Indie games

La parola indie, come per tutti i campi in cui viene impiegata, sta per independent e rappresenta un approccio autonomo (e  indipendente dall’industria) di sviluppare e produrre. Lo stesso vale per i giochi, dove piccoli amatori producono in proprio un gioco tenendosi a debita distanza dalle software house che impiegano molte risorse e monopolizzano il mercato.

All’inizio erano singoli autori che sviluppavano a proprie spese un gioco, distribuendolo, poi, “alla buona” e magari cercando di racimolare almeno le spese.

Il loro valore aggiunto, nel tempo, è stato quello di innovare il settore della distribuzione digitale e di dribblare le major. Anche se poi giochi come Braid, World of  Goo, e il più famoso Minecraft, sono diventati un successo anche finanziario.

Proprio perché il mondo indie si è esteso a dismisura oggi ci si trova di fronte a due tendenze ben separate di questa “filosofia digitale” che possiamo, sommariamente, dividere in quella purista e quella artigiana.

L’Indie puro è sinonimo di amore per la realizzazione del gioco; chi lo realizza lo fa per sviluppare una propria idea senza intromissioni e intermediazioni di nessun tipo, né tecniche e tanto meno economiche (per intenderci neanche quelle sulla piattaforma su cui dovrà poi girare il gioco).

La corrente artigianale, invece, prevede soltanto alcune caratteristiche sommarie relativamente all’impiego delle risorse umane e finanziarie: l’importante è essere in pochi e con un badget limitato. Da quest’idea sono nate piccole o medie software house che si definiscono indie come, per esempio, Codemasters.

Ma è bene non confondere il concetto di indie con quello di “professionalità” perché, altrimenti parleremmo di qualcos’altro: un piccolo team di sviluppatori (anche uno solo) che segue canonicamente una linea professionale di produzione sarà sempre e soltanto una piccola azienda e basta.

Oggi il campo di applicazione è fortemente orientato verso le piattaforme di crowdfunding (che è un’idea tutta italiana, se sei curioso leggi qui), dove piccoli e/o singoli autori lanciano la loro idea di progetto unitamente a una raccolta di finanziamenti. Qui l’idea, meglio se corredata di un progetto di fattibilità, si costituisce come una vera e propria campagna di raccolta fondi i cui finanziatori non sono nient’altro che i futuri utilizzatori del gioco. Anche qui l’aria si è rarefatta, soprattutto per via della sicurezza degli utilizzatori e oggi, si può dire, che le piattaforme più sicure e più utilizzate sono un paio: Indiegogo e Kickstarter.

Si imposta il progetto, si lancia la campagna di finanziamento, che dovrà prevedere l’obiettivo economico da raggiungere e il tempo stabilito per il suo raggiungimento, e  si pagano i costi per l’uso della piattaforma e per il “fallimento” del progetto (più o meno, in ordine, dal 4%  al 9% dell’importo del progetto).

Beh, non si pensi che l’industria sia stata a guardare, tutt’altro, sono più di dieci ani che questa pesca autori e progetti nell’universo indie che, in questo caso, funzionano come da startuppers. Si pensi, ad esempio, all’Independent Games Festival dove di indipendente è rimasto soltanto il nome.

La città intelligente è la tua città

Se penso alla mia città nel futuro vedo una piccola città con prestazioni urbane altamente sviluppate, dove l’infrastruttura “forte” cede il passo a una più leggera e più ramificata.

Vedo una città non privatamente astratta, ma socialmente partecipata, con una rete fitta di relazioni che elevano la sommatoria delle proprie conoscenze.

In una sola parola vedo una città “intelligente”.

Quest’immagine, evidentemente, è così generalmente condivisa che l’Unione Europea  ha messo a punto una particolare strategia per favorire la crescita urbana delle città “in senso intelligente”.

Nemmeno l’intelligenza di cui parla la UE è un concetto astratto, ma una precisa direzione di sviluppo per misurare il “quoziente urbano”.  Il futuro smart va su binari precisi e la tecnologia è vitale, perché “permette a tutti i cittadini di interagire in modo trasversale e di auto-organizzarsi”.

In fondo, come ci ricorda Alberto Cottica, “le città sono il nostro futuro come specie”.

Del “perché l’innovazione e il digitale sono una grande occasionesi parlerà a Potenza, dal 14 al 16 febbraio, nel Teatro Stabile della città.

