Con il referendum di domenica 17 aprile si deciderà se abrogare il terzo periodo del comma 17, dell’art. 6 del D.lvo n. 152/2006 (“Norme in materia ambientale”), così scritto: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale“.
Perchè non c’è la questione di “fermare le estrazioni di idrocarburi nelle acque italiane entro le 12 miglia dalle coste“?
Perché quella è già prevista nel comma 17 del decreto e cioè che entro 12 miglia dalla costa non sono possibili nuove attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi di qualunque genere, mentre quelle già in attività oltre a poter giungere alla scadenza della concessione possono essere oggetto di proroga.
Perché l’attività di estrazione va fermata?
Perchè è altamente pericolosa per la saluta e per l’ambiente. Ogni anno vengono sversate nei nostri mari 100/150 mila tonnellate di idrocarburi solo per operazioni di routine e in 22 anni, a causa di 27 gravi incidenti navali, 270 mila tonnellate di idrocarburi sono finite in mare (come quello del 2010, per esempio). In più, nel solo mar Mediterraneo, il catrame depositato sui fondali è di 38 mm per MQ, e quello intorno alle trivelle è ricco di metalli pesanti. Si aggiunga che una riduzione delle estrazioni porterebbe anche a una svolta nella politica energetica nazionale, spingendolo a investire in energie rinnovabili. In tal modo non cercheremo combustibili fossili e potremmo avvicinarci seriamente all’uso di energia da fonti rinnovabili, come del resto stabilito nell’ultimo vertice mondiale COP21 di Parigi.
Il referendum è un “momento di accumulo positivo di energie sociali, di saperi, di creatività, di veloce incremento di relazioni operative tra reti consolidate”, come sostengono i comitati NoTriv e Renzi lo sa e spinge sull’acceleratore dell’astensionismo; perché con la vittoria del SI l’intera strategia energetica nazionale traballerebbe.
E allora cosa aspettiamo?