Nel nostro cervello ci sono delle cellule deputate a rilevare la nostra posizione nello spazio e non come una semplice bussola ma come un vero e proprio sistema di navigazione completo di percorsi, orientamento e memorizzazione delle mappe.
E’ una scoperta, frutto di 30 anni di ricerca, che viene ripagata con il Nobel per la Medicina e la Fisiologia a John O’ Keefe, May‐Britt ed Edvard Moser e che i media, più semplicemente, hanno chiamato “la scoperta del GPS nel cervello”.
Si è vero la metafora del GPS è molto pratica e rende di più l’idea del suo funzionamento, ma al di là di ogni banalità, lo studio dei tre scienziati aggiunge ulteriori tasselli a quel dibattito, che da mezzo secolo impegna la filosofia analitica (e post analitica), sul tipo di calcolo che avviene nel cervello.
Stiamo parlando della teoria computazionale che paragona la mente a un computer, e questa scoperta, in qualche modo, conferma l’esistenza, all’interno della mente, di una struttura di dati che generano rappresentazioni del mondo esterno.
Proprio come il computer, il cervello sembra avere un proprio linguaggio interno, un sistema operativo, delle sotto-strutture e dei codici che consentono alla mente di rappresentare le caratteristiche del mondo esterno come il suono, la luce, l’odore e la posizione nello spazio.
Non sono le immagini o le idee degli oggetti (come racconta la semiotica) a rappresentare il mondo ma un complesso sistema rappresentazionale, formato da strutture simboliche che possiedono una sintassi e una semantica proprie, simili a quelle delle proposizioni del linguaggio naturale.
John O’ Keefe, May‐Britt ed Edvard Moser hanno aperto la strada alle ricerche neuroscientifiche intorno ai codici neurali per la cognizione che, nel prossimo futuro, potrebbero vedere definitivamente insieme la biologia, l’informatica e la filosofia.