The Binding of Isaac

Isaac è un bambino normale e vive in una casetta su una collina. La madre, fervente cristiana, passa il tempo a guardare un canale TV cristiano.

Fin qui nulla di strano, se non il fatto che la mamma di Isaac, all’improvviso, inizia a sentire una voce che gli dice che suo figlio, purtroppo, è fuorviato dal peccato e quindi bisogna salvarlo dal male togliendogli tutti i giocattoli e i videogiochi. Ma non basta, perché la voce si ripresenta alla madre dicendogli di chiudere a chiave Isaac nella sua stanza.

Neanche questo basterà, perché la voce chiederà alla madre una prova della sua fede chiedendole di uccidere/sacrificare il figlio.

La madre prende un coltello e va verso la stanza di Isaac il quale, però, avendo visto tutto attraverso un buco della porta, scappa infilandosi in una botola che c’è nel pavimento della sua stanza, lasciando un suo disegnino appeso a una parete.

Parte così il gioco fatto da tanti livelli casuali da concludere per giungere a diversi finali.

The Binding of Isaac, ovviamente ispirato al sacrificio di Isacco, è stato considerato blasfemo e avversato per diverso tempo dai cristiani di tutto il mondo. E’ un gioco indie realizzato da McMillen (lo stesso autore di Super Meat Boy) ed è su Steam e Humble Indie Bundle già dal 2011.

Ve lo consiglio è davvero molto divertente.

 

Indie games

La parola indie, come per tutti i campi in cui viene impiegata, sta per independent e rappresenta un approccio autonomo (e  indipendente dall’industria) di sviluppare e produrre. Lo stesso vale per i giochi, dove piccoli amatori producono in proprio un gioco tenendosi a debita distanza dalle software house che impiegano molte risorse e monopolizzano il mercato.

All’inizio erano singoli autori che sviluppavano a proprie spese un gioco, distribuendolo, poi, “alla buona” e magari cercando di racimolare almeno le spese.

Il loro valore aggiunto, nel tempo, è stato quello di innovare il settore della distribuzione digitale e di dribblare le major. Anche se poi giochi come Braid, World of  Goo, e il più famoso Minecraft, sono diventati un successo anche finanziario.

Proprio perché il mondo indie si è esteso a dismisura oggi ci si trova di fronte a due tendenze ben separate di questa “filosofia digitale” che possiamo, sommariamente, dividere in quella purista e quella artigiana.

L’Indie puro è sinonimo di amore per la realizzazione del gioco; chi lo realizza lo fa per sviluppare una propria idea senza intromissioni e intermediazioni di nessun tipo, né tecniche e tanto meno economiche (per intenderci neanche quelle sulla piattaforma su cui dovrà poi girare il gioco).

La corrente artigianale, invece, prevede soltanto alcune caratteristiche sommarie relativamente all’impiego delle risorse umane e finanziarie: l’importante è essere in pochi e con un badget limitato. Da quest’idea sono nate piccole o medie software house che si definiscono indie come, per esempio, Codemasters.

Ma è bene non confondere il concetto di indie con quello di “professionalità” perché, altrimenti parleremmo di qualcos’altro: un piccolo team di sviluppatori (anche uno solo) che segue canonicamente una linea professionale di produzione sarà sempre e soltanto una piccola azienda e basta.

Oggi il campo di applicazione è fortemente orientato verso le piattaforme di crowdfunding (che è un’idea tutta italiana, se sei curioso leggi qui), dove piccoli e/o singoli autori lanciano la loro idea di progetto unitamente a una raccolta di finanziamenti. Qui l’idea, meglio se corredata di un progetto di fattibilità, si costituisce come una vera e propria campagna di raccolta fondi i cui finanziatori non sono nient’altro che i futuri utilizzatori del gioco. Anche qui l’aria si è rarefatta, soprattutto per via della sicurezza degli utilizzatori e oggi, si può dire, che le piattaforme più sicure e più utilizzate sono un paio: Indiegogo e Kickstarter.

Si imposta il progetto, si lancia la campagna di finanziamento, che dovrà prevedere l’obiettivo economico da raggiungere e il tempo stabilito per il suo raggiungimento, e  si pagano i costi per l’uso della piattaforma e per il “fallimento” del progetto (più o meno, in ordine, dal 4%  al 9% dell’importo del progetto).

Beh, non si pensi che l’industria sia stata a guardare, tutt’altro, sono più di dieci ani che questa pesca autori e progetti nell’universo indie che, in questo caso, funzionano come da startuppers. Si pensi, ad esempio, all’Independent Games Festival dove di indipendente è rimasto soltanto il nome.