Il lettore [digitale] è curioso

Manuel Koppl sull’ultimo numero di “Chip” scrive del lavoro degli Hacker e dei problemi connessi alla nostra sicurezza in rete e per introdurre, simpaticamente o letterariamente, il focus del suo ragionamento adopera come introduzione un fatto di cronaca italiana: il blitz dei carabinieri che catturano il boss Antonio Cardillo.

Koppl racconta di “un mafioso che finisce in una trappola tecnologica” per colpa di “un normalissimo telecomando che, però, invece di azionare il televisore o lo stereo, serve per aprire un mobile a specchio”.

Dopo aver letto velocemente l’articolo ritorno all’introduzione perché mi incuriosisce la vicenda della trappola tecnologica e nel ricercare notizie sulla vicenda scopro che Koppl ha appreso la notizia, come tutti, sulla stampa nazionale (che, parla di “telecomando che non corrispondeva ad alcun apparecchio presente nella casa”) aggiungendovi però di sua iniziativa che si trattava di un normalissimo telecomando per “televisore o stereo”, mentre nessun giornale è così specifico. Invece, se guardate questo filmato, vedrete chiaramente che si trattava di un “normalissimo” telecomando per cancelli automatici. Io credo che proprio per questo i carabinieri hanno insistito nella ricerca: se il telecomando non apriva il cancello di ingresso e neanche un garage, qualche altra porta doveva pure aprirla.

Cosa centra Koppl con tutto questo? Lui non si occupa certo di cronaca nera italiana? Certo che no, ma forse centra con il suo racconto.

Quando un giornalista scrive il suo pezzo (rispettando tutte le sacro sante W)  senza approfondire abbastanza le notizie, anche quelle che servono solo a dare “colore” al pezzo, deve tener conto del fatto che la sua approssimazione verrà sicuramente colmata dal lettore (digitale) curioso.

Penso che questa tendenza a sottovalutare alcune parti del discorso sposi quell’idea di lettore ingenuo che poteva ben funzionare in epoca totalmente “analogica”. Quella che ieri poteva essere una dimenticanza, o “grossolaneria”, oggi è un errore grave che inficia la credibilità dell’intero articolo ed è una cosa che un giornalista, soprattutto se tecnico-scientifico, non può permettersi.

Spesso siamo disposti a sorvolare  su attacchi farciti da errori storiografici ma solo se stiamo leggendo un articolo sportivo; lì, si sa, la metafora campata in aria e l’epica contano più di ogni altra cosa.

Insomma quello che è sfugge a Koppl è che il lettore “digitale”, se non è svogliato, può verificare tutto e non soltanto i dati tecnici o i link che gli sottoponiamo.

La carta nella testa

E’ noto a tutti che le “scritture” sono in continuo aumento è meno noto, però, l’incremento delle “letture”.  Del primo ne siamo coscienti perché abbiamo visto come il digitale abbia incrementato la comunicazione scritta, del secondo non riusciamo ad afferrarne la portata poiché restiamo legati a un’idea di lettura concettualmente analogica. Tutto il peso del concetto ricade sulla “quantità compattata” di righe scritte.

Se date uno sguardo alle statistiche ISTAT gli indici sono fatti per libri di carta, audiolibri, ebook e giornali. Sappiamo, per esempio, che nel  2010  gli italiani avevano letto mediamente  3 libri a testa (con un incremento di un punto percentuale rispetto al 2009) e che coloro che possiamo definire “lettori voraci” erano soltanto il 15,1%  con una dozzina di libri letti nell’anno. A questa “quantità” di righe scritte e dichiarate come lette, si affiancano i dati sulla vendita (sia di libri che di giornali) che abbassano ancora di più la media.

Il problema è che sono gli analisti a considerare la scrittura come letta solo se appartenente a unità concettualmente “analogiche” di testo: libri, giornali, e-book, ecc….  e non si capisce il perché non si consideri letto ciò che invece è stato considerato come scritto: sms, chat, e-mail, social network, giochi, ecc….  Si è disposti a considerare il web o l’html come scrittura ma non come lettura.

