Che aprile aspetti #NuitDebout

elkhomri“La mia utopia è che ognuno ha il diritto di lavorare” è il motto di Myriam El Khomri, 38 anni, socialista e ministro del Lavoro nel Governo Valls, autrice di una legge di riforma del lavoro molto simile al Jobs Act di Poletti.

Certo è uno strano modo di pensare al diritto al lavoro quello di El Khomri che, come Renzi, avvia una liberalizzazione del mercato del lavoro attraverso la libertà di licenziare (anche solo per una riduzione delle commesse dell’azienda).

In quanto a liberalità la riforma francese fa anche di più: privilegia in assoluto la contrattazione decentrata in modo da favorire accordi particolari sia sull’orario di lavoro (in casi eccezionali potrebbero arrivare anche a 60 ore settimanali – superando di gran lunga il durèe maximale di 35 ore) che sul salario, con una riduzione dell’importo degli straordinari.

Inoltre apre le porte all’approvazione di qualsiasi porcheria contraria ai diritti dei lavoratori, con il semplice avallo di un referendum interno all’azienda, anche laddove sono presenti soltanto i sindacati minori o “gialli” come la CFDT (che, infatti,  è favorevole alla riforma).

In sostanza anche la Francia si allinea a quei paesi europei che hanno adottato misure similari (in Germania la riforma Hartz, in Spagna il “Decretazo” e in Italia il Jobs Act) nel facilitare i licenziamenti e nel rendere autonome le decisioni degli imprenditori rispetto agli accordi collettivi nazionali.

La differenza è che mentre in Italia la protesta si è completamente sgonfiata e i sindacati si sono rassegnati, compresa la CGIL a cui è bastata la sua “Carta del lavoro” che non si capisce bene a cosa dovrà servire, in Francia la mobilitazione continua e non ha nessuna intenzione di acquietarsi.

Il 9 marzo un milione persone hanno detto no alla “Loi Travail” e alla svolta liberista del Governo Valls.  Sono scesi in piazza tutti i settori: dai trasporti al pubblico impiego, dal commercio alla scuola.

Con la scusa dello stato di emergenza, la polizia ha messo in moto misure restrittive e repressive forse mai viste in Francia

foto di outofline photo collective

(numerosi feriti, 130 fermati e 4 arrestati), eppure il movimento non ha arretrato, anzi ha aumentato la sua presenza nelle piazze e quella manifestazione del 31 marzo non è terminata normalmente come tutte le altre, ma ha proseguito fino a Place de la Republique occupandola per tutta la notte.

NuitDebout è lo slogan e l’hashtag che rimbomba in rete.

Una notte in piedi in quella piazza, e poi in altre piazze ancora (così come le esperienze analoghe di Occupy Wall Street e degli indignados), per parlare e per discutere dell’idea di El Khomri di istituzionalizzare il precariato come nuova riforma del mondo del lavoro.

La mattina seguente è aprile e la polizia tenta di sgomberare la piazza da persone e cose, con il chiaro intendo di mettere la parola fine a quella mobilitazione.

Il neonato movimento capisce che quel 31 marzo non può finire così, che non può esserci un primo aprile della polizia e del governo, che è necessario riappropriarsi anche del tempo, che marzo deve continuare con la protesta, con la lotta e che aprile può aspettare.

A Parigi, come a Nantes a Rennes e poi a macchia d’olio in oltre 60 città francesi,  marzo continua con il 32, il 33, il 34… oggi è ancora il 44 marzo.

foto di The GuardianAnna Maria Merlo su il Manifesto, dice che “per il momento, Nuit Debout non è ancora matura per una traduzione politica”, ma il fatto è che quando parliamo di traduzione politica abbiamo spesso il capo rivolto ai partiti istituzionali.

Questo movimento ha iniziato a studiare da solo e, con le sue “commissioni”, legge e affronta i diversi problemi politico-sociali nella società liberista.

Tenta di individuare soluzioni e soprattutto ha ben compreso che il progetto di smantellamento dello stato sociale non è un evento locale, isolato, francese, ma appartiene a tutta l’Europa.

Ecco la necessità di unire tutte le lotte e di praticare una nuova forma di partecipazione, diversa dal “militantismo tradizionale” chiuso nelle sue cerchie, allargata a tutta la società e a tutte le forme di disagio.  Anche la violenza va evitata, non isolata ma incanalata in proposte concrete e operative.

Carl Marx con l’analisi storica del 18 Brumaio ci insegna che il movimento reale pone sempre delle problematiche alla teoria e questa, a sua volta, deve tendere a trovare soluzioni sempre guardando al movimento reale.

Se volete approfondire, seguire, contribuire o anche solo curiosare: qui trovate il programma (e la petizione) e la mappa dei “rassemblements”.

Il movimento c’è anche su Facebook (c’è anche un gruppo italiano) e su Twitter;  ci sono le dirette su Periscope e trovare anche un po’ di materiale su GitHub.

Netstrike (HowTo e sciopero sociale)

pugno-redAccade in questi anni, in questi giorni, che un complesso mondo costituito da quasi 4 milioni di lavoratori “senza volto” (atipici o astabili che neanche i sindacati riescono a rappresentare o anche solo ad averne una visione d’insieme), rivendichi il proprio diritto di esistenza.
E capita che in tempi di crisi si faccia spazio quell’incapacità, tutta istituzionale, nel non saper rispondere alle richieste emergenti dalla società.  Anzi, solitamente, questa incapacità viene accompagnata da una “reazione” violenta, spesso di tipo preventivo, tendente a disarticolare le forme di associazionismo derivanti.
Questo mondo-altro, a un certo punto, decide di auto-riprodurre la propria identità attraverso la rappresentazione, anonima e dissenziente, del  malessere e del disagio.
La domanda che questi si rivolgono è:  chi l’ha detto che lo sciopero è una macchina di esclusivo appannaggio sindacale?
Ed ecco proclamato lo sciopero sociale del 14 novembre, con l’obiettivo di esprimere un secco, ma forte, no al Jobs Act di Poletti-Renzi e alla loro fabbrica della precarietà.
L’evento fa esultare Bascetta, su Il Manifesto,  intorno a una “coalizione di intel­li­genza” che, liberandosi dai modelli categoriali del neo­li­be­ri­smo, può riunire il lavoro dipen­dente alle “atti­vità senza nome e senza reddito“.
La cosa ancor più interessante, per chi come me ha sempre un occhio attento al digitale e ai social media, sono i podromi dello sciopero sociale: l’intenzione di occupare anche gli spazi della comunicazione impersonale che si sono moltiplicati nella società post moderna.
Anzi, per dirla con le parole di Eigen-Lab, “rovesciare il tavolo dello spazio di dibattito offerto e creato dai social networks per prenderlo dall’interno, per trasformarlo in spazio politico“.2014-10-10_165730
Con l’idea che  “batte il tempo dello sciopero sociale” ci sono già stati dei primi avvicinamenti ai social con prove tecniche di Tweetstorm.  Prove  che hanno portato il 10 ottobre, in preparazione e diffusione dello sciopero sociale, a lanciare  una “guerrilla tag”  con l’hashtag  #socialstrike  che ha scalato la classifica dei trending topic  e in soli 12 minuti ha raggiunto il secondo posto, per assestarsi al terzo per circa tre ore  (il primo posto sarà giustamente tenuto dall’hashtag sull’alluvione a Genova).
L’evento viene ripetuto nuovamente  il giorno prima dello sciopero sociale del 14 novembre con l’hashtag #incrociamolebraccia  e  anche questa volta si scala la classifica e si raggiunge la quinta posizione.
Insomma è importante che si stiano studiando i meccanismi che rendono più visibili gli argomenti in discussione attraverso la riappropriazione degli algoritmi che sono alla base dei social network.  L’operazione è immane e importante perché tende ad 10734005_1546081938965218_3448433219448854954_n-e1417027657349intaccare il potere di chi decide il valore dei contenuti che riempiono il web.  Occupare gli spazi e condizionare i contenuti vuol dire ribaltare i rapporti di forza all’interno dei social che per definizione dovrebbero avere un alto valore in basso.  Dunque, immaginare delle pratiche collettive di sciopero che attraversino la rete è la dimostrazione che un modo, per certi versi autoestraneizzatosi dai social,  può e vuole riappropriarsi di tutto quanto riversato, giorno per giorno, istante per istante, in questi colossi digitali di vita sociale .

E’ ovvio che tutto dovrà essere  migliorato, affinato, digerito e certamente nel prossimo futuro si riuscirà a mettere in piedi anche un vero e proprio NetStrike.
Di sicuro la strada è tracciata e le basi di un nuovo linguaggio comune sono state gettate.
Non resta che riempire di idee e contenuti quell’ipotesi di  “coalizione di intelligenza” di cui parlava Bascetta, anche attraverso la riunificazione dei movimenti che in tal senso già operano da anni, come lo storico Hacktivism, poi tutto il resto è il presente.