Il programma vedrà la partecipazione, a diversi livelli, di

Giuseppe Granieri,
Carlo Ratti,
Luca De Biase,
Stefano Maruzzi,
Giovanni Boccia Artieri,
Tullio De Mauro ,
Gianni Biondillo
Derrick De Kerckhove.

Voting for dummies

Instructions guide

1) Avete già deciso da tempo per chi votare? Allora sapete già come fare, potete andare al punto 5.

2) Non avete deciso ancora ma volete esprimere il vostro voto da buon cittadino? E’ facile anche questo:
    a) recatevi al vostro seggio (trovate scritto il numero sulla scheda elettorale e poi sarà sicuramente la scuola più vicina);
    b) nei corridoi o nell’atrio della scuola trovate i manifesti con tutte le liste e i canditati, avvicinatevi e, senza farvi sentire, recitate la filastrocca ambrabàcicìcocò tre civette sul comò mentre con il dito indice seguite il ritmo in 4/4 (vuole dire che a ogni battuta indicherete un candidato/partito diverso), dopo il dottore s’ammalò, ricordatevi di fermarvi col dito al primo cicì (il dito vi indicherà il partito) mentre a cocò avrete il candidato.
    c) ripetete b) anche per il senato.

3) Se invece non volete votare ci sono due soluzioni:
   3a) rimanete a letto, che fa freddo e c’avete altro da pensare e da fare (tanto il vostro voto non cambia le cose);
3b) volete esprimete il NON VOTO legalmente? potete fare in questo modo:
         b1) andare al seggio con i documenti e la tessera elettorale, farsi vidimare la scheda senza toccarla (se si tocca  la scheda viene considerata nulla e quindi rientra nel meccanismo del premio di maggioranza);
        b2) dopo che vi è stata vidimata dichiarate che rifiutate la scheda per protesta, e chiedete che questo sia verbalizzato. Se siete proprio pignoli (ma pure un poco “cacacazzi”) potere richiedere di aggiungere, in calce al verbale, un commento che
di giustificazione del rifiuto, del tipo: nessuno dei politici inseriti nelle liste mi rappresenta.

4) Volete votare perché non si sa mai cosa vi può succedere ma non vi siete fatti un’idea, e neanche vi va di farvela?
    a) Andate al vostro seggio e quando sarà il vostro turno, prendete le scheda che vi daranno (ricordatevi che devono essere di colori differenti) e insistente nel pretendere una matita ben appuntita, per sicurezza fategli fare un mezzo giro nel temperamatite.
    b) Recatevi nella cabina e spalancate per bene le schede una per volta (mi raccomando non sovrapponetele) e poi scrivete, bello grande e in stampatello maiuscolo qualche frase “alla cazzo di cane”, del tipo “VOTO IL PARTITO DEL BLOCCO“, oppure “M’ANNATEVENE TUTTI AFF……” e cose del genere.
    c) ripetete il punto b) anche con l’altra scheda ma cambiando la frase.

5) Siete soddisfatti?
    a) SI
    b) NO
    c) boh.

 

*:O)

Vincono le peggiori primarie

Siamo stati abituati a pensare ai partiti come elementi sostanziali del nostro sistema politico. In parte è vero, almeno per quella parte che attiene alla nostra organizzazione sociale,  ma soprattutto perché non conosciamo ancora forme diverse in quanto in questo campo si sperimenta poco.

Se volessimo mettere in una scala evolutiva i progressi delle organizzazioni politiche in relazione alle scoperte tecnologiche non ci ritroveremo neanche il motore a scoppio; sicuramente saremmo ancora imbrigliati nel risolvere problemi come lo smaltimento della cacca dei cavalli.

Forse il paragone sembrerà azzardato ma anche se l’avvicinassimo di più, prendendo un involucro sociale similare come la famiglia, i partiti resterebbero comunque più indietro.  Questa primaria organizzazione, che Hegel amava definire microcosmo riflesso della società, ha accelerato molto di più il suo processo evolutivo modificando quei capisaldi che sembravano vitali: il patriarca (a dispetto della cultura cattolica) è rimasto un semplice elemento retorico; la stabilità e durevolezza non sono più suoi elementi essenziali come non sono più esclusivamente costitutivi i figli e le madri.

In verità i partiti cambiano soltanto pelle come i serpenti ma restano ben impermeabilizzati nella loro struttura costituente. La loro finta mal gestione della rete è uno dei tanti sistemi di auto-difesa.