Un esempio semplice di questa stortura mi è balzata agli occhi quando ho ragionato sul fatto che mio figlio, che sta affrontando gli esami di stato, legge e trova sul web tutto ciò che gli serve e contemporaneamente invia e/o riceve link interessanti dai suoi compagni. Quante righe avrà letto mio figlio? Boh e chi lo sa… intanto, statisticamente non è neanche un lettore accanito, anzi è addirittura sotto la media perché al rilevatore che gli chiederà “quanti libri hai letto quest’anno” (a parte quelli scolastici) sicuramente risponderà poco o nulla. Forse nemmeno lui considererà come lette le migliaia di righe su Wikipedia e sui vari siti specializzati. Io alla sua età ero considerato un lettore accanito soltanto perché leggevo un quotidiano e correvo in biblioteca per ogni piccola ricerca scolastica, eppure il mio camp0 di riferimento era ristretto alle capacità di una piccola biblioteca UNLA e a quelle di qualche enciclopedia  più o meno esaustiva.

Probabilmente guardiamo/usiamo il digitale e pensiamo/vediamo l’analogico. Una metafora immediata di questo paradosso è ben rappresentato da tanti ebook reader (l’iPad ad esempio) che simulano lo sfogliare della pagina di carta.

Anche quando ci liberiamo le mani dalla carta la cellulosa ci rimane in testa.

Il passato prossimo venturo è Bing Maps

Qualche giorno fa, sul blog di Bing Community,  viene annunciato l’aggiornamento dell’applicazione “Bing Maps World Tour“; si tratta dell’implementazione delle mappe ortofotografiche   visualizzabili in alta risoluzione, con una grande qualità in 3D anche al massimo ingrandimento (nella foto ho provato uno zoom sul mio quartiere).

Al momento Bing ha elaborato il 46%  delle mappe per circa 2.771.192 chilometri quadrati ma, ovviamente, il progetto aspira a coprire l’intero globo e quindi dovremmo ritrovarci, a breve, delle mappe fotografiche in 3D ricche di dettagli brillanti e ben definiti.

La soluzione pensata dalla Microsoft in partneship con la DigitalGlobe (la società che l’8 ottobre 2009 ha lanciato il satellite “WorldView-2” per il telerilevamento ad alta risoluzione) è l’uovo di Colombo: anziché viaggiare su automobili, motorini e biciclette su e giù per tutte le strade a fotografare soltanto il mondo “percorribile”, si utilizzano sistemi di telecamere aeree (UltraCamG) che permettono una mappatura da grande distanza ma con elevata definizione.

In tal modo, oltre a a catturare il 50% di pixel in più rispetto a qualsiasi altro sistema di “digital aerial camera mapping”, con una precisione che varia dai 15 ai 30 centimetri (ogni pixel dello schermo equivale a circa 6-12 centimetri al suolo),  si riuscirà ad ottenere mappe più dettagliate anche di strade non percorribili con un grande risparmio di tempo e di denaro.

Cassanate e altri discorsi

Le “risposte infelici” di Cassano hanno, come al solito, sobillato la rete, ma c’era da aspettarselo. Sono stato tra i primi a mettere l’#Cassano su Twitter dopo essere sobbalzato dalla sedia ieri pomeriggio.  Non si tratta di una “cassanata”, quella sorta di ambito giustificatorio dove possono rientrare quei calciatori che si lasciano sfuggire dalle mani il proprio sentimento privato (come sono “balotellate” quando si menano i giornalisti, “tottate” quando si sputa sull’avversario, ecc….) , ma del pensiero di un uomo che di mestiere fa il calciatore a cui viene semplicemente fatta una domanda. Il calciatore avrebbe potuto non rispondere dicendo di non saperne nulla ma invece dice di non volerne parlare e poi ne parla.

Non è il pensiero di Cassano che mi stupisce, anzi un po’ me l’aspettavo pure; qualsiasi uomo sa che l’omosessualità è il tema principale degli scherzi “tra uomini” (il motto “amici amici ma a tre palmi dal culo” è sempre molto in voga), mi preoccupa di più l’armamentario di elaborazione con il quale sul web si è cercato di chiudere il cerchio della notizia.

Ecco i suoi passi:

1) un giornalista chiede al calciatore se è vera la notizia, riferita da Cecchi Paone, che in nazionale ci siano dei gay. La domanda sembra “impertinente” ma fa parte della libertà del giornalista di porre domande a piacere e non a piacimento (del resto è stato chiamato per fare questo). Anche se il giornalista avesse domandato a Cassano del massacro dei randagi in Ucraina sarebbe stato impertinente.

