Benedetta ingenuità aristotelica

impetus
La teoria dell’impetus di Buridano

Come fa una freccia a proseguire la sua corsa dopo che l’arco l’ha scoccata?

Aristotele immagina che dipenda dalla densità dell’aria e dal tempo che la freccia impiega a perforarla.
L’alessandrino Filopono ritiene, invece, che non ci sia una così diretta proporzionalità tra densità e mezzo, poiché lo stesso movimento si verifica anche nel vuoto. A parte l’attrito, l’aria non influisce più di tanto, perché l’oggetto cade a causa del suo peso. Questa nuova idea apre la strada, 800 anni dopo, all’Impetus di Buridano.
Quasi 1600 anni per passare da un’idea “ingenua” a una più scientifica?  Si ma, attenzione, senza che l’una abbia annullato l’altra. Come ci racconta Dan Sperberg,  entrambe le teorie (ingenua e scientifica) si fondono e si sovrappongono in un turbinio indistinguibile del comune sentire quotidiano.

Le teorie ingenue sono concettualizzazioni personali che, mettendo a valore le esperienze dirette, passano da interpretazioni singole a concetti generali.
La psicologia ingenua, per esempio, ci permette di fare previsioni inferendo uno stato mentale dall’osservazione di un comportamento; la fisica ingenua ci fa comprende facilmente la caduta di una mela dall’albero e ci fa stupire per le volute di una foglia.
A partire da Bion e per finire alla Teoria della mente, si ritiene (più o meno) che questi saperi derivino da capacità cognitive, altamente specializzate, deputate proprio all’elaborazione di specifiche informazioni.

Giusto per mettere le mani avanti (e anche perché il post non è un approfondimento scientifico) debbo evidenziare il fatto che, per esempio, uno dei punti di forza della teoria modulare fodoriana è la natura sintattica dei dati, mentre il modulo della psicologia ingenua acquisisce dati in forma semantica senza chiarire in che modo trasforma questa informazione sensoriale... E non me ne voglia la mia amica Carmela appassionata di "metarappresentazioni".

Paolo Bozzi sostiene che tali teorie valorizzano il mondo delle esperienze per formare concetti primordiali che poi si evolvono in concettualizzazioni di grado superiore e,  spesso,  in nuove modalità di realizzazione di tali concetti.
Come la fisica e l’economia anche la politica ha una sua teoria ingenua sviluppatasi, probabilmente,  a partire dalla polis ateniese che, non a caso,  Alcibiade  definisce come inevitabile follia (“al di fuori di essa possono vivere solo le bestie o gli dei“).
Susan Carey ha stabilito che nei primi anni di vita del bambino è già presente una psicologia ingenua e una fisica ingenua, mentre una economia ingenua e una politica ingenua iniziano a svilupparsi solo qualche anno più tardi.
I bambini di 4 anni, per esempio, sanno già cosa è proibito, cosa è possibile e cosa è impossibile; poi, pian piano, iniziano a sviluppare una nozione di autorità, di regola e di obbedienza che faranno da fulcro a elaborazioni più complesse.
Grossolanamente possiamo dire che all’età di dieci anni iniziamo a formarci i primi concetti politici.

Ora il problema è che questa politica ingenua si arricchisce velocemente (con tecniche retoriche e tattiche militari) ma non va oltre il suo stato primordiale; resta, per così dire, fissata nel suo brodo ingenuo, non potendo approdare in niente di scientifico (con buona pace degli studiosi di “Scienze Politiche”). E’ come se fossimo ancora immersi in quell’intermezzo di “crescita” che separò Aristotele da Buridano.  Per dirla con una metafora semplice, siamo ancora convinti che il sole ruoti intorno alla terra e ci raccontiamo, soddisfatti, di come si alzi e si abbassi all’orizzonte.

Le leggi della politica codificano l’incertezza e l’irregolarità del presente per compiere semplici e fantasiose previsioni sul futuro. Mischiamo storia, economia e religione per confortarci con le “dottrine”  e per conferma continuiamo a osservare ingenuamente la realtà credendo quasi esclusivamente ai nostri occhi.  In definitiva, sguazziamo nel regno delle “qualità terziarie”; quelle in cui  si attribuisce un carattere soggettivo a quasi tutto. Quel soggettivo che resta il nostro mondo possibile. Chissà quando una rivoluzione concettuale interesserà anche la politica, separando le credenze del senso comune da qualcos’altro che somigli a qualcosa di scientifico. Questo è un mondo che si è dotato di leggi vere e proprie che nessuno si sognerebbe di sminuire (anzi la loro violazione ci è impedita con forza) e sono leggi utili a sfuggire dall’ipotetico errore umano.  Sono leggi che servono a farci correre nella grande ruota del sistema senza essere attirati dal dubbio.

Aristotele, per esempio, era convinto che l’errore interessasse solo i fatti periferici e mai il sistema in generale; poi però arrivò Galileo che mise in discussione proprio quel sistema.  Ciò che separò i loro mondi possibili fu semplicemente un diverso senso dell’errore.

Ecco, in politica, noi siamo ancora fermi a una concezione aristotelica del mondo.

 

La sostenibile leggerezza del nobel

Con buona pace del nobel Barack Obama rinforza la presenza americana in Afghanistan inviando altri 30mila soldati e chiedendo un rinforzo anche dagli altri paesi Nato.

Questo “nuovo” piano militare costerà agli americani 30 miliardi di dollari in più (in aggiunta ai 130 miliardi già stanziati e che il Congresso si appresta a votare) che farà salire il costo complessivo di questi nove anni di guerra vicino ai mille miliardi; più o meno la stessa cifra prevista per finanziare la tanto annunciata riforma sanitaria.

Il nuovo finanziamento che occorre adesso sarà, con molta probabilità, recuperato da una tassazione ad hoc così come era già stato annunciato da Nancy Pelosi.

Ma se Fidel Castro si è chiesto se Obama merita il Nobel con una misera riduzione di emissioni di CO2 e Michael Moore si impressiona soltanto al pensiero di   indossare i panni del presidente, per questi nuovi soldati che andranno a morire, Noam Chomsky invece ci aveva visto lontano. In un’intervista del 23 ottobre sul “Venerdì  di Repubblica”, il noto linguista e filosofo americano aveva detto che Obama meritava si il nobel ma soltanto “per la comunicazione”. Come a dire, tutto fumo e niente arrosto.

Chomsky aveva predetto le intenzioni  di Obama di inviare nuove truppe in Afghanistan deducendolo anche da quegli inspiegabili ampliamenti del personale diplomatico nelle regioni di guerra che proseguivano semplicemente un vecchio progetto di Bush.

Alla domanda di Emilia Ippolito di “Repubblica” se Obama in qualche modo ricordava JFK, Chomsky risponde: “ricordo che ai tempi di John Kennedy i miei colleghi di Harvard erano onoratissimi di andare a Washington per parlare con l’allora presidente. Oggi i miei colleghi del MIT considerano un onore stringere la mano all’attuale presidente.”

Sembra proprio che la storia debba ripetersi inesorabilmente e  se non sarà un nuovo Vietnam sicuramente somiglierà tantissimo alle vicende di Gorbaciov del 1985.