Mazzate urbi et orbi

E’ successo di nuovo, nella Basilica della Natività di Betlemme greci ortodossi e armeni stamani si son “presi a mazzate”.

Sono cristiani che litigano sulle competenze territoriali all’interno della chiesa. Vi Sembrerà strano ma se le danno di “santa ragione” solo per  stabilire a chi tocca pulire la chiesa;  ma attenzione: chi vince pulisce, che avevate capito?

[via ITN News]

Che affollamento il 25 dicembre

Se le nuove chiese venivano erette su vecchie e sicure fondamenta anche per  la nascita di un dio si sceglieva qualcosa di solido e sicuro a cui  appoggiarsi.  E’ così che diversi personaggi divini, ben prima di Cristo, nascevano il 25 dicembre.

La lista è lunga e il saggio della Savino ne elenca un po’, per esempio:
nel 1400  A.C.  ad Heliopolis, in Egitto,  il 25 dicembre si festeggiava il dio Horus  (Dio Sole e figlio del Sole).
«I mosaici e gli affreschi raffiguranti immagini di Horus in braccio a Iside ricordano l’iconografia cristiana della Madonna col bambino, tanto da indurci a credere che in epoca cristiana, per ovvi motivi, alcune rappresentazioni di Iside e Horus, spesso raffigurato come un bambino con la corona solare sul capo, furono probabilmente “riciclate”».

Il culto di Mitra risalente più o meno al 1200 A.C. faceva nascere questo dio anche il 25 dicembre e fu pure partorito da una vergine, ebbe 12 discepoli che lo chiamavano “il Salvatore” e morì a 33 anni.

Anche i babilonesi festeggiavano la nascita di un dio il 25 dicembre: Shamash  (Utu in sumerico) nato nel 3000 a.C. circa,  era il dio del sole e della giustizia.
«In Babilonia successivamente comparve il culto della dea Ishtar e di suo figlio Tammuz, che veniva considerato l’incarnazione del Sole. Allo stesso modo di Iside, anche Ishtar veniva rappresentata con il suo bambino tra le braccia. Attorno alla testa di Tammuz si rappresentava un’aureola di 12 stelle che simboleggiavano i dodici segni zodiacali.
È interessante aggiungere che anche in questo culto il dio Tammuz muore per risorgere dopo tre giorni».

Nel solstizio d’inverno, inoltre, si svolgeva la Lenaea, una festa  in onore di Dioniso.

Solo Wiracocha, un dio Sole inca, veniva festeggiato il 24 giugno ma perché nell’emisfero sud il solstizio d’inverno cade in giugno.

Insomma natale non è certamente una festa esclusiva….

Buon anno.

Te lo ricordi il tuo paese?

«ma tu…  te lo ricordi il tuo paese?» mi dice, accomiatandosi, un vecchio amico ch’é venuto a trovarmi in ufficio.

Non ho fatto molto caso a quelle parole perché la gran parte dei vecchi amici che incontro ogni tanto me le ripetono come una cantilena, al massimo con qualche variante del tipo: “non ti vedo mai al paese“, “ti sei dimenticato di noi“, “non ti fai vedere più” e giù di lì.

Però non capisco perché continuino a ripetermelo se vivo soltanto a 18 chilometri da dove sono nato: certamente se fossi nato a Roma nessuno si sognerebbe neanche di pensarla una cosa del genere.

Ma perché nei paesi è più evidente l’assenza? Non certo per il numero di contatti (dato che ne continuo a vedere a iosa) ma evidentemente per i posti dove avvengono questi contatti e quindi per la frequenza degli hub sociali univoci (bar, viale, villa, piazza, pizzeria, ecc…): sono questi che palesano e certificano la presenza e l’appartenenza.

E allora come posso rispondere al mio vecchio amico?

Potrei dire “si, certo che me lo ricordo”, ma violerei comunque la pertinenza poiché quel che ricordo è il mio presente che invece per lui è il passato.

In sostanza la mia laconica affermazione necessiterebbe di un percorso storico che andrebbe ricostruito e referenziato affinché io e il mio amico possiamo riferirci esattamente allo stesso oggetto (che non sia esclusivamente una coppia di coordinate geografiche).

Ovvero, dovrei raccontare cosa mi viene in mente quando parlo di “mio paese”:  immagini nitide, circostanziata di cose legate a fatti, persone e luoghi; di archi temporali (per esempio uno che ricordo bene va, più o meno, dal 1974 al 1980).  Perché conservo queste immagini? Non lo so (ma adesso non importa) ma intanto sono queste e dovrei parlare di queste cose… Ma staremo parlando dello stesso paese? O meglio voleva sapere questo di me? Credo di no. Mi prenderebbe per un nostalgico che vive lontano e di ricordi lontani: come uno che vive distante (anche se solo di 18 chilometri) e con questo riavrebbe indietro l’immagine che già aveva di me prima che io mi pronunciassi.

