GlassUp vs Google Glass

<img class="alignleft size-thumbnail wp-image-2691" alt="glassup" src="http://www team task management software.vitocola.it/wordpress/wp-content/uploads/2013/07/glassup-150×150.jpg” width=”150″ height=”150″ srcset=”http://www.vitocola.it/wordpress/wp-content/uploads/2013/07/glassup-150×150.jpg 150w, http://www.vitocola.it/wordpress/wp-content/uploads/2013/07/glassup-55×55.jpg 55w, http://www.vitocola.it/wordpress/wp-content/uploads/2013/07/glassup-179×179.jpg 179w” sizes=”(max-width: 150px) 100vw, 150px” />L’azienda italiana GlassUp lancia un progetto alternativo ai Google Glass.
L’idea è su Indiegogo  ed ha già raccolto 26.000 dollari, l’obiettivo finale è di 150.000. I GlassUp si collegheranno allo smartphone e stenderanno davanti agli occhi e-mail, sms, aggiornamenti di Facebook, Twitter, ecc….  ma, ovviamente, non si potrà rispondere né ai messaggi né alle e-mail e tanto meno si potrà scattare una foto.
In realtà le informazioni dallo smartphone vanno agli occhiali via bluetooth e le notifiche vengono visualizzate sulle lenti.
L’ideatore del progetto, Gianluigi Tregnaghi (che sostiene di aver pensato agli occhiali a realtà aumentata prima di Google) sottolinea il fatto che i suoi occhiali costeranno solo 399 dollari, rispetto ai 1.500 di Google.

[via Mashable]

Indie games

La parola indie, come per tutti i campi in cui viene impiegata, sta per independent e rappresenta un approccio autonomo (e  indipendente dall’industria) di sviluppare e produrre. Lo stesso vale per i giochi, dove piccoli amatori producono in proprio un gioco tenendosi a debita distanza dalle software house che impiegano molte risorse e monopolizzano il mercato.

All’inizio erano singoli autori che sviluppavano a proprie spese un gioco, distribuendolo, poi, “alla buona” e magari cercando di racimolare almeno le spese.

Il loro valore aggiunto, nel tempo, è stato quello di innovare il settore della distribuzione digitale e di dribblare le major. Anche se poi giochi come Braid, World of  Goo, e il più famoso Minecraft, sono diventati un successo anche finanziario.

Proprio perché il mondo indie si è esteso a dismisura oggi ci si trova di fronte a due tendenze ben separate di questa “filosofia digitale” che possiamo, sommariamente, dividere in quella purista e quella artigiana.

L’Indie puro è sinonimo di amore per la realizzazione del gioco; chi lo realizza lo fa per sviluppare una propria idea senza intromissioni e intermediazioni di nessun tipo, né tecniche e tanto meno economiche (per intenderci neanche quelle sulla piattaforma su cui dovrà poi girare il gioco).

La corrente artigianale, invece, prevede soltanto alcune caratteristiche sommarie relativamente all’impiego delle risorse umane e finanziarie: l’importante è essere in pochi e con un badget limitato. Da quest’idea sono nate piccole o medie software house che si definiscono indie come, per esempio, Codemasters.

Ma è bene non confondere il concetto di indie con quello di “professionalità” perché, altrimenti parleremmo di qualcos’altro: un piccolo team di sviluppatori (anche uno solo) che segue canonicamente una linea professionale di produzione sarà sempre e soltanto una piccola azienda e basta.

Oggi il campo di applicazione è fortemente orientato verso le piattaforme di crowdfunding (che è un’idea tutta italiana, se sei curioso leggi qui), dove piccoli e/o singoli autori lanciano la loro idea di progetto unitamente a una raccolta di finanziamenti. Qui l’idea, meglio se corredata di un progetto di fattibilità, si costituisce come una vera e propria campagna di raccolta fondi i cui finanziatori non sono nient’altro che i futuri utilizzatori del gioco. Anche qui l’aria si è rarefatta, soprattutto per via della sicurezza degli utilizzatori e oggi, si può dire, che le piattaforme più sicure e più utilizzate sono un paio: Indiegogo e Kickstarter.

Si imposta il progetto, si lancia la campagna di finanziamento, che dovrà prevedere l’obiettivo economico da raggiungere e il tempo stabilito per il suo raggiungimento, e  si pagano i costi per l’uso della piattaforma e per il “fallimento” del progetto (più o meno, in ordine, dal 4%  al 9% dell’importo del progetto).

Beh, non si pensi che l’industria sia stata a guardare, tutt’altro, sono più di dieci ani che questa pesca autori e progetti nell’universo indie che, in questo caso, funzionano come da startuppers. Si pensi, ad esempio, all’Independent Games Festival dove di indipendente è rimasto soltanto il nome.