Due esplosioni: 86 morti e 186 feriti; è quanto accaduto stamattina ad Ankara durante la manifestazione pacifista per la soluzione del conflitto con i curdi del Pkk.
Selahattin Demirtaş, copresidente di HDP, ha dichiarato: “Ci troviamo di fronte a una mentalità dello stato che è diventata una mafia, un assassino e un killer seriale”.
Dopo l’esplosione la polizia ha attaccato un gruppetto di manifestanti, lanciando anche gas lacrimogeni che hanno ostacolato il servizio delle ambulanze. Ma la repressione dei curdi in Turchia ha una lunga storia.
Dal 1990 al 1994, oltre un milione di curdi sono scappati dalle campagne (rifugiandosi a Diyarbakir, capitale morale del Kurdistan) quando l’esercito turco invadeva e saccheggiava i villaggi. Chomsky scrisse che dal 1994 in poi, la Turchia passò al primo posto tra i paesi importatori di forniture militari americane, e che “quando le associazioni di difesa dei diritti umani denunciarono l’uso da parte dei turchi di jet statunitensi per bombardare i villaggi, l’amministrazione Clinton trovò il modo di eludere le leggi che imponevano la sospensione di forniture belliche alla Turchia”. Ovviamente sostenendo che la necessità di difendere il paese dalla minaccia terroristica fosse fondamentale.
Ma dopo la primavera del 2013 la repressione subisce un’ulteriore impennata.
Il presidente Erdogan vara una serie di misure di sicurezza che prevedono il fermo di polizia, preventivo, di 48 ore senza alcuna convalida del magistrato (quindi tutto a discrezione della polizia), l’uso delle armi da fuoco da parte degli agenti in caso di disordini (si aggiunga che la legge considera le fionde e le bottiglie come vere e proprie armi) e la perquisizione di case “sospette” senza alcun mandato. Insomma uno stato di polizia in tutta la sua forza; una dittatura coperta da un stato liberale.
L’obiettivo è quello di distruggere un popolo già privato completamente dei diritti civili, ma soprattutto annientare il Partito dei lavoratori curdi che combatte da trentanni per creare uno stato indipendente nel sudest della Turchia.
A luglio di quest’anno Erdogan ha interrotto la tregua che durava da due anni, con il PKK e con la scusa della guerra allo Stato islamico, ha intensificato i raid aerei contro il Pkk.
Scrive Gwynne Dyer sul Guardian, che se Erdoğan vuole vincere nuove elezioni ha bisogno del sostegno dell’estrema destra; ma si tratta di ultranazionalisti contrari a un accordo con i curdi e, quindi, per convincerli, ha cominciato a bombardare il Pkk.