Allora, di solito, alzo le spalle e sorrido.

Come ci cambia il natale? [iPad o Kindle]

Giovanni Calia, tempo fa,  rifletteva su come l’iPad avrebbe cambiato i nostri comportamenti e tentava di trovare una linea dritta all’interno di ipotesi socialqualcosa e filosofico-tecnicistiche.

Questo ragionamento così forzato, in generale ha un punto di origine in una teoria, ormai completamente divulgata, a cui il buon Granieri ci ha abituati da un po’ di anni.  Giuseppe è da un bel po’ che ci parla di ebook, puntando il dito verso quel vecchio armamentario che sono gli editori  in tempi di self-publisher.
Io voglio, invece, solo aggiungere una nota venale in tempi di crisi.
Il libro elettronico, oggi molto più di ieri, si presenta come un’ottimo investimento per chi vuol continuare a leggere risparmiando.  Certo, bisogna comprare il lettore. Ma se non vi fate prendere dalla bulimia per la Apple  (che a stento vi ripaga per quello che avete speso) di soluzioni ne trovate un bel mucchio.
Io invece, quando decisi di fare il passo non avevo molte soluzioni: o sceglievo un Kindle  con il suo schemo B/N, dedicandomi soltanto ai libri, oppure un iPad per fare anche qualcos’altro. Scelsi l’iPad2  (acquistato agli inizi di aprile per il mio compleanno) perché, a quel punto e a quel prezzo,  volevo sostituire completamente il portatile.  Diciamo che ho rispettato i miei propositi e che in qualche modo li ho pure soddisfatti anche se son rimasto sempre molto critico nei confronti della spesa.
Tutto questo fino a quando non viene pubblicizzata l’uscita del Kindle Fire. Allora, per dare pubblico risalto al mio pentimento, pubblicai una tabella che metteva chiaramente in risalto la convenienza del tablet Amazon.
Cosa la fa da padrone nel confronto è ovviamente il prezzo; e anche se, dopo il lancio negli USA,  Jakob Nielsen lo ha definito piuttosto deludente, affermando (tra l’altro)  che “un tablet da 7 pollici [come il Fire] doveva essere trattato come una nuova piattaforma” (e che in sostanza non avrebbe funzionato proprio per quello strano formato); proprio a quella “inusuale” piattaforma, invece, sembra che che stiano puntando quelli della Apple con il prossimo iPad 3 da 7,85″.

In conclusione che voglio dire con questo post sconclusionato? Semplicemente che se volete continuare a leggere, a risparmiare, a trovare tutti i libri che vi piacciono, a Natale, compratevi (o fatevi regalare) un lettore. E non preoccupatevi del costo iniziale perché ve lo ripagherete in breve tempo,  certo se acquistate un iPad2 ci metterete di più.
Io vi consiglio un bel Kindle Fire a 199 dollari con display a colori 1.024 x 600 (memoria da 512 MB,  disco da 8 GB el cloud storage gratis su Amazon) così vi leggete i vostri libri e vi guardate anche i vostri video.  Aggiungete a tutto questo che se invece di Babbo Natale ve lo porta la Befana ci sta tranquillamente nella calza che appenderete al camino.

🙂

Venite alla tenda (racconti di natale)

Credo di aver avuto all’incirca una decina d’anni quel giorno che in paese arrivò un gruppo di predicatori stranieri che vennero velocemente etichettati come “olandesi”.  Questi piantarono un grande tendone sulla “collina dell’Angelo” (così si chiamava quella parte alta del paese dove d’estate si praticava il calcio amatoriale e in autunno si svolgeva la grande fiera degli animali e del fango) e iniziarono a girare per le strade e le case del paese predicando in modo diverso un messaggio differente. Promettevano anche miracolose guarigioni a coloro che si fossero uniti alle loro “funzioni” religiose oltre a qualche piccolo regalo a chi si fosse recato “alla tenda”.

Noi ragazzini, perennemente affamati di buone e gratuite occasioni, ci precipitammo sulla collina per infilarci in quel gran tendone.

Le prime file di sedie erano già occupate da un po’ di signori anziani e qualche casalinga mentre lungo un fianco del tendone, opposto al nostro, c’erano assiepati un folto gruppetto di ragazzi,  abitanti del vicino quartiere, che da quando eravamo entrati ci guardavano in cagnesco.  Si, proprio come guardano e ringhiano quei cani che difendono il proprio osso.  

