Ninux e la rete libera
E’ dagli inizi degli anni duemila che nelle aree rurali americane si collegano tra loro scuole, uffici e abitazioni per condividere servizi vari tra cui internet che diventa bene comune grazie all’abbattimento dei costi di connessione.
Stiamo parlando di una infrastruttura, una sorta di “maglia” sociale, i cui “punti” sono i cittadini coinvolti nella rete. Questa maglia è appunto la rete mesh e dei suoi nodi (punti) e ovviamente senza il wireless sarebbe stato tutto molto più complicato.
Certo di tipi di connessione ce ne sono altri ma il vantaggio di queste reti risiede nella semplice idea che essa sia libera e indipendente dai suoi stessi nodi, nel senso che l’affidabilità della rete non viene compromessa dal malfunzionamento di un suo punto. Ogni nodo conserva al proprio interno tutta la memoria e la storia tecnologica della rete e indirizza semplicemente “pacchetti” ai nodi vicini.
Queste reti sono costituite da antenne wi-fi che dai tetti delle abitazioni trasmettono ad alta frequenza radio e con ridotte emissioni elettromagnetiche. La loro realizzazione aderisce a un modello di sviluppo di condivisione dal basso dove i cittadini sono i soli proprietari e vi partecipano, più che con i soldi, con la volontà di generare una comunità connessa. Ogni partecipante è responsabile del proprio nodo con la messa a disposizione dell’apparato di rete ricevendone in cambio servizi telefonici (VoIP), gaming, webmail, scambio di contenuti e accesso a Internet. Anzi nella comunità Ninux si parla proprio della creazione di un nuovo pezzo di Internet con l’Autonomous System n° 197835.
L’hardware utilizzato è abbastanza economico, viene consigliata una lista della spesa per non sbagliare, e un embedded con poca RAM e qualche mega di memoria su cui far girare un firmware (Ubiquiti AirOS o Openwrt) modificato appositamente dalla comunità.
Loro ci tengono a sottolineare che “la parte più importante della rete sono le persone che la compongono” e sulla Mapserver ci si può fare un’idea della diffusione e/o potenzialità della rete. La community mette comunque a disposizione le proprie esperienze e il proprio saper fare condividendo il tutto attraverso mailing list, wiki e un blog (oltre all’ovvia presenza sui social).
Se tra gli obiettivi della community Ninux c’è anche la risoluzione di situazioni di Digital Divide la stessa filosofia ha ispirato, dal lontano 2008, la lucanissima rete Neco di Vietri di Potenza che, sempre attraverso una rete mesh con circa 30 nodi, offre connettività a costi popolari. Con una quota associativa annua di 90 euri si può usufruire della connettività Internet e di servizi offerti nella intranet.
Certo la filosofia di base non è la stessa di Ninux ma è meglio di niente.
Cultura hacker ed ecosistema delle conoscenze
Si è appena concluso l’Internet Festival 2013 e tra i tanti resoconti voglio lasciare il mio, ma minimo, da partecipante parziale.
Sono arrivato a Pisa venerdì 11 e dopo aver corso per non perdermi la presentazione de “L’amore è strano”, ma non per Sterling quanto per salutare un’amica, grazie a mio figlio che studia in questa città, seguo un evento fuori dalla manifestazione in un’aula universitaria di fronte al dipartimento di matematica. Qui il gruppo Exploit ha organizzato la presentazione del libro “Biohaker” con l’autore, Alessandro Delfanti, Salvatore Iaconesi e Oriana Persico,.
Delfanti racconta una nuova visione della ricerca scientifica, dove “nuovo” sta per hacker; una cultura che oggi sta influenzando fortemente l’etica scientifica e in particolare la biomedicina, attraverso l’inclusione dei fondamenti culturali dell’etica hacker e del software free.
Nella società dell’informazione dove la lotta per (l’accesso) l’utilizzo del sapere è fondamentale, la cultura hacker si dimostra fondamentale nel processare una pratica “aperta”.
Basta poco per rendersi conto che senza dati pienamente accessibili non c’è ricerca. Ne sono un esempio il progetto di Craig Venter sul genoma, la messa in rete della sequenza del virus dell’aviaria di Ilaria Capua e la cura open source di Salvatore Iaconesi.
Delfanti e Iaconesi sono certi che l’Open, grazie alla rete e alle sue capacità di produzione della conoscenza, sia di fatto la più grossa opportunità per realizzare un sapere alternativo.
Si tratta di superare le organizzazioni burocratiche, (università, sistemi sanitari, grandi organizzazioni internazionali) ancora incapaci di comprendere le potenzialità della rete, per valorizzare quell’ecosistema fatto da avanguardie (come ad esempio i biohacker) che praticano la cultura della libera circolazione digitale di dati e di ricerche.
Il ragionamento è continuato (anche se più superficialmente) con un respiro internazionale sabato mattina alla Scuola Normale in un panel con Delfanti, Ravi Sundaram, Alex Giordano, Jaromil, Adam Arvidsson, Maitrayee Deka, e Carlo Saverio Iorio.
Il concetto fondamentale che qui doveva passare era quello di “societing”: un’idea d’impresa completamente aperta, un vero e proprio network che instauri nuovi e forti legami con il sociale quale unico valore a cui attingere; come, per esempio, il progetto Rural Hub raccontato da Giordano.