Raccontare il passato prossimo venturo [1]

Molti come me, forse, si fermano ogni tanto a ricordare cosa usavano in un certo passato (genericamente remoto), una cosa che i giovani fanno di meno, o per niente, soltanto perché questo esercizio mentale ha una relazione interdipendente con l’età anagrafica. La mia memoria si sveglia quasi sempre con un oggetto sul quale leggo le trasformazioni fisiche e funzionali: confronto quell’oggetto esperito in un passato, direttamente o indirettamente, con quello che sarebbe più o meno il suo corrispondente o quanto meno con la sua corrispondente funzione di oggi.

L’oggetto del mio racconto è un gettone telefonico, ritrovato in uno scatolino dimenticato in soffitta, che mi ha rinverdito il ricordo di quando, da militare, vedevo tutti i miei amici con le tasche piene fare lunghe file davanti alle cabine telefoniche per conversare alcuni minuti con i propri cari.  Io, che invece mi ero accordato per per una sola chiamata quindicinale con mia madre,  telefonavo quando ero in “libera uscita” da un posto telefonico pubblico che utilizzava il contatore di “scatti” (unità di misura tempo/conversazione tutt’ora in uso) così potevo pagare in lire. Qualche inconveniente o incomprensione ogni tanto nasceva ma aveva a che fare più con l’onestà del gestore che con la precisione del contatore.

Per inciso, c’erano dei vecchi telefoni che la SIP stava rimuovendo perché con un piccolo trucco potevi fare chiamate intercontinentali con un solo gettone, ma lì la fila era ancora più lunga e quindi non ne valeva la pena.

Il mio interrogativo, contemporaneo a quell’esperienza, era perché non ci fosse un qualcosa, un sistema, che potesse ridurre o eliminare quel trasporto di gettoni che seppure usati normalmente come monete, rimanevano pur sempre un pesante fardello. L’idea era diventata quasi una “fissazione” e spesso ne discutevo con qualche compagno di nottate sognando scenari alla “Star Trek”. Avevamo immaginato di tutto, dal telefono senza fili ai tele-trasportatori (altro inciso: ci chiedevamo “come mai Kirk e compagni si teletrasportavano dappertutto ma per muoversi sull’Enterprise andavano a piedi tra corridoi e ascensori…) non avevamo pensato alla semplice soluzione che già girava nelle grandi città. Me ne accorsi nella stazione di Napoli, che frequentavo per l’università, quando rimasi incantato di fronte a un nuovo telefono pubblico nel quale bastava inserire una scheda magnetica del valore di circa 10 gettoni.

Proprio quando ero convinto (come per il famoso “teorema della cacca di cavallo”) che dell’evoluzione del “gettone” era inutile occuparsene perché le future forme di comunicazione avrebbero reso inutile il telefono (“al massimo un video-citofono”, dicevamo ridendo a crepapelle, “tanto ci sarà il tele-trasporto”), invece il suo concetto rimaneva inalterato. Anzi l’oggetto-gettone, completamente trasportato nell’idea di “scatto”, si ampliava e recuperava uno spazio anche maggiore: pensate, per esempio,  allo “scatto alla risposta”.

Insomma, da buon sognatore, non coglievo ancora la differenza tra il sostituire la materia o il valore di un oggetto d’uso.

Rimanendo sempre “fissato” sull’idea di rivoluzione delle cose in generale, ho visto i primi cellulari osservandoli da una “piccolissima” finestra sull’America (il perché fosse piccola la finestra, unita al concetto di rivoluzione, la dicono lunga sulla mia formazione social-anarchica) ed ho subito pensato che quello era il segno concreto dell’iniziale rovesciamento dell’idea di telefono. Ma mentre io pensavo alla riduzione della distanza uomo/uomo in termini metrici, quella che invece si riduceva era la distanza uomo/telefono. “Beh”, pensai, “almeno non sarà più necessario correre a casa o in una cabina e poi se cerchi qualcuno lo trovi subito”.

Più o meno in quello stesso periodo, in una delle mie visite ai cugini di Parigi, rimasi “incerto” di fronte a un nuovo apparecchio messo di fianco al telefono: il “Minitel” (che, tra l’altro proprio questo mese chiude definitivamente i battenti). Loro cercarono di spiegarmi l’utilità di quell’oggetto come qualcosa che univa video e telefono in sorta di un fusione “interattiva” (il termine l’ho aggiunto io adesso, ovviamente) e io continuavo a vederci solo una semplice estensione telefonica. Quella sarebbe diventata internet e io continuavo a prevedere la scomparsa del telefono.

Ma chissà, non è mai detto.