2) Cassano, che conosce bene il suo ruolo, ci scherza su (l’aveva già fatto prima anche su Balotelli, tra l’altro usando la stessa battuta che aveva usato Gattuso quando ricevette dal Milan il compito di fare da tutor a Cassano) e dice di non voler rispondere ma poi invece dice che se non froci son fatti loro e che spera che non ci siano in squadra. A domanda impertinente risposta impertinente.

3) Tutti i giornalisti sportivi abituati e consapevoli di avere a che fare con il “calcio-pensiero”, seppure indignati, cercano di tenere ben distinti i ruoli e i compiti cercando di continuare a parlare di calcio (e credo che diversamente non si possa fare).

4) La rete invece no, com’è nella sua natura, si scatena (l’hashtag  #Cassano vola su twitter) masticando vorticosamente concetti senza troppa elaborazione (perché se a 140 caratteri di testo non corrispondono altrettanti caratteri di valutazioni e contro-deduzioni mentali le cose si complicano) e tra questi ce ne sono numerosi che sostengono l’ipotesi di un subdolo tranello ordito ai danni dell’ingenuo Cassano.

Ci sono momenti, soprattutto su Twitter, nei quali un buon numero di persone lanciano commenti da “supertecnici” della comunicazione come di chi sta al di sopra delle notizie e di mestiere fa il giudice o il prete. Sono quelli che non riportano alcuna notizia, la danno per scontata e ammiccano a retroscena, a trabocchetti o a orditure appartenenti a grandi o piccoli scenari (che, altrimenti, i piccoli lettori non saprebbero come immaginare).

Insomma su Twitter serpeggia la logica che “la domanda sia stata fatta apposta per scatenare il putiferio mediatico” e la sostengono non pochi, anche qualche amico che seguo e che stimo.

A me, lettore ingenuo, colpisce soltanto il contenuto delle risposte di Cassano che è lì sotto i miei occhi e non posso farci niente. Cosa può importarmi se un giornalista ha posto una domanda di cui conosceva già la risposta? Può mai cambiare il mio giudizio sulle parole di Cassano?

Le persone sono e devono essere responsabili delle parole che proferiscono anche se queste derivano da domande “impertinenti”.  Pensate al classico studente che dopo l’esame accusa il professore per avergli ordito un tranello con domande in-pertineti o a trabocchetto.

5) In serata Cassano fa dietrofront scusandosi per le parole pronunciate.

Massì è una cassanata.

Raccontare il passato prossimo venturo [1]

Molti come me, forse, si fermano ogni tanto a ricordare cosa usavano in un certo passato (genericamente remoto), una cosa che i giovani fanno di meno, o per niente, soltanto perché questo esercizio mentale ha una relazione interdipendente con l’età anagrafica. La mia memoria si sveglia quasi sempre con un oggetto sul quale leggo le trasformazioni fisiche e funzionali: confronto quell’oggetto esperito in un passato, direttamente o indirettamente, con quello che sarebbe più o meno il suo corrispondente o quanto meno con la sua corrispondente funzione di oggi.

L’oggetto del mio racconto è un gettone telefonico, ritrovato in uno scatolino dimenticato in soffitta, che mi ha rinverdito il ricordo di quando, da militare, vedevo tutti i miei amici con le tasche piene fare lunghe file davanti alle cabine telefoniche per conversare alcuni minuti con i propri cari.  Io, che invece mi ero accordato per per una sola chiamata quindicinale con mia madre,  telefonavo quando ero in “libera uscita” da un posto telefonico pubblico che utilizzava il contatore di “scatti” (unità di misura tempo/conversazione tutt’ora in uso) così potevo pagare in lire. Qualche inconveniente o incomprensione ogni tanto nasceva ma aveva a che fare più con l’onestà del gestore che con la precisione del contatore.

Per inciso, c’erano dei vecchi telefoni che la SIP stava rimuovendo perché con un piccolo trucco potevi fare chiamate intercontinentali con un solo gettone, ma lì la fila era ancora più lunga e quindi non ne valeva la pena.