Prendiamo le varie primarie appena concluse e in un caso solo annunciate  -un sistema non nuovo, risalente addirittura al 1847 che le nostre organizzazioni politiche cercano di rifilarcelo come contemporaneo-  sono state un tentativo iperbolico di far spuntare elementi di democrazia con trucchi da quattro soldi.

Soltanto il Movimento 5 Stelle  ha dimostrato di volere utilizzare, non dico democraticamente, ma almeno lealmente lo strumento: nessuna candidatura è stata posta come precostituita e tutte le “primarie“, dalle candidature, alla campagna elettorale e fino al voto, si sono svolte completamente on-line.

Non ho parlato di democrazia perché non era questo il senso del post, ma soltanto sottolineare come i partititi fingono di interessarsene occupandosi, invece, a tempo pieno di quell’antico puzzle che li tiene in vita attraverso complicati equilibri  instabili creati da persone stabili.

Che ce ne viene a noi di tutto questo? Poco, molto poco, né democrazie e né società del futuro; soltanto una flebile speranza, che almeno perda il peggiore.

A che ora è la fine del mondo?

Sappiamo tutti bene che la fine del mondo era una frottola, ma se proprio non ci fidiamo del tutto John Carlson, direttore della NASA,  ce lo spiega in questo video.

E’ stato tutto un equivoco, addirittura, neanche c’erano le profezie che parlavano della fine del mondo, almeno non in senso catastrofico. I Maya, semplicemente, prevedevano il ritorno di una divinità (K’uh Bolon Yokte) che avrebbe rimesso in ordine il cosmo e probabilmente il loro calendario.

E siccome le persone sono più curiose del gatto si affollano a prenotare viaggi verso la valle di Chichén Itzá perché il poter dire “c’ero” è un’emozione più forte della fine del mondo.

Ma ci sono pure quelli che si recheranno a Bugarach o a Cisternino dove, non ho ancora ben capito se per un calcolo astrale o mero marketing turistico, già è iniziato il pellegrinaggio.

Qual è la differenza tra il paesino francese e quello pugliese? Presto detto: a Cisternino son felici e contenti di sventolare in tutte le trasmissioni televisive le proprietà anti-sciagura del tempio indiano di Babaji, invece a Bugarach, seriamente preoccupati degli stupidi avventori, hanno vietato l’accesso al paese da mercoledì a domenica.

Valve e Microsoft tattiche di separazione

Cos’é Valve? E’ una società che oltre a produrre qualche gioco ha sviluppato e gestisce la piattaforma Steam per la distribuzione digitale dei giochi, la gestione dei diritti digitali e il multiplayer. E’ in funzione dal 2003 e ad oggi conta su circa 40 milioni di utenti; gestisce e distribuisce oltre 1500 videogiochi soltanto tramite internet.

Per fare tutto questo Valve si è sempre appoggiata al colosso Microsoft (e al suo S.O.) con il quale aveva stretto un fraterno e solido accordo.  Ma come nelle buone famiglie si litiga e ci si separa e anche per Valve e Microsoft sembra giunta l’ora del divorzio.

L’ora dell’autonomia, a nostro avviso, è scattata prima con il gran parlare intorno alla produzione di una consolle in proprio (la Steam Box) e poi con il lancio del progetto linux.

In realtà è da un bel po’ di tempo che nella comunità di Steam si parlava di questo ma da qualche mese chi aveva compilato l’apposito form sul sito di Valve, ha già ricevuto via e-mail l’autorizzazione a scaricare e installare la nuova beta di Steam per Linux.

Insomma la strada si è aperta.

Anche lo scimpanzé attraversa la crisi di mezz'età

Alexander Weiss è un professore dell’università di Edimburgo che da molto tempo studia i primati ed ha già compiuto diversi studi sulla similitudine comportamentale degli umani con gli scimpanzé.

L’ultima sua scoperta, pubblicato sulla rivista dell’Accademia di Scienze,  dimostra come gli scimpanzé e gli orango,  attraversano una crisi di mezza età proprio come gli esseri umani.

La ricerca, che ha sottoposto a test 336 scimpanzé e 172 orango,  ha stabilito che per entrambe le specie la curva del benessere è alta nei giovani, si abbassa nella mezza età e poi si rialza nell’età avanzata.

Insomma, anche gli scimpanzé rientrano in quell’enigma scientifico della felicità a forma di U.

