Totem e tabù del PD lucano

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Vignetta di Zeno

Sara nel suo pezzo per il “Quotidiano”  sintetizza la situazione politica all’interno del PD lucano dopo il risultato delle primarie. La  partenza è il sindaco di Anzi e dirigente PD, Giovanni Petruzzi, che ha fatto una “pubblica” autocritica-accusa  delle  primarie fino a giungere al una parola chiave: “totem“. Peccato non faccia solo un altro passo avanti per definire il tabù che sorregge questo totem. Ma forse, in qualche modo, lo anticipa Pittella con il suo annuncio di  “primarie per tutti” (se avesse detto “chiù pilu pi tutti”  sarebbe stato come dire “15mila posti in 5 anni“).
E’ molto probabile che la forma figurata di questo tabù siano proprio le primarie.  Il problema non è se la  campagna primarista sia stata “giocata tutta su tattica e numeri” (non sarebbe certo una novità se ne parla da quando son nate le elezioni) ma il non riuscire a superare il tabù. Un po’ come quel  Kautsky che Lenin chiamò “rinnegato” perché sosteneva che i bolscevichi non avrebbero dovuto portare il proletariato al potere, ma soltanto favorire l’ascesa della borghesia liberale che avrebbe garantito la democrazia.
Forse qualcuno comincia ad infrangere quel vetro opaco che poco faceva intravedere la natura del mistero. Lo sa bene chi frequenta le chiese che i misteri non sono fatti per essere svelati, ne va del potere pastorale, quello che intercorre tra il gregge e il pastore.
Ora, in breve, qualcuno si chiede se quelle primarie “aperte” (cioè fuori dalla chiesa) siano uno strumento utile alla dottrina o soltanto una machiavellica  strategia da “quinta colonna”.
Se verità della fedele è lontana, la salvezza ultramondana lo è ancor di più.

Vincono le peggiori primarie

Siamo stati abituati a pensare ai partiti come elementi sostanziali del nostro sistema politico. In parte è vero, almeno per quella parte che attiene alla nostra organizzazione sociale,  ma soprattutto perché non conosciamo ancora forme diverse in quanto in questo campo si sperimenta poco.

Se volessimo mettere in una scala evolutiva i progressi delle organizzazioni politiche in relazione alle scoperte tecnologiche non ci ritroveremo neanche il motore a scoppio; sicuramente saremmo ancora imbrigliati nel risolvere problemi come lo smaltimento della cacca dei cavalli.

Forse il paragone sembrerà azzardato ma anche se l’avvicinassimo di più, prendendo un involucro sociale similare come la famiglia, i partiti resterebbero comunque più indietro.  Questa primaria organizzazione, che Hegel amava definire microcosmo riflesso della società, ha accelerato molto di più il suo processo evolutivo modificando quei capisaldi che sembravano vitali: il patriarca (a dispetto della cultura cattolica) è rimasto un semplice elemento retorico; la stabilità e durevolezza non sono più suoi elementi essenziali come non sono più esclusivamente costitutivi i figli e le madri.

In verità i partiti cambiano soltanto pelle come i serpenti ma restano ben impermeabilizzati nella loro struttura costituente. La loro finta mal gestione della rete è uno dei tanti sistemi di auto-difesa.

Prendiamo le varie primarie appena concluse e in un caso solo annunciate  -un sistema non nuovo, risalente addirittura al 1847 che le nostre organizzazioni politiche cercano di rifilarcelo come contemporaneo-  sono state un tentativo iperbolico di far spuntare elementi di democrazia con trucchi da quattro soldi.

Soltanto il Movimento 5 Stelle  ha dimostrato di volere utilizzare, non dico democraticamente, ma almeno lealmente lo strumento: nessuna candidatura è stata posta come precostituita e tutte le “primarie“, dalle candidature, alla campagna elettorale e fino al voto, si sono svolte completamente on-line.

Non ho parlato di democrazia perché non era questo il senso del post, ma soltanto sottolineare come i partititi fingono di interessarsene occupandosi, invece, a tempo pieno di quell’antico puzzle che li tiene in vita attraverso complicati equilibri  instabili creati da persone stabili.

Che ce ne viene a noi di tutto questo? Poco, molto poco, né democrazie e né società del futuro; soltanto una flebile speranza, che almeno perda il peggiore.