Il mio interrogativo, contemporaneo a quell’esperienza, era perché non ci fosse un qualcosa, un sistema, che potesse ridurre o eliminare quel trasporto di gettoni che seppure usati normalmente come monete, rimanevano pur sempre un pesante fardello. L’idea era diventata quasi una “fissazione” e spesso ne discutevo con qualche compagno di nottate sognando scenari alla “Star Trek”. Avevamo immaginato di tutto, dal telefono senza fili ai tele-trasportatori (altro inciso: ci chiedevamo “come mai Kirk e compagni si teletrasportavano dappertutto ma per muoversi sull’Enterprise andavano a piedi tra corridoi e ascensori…) non avevamo pensato alla semplice soluzione che già girava nelle grandi città. Me ne accorsi nella stazione di Napoli, che frequentavo per l’università, quando rimasi incantato di fronte a un nuovo telefono pubblico nel quale bastava inserire una scheda magnetica del valore di circa 10 gettoni.

Proprio quando ero convinto (come per il famoso “teorema della cacca di cavallo”) che dell’evoluzione del “gettone” era inutile occuparsene perché le future forme di comunicazione avrebbero reso inutile il telefono (“al massimo un video-citofono”, dicevamo ridendo a crepapelle, “tanto ci sarà il tele-trasporto”), invece il suo concetto rimaneva inalterato. Anzi l’oggetto-gettone, completamente trasportato nell’idea di “scatto”, si ampliava e recuperava uno spazio anche maggiore: pensate, per esempio,  allo “scatto alla risposta”.

Insomma, da buon sognatore, non coglievo ancora la differenza tra il sostituire la materia o il valore di un oggetto d’uso.

Rimanendo sempre “fissato” sull’idea di rivoluzione delle cose in generale, ho visto i primi cellulari osservandoli da una “piccolissima” finestra sull’America (il perché fosse piccola la finestra, unita al concetto di rivoluzione, la dicono lunga sulla mia formazione social-anarchica) ed ho subito pensato che quello era il segno concreto dell’iniziale rovesciamento dell’idea di telefono. Ma mentre io pensavo alla riduzione della distanza uomo/uomo in termini metrici, quella che invece si riduceva era la distanza uomo/telefono. “Beh”, pensai, “almeno non sarà più necessario correre a casa o in una cabina e poi se cerchi qualcuno lo trovi subito”.

Più o meno in quello stesso periodo, in una delle mie visite ai cugini di Parigi, rimasi “incerto” di fronte a un nuovo apparecchio messo di fianco al telefono: il “Minitel” (che, tra l’altro proprio questo mese chiude definitivamente i battenti). Loro cercarono di spiegarmi l’utilità di quell’oggetto come qualcosa che univa video e telefono in sorta di un fusione “interattiva” (il termine l’ho aggiunto io adesso, ovviamente) e io continuavo a vederci solo una semplice estensione telefonica. Quella sarebbe diventata internet e io continuavo a prevedere la scomparsa del telefono.

Ma chissà, non è mai detto.

La notizia corre anche su Ustream

Kirill Mikhailov, per la rete Reggamortis, è un citizen journalist russo che qualche tempo fa sul suo blog aveva scritto che il futuro del “reportage” era stare dentro le manifestazioni e trasmetterle in diretta da diversi lati possibili per poi concentrare il tutto in una sola piattaforma.  Così il 9 maggio, durante un’ennesima manifestazione anti Putin, con il proprio smartphone collegato a un notebook nello zaino, ha seguito tutti gli avvenimenti trasmettendoli in streaming su Ustream.tv.

Per capire oggi che peso ha avuto la cosa (niente calcoli e statistiche derivanti dai contatti) basti pensare che la piattaforma usata per lo streaming della manifestazione ha subito un attacco DDoS  da una infinità di indirizzi IP russi, kazaki e iraniani come a Ustream non gli era mai capitato.

L’obiettivo è stato quello di interrompere il flusso di rete verso quel fastidioso reportage anti-presidenziale di Mikhailov. Insomma per tradurla in linguaggio radiotelevisivo nostrano è un po’ come la cacciata di Santoro dalla Rai dopo quel famoso “si contenga“. Ovvio, con le dovute differenze sia perché a Mosca la “repressione” va un po’ meno per il sottile e anche perché la TV è veramente “di stato” come sarebbe piaciuto proprio a Berlusconi.

La russia sarà pure la grande patria di cracker e hacker ma qui la rete ha una logica che supera i pruriti informativi nostrani, qui le TV o le agenzie non seguono Twitter o Youtube per stanare notiziuole e la logica di rete è strettamente legata al proprio valore informativo.

Un risultato? Hunstable, CEO di Ustream, non solo ha rilanciato il video di reggamortis1 sulla homapage di Ustream, ma ha inaugurato una versione in lingua russa della propria piattaforma.