Per capirsi è sempre, o quasi sempre, meglio intendersi sulle basi comuni di partenza. Di partenza e non di arrivo ci si preoccupa, quindi, quando si è in procinto di mettersi in viaggio con la mente o con il corpo. E di viaggio si parla sia nell’uno che nell’altro caso. O che abbia veramente fatto la valigia o se sto semplicemente iniziando un ragionamento con un amico oppure se ho soltanto superato la prima di copertina di un libro, sto compiendo il mio viaggio.
Certo, se qualcuno mi parla di viaggi a me vengono in mente tante cose ma quelle che suscitano di più la mia attenzione sono i racconti di un viaggio; le impressioni del viaggiatore, i suoi punti di vista diretti o obliqui sul mondo.
Non dimenticherò mai l’entusiasmo di un mio amico nel cercare di farmi comprendere, a gesti e urla, l’esagerata smodatezza dimensionale di un’America raccontandomi della grandezza dei rubinetti delle vasche da bagno degli hotel, o di quella delle confezioni di latte o succhi di frutta nei supermarket di New York. Dai racconti se ne ricava sempre qualche massima e la sua fu che l’America è grande anche nelle cose piccole.
In sostanza o si viaggia per raccontare o si legge (o si ascolta) per viaggiare.
Per questo fin da bambino in viaggio non riuscivo a leggere se non di notte; il giorno anche soltanto appiccicato con il naso a un finestrino assaggiavo con gli occhi tutti i posti che mi scivolavano davanti. Immaginavo con la velocità di un flash istanti di vita di un mondo che sarebbe potuto essere o divenire concreto nella realtà ma sempre assai dissimile dalla mia enciclopedia familiare. Ma quei micro viaggi lasciavano ben presto il posto a immagini macroscopiche che avrebbero occupato a vita la mia memoria. Se penso, per esempio, ai primi viaggi verso Roma o Venezia o Milano o Parigi ricordo bene il Colosseo, piazza san Marco, il Duomo e la Tour Eiffel ma ho completamente cancellato i particolari del viaggio di andata. Probabilmente se fossi stato un scrittore avrei appuntato tutte le impressioni del viaggio anche se forse le avrei scartate in seguito, ma solo in seguito. Un po’ come quando, in epoca analogica, scattavamo centinaia di fotografia senza mai stamparne i negativi.
Un tragitto diventa viaggio attraverso il racconto e con il racconto quel viaggio diventa metaviaggio.
Chi non ricorda “I viaggi di Gulliver”, “Il milione” oppure l’inferno di Dante (anche senza le illustrazioni di Dorè) o anche le accurate descrizioni manzoniane dei viaggi di Renzo ? Insomma, a conti fatti, abbiamo più viaggiato stando fermi che prendendo treni o autobus.
Ecco perché vorrei mettere 4 pietre miliari in un percorso compiuto in gioventù, attraverso quei libri che mi hanno fatto viaggiare o spinto più lontano possibile.
Il primo fu “On the road” di Kerouac che lessi attentamente con un maniaco interesse per le tappe geografiche (alla “google maps”). Ricordo che disegnai una piccola cartina degli Stati Uniti su cui indicai i percorsi che Deane Sal compievano sulle highways che dall’America portavano in Messico.
“Fantastic Voyage”, diventato “allucinante” nella traduzione italiana sia del libro che della versione cinematografica, di Isaac Asimov ha rappresentato invece l’esperienza del viaggio impossibile poiché non al di fuori ma al di dentro di un corpo umano non come percorso metaforico ma fisico-biologico.
Quello tratto dalle memorie di Woody Guthrie, “Questa terra è la mia terra” (“Bound for glory”), è il percorso-fuga degli hoboes lungo le strade ferrate dell’America della depressione; tutto raccontato sulle corde di una chitarra su cui era inciso “Questa macchina ammazza i fascisti!”.
L’ultimo, “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Pirsig, è forse la sintesi degli itinerari da dentro a fuori e da fuori a dentro. Un percorso in motocicletta dal Minnesota al Pacifico che diventa viaggio degli occhi e della mente. Come recita la quarta di copertina “Qual è la differenza fra chi viaggia in motocicletta sapendo come la moto funziona e chi non lo sa? In che misura ci si deve occupare della manutenzione della propria motocicletta? Mentre guarda smaglianti prati blu di fiori di lino, nella mente del narratore si formula una risposta: «Il Buddha, il Divino, dimora nel circuito di un calcolatore o negli ingranaggi del cambio di una moto con lo stesso agio che in cima a una montagna o nei petali di un fiore».