Come dicono Ballerin e Vannuccini su L’Espresso “la cosa preoccupante è che i media abbiano preso l’abitudine di pattinarci sopra come se fosse la superficie piana e liscia dell’ovvia normalità”.
E’ come se tutti noi ci fossimo abituati all’idea che l’Europa non è proprio come l’avevamo immaginata. Cioè, non un’unione di stati paritari, indipendentemente dalla loro forza economica, ma una semplice congrega in cui pochi soggetti, la Germania in particolare, controllano e bilanciano esclusivamente interessi economici.
Insomma dopo l’entrata dell’euro, la storia ci consegna un’Europa con una moneta forte che, in questi anni, ha soltanto impedito svalutazioni “terapeutiche”, costringendo diversi paesi a diventare poco competitivi sul mercato estero e troppo deboli su quello interno.
Mentre in Italia, per esempio, si utilizzava la svalutazione monetaria nei periodi di crisi per favorire l’esportazione, in Germania si adottavano politiche economiche e fiscali che risanavano i mercati interni. Politiche che sarebbero poi servite per stabilire dei parametri generalizzati a Bruxelles.
Ecco che, per esempio in Grecia, al di là della corruzione, l’evasione, ecc…, il forte euro ha abbassato notevolmente gli afflussi turistici in favore di altri paesi con moneta più debole (Tunisia, Egitto, Giordania, ecc…) ed ha aperto il mercato interno a prodotti che nel 70% dei casi è di origini tedesche.
Quindi, di fatto, la Germania è diventata quasi concorrente di se stessa nella zona euro.
In sostanza (e il referendum greco questo può significare) non soltanto l’euro si è dimostrato come uno strumento di fallimento ma anche il modello sociale che si è tentato di esportare è fallimentare. E questo lo sa pure la Germania che in tutto questo clima di crisi ha mirato soltanto a portare a casa il grosso bottino ma senza neanche voler diventare l’unica potenza che guida l’Europa.
L’Italia, la Grecia e tutti gli altri stati deboli non possono svalutare alcunché per riprendersi e devono, in alternativa, adottare un modello austero che attraverso un capitalismo di sottosviluppo erode progressivamente lo stato sociale.
Che fare?
Mai come adesso non ci resta che “investire in democrazia”, come dicono Vattimo e Pisani, appropriandoci dello spazio della politica.