Oramai è troppo tardi

Molti ricorderanno il maestro Manzi che negli anni ‘60, da un televisore in bianco e nero, teneva nei banchi i nostri genitori insegnando con una lavagna nera una lingua che faticava a diventare amica.

L’Italia lottava un analfabetismo congenito derivante da divisioni geografiche e storiche. La battaglia da vincere era l’unione di un paese sotto una bandiera culturalmente asincrona  e la TV di Stato doveva svolgere il proprio ruolo sociale e istituzionale.

L’esigenza di raccontare e ragionare sulla lingua italiana continua ma il target è spostato e l’interesse è tutto rivolto ai giovani studenti. Molti programmi per ragazzi (nella fascia di programmazione pomeridiana a loro dedicata) tra una fiaba,  cartoon e un telefilm  infilano un pò di grammatica, uno spicchio di lessico e una manciata di libri da leggere ma tutto molto velocemente perchè ormai la televisione corre e non c’è più posto per i banchi e le lavagne.

Siamo a cavallo degli anni ‘80 e l’impegno viene affidato a  format più leggeri e di svaglo; l’opera di divulgazione continua ma in forma di quiz con trasmissioni televisive come “Parola mia” dove un sorridente professor Beccariaammaliava e bacchettava gruppi di giovani studenti-concorrenti.

Oggi il target di riferimesto si risposta nuovamente. Ai ragazzi non si insegna più la lingua italiana, al massimo li si invita a leggere qualche libro, ma sempre attraverso un quiz.

La lingua italiana adesso è un’emergenza per le massaie che il sabato e la domenica mattina guardando il programma “Mattino in famiglia” possono telefonare al professor Sabatini (Presidente Onorario dell’Accademia della Crusca) che dalla sua minirubrica “Pronto soccorso linguistico” risponde sulla lingua italiana e sui dialetti.

Ma saremo ancora in tempo oppure….  “oramai è troppo tardi” ?

Pressappochismo, malattia infantile del giornalismo

Un consigliere provinciale di Potenza, Gianluca Manzi (qui l’elenco dei nostri amministratori provinciali), scrive una lettera “aperta” al ministro Brunetta per denunciare il “fannullismo” lucano nella pubblica amministrazione.

Risalto viene dato a questa notizia da Mara Vizzo sulle pagine di “Controsenso“, un giornale locale a distribuzione gratuita, del 28/3/09.

Entrambi, politico e giornalista, più che dimostrare l’entità del “fannullismo” mettono in mostra il “pressapochismo” della notizia e dell’informazione.

Il capogruppo dei verdi in consiglio provinciale, cercando di cavalcare la trigre del malcontento popolare, si lega al coro dei tanti che vedono internet come il male estremo della pubblica amministrazione e dunque dello spreco pubblico.

Le accuse “generiche” fatte ai lavoratori sono di quelle che fanno accapponare la pelle: “i lavoratori della Pubblica Amministrazione sarebbero propensi a distrarsi on line, trascorrerebbero diverse ore a comunicare con amici e parenti, a scambiare foto e video, a espletare, insomma, tutte quelle pratiche del web che oggi vengono riassunte sotto il termine generico di social networking“.

Come biasimare Manzi ? Dice la Vizzo la quale, aggiunge il carico da novanta: “i dati parlano molto chiaro“…  Ma quali sono i dati allarmanti ?

La solerte giornalista cita prima un dato che riguarda le visite globali fatte a Facebook in Italia (ma attenzione non si cita alcuna fonte) di «1 milione e 300 mila» e poi una ricerca condotta dalla NUS Business School dell’Università di Singapore che è del 2008 di cui su WebMaster Point del 22 settembre 2008 potete leggere qualche cosa !!!

Ma non è tutto. Oltre a riciclare una vecchia notizia, la giornalista rigira la frittata utilizzando dati che nella ricerca originale invece rilevano l’esatto contrario di quanto si cerca di sotenere nell’inetro articolo di Controsenso.
I rsultati della ricerca indicano che questa attività “non sottrae
produttività, anzi, rende il lavoro più piacevole e predispone il
dipendente a un atteggiamento più positivo nei confronti degli impegni
che deve portare a termine”.


Ma il problema è sempre lo stesso, si lanciano accuse generiche di “fannullismo” senza il dovere di dimostrare alcunchè portando a supporto dati ancora più generici che riguardano l’intera popolazione italiana e addirittura mondiale, per concludere cosa ? Che bisogna contenere lo spreco attraverso “intranet e non internet” e limitando le visite ai siti ufficiali.

Ma lo sanno il nostro consigliere provinciale e la nostra giornalista filo brunettiana che mezzora di vita di “un’auto blu” costa più di un mese di navigazione internet di mille dipendenti ?  Che 60 minuti di inattività di un dipendente pubblico costano assai meno di un minuto di inattività di un consigliere provinciale ? E che tra i tanti “enti inutili”  il suo caro Brunetta mette proprio al primo posto le Amministrazioni provinciali ?