L’esperimento certo non chiarisce la ragioni di questa U della felicità ma dimostra, non essendone sottoposti solo gli umani, che le ragioni non possono essere ricercate solo nella qualità e/o quantità di rapporti sociali ma anche nella biologia che condividiamo con le grandi scimmie.

Ma fantastici de ché?

Se andate sul sito del Partito Democratico troverete questa immagine  qui accanto che imita il famoso  fumetto della Marvel con l’aggiunta del quinto fantastico.   Potrà sembrare comica o curiosa ma l’imitazione de “ I Fantastici 4″ ha sollevato un bel vespaio nel web (e qui la cronaca di twitter sull’incontro).

Ciò su cui voglio riflettere brevemente oggi sono due questioni a mio avviso fondamentali. La prima è di carattere comunicativo, ovvero che tipo di strategia è stata adottata e messa in campo e  la seconda, più seria,  sul tipo di messaggio politico che i candidati sono riusciti a far filtrare .

Premetto di non conoscere la tattica e il disegno (o l’obiettivo) della strategia di marketing che sottende a quest’idea del “fantastico”, ma se fossi stata chiamata a valutarla preliminarmente l’avrei bocciata immediatamente.  Quale può essere  è il messaggio lanciato con i fantastici 5? Forse questo: vedete, elettori della coalizione di sinistra, per spazzare via anni di fantapolitica,  di malvagio immaginifico al potere (nani e ballerine mutati e quintuplicati in veline, anchorman, concubine, escort e olgettine) è necessario una forza ancora più straordinaria capace di vincere sul male in qualsiasi forma esso si presenti. Peccato, però, che questo ragionamento non sia niente di più di un rigurgito che rimane all’interno di quello stesso mondo “fantastico” che si vuol combattere.  Una volta, nel ’77 gridavano “la fantasia al potere” ma il senso era naturalmente opposto, era anti-politico.  Non lo possono gridare i politici di “professione”, è come sputare nel proprio piatto. E poi, per dirla in soldoni, il progetto politica che viene “sventolato” resta completamente all’interno del solco tracciato da anni di berlusconismo.  Dunque la traduzione semplice del messaggio elettorale è quello di non cedere al desiderio del reale ma ad avere “fede” (ricordatevi questa cosa che ritornerà dopo)  in progetti fantastici e in iperboliche soluzioni che,  voi terrestri, al momento, non siete in grado di comprendere.  Ah ci sarebbe pure da aggiungere qualche malfidato lettore di fumetti ha sostenuto che l’investitura di supereroe non avviene per elezione ma per acclamazione, ovvero per riconoscimento delle gesta super eroiche, e che quindi tutto quel che viene pubblicizzato è semplicemente millantato credito. Ma si sa quelli che leggono fumetti son gente cattiva.

Il secondo nodo del ragionamento viene invece fuori dal dibattito televisivo svoltosi ieri sera su Sky TG24 dove i 5 candidati (Bersani, Renzi, Vendola, Tabacci e Puppato) si sono misurati, in perfetto stile USA (in verità più perché costretti dalle regole rigide imposte dall’emittente che per scelta personale), su programmi e proposte con tanto di  fact checking e  appello finale.  Ad un certo punto il conduttore ha chiesto a tutti i candidati di indicare il nome di una personalità ispiratrice e guida; ecco che si chiude il cerchio della comunicazione. Tolti Tabacci e Puppato che, dimostrando di essere a corto di fantasia, indicano De Gasperi, Nilde Iotti e Tina Anselmi; i veri super-eroi citano Mandela, Giovanni XXIII e il Cardinale Martini. Ecco che ritorna quel concetto di “fede” che avevo accennato prima. Cari cittadini- elettori, sembrano dire i tre super-eroi (e unici veri aspiranti) la politica non ha a che fare con la società civile e non c’è niente di materialmente concepibile che possa salvarci. Soltanto la fede rigida nel supereroe può portarvi alla salvazione. Poi se ci scappa pure un miracolo, si vedrà.

Coming soon

Non sono VitoCola e questo non è un post.

Sono una newbie che vuole iniziare a postare e che ha chiesto di poter collaborare a questo blog; queste sono soltanto due righe di anticipazione della mia presenza su vitocola.it.

Come pensavo fosse naturale e normale avevo chiesto a Vito di presentarmi ma mi ha risposto “lapidariamente” fai tu, anzi mi ha detto “fai quello che vuoi”.

E allora eccomi qui. Non so ancora bene se sarò all’altezza del compito, e di qualsiasi compito mi assegnerò, ma “mi ci proverò”… prometto di impegnarmi.

