La notte più buia della Big Apple

Di fronte all’Oceano Atlantico, sulla foce del fiume Hudson, sorge New York, la città più popolata degli Stati Uniti.
La chiamano Big Apple perché il suo perimetro urbano somiglia a una grande mela e sembra che il primo ad accorgersene sia stato Edward Martin che così la definì nel suo libro “The Wayfarer in New York” del 1909. Vent’anni dopo il giornalista sportivo John Fitzgerald, intitolò la sua rubrica sulle corse di cavalli a New York “Around the Big Apple”, mentre  nel 1971 l’Ufficio del Turismo adottò ufficialmente il simbolo della mela accanto al nome della città.
Il periodo più buio della storia della grande mela è certamente il 1977. Lo stato sociale è completamente a pezzi e il livello di povertà è al suo massimo storico. Il sindaco democratico Abraham Beame (che alla fine di quell’anno terminerà il suo mandato) per fronteggiare la crisi economica, come da consolidata tradizione liberista aveva varato un taglio indiscriminato di tutte le spese per i servizi sociali.  Come di solito, in questi casi, a farci le spese sono le fasce sociali più deboli con il conseguente inasprimento della pace sociale soprattutto nei quartieri poveri della città.
Infatti le gang oltre a controllare il traffico della droga sono anche l’unico riferimento sociale ed economico dei giovani americani dei quartieri popolari. Come se non bastasse, David Berkowitzuz, denominato “il figlio di Sam” (o il “killer della 44”), ha già ammazzato sei persone, ferendone altre nove. Berkowitzuz era il cognome della famiglia che lo aveva adottato perché lui, in realtà, si chiamava Falco ed era figlio di un pescivendolo italo-americano che lo aveva abbandonato alla nascita.  Il killer confesserà, dopo la cattura, di essere stato “affascinato dalla stregoneria, dal satanismo e dalle scienze occulte fin da bambino” e che il film “Rosemary’s Baby” lo aveva colpito in modo particolare.
Prima che Berkowitzuz fosse catturato (dai poliziotti italo-americani Strano, Gardella e Falotico il 10 agosto), alle 21 e 30 del 13 luglio sulla Big Apple cala la notte più scura che i newyorkesi ricordino.
Quasi in tutta la città va via la luce e l’interruzione durerà fino alla sera del giorno successivo. Un violento temporale ha fatto saltare le linee dell’alta tensione della società elettrica “Con Edison”  provocando un blackout totale sull’intera rete.  Solo il distretto del Queens si salva perché è da sempre servito da un’altra compagnia elettrica, la “Long Island Lighting Company”.
Un po’ il buio ma soprattutto il disagio dei sobborghi e dei quartieri  popolari come Brooklyn, Harlem e il South Bronx, scatenarono una serie di rivolte urbane spontanee.  Circa duemila negozi furono saccheggiati e quasi la metà incendiati.  Il giorno dopo i bollettini della polizia parlarono di oltre tremila arrestati e quelli della stampa ufficiale sottolinearono soltanto due concetti chiave: saccheggio e vandalismo.
La morale conseguente fu facile da riassumere in un solo titolo: “notte di terrore“.
Eppure ci furono anche quelli, come gli abitanti del Greenwich Village, che scesero in strada e cantarono e ballarono per tutta la notte a lume di candela.
Poi la luce ritornò e anche se non si riuscì a fare chiarezza fino in fondo sulle responsabilità di quel lungo back out, restava ancora un killer da catturare e una mela da sgranocchiare. Nel frattempo nelle sale cinematografiche si proietta Star Wars e a Memphis muore Elvis Presley, giusto per completare il buio più pesto della storia, e non solo di New York.