Sapevamo che era normale quell’astio nei nostri confronti. Non si era soliti sconfinare, senza ragione, nei quartieri altrui e per molto meno si scatenavano guerre. Ad ogni ragazzo era concessa grande autonomia e padronanza di movimenti soltanto nel proprio quartiere o in alcune aree franche come la piazza del paese. C’erano palizzate e confini invisibili da non valicare tranne che per alcune zone e in alcuni momenti della giornata come la mattina per le scuole o negli orari delle messe per le chiese, tutto il resto era tabù. A meno ché non si fosse accompagnati da qualche adulto e allora le cose cambiavano, il lasciapassare era assoluto.

Ma noi ce ne stavamo buoni buoni, accovacciati su un lato e molto vicini all’uscita così, se le cose si mettevano male, avremmo avuto un buon vantaggio nella corsa.

 Intanto un olandese alto e biondo, come del resto tutti gli altri, parlava, parlava e parlava in un italiano sgrammaticato e ogni tanto, indicando qualche spettatore seduto in prima fila,  diceva che era andato lì con qualche male e che dopo aver ricevuto l’influsso benefico della tenda  “era tutto passato“.  

Indicò, quindi, un anziano con il bastone seduto proprio davanti a lui e disse:

questo vecchio avere male al ginocchio, ma venuto alla tenda e tutto passato.

A quel punto il vecchio col bastone alzò il dito indice per chiedere la parola e l’olandese fece un cenno di assenso.

Si è vero m’è passato proprio tutto, disse il vecchio,  però devo dire la verità….  ho preso anche una pillola.

Non ricordo più quale fu la reazione degli olandesi che dopo qualche giorno tolsero le tende e andarono via, ma il fatto che a noi veniva da ridere e che non riuscivamo a trattenerci, quello si lo ricordo ancora.

 

Il social verticale (da Fiorello alla Canalis)

Già da un po’ di tempo era stata avvistata la presenza di star (in genere televisive) all’interno del Twitter nostrano e probabilmente la prima grande star  a lanciare i suoi primi tweet  è stata Simona Ventura. Poi pian piano tutti a seguire fino al caso eclatante di Fiorello che, in pochi mesi (o forse giorni), ha portato il fenomeno alla ribalta: se oggi al bar e negli uffici si parla anche della tweettata tra @mehcadbrooks e la @canalis (e si conosce perfino il significato di hashtag ) è sicuramente merito suo.

Il fenomeno è stato analizzato in modo serio da Giovanni Boccia Artieri al quale, ovviamente, rimando per approfondimenti vari e mi fermo, com’è il mio solito, sottolineando interrogativamente alcune questioni: 1) perché le star si infilano sui social network ?  2) Cosa ne viene ai social?

Sulla prima questione sono convinto che la “colpa” (non in senso negativo) stia tutta stipata nelle tecniche di questa nuova leva di esperti in comunicazione i quali consigliano, nelle loro strategie, di stare dentro i fenomeni sociali e di battere il ferro finché è caldo.  Si tratta di una “nuova” cultura (un nuovo vangelo che sulla scia delle vecchie sperimentazioni condotte negli USA, pone in cima alla check list la parola “marketing”) tutta incentrata sulla comunicazione pubblicitaria che, semplicemente, vede il “prodotto” come una volpe che deve abitare il pollaio (“il cliente”) e che, quindi, quando piomba nel social network deve poterne tirare fuori soltanto il succo interessante.

Sulla seconda questione, invece, credo che ai social ne vengano fuori due cose a prima vista antitetiche ma che in definitiva sono strettamente collegate tra loro. La prima è resa benissimo nel finale del post di Giovanni («la forza dirompente della Rete sta nell’aver reso i rapporti orizzontali [e che] pensare a nuove verticalità sarebbe un triste passo indietro»),  ovvero: il social sembra subire una corruzione di natura spaziale, l’orizzontalità che tende alla verticalità. La seconda è che proprio questa tendenza alla verticalità rende più popolari i social rafforzandoli proprio nella loro natura sociale proprio quando da elitari (o semi elitari) divengono popolari. Credo che il caso di Facebook spieghi meglio di mille parole quello che cerco di dire.  Il social ne vien fuori bene e meglio da queste iniezioni di “verticalità” poiché cedendo piccolissime  quote orizzontali ne riguadagna tantissime altre e con una forza propagatrice pari a quella delle onde sonore.