A Matera e a Pignola per il Linux Day 2015

123832479-e4234ef5-19e4-4afe-84bf-752864114d90Se non avete mai sentito parlare di Linux, non avete idea di cosa sia un software libero e neanche immaginate cosa voglia dire “open source”, forse è il caso di fare un salto alla giornata del Linux Day 2015 che si svolge oggi in tutta Italia (qui c’è una mappa per trovare quella più vicina).

Linux Day è una manifestazione organizzata in tanti eventi locali che dal 2001 promuove e diffonde sul territorio italiano sia il sistema operativo GNU/Linux che il software libero. E’ promossa da Italian Linux Society (ILS) ed è organizzato localmente da gruppi di appassionati che solitamente si aggregano in Linux User Group (LUG).

Anche quest’anno si ripeterà in 96 città italiane con una serie di eventi in contemporanea.

Il Linux Day lucano vede impegnati l’OpenLab Matera e il Pignola Linux Users Group.

A Matera la partenza è alle 10,00 presso #CasaNetural in via Galileo Galilei. Qui l’OpenLab illustrerà i propri progetti di sviluppo e ricerca e metterà a disposizione dei visitatori gli strumenti e le conoscenze necessarie ad un primo approccio al sistema operativo libero e all’open-source.

A Pignola, presso la palestra della scuola media di via Cristoforo Colombo, il Linux Users Group farà una sessione mattutina dedicata esclusivamente agli studenti dell’IC di Pignola, mentre dalle 15 alle 21 l’ingresso sarà aperto a tutti. Sarà interessante scoprire come, in open source, è possibile realizzare un sistema di Home Theater, giocare con uno sparatutto, utilizzare un drone, creare una macchina virtuale, usare un braccio meccanico, oppure vedere come funziona una serra intelligente.

Sia a Matera che a Pignola la parola d’ordine sarà Installation Party che vuol dire: porta con te il tuo pc e prova, insieme agli organizzatori, a far “sparire Windows” dalla macchina.

Cosa accade in Turchia?

Due esplosioni: 86 morti e 186 feriti; è quanto accaduto stamattina ad Ankara durante la manifestazione pacifista per la soluzione del conflitto con i curdi del Pkk.
Selahattin Demirtaş, copresidente di HDP,  ha dichiarato: “Ci troviamo di fronte a una mentalità dello stato che è diventata una mafia, un assassino e un killer seriale”.
Dopo l’esplosione la polizia ha attaccato un gruppetto di manifestanti, lanciando anche gas lacrimogeni che hanno ostacolato il servizio delle ambulanze. Ma la repressione dei curdi in Turchia ha una lunga storia.
Dal 1990 al 1994, oltre un milione di curdi sono scappati dalle campagne (rifugiandosi a Diyarbakir, capitale morale del Kurdistan) quando l’esercito turco invadeva e saccheggiava i villaggi. Chomsky scrisse che dal 1994 in poi,  la Turchia passò al primo posto tra i paesi importatori di forniture militari americane, e che “quando le associazioni di difesa dei diritti umani denunciarono l’uso da parte dei turchi di jet statunitensi per bombardare i villaggi, l’amministrazione Clinton trovò il modo di eludere le leggi che imponevano la sospensione di forniture belliche alla Turchia”.  Ovviamente sostenendo che la necessità di difendere il paese dalla minaccia terroristica fosse fondamentale.
Ma dopo la primavera del 2013  la repressione subisce un’ulteriore impennata.
Il presidente Erdogan vara una serie di misure di sicurezza che prevedono il fermo di polizia, preventivo, di 48 ore senza alcuna convalida del magistrato (quindi tutto a discrezione della polizia), l’uso delle armi da fuoco da parte degli agenti in caso di disordini (si aggiunga che la legge considera le fionde e le bottiglie come vere e proprie armi) e la perquisizione di case “sospette” senza alcun mandato. Insomma uno stato di polizia in tutta la sua forza; una dittatura coperta da un stato liberale.
L’obiettivo è quello di distruggere un popolo già privato completamente dei diritti civili, ma soprattutto annientare il Partito dei lavoratori curdi che combatte da trentanni per creare uno stato indipendente nel sudest della Turchia.
A luglio di quest’anno Erdogan ha interrotto la tregua che durava da due anni, con il PKK e con la scusa della guerra allo Stato islamico, ha intensificato i raid aerei contro il Pkk.
Scrive Gwynne Dyer sul Guardian, che se Erdoğan vuole vincere nuove elezioni ha bisogno del sostegno dell’estrema destra; ma si tratta di ultranazionalisti contrari a un accordo con i curdi e, quindi, per convincerli, ha cominciato a bombardare il Pkk.