Non faccio pubblicità (nessuno mi paga) ma questo nuovo smartphone credo che vada consigliato agli amici o comunque a chiunque sia interessato all’acquisto di qualcosa di simile e voglia risparmiare un bel po’.
Si chiama “OnePlusOne” e se leggete le sue specifiche tecniche non potete che rimanerne sorpresi.
Processore Qualcomm Snapdragon 801 con una Quad-Core CPU clockata a 2.5GHz; un nuovo EMMC 5.0 con accesso in scrittura a 400MB/s; RAM I XGB di LP-DDR3 clockata a 1866MHz e fotocamera Sony Exmor IMX214 da 13 Megapixel.
Interessante anche la politica della privacy con la CyanogenMod che protegge la tua identità crittografando automaticamente tutti i dati al momento dell’invio.
I prezzi vanno da € 269 per il 16 Gb a € 299 per il 64 Gb, dunque notevolmente al di sotto dei suoi concorrenti (S5 e iPhone 5s, solo per citarne due).
L’unico problema è che per averlo, direttamente dalla casa madre, bisogna prenotarsi per l’acquisto e dal momento della sua disponibilità avete 24 ore per acquistarlo.
Ovviamente lo si trova anche altrove ma a prezzi leggermente maggiorati.
Dona il surplus con BOINC
Hai un surplus di potenza sul tuo tablet o smartphone Android? Se vuoi puoi donarla al progetto Einstein@Home per accelerare le ricerche in corso.
Basta un dispositivo Android da 2.3 in su, scarichi l’app BOINC da Google Play, scegli a quale progetto partecipare e doni il tuo surplus. Puoi contribuire a scoprire nuove stelle o aiutare la lotta all’AIDS attraverso il World Community Grid di IBM, gestito dagli scienziati della Scripps Research Institute, i quali ricercano nuovi farmaci con la giusta forma e composizione chimica per bloccare i tre enzimi che fanno prosperare il virus.
BOINC funziona sfruttando la connessione dati solo quando il dispositivo è collegato a una Wi-Fi e se la batteria ha una carica superiore al 90%.
Ci sono oltre 2,3 milioni di computer usati da più di 600.000 persone e istituzioni provenienti da 80 paesi che stanno contribuendo ad accelerare più di 20 progetti.
[via CNET]
Età
Da cosa ti accorgi della tua età?
Io di solito la noto a partire da alcuni particolari, per molti insignificanti, come usare i due indici per scrivere sullo smartphone o sul tablet.
🙂
Attenzione al GPS degli smartphone
Tempo fa Ralph Weimann al Blackhat di Las Vegas, dimostrò (tout court) come fossero insicuri tutti gli smartphone che usavano il GPS per le loro applicazioni.
La rivista “Chip” (quella di carta) ne parla nel numero di novembre, in notevole ritardo e senza suggerire soluzioni.
In sostanza la falla deriva dalla funzione A-GPS che per velocizzare il posizionamento del dispositivo sulla mappa, prima ancora di agganciarsi al GPS, si appoggia alle reti telefoniche e Wi-Fi circostanti. In questo contatto tra telefono e reti il dialogo avviene “in chiaro” e quindi aperto a chi vuole intromettersi e conseguentemente controllare il dispositivo collegato.
E’ vero che granché di soluzioni non ce ne sono, ma in attesa che chiudano il bug, si possono seguire i consigli che Panorama dava già ad agosto: disattivare l’opzione che consente alle applicazioni di utilizzare i dati da sorgenti quali reti Wi-Fi e mobili.
Se usate Android andate su “Impostazioni” –> “Servizi” e disattivate “Posizioni di Google”.
Quelli che usano l’iPhone e l’iPad invece non possono fare lo stesso, però quando utilizzano il navigatore possono (in “Impostazioni”, “Generali”, “Reti”) disattivare la connessione “Dati Cellulare” in modo da utilizzare solo i dati GPS.
Gli androidiani stiano in allerta però perché gli Hot Spot fasulli sono ancora più pericolosi.
Instagram for dummies
Brad Mangin doveva sostituire il suo vecchio telefonino e, un po’ come tutti, decide di acquistare l’ultimo iPhone 4S appena uscito. Tornato a casa inserisce la sim, trasferisce i contatti nella rubrica e prova anche a fotografare i suoi gatti. Il risultato lo sorprende abbastanza, ma ciò che lo stupisce di più è un’applicazione che restituisce immagini in un formato quadrato, proprio come quello delle vecchie Polaroid, con l’aggiunta di effetti davvero interessanti.