Per il momento non ho argomenti specifici e probabilmente scriverò in modo confuso di tutto e di nulla e tale autorità mi è stata concessa dall’amministratore il quale mi ha “dato carta bianca”. 🙂

Vito mi ha consigliato di presentarmi ma io preferisco che lo facciano i miei post al mio posto (che brutta cacofonia) e dunque di me non c’è nulla da scrivere, non sarò io come persona l’argomento di interesse ma, spero lo diventino le mie idee, o almeno la loro trasposizione scritta.

Arrivo, arrivo… tra un po’ ci sarò, giusto il tempo di ambientarmi.

Ciao a presto.

Tonya

Come scrivere un post?

Perché c’è sempre qualcuno che ti dice come scrivere un post?

Ci pensavo mentre leggevo questo che ne elenca 20 di consigli e ho ricordato che nei blog ci si occupa della “questione” da tanti anni.

Se, per esempio, provate a fare questa richiesta a Google, riceverete una grandissima quantità di risultati (nel mio caso circa 157 mila in 0,28 secondi) con un’alta percentuale di pertinenza alla richiesta.

Troverete decaloghi (ma anche cose svelte in tre punti) e consigli che spaziano dalle pratiche ammiccanti alle tecniche stilistiche e di marketing che pretendono anche un rigore scientifico.

L’efficacia è il risultato atteso più pubblicizzato: ovviamente si consiglia di badare all’effetto che il post deve cercare. Anche se è lapalissiano (a cos’altro può badare chi scrive in pubblico?) è quello che consigliano tutti. Massì, la voglia d’esser visitati e di attirare navigatori verso le proprie pagine deve necessariamente essere nella natura stessa del blogger… anche al punto da trascurare i contenuti.  Si, non scandalizziamoci adesso, i contenuti nel web sono aerei, o li acchiappi al volo o niente, o sei sull’onda o sei sommerso: come diceva un vecchio “guru” poi mettere lì la tua più bella idea ma se non te la legge nessuno è ancora così bella?

E’ vero di cattivi consiglieri ce ne sono ma fa parte del gioco.

L’unica cosa antipatica in tutti questi maestri che spiegano ai “dummies” è la ferma certezza binaria: fai così perché accadrà questo e poi questo se vuoi quest’altro.

E’ un linguaggio binario (due stati, due numeri) che si è esteso al comportamento.

Anche i bar camp si sono trasformati da luoghi di discussione autorganizzanti a luoghi di veloce esposizione, dove devi scartare o accettare di primo acchito ciò che vuoi (forse) approfondire.

Tale comportamento non è ovviamente pensiero, non c’è un pensiero umano binario in questi termini, ma è struttura o sovrastruttura. Potrebbe essere l’esasperazione della semplicità, della ricerca delle risposte facili, più probabili, più possibili o più immaginabili. Anche l’esplorazione del web è divenuta banale in cambio di una ricerca efficace e veloce. Ci importa se il nostro motore di ricerca conosce già le nostre domande? Certo che no.

Allora, per ritornare alla domanda iniziale, voglio dare un consiglio anch’io dopo anni da blogger, più o meno effettivi, e voglio farlo in un solo punto, con una piccola domanda e una breve risposta.

Domanda: se sei solo su una barchetta in mezzo all’oceano e non hai nient’altro che le braccia per i remi e la mente per le decisioni che fai?

Consiglio: fai un po’ come cazzo di pare.

Multi-touch, seconda curva a destra

Scrive Alex Williams che “la prossima generazione di applicazioni richiederanno agli sviluppatori di pensare di più dell’essere umano”.  Se molti di noi si aspettano già domani un ampliamento della presenza di display-touch (dai tavoli ai piani da lavoro, dai comodini agli specchi del bagno) e dei comandi vocali saranno sorpresi (forse) da una piccola rivoluzione in termini di complessità.

Uno dei primi aggeggi a diventare obsoleto sarà il buon vecchio mouse: i 3 o più tasti e rotellina scroll lasceranno il posto a un multi-touch che avrà bisogno delle dita di entrambe le mani. Gli oggetti digitali saranno manipolati ma con la sensazione tattile dei nostri polpastrelli e della nostra pelle.

Si lo so che son parole già sentite da vent’anni, ma sapere che team come quello di Microsft, solo per citarne qualcuno, è al lavoro per tracciare la strada delle nuove interfacce utente è una bella speranza.