Veltroni e i suoi fedeli obamaniani ci hanno abituato a guardare la “galoppata” per le presidenziali USA come il nostro futuro prossimo politico. Il nostro Walter si è rammaricato tantissimo di avere a disposizione soltanto poche migliaia di kilometri da percorrere (come se Obama avesse girato soltanto l’Idaho) ma di più non poteva fare. Bisogna pure riconoscergli una certa continuità: da giovane, nel mentre i suoi compagni cercavano di imparare il russo come seconda lingua e si facevano crescere i baffi alla Stalin, lui col boccolo tifava per Kennedy e ai Festival de l’Unità preferiva The Bossagli Intillimani. La maggior parte di noi, alla fine degli anni ‘70, aveva ancora l’anima divisa tra due continenti di riferimento: uno per la politica e l’altro per lo spettacolo. Lui, invece, aveva un anima sola: l’America e basta. Al grido di “yes, I can” ha cercato in tutti i modi di dare finalmente corpo al suo sogno americano, ma gli italiani, che in cuor loro avevano sposato l’America già dagli anni del boom economico, hanno capito che la strada era quella ma la direzione era diversa e hanno scelto McCain.
In Italia dunque non ha perso Veltroni e ha vinto Berlusconi ma hanno perso i democratici e hanno vinto i repubblicani. Tutto il resto poi sono quisquilie, frange estreme minoritarie (e poco interessanti).
Quindi se il clima è questo, mi son detto, non posso stare troppo staccato e come un bravo scalatore mi sono alzato sui pedali e ho rincorso il gruppo. Mi sono “sciroppato”, diligentemente, la convention repubblicana e debbo dire che ne è valsa la pena. Lo spettacolo è veramente gustoso, interessante e a tratti comico (da fratelli Marx per intenderci). Ma la ciliegina è stato il discorso (guardatelo che ne vale la pena) di accettazione di investitura della Palin.
Per quasi metà dell’intervento presenta i membri della sua famiglia, uno a uno, soffermandosi sulla figlia diciassettente in cinta, sul filgio in partenza per l’Iraq, sul marito fedele, la figlioletta e i nonni commossi. Ma se le vostre lacrime non hanno ancora risalito con forza il canale, tenetevi forte: dopo avre parlato anche del suo ultimo genito, Trig, purtroppo affetto da sindrome di Down, la telecamera continuerà a indugiare, lungamente, su questo bambino che con un “culp de theatre” passa di braccia in braccia da padre a figlia che amorevolmente lo coccola e gli sistema i capelli con la saliva.
Questo si che è spettacolo e in 20 minuti la Palin tocca tutte le corde: odio razziale, decisionismo duro e puro (lei continua astringere i pugni durante il discorso), esperienza di governo, effettività di un cambiamento concreto, ma soprattutto la famiglia, sempre unita comunque vada e soprattutto i figli con “bisogni speciali che ispirano un amore speciale”. A questo punto i pori hanno irrigidito i peli della mia pelle e mi hanno scosso energicamente dai piedi alla testa, il brivido si è fatto sempre più intenso per tramutarsi in nausea (come quando mi è capitato di vedere la Carrà raccontare qualche disavventura commossa al pubblico di Carramba).
St. Paul (Minnesota), 4 settembre…