Non c’è niente di particolare in tutto ciò se non il fatto che Brad è un fotografo sportivo free lance abbastanza noto e che alla partita tra i Los Angeles Angels e gli Oakland Athletics , lascia la borsa con la fedele Canon 1D Mark IV a bordo campo, e si reca negli spogliatoi per fare il suo servizio pre-sportivo soltanto con l’iPhone. Le foto, successivamente “instagramate” da Mangin, saranno un nuovo modo di raccontare il Baseball su Sports Illustrated.
Ho riportato questa storiella per due motivi: il primo per diradare le nuvole davanti agli obiettivi degli smartphone liberando il campo dai preconcetti di quei “puristi” che non escono di casa senza il cavalletto e il secondo per contribuire e confortare tecnicamente il gruppo di potenzadigitale che, da un’idea di Sara, vuol raccontare Potenza proprio con Instagram (le foto vengono scelte e poi pubblicate sul Tumblr).
Ecco i tre punti cardine per chi vuol personalizzare le proprie “instaphoto” (Mangin usa un iPhone 4S, ma i consigli valgono anche per chi possiede uno smartphone Android):
1) scattare la foto con l’iPhone senza alcun effetto;
2) editare l’immagine con le seguenti app: Snapseed (per convertire le foto in bianco e nero e lavorare sui toni, costo € 3,99), Dynamic Light (per dare un tono più cupo al cielo e potenziare i colori, costo € 0,79) e Camera+ (per modificare colori e effetti, costo € 0,79);
3) caricarla in Instagram e applicare la cornice e un filtro, per esempio “Lo-Fi” (se si vuol potenziare il contrasto e i colori) o “Early Bird” (se si vuole l’effetto seppia).
Raccontare il passato prossimo venturo [1]
Molti come me, forse, si fermano ogni tanto a ricordare cosa usavano in un certo passato (genericamente remoto), una cosa che i giovani fanno di meno, o per niente, soltanto perché questo esercizio mentale ha una relazione interdipendente con l’età anagrafica. La mia memoria si sveglia quasi sempre con un oggetto sul quale leggo le trasformazioni fisiche e funzionali: confronto quell’oggetto esperito in un passato, direttamente o indirettamente, con quello che sarebbe più o meno il suo corrispondente o quanto meno con la sua corrispondente funzione di oggi.
L’oggetto del mio racconto è un gettone telefonico, ritrovato in uno scatolino dimenticato in soffitta, che mi ha rinverdito il ricordo di quando, da militare, vedevo tutti i miei amici con le tasche piene fare lunghe file davanti alle cabine telefoniche per conversare alcuni minuti con i propri cari. Io, che invece mi ero accordato per per una sola chiamata quindicinale con mia madre, telefonavo quando ero in “libera uscita” da un posto telefonico pubblico che utilizzava il contatore di “scatti” (unità di misura tempo/conversazione tutt’ora in uso) così potevo pagare in lire. Qualche inconveniente o incomprensione ogni tanto nasceva ma aveva a che fare più con l’onestà del gestore che con la precisione del contatore.
Per inciso, c’erano dei vecchi telefoni che la SIP stava rimuovendo perché con un piccolo trucco potevi fare chiamate intercontinentali con un solo gettone, ma lì la fila era ancora più lunga e quindi non ne valeva la pena.
Il mio interrogativo, contemporaneo a quell’esperienza, era perché non ci fosse un qualcosa, un sistema, che potesse ridurre o eliminare quel trasporto di gettoni che seppure usati normalmente come monete, rimanevano pur sempre un pesante fardello. L’idea era diventata quasi una “fissazione” e spesso ne discutevo con qualche compagno di nottate sognando scenari alla “Star Trek”. Avevamo immaginato di tutto, dal telefono senza fili ai tele-trasportatori (altro inciso: ci chiedevamo “come mai Kirk e compagni si teletrasportavano dappertutto ma per muoversi sull’Enterprise andavano a piedi tra corridoi e ascensori…) non avevamo pensato alla semplice soluzione che già girava nelle grandi città. Me ne accorsi nella stazione di Napoli, che frequentavo per l’università, quando rimasi incantato di fronte a un nuovo telefono pubblico nel quale bastava inserire una scheda magnetica del valore di circa 10 gettoni.
