesci ma a trovarci qualcosa di razionale, però non è sempre possibile tifare al di là di tutto. Almeno, credo e spero di no.
Ecco, io non sono più juventino, tutto qui.
Il lettore [digitale] è curioso
Manuel Koppl sull’ultimo numero di “Chip” scrive del lavoro degli Hacker e dei problemi connessi alla nostra sicurezza in rete e per introdurre, simpaticamente o letterariamente, il focus del suo ragionamento adopera come introduzione un fatto di cronaca italiana: il blitz dei carabinieri che catturano il boss Antonio Cardillo.
Koppl racconta di “un mafioso che finisce in una trappola tecnologica” per colpa di “un normalissimo telecomando che, però, invece di azionare il televisore o lo stereo, serve per aprire un mobile a specchio”.
Dopo aver letto velocemente l’articolo ritorno all’introduzione perché mi incuriosisce la vicenda della trappola tecnologica e nel ricercare notizie sulla vicenda scopro che Koppl ha appreso la notizia, come tutti, sulla stampa nazionale (che, parla di “telecomando che non corrispondeva ad alcun apparecchio presente nella casa”) aggiungendovi però di sua iniziativa che si trattava di un normalissimo telecomando per “televisore o stereo”, mentre nessun giornale è così specifico. Invece, se guardate questo filmato, vedrete chiaramente che si trattava di un “normalissimo” telecomando per cancelli automatici. Io credo che proprio per questo i carabinieri hanno insistito nella ricerca: se il telecomando non apriva il cancello di ingresso e neanche un garage, qualche altra porta doveva pure aprirla.
Cosa centra Koppl con tutto questo? Lui non si occupa certo di cronaca nera italiana? Certo che no, ma forse centra con il suo racconto.
Quando un giornalista scrive il suo pezzo (rispettando tutte le sacro sante W) senza approfondire abbastanza le notizie, anche quelle che servono solo a dare “colore” al pezzo, deve tener conto del fatto che la sua approssimazione verrà sicuramente colmata dal lettore (digitale) curioso.
Penso che questa tendenza a sottovalutare alcune parti del discorso sposi quell’idea di lettore ingenuo che poteva ben funzionare in epoca totalmente “analogica”. Quella che ieri poteva essere una dimenticanza, o “grossolaneria”, oggi è un errore grave che inficia la credibilità dell’intero articolo ed è una cosa che un giornalista, soprattutto se tecnico-scientifico, non può permettersi.
Spesso siamo disposti a sorvolare su attacchi farciti da errori storiografici ma solo se stiamo leggendo un articolo sportivo; lì, si sa, la metafora campata in aria e l’epica contano più di ogni altra cosa.
Insomma quello che è sfugge a Koppl è che il lettore “digitale”, se non è svogliato, può verificare tutto e non soltanto i dati tecnici o i link che gli sottoponiamo.
La carta nella testa
E’ noto a tutti che le “scritture” sono in continuo aumento è meno noto, però, l’incremento delle “letture”. Del primo ne siamo coscienti perché abbiamo visto come il digitale abbia incrementato la comunicazione scritta, del secondo non riusciamo ad afferrarne la portata poiché restiamo legati a un’idea di lettura concettualmente analogica. Tutto il peso del concetto ricade sulla “quantità compattata” di righe scritte.
Se date uno sguardo alle statistiche ISTAT gli indici sono fatti per libri di carta, audiolibri, ebook e giornali. Sappiamo, per esempio, che nel 2010 gli italiani avevano letto mediamente 3 libri a testa (con un incremento di un punto percentuale rispetto al 2009) e che coloro che possiamo definire “lettori voraci” erano soltanto il 15,1% con una dozzina di libri letti nell’anno. A questa “quantità” di righe scritte e dichiarate come lette, si affiancano i dati sulla vendita (sia di libri che di giornali) che abbassano ancora di più la media.
Il problema è che sono gli analisti a considerare la scrittura come letta solo se appartenente a unità concettualmente “analogiche” di testo: libri, giornali, e-book, ecc…. e non si capisce il perché non si consideri letto ciò che invece è stato considerato come scritto: sms, chat, e-mail, social network, giochi, ecc…. Si è disposti a considerare il web o l’html come scrittura ma non come lettura.
Un esempio semplice di questa stortura mi è balzata agli occhi quando ho ragionato sul fatto che mio figlio, che sta affrontando gli esami di stato, legge e trova sul web tutto ciò che gli serve e contemporaneamente invia e/o riceve link interessanti dai suoi compagni. Quante righe avrà letto mio figlio? Boh e chi lo sa… intanto, statisticamente non è neanche un lettore accanito, anzi è addirittura sotto la media perché al rilevatore che gli chiederà “quanti libri hai letto quest’anno” (a parte quelli scolastici) sicuramente risponderà poco o nulla. Forse nemmeno lui considererà come lette le migliaia di righe su Wikipedia e sui vari siti specializzati. Io alla sua età ero considerato un lettore accanito soltanto perché leggevo un quotidiano e correvo in biblioteca per ogni piccola ricerca scolastica, eppure il mio camp0 di riferimento era ristretto alle capacità di una piccola biblioteca UNLA e a quelle di qualche enciclopedia più o meno esaustiva.
Probabilmente guardiamo/usiamo il digitale e pensiamo/vediamo l’analogico. Una metafora immediata di questo paradosso è ben rappresentato da tanti ebook reader (l’iPad ad esempio) che simulano lo sfogliare della pagina di carta.
Anche quando ci liberiamo le mani dalla carta la cellulosa ci rimane in testa.
Il passato prossimo venturo è Bing Maps
Qualche giorno fa, sul blog di Bing Community, viene annunciato l’aggiornamento dell’applicazione “Bing Maps World Tour“; si tratta dell’implementazione delle mappe ortofotografiche visualizzabili in alta risoluzione, con una grande qualità in 3D anche al massimo ingrandimento (nella foto ho provato uno zoom sul mio quartiere).
Al momento Bing ha elaborato il 46% delle mappe per circa 2.771.192 chilometri quadrati ma, ovviamente, il progetto aspira a coprire l’intero globo e quindi dovremmo ritrovarci, a breve, delle mappe fotografiche in 3D ricche di dettagli brillanti e ben definiti.
La soluzione pensata dalla Microsoft in partneship con la DigitalGlobe (la società che l’8 ottobre 2009 ha lanciato il satellite “WorldView-2” per il telerilevamento ad alta risoluzione) è l’uovo di Colombo: anziché viaggiare su automobili, motorini e biciclette su e giù per tutte le strade a fotografare soltanto il mondo “percorribile”, si utilizzano sistemi di telecamere aeree (UltraCamG) che permettono una mappatura da grande distanza ma con elevata definizione.
In tal modo, oltre a a catturare il 50% di pixel in più rispetto a qualsiasi altro sistema di “digital aerial camera mapping”, con una precisione che varia dai 15 ai 30 centimetri (ogni pixel dello schermo equivale a circa 6-12 centimetri al suolo), si riuscirà ad ottenere mappe più dettagliate anche di strade non percorribili con un grande risparmio di tempo e di denaro.
Anguria Skulls
Cassanate e altri discorsi
Le “risposte infelici” di Cassano hanno, come al solito, sobillato la rete, ma c’era da aspettarselo. Sono stato tra i primi a mettere l’#Cassano su Twitter dopo essere sobbalzato dalla sedia ieri pomeriggio. Non si tratta di una “cassanata”, quella sorta di ambito giustificatorio dove possono rientrare quei calciatori che si lasciano sfuggire dalle mani il proprio sentimento privato (come sono “balotellate” quando si menano i giornalisti, “tottate” quando si sputa sull’avversario, ecc….) , ma del pensiero di un uomo che di mestiere fa il calciatore a cui viene semplicemente fatta una domanda. Il calciatore avrebbe potuto non rispondere dicendo di non saperne nulla ma invece dice di non volerne parlare e poi ne parla.
Non è il pensiero di Cassano che mi stupisce, anzi un po’ me l’aspettavo pure; qualsiasi uomo sa che l’omosessualità è il tema principale degli scherzi “tra uomini” (il motto “amici amici ma a tre palmi dal culo” è sempre molto in voga), mi preoccupa di più l’armamentario di elaborazione con il quale sul web si è cercato di chiudere il cerchio della notizia.
Ecco i suoi passi:
1) un giornalista chiede al calciatore se è vera la notizia, riferita da Cecchi Paone, che in nazionale ci siano dei gay. La domanda sembra “impertinente” ma fa parte della libertà del giornalista di porre domande a piacere e non a piacimento (del resto è stato chiamato per fare questo). Anche se il giornalista avesse domandato a Cassano del massacro dei randagi in Ucraina sarebbe stato impertinente.
2) Cassano, che conosce bene il suo ruolo, ci scherza su (l’aveva già fatto prima anche su Balotelli, tra l’altro usando la stessa battuta che aveva usato Gattuso quando ricevette dal Milan il compito di fare da tutor a Cassano) e dice di non voler rispondere ma poi invece dice che se non froci son fatti loro e che spera che non ci siano in squadra. A domanda impertinente risposta impertinente.
3) Tutti i giornalisti sportivi abituati e consapevoli di avere a che fare con il “calcio-pensiero”, seppure indignati, cercano di tenere ben distinti i ruoli e i compiti cercando di continuare a parlare di calcio (e credo che diversamente non si possa fare).
4) La rete invece no, com’è nella sua natura, si scatena (l’hashtag #Cassano vola su twitter) masticando vorticosamente concetti senza troppa elaborazione (perché se a 140 caratteri di testo non corrispondono altrettanti caratteri di valutazioni e contro-deduzioni mentali le cose si complicano) e tra questi ce ne sono numerosi che sostengono l’ipotesi di un subdolo tranello ordito ai danni dell’ingenuo Cassano.
Ci sono momenti, soprattutto su Twitter, nei quali un buon numero di persone lanciano commenti da “supertecnici” della comunicazione come di chi sta al di sopra delle notizie e di mestiere fa il giudice o il prete. Sono quelli che non riportano alcuna notizia, la danno per scontata e ammiccano a retroscena, a trabocchetti o a orditure appartenenti a grandi o piccoli scenari (che, altrimenti, i piccoli lettori non saprebbero come immaginare).
Insomma su Twitter serpeggia la logica che “la domanda sia stata fatta apposta per scatenare il putiferio mediatico” e la sostengono non pochi, anche qualche amico che seguo e che stimo.
A me, lettore ingenuo, colpisce soltanto il contenuto delle risposte di Cassano che è lì sotto i miei occhi e non posso farci niente. Cosa può importarmi se un giornalista ha posto una domanda di cui conosceva già la risposta? Può mai cambiare il mio giudizio sulle parole di Cassano?
Le persone sono e devono essere responsabili delle parole che proferiscono anche se queste derivano da domande “impertinenti”. Pensate al classico studente che dopo l’esame accusa il professore per avergli ordito un tranello con domande in-pertineti o a trabocchetto.
5) In serata Cassano fa dietrofront scusandosi per le parole pronunciate.
Massì è una cassanata.