“Ora e sempre Resistenza” sono i versi finali si una famosa poesia di Calamandrei, ma da un po’ di tempo si sente tanto parlare di “resilienza”.
Si è vero, è un fenomeno di moda di origine anglosassone, ma la cosa antipatica è che molti si affannano a insegnarne pratiche e sistemi; e lo fanno amministrazioni pubbliche e aziende private.
Anche se il sostantivo potrà apparirvi simile o sinonimo di “resistenza”, in realtà è tutt’altra cosa.
L’unica base comune è uno stato di malessere soggettivo o collettivo, qui finisce tutta la somiglianza dei due termini. Le differenze sostanziali sono nelle soluzioni, nelle reazioni (appunto) a questi stati di difficoltà.
I resilienti di fronte alle difficoltà derivanti da un sistema, tendono ad adattarvisi cercando di rientrarvi dentro attraverso auto-innesti di reazioni positive.
I resistenti, più semplicemente, tendono a lottare quel sistema che causa malessere per cambiarlo.
Tutto qui.
Ecco perché le aziende, gli imprenditori, gli amministratori, preferiscono i resilienti, perché sono soggetti malleabili e adattabili al sistema.
Chi parla di resilienza non sta parlando di voi, ma sta solo organizzando una propria comodità.
Quindi, sempre meglio resistere che resilire.