Proprio quando ero convinto (come per il famoso “teorema della cacca di cavallo”) che dell’evoluzione del “gettone” era inutile occuparsene perché le future forme di comunicazione avrebbero reso inutile il telefono (“al massimo un video-citofono”, dicevamo ridendo a crepapelle, “tanto ci sarà il tele-trasporto”), invece il suo concetto rimaneva inalterato. Anzi l’oggetto-gettone, completamente trasportato nell’idea di “scatto”, si ampliava e recuperava uno spazio anche maggiore: pensate, per esempio, allo “scatto alla risposta”.
Insomma, da buon sognatore, non coglievo ancora la differenza tra il sostituire la materia o il valore di un oggetto d’uso.
Rimanendo sempre “fissato” sull’idea di rivoluzione delle cose in generale, ho visto i primi cellulari osservandoli da una “piccolissima” finestra sull’America (il perché fosse piccola la finestra, unita al concetto di rivoluzione, la dicono lunga sulla mia formazione social-anarchica) ed ho subito pensato che quello era il segno concreto dell’iniziale rovesciamento dell’idea di telefono. Ma mentre io pensavo alla riduzione della distanza uomo/uomo in termini metrici, quella che invece si riduceva era la distanza uomo/telefono. “Beh”, pensai, “almeno non sarà più necessario correre a casa o in una cabina e poi se cerchi qualcuno lo trovi subito”.
Più o meno in quello stesso periodo, in una delle mie visite ai cugini di Parigi, rimasi “incerto” di fronte a un nuovo apparecchio messo di fianco al telefono: il “Minitel” (che, tra l’altro proprio questo mese chiude definitivamente i battenti). Loro cercarono di spiegarmi l’utilità di quell’oggetto come qualcosa che univa video e telefono in sorta di un fusione “interattiva” (il termine l’ho aggiunto io adesso, ovviamente) e io continuavo a vederci solo una semplice estensione telefonica. Quella sarebbe diventata internet e io continuavo a prevedere la scomparsa del telefono.
Ma chissà, non è mai detto.
Geek a pochi soldi
Ho abbandonato definitivamente quel mondo inutilmente costoso della Apple da quando mi sono liberato anche dell’iPhone.
Di come ho sostituito, più o meno, egregiamente l’iPad ne ho già parlato qui mentre per la sostituzione del mio glorioso iPhone 3 (che ormai pedalava inutilmente in salita da quando è stato costretto ad abbandonare l’OS 3 per l’iOS 4) la mia scelta è caduta sul Samsung Galaxy Ace: un telefono con sistema operativo Android 2.2.1, connessione 3G, Wi-Fi, bluetooth, peso 113 grammi, display 3,5″ (risoluzione 480×320), fotocamera 5mp, ecc…, che ho acquistato a € 199,00 (con un brand assolutamente invisibile della Wind) ma che potete trovare anche a meno spulciando le offerte su eBay.
In sostanza con con meno di € 350,00 è possibile avere un ottimo “tablet” e un ottimo telefono che nulla possono invidiare sia all’iPad che all’iPhone.
Punti forti la Apple, ovviamente, ne ha in quantità ma l’elemento negativo che li abbatte tutti è il prezzo e checché ne pensino tutti i melamorsicatisti, continuiamo ad essere di fronte più a un oggetto di moda che a una vera rivoluzione tecnologica. Io resto convinto che la nuova (e buona tecnologia) deve per forza avere un “buon” prezzo poiché i più adatti e i più capaci sono, paradossalmente, quelli che non possono acquistarla e, dunque, mi piace pensare che un ragazzo italiano possa acquistare un corredo geek a pochi soldi. Ci sarebbero, poi, da abbattere i pesanti costi di connessione alle reti, ma questo è un discorso molto più complicato che dovremo necessariamente affrontare.
Al momento non ho ritenuto necessario roortare il telefono perché, come dicevo prima, anche la presenza del brand è assolutamente non invasiva, ma se volete la tecnica è più o meno la stessa del Kindle Fire.
Ah, dimenticavo: tutte le App che usavo sull’iPhone le ho ritrovate sul Market di Google, quindi anche il mito dell’Apple Store sembra del tutto